febbraio 2021

Le restrizioni anti-Covid in vigore in Italia variano in base alle fasce di rischio con le relative regole. Tra regioni rosse, arancioni o gialle, le limitazioni sono differenti, in particolare per quanto riguarda gli spostamenti dal proprio comune di appartenenza o dalla provincia o regione. In diversi casi, per muoversi al di fuori di un territorio, è necessario compilare l'autocertificazione (SCARICA QUI IL MODULO IN PDFSPECIALE - LA SITUAZIONE IN ITALIA CON MAPPE E INFOGRAFICHE)



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I carabinieri della Compagnia di Reggio Calabria hanno arrestato Davide De Simone, il "mago" di origini siciliane che esercitava in provincia di Reggio Calabria, con l'accusa di omicidio colposo. L'uomo, secondo l'accusa, era riuscito a raggirare un disabile mentale spingendolo a sospendere una cura farmacologica e a rifiutare un intervento, causandone la morte. Ai domiciliari è finita la moglie di De Simone: è accusata di ricettazione.

I dettagli dell'inchiesta

L'inchiesta è iniziata nel gennaio 2019 quando i carabinieri sono intervenuti all'interno di un ufficio postale a Reggio Calabria, allertati da una segnalazione giunta al 112 da parte del direttore della filiale preoccupato per l'atteggiamento di un avventore e di una donna. Si trattava di De Simone e della moglie i quali, a seguito di una perquisizione personale e domiciliare, sono stati trovati in possesso di vari monili in oro, due cartucce per armi da fuoco e una cospicua somma di denaro. Gli accertamenti investigativi dei militari hanno consentito di scoprire che il mago e la moglie erano una coppia di abili truffatori in cerca di malcapitati a cui promettere la "miracolosa" risoluzione di problemi sentimentali o di salute in cambio di soldi.

Il "modus operandi"

Stando all'indagine, il mago, approfittando della fragilità e della vulnerabilità delle sue vittime convinte di essere state colpite dalla sfortuna, procedeva all'incantesimo con la promessa di sconfiggere il "maligno" con amuleti e talismani portafortuna venduti a peso d'oro. In alcuni casi, vantando poteri soprannaturali, decantava di riuscire a curare una malattia o riconquistare il partner perduto. Durante la celebrazione di alcuni rituali esoterici, De Simone avrebbe anche violentato tre donne che si erano rivolte a lui per riconquistare la propria anima gemella, convincendole ad eseguire "un rito sessuale con lui, per il tramite dello spirito santo".

I capi d'accusa

Oltre che per truffa, ricettazione, violenza sessuale, circonvenzione di persona incapace, detenzione abusiva di armi e truffa aggravata, il “mago” è accusato per il reato di morte come conseguenza di altro delitto. De Simone infatti avrebbe abbindolato un uomo affetto da infermità mentale e deficienza psichica raggirandolo a tal punto da farsi consegnare mensilmente l’intero importo della pensione d’invalidità, ingenerando nel malcapitato un stato di sudditanza tale da indurlo a sospendere la cura farmacologica cui era sottoposto all'Ospedale di Polistena, nel Reggino, e a rifiutare di sottoporsi a un importante intervento chirurgico, al punto da perdere la vita.



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Le nuove regole prevedono la possibilità per i ristoranti di restare aperti fino alle 23 e per bar e pub fino alle 21. Con nuove ordinanze, dalla settimana prossima, e in base all'andamento dei contagi, potranno essere riaperti anche palestre, centri commerciali nei weekend, musei e luoghi della cultura



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Un comune è in pre-dissesto finanziario, ma non avendo ufficio stampa e portavoce delega “l’informazione istituzionale” ad agenzie di stampa esterne, che controllano anche i maggiori quotidiani locali, pagandole con i soldi dei contribuenti. Succede ad Avola, in provincia di Siracusa, amministrata dal 2012 da Giovanni Luca Cannata, vicepresidente vicario di Anci Sicilia, con un passato in Forza Italia e oggi in Fratelli d’Italia. Le spese per la “comunicazione istituzionale” sono passate da 7800 del 2018, a 15mila del 2019 fino a 55mila euro dello scorso anno.

Il 21 novembre, il sindaco ha registrato il dominio Avola24.it con i suoi dati personali, ma il “blog web” che risulta “giornale di informazione istituzionale a cura del comune di Avola”, non essendo una testata giornalistica è stata affidata (con una delibera dello stesso giorno) all’Associazione Culturale Archia. Costo: 8950 euro l’anno. Non avrebbe potuto usare il sito del Comune? “Non l’ho registrato io, forse un mio collaboratore – precisa Cannata -. Il sito del Comune è raggiungibile da determinate persone, con Avola24 vogliamo arrivare a più cittadini, e tramite whatsapp creare la newsletter per inviare le delibere. Usiamo la massima trasparenza”. “Avola24 non è un sito di informazione istituzionale, ci sono notizie di cronaca, sport e cultura – spiega Francesco Di Parenti (Assostampa Sicilia) -, mi sembra una forzatura che la comunicazione di un Ente, che dovrebbe fondarsi sulla trasparenza verso il cittadino, passi attraverso un soggetto esterno”.

Informazione o propaganda? La normativa che disciplina le attività di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni (Legge 150/2000), prevede che i comuni possono dotarsi di uffici stampa e portavoce, attingendo dal personale già in organico. Ma l’uso del condizionale permette di trovare alternative. Non avendo una figura interna, il comune di Avola “deve necessariamente – si legge nelle delibere – fare ricorso a risorse esterne”, affidando il “servizio di comunicazione istituzionale” ad agenzie terze, che a loro volta sono titolari dei principali quotidiani locali, pagando per i “comunicati stampa”, “gestione social”, “personalizzazione della rassegna stampa” e “i rapporti con tutti gli organi di informazione”. In questo modo all’Appress vanno 8540 euro lordi annui, alla Promo Italia Srl 5 mila euro, mentre all’Agenzia Media Uno 3660 mila euro. Tutti importi che non superando i limiti di legge (40 mila euro) possono essere concessi direttamente. Alla quale si sommano le delibere per sponsorizzazioni e pubblicità di eventi destinati ad altre testate o associazioni.

“È una polemica sterile – commenta Cannata -, l’ufficio stampa dell’Appress costa 7mila euro, invece di spendere 50 mila euro se fosse interno al Comune, quindi stiamo risparmiando. La Promo gestisce un servizio radio, per informare tutti i giorni i cittadini sull’emergenza Covid. Mentre l’Agenzia Media Uno cura la rassegna stampa. Acquistiamo dei servizi come previsto dalla legge, non la stiamo aggirando”. “L’informazione istituzione deve seguire i criteri previsti dalla legge, quindi uffici stampa, portavoce e ufficio relazione con il pubblico – replica Di Patenti -, temo che il sindaco faccia confusione tra l’informazione istituzionale e quella politica o di propaganda”.

Inchieste e gens politica. Da otto anni Avola è il fortino elettorale del sindaco Cannata, ad un passo dall’elezione al parlamento europeo nel 2019. Anche la sorella Rossana è in politica, eletta alla regione nel 2017 con Forza Italia e poi passata con Giorgia Meloni. Il sogno di Cannata sarebbe quello di uno scambio di scranni: lui a Palazzo dei Normanni, e lei ad Avola. Durante la sua gestione amministrativa, il Comune ha rischiato lo scioglimento per mafia, per i sospetti di possibili condizionamenti dei clan locali, poi escluso dall’intervento del Viminale che non ha recepito la relazione ispettiva della Prefettura di Siracusa. Cannata era stato anche accusato di falso ideologico, per le presunte pressioni fatte a funzionari del genio civile di Siracusa, nell’inchiesta “tutti a t’Avola” della Procura di Siracusa, che coinvolgeva altre 17 persone, sulla gestione degli appalti pubblici comunali. Ma il giudice ha deciso in seguito il “non luogo a procedere”. Le spese della comunicazione istituzionale, in tempo di pre-dissesto e pandemia, denunciate da alcuni consiglieri di opposizione, e riprese dal sito BlogSicilia, potrebbero attirare le mira della Corte dei Conti.

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Una prima volta per l’Italia, un evento. Una canzone tutta italiana che vince il Golden Globe. Il trionfo arriva grazie a Laura Pausini con Io sì (Seen) premiata per la migliore canzone originale. L’annuncio è stato dato nel corso della cerimonia di premiazione della Hollywood Foreign Press. Il brano, frutto della collaborazione tra la Pausini, Diane Warren e Nicolò Agliardi, è la colonna sonora del film La vita davanti a sé del regista Edoardo Ponti con (la madre) Sophia Loren.

Nel corso della diretta sulla Nbc la cantante, in collegamento da casa con camicia rossa e sorriso scintillante, ha detto “grazie mille”, ma poco dopo sul suo profilo Instagram, in inglese, la Pausini ha scritto: “Non ho mai sognato di vincere un Golden Globe, non ci posso credere. Grazie mille alla Hollywood Foreign Press Association”. “Voglio ringraziare Diane Warren dal profondo del mio cuore. È un onore incredibile – ha proseguito l’artista – poter ricevere un tale riconoscimento per la nostra canzone, e il fatto che sia la nostra prima collaborazione lo rende ancora più speciale. Grazie all’incredibile team Edoardo Ponti, Niccolò Agliardi, Bonnie Greenberg. Grazie a Netflix e Palomar production”. L’artista non ha mancato di ringraziare la protagonista del film.

“Tutta la mia gratitudine e il rispetto per la meravigliosa Sophia Loren – ha scritto la cantante sul social – è stato un onore dare voce al tuo personaggio, per trasmettere un messaggio così importante, di accoglienza e unità. Dedico questo premio a tutti coloro che vogliono e meritano di essere visti. A quella ragazzina che 28 anni fa vinse Sanremo e non si sarebbe mai aspettata di arrivare così lontano. All’Italia, alla mia famiglia, a tutti coloro che hanno scelto me e la mia musica e mi hanno reso quello che sono oggi. E alla mia bellissima figlia, che da oggi vorrei ricordare la gioia nei miei occhi, sperando che cresca e continui sempre a credere nei suoi sogni”.

L'articolo Golden Globe 2021, Laura Pausini trionfa con Io sì (Seen). La prima volta per una canzone italiana proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Era il più giovane del gruppo eppure era il più feroce. Ha solo 17 anni, ma “ha dato prova di essere oltremodo avvezzo alla realizzazione di variegate e gravi” forme di reato. Un giovanissimo calciatore dei campionati minori pugliesi, ma anche un soggetto “abitualmente dedito alle attività criminali” con le quali si guadagna da vivere: denaro che gli consente di ottenere il necessario e il superfluo. Dallo “smartphone costosissimo e di ultimissima generazione” ai tatuaggi da migliaia di euro fino alle vacanze nelle quali “si mangia” il denaro. È questo il ritratto che emerge dalle centinaia di pagine dell’inchiesta che ha permesso alla Squadra mobile di Foggia guidata dal vice questore Raffaele Grassi, di identificare e arrestare l’autore materiale dell’omicidio di Francesco Paolo Traiano, tabaccaio foggiano accoltellato durante una rapina avvenuta il 17 settembre 2020 in via Guido Dorso presso il bar-tabaccheria “Gocce di Caffè” e deceduto 23 giorni dopo per le ferite.

L’operazione “Destino” come è stata ribattezzata dai poliziotti, ha permesso di arrestare l’intero commando che quel giorno prese parte alla rapina: in carcere sono finiti Christian Consalvo e Antonio Pio Tufo entrambi di 21 anni, il 24enne Antonio Bernardo e infine Simone Pio Amorico di 22. Per l’accusa, però, a sferrare il colpo mortale è stato proprio il minorenne l’unico arrestato di cui per legge non vengono diffuse le generalità. La lettura degli atti di indagine, però, consente di tracciare un profilo, un ritratto del giovanissimo calciatore che ora indossa i panni del presunto killer. Le sue responsabilità penali nella vicenda saranno valutate dai giudici, ma da quelle pagine emerge con forza il suo tenore di vita ben oltre le sue possibilità e anche la sua spregiudicatezza che lo porta a reperire denaro “in tutti i modi”. È proprio lui a spiegarlo alla sua fidanzata che cerca di farlo d ragionare, di aiutarlo: quando la giovanissima scopre che il 17enne deve ripagare entro poche settimane debiti per oltre mille euro, si offre di aiutarlo, ma senza successo: il giovane non solo rifiuta l’aiuto della fidanzata, ma aggiunge “come li posso fare li faccio” e quando la ragazza chiede come farà, lui risponde “Già sai”.

La conversazione risale a poche ore prima della rapina: nel tardo pomeriggio di quel 12 settembre, infatti, il 17enne piomberà nell’esercizio commerciale di Traiano per la rapina. Questa la dinamica ricostruita dagli investigatori: “Una volta entrato nell’esercizio commerciale – si legge nella carte dell’inchiesta – si avventa contro Traiano Francesco Paolo, che si trovava in prossimità del registratore di cassa, lo aggredisce, percuotendolo e sferrando al suo indirizzo diversi fendenti, da cui la vittima cercherà ripetutamente di difendersi”. Non solo. Il 17enne “oltre ad aver percosso il Traiano, gli infligge il colpo mortale” e “non pago della barbara azione appena posta in essere, colpisce anche con due calci Traiano, ormai inerme sul pavimento”.

Un’azione che per il giudice Patrizià Fama del tribunale dei minorenni che ha ordinato la sua custodia nel carcere minorile di Bari, è “un’aggressione crudele con reiterazione di colpi violenti, sferrati da distanza ravvicinatissima, da posizione frontale rispetto alla vittima, con notevole forza e diretti in zone vitali del corpo quali il volto” che manifesta chiaramente “la piena intenzionalità e volontà” del ragazzo cattivo di Foggia. Insomma da quella rapina, in realtà, emerge senza dubbio per gli inquirenti “quella ferma intenzionalità e volontà di produrre l’evento morte della sua vittima”. Insomma il 17enne voleva uccidere per il disperato bisogno di denaro: “Non si è fatto alcuno scrupolo – aggiunge il giudice Famà – a porre in essere condotte di inaudita violenza, mostrando un totale spregio per la vita umana, che non ha avuto alcuna remora a sacrificare, pur di impossessarsi della somma di denaro presente nel registratore di cassa e di qualche biglietto ‘Gratta e Vinci’”. E neppure il tentativo di difendersi del tabaccaio sono bastati a placare la sua “furia criminale”, anzi: Traiano è diventato a quel punto “bersaglio di numerosi e violenti fendenti, quasi tutti diretti al volto” a testimonianza della pericolosità del 17enne che ha agito consapevolmente “a mano armata” e “con accanimento da assassino”. E neppure dopo quella drammatica sequenza di momenti, secondo gli investigatori, emerge un segnale di pentimento o la paura delle conseguenze. Il 17enne si preoccupa solo del tempo che gli resta prima che lo arrestino. Ma in quel tempo nulla cambia nella quotidianità del ragazzo cattivo di Foggia.

L'articolo Droga, tatuaggi e debiti, è un 17enne accusato dell’omicidio del tabaccaio di Foggia. Il gip: “Aggressione crudele e furia criminale” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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“Non abbiamo aiuto da parte dell’Asp né dell’Usca. Nessuno viene per la spazzatura, nessuno ha mai chiesto se stiamo bene: siamo completamente abbandonati. Si può vivere con una sanità del genere?”, lo sfogo di Miriam, dipendente di uno dei parrucchieri più noti di Messina, risale al 2 gennaio, esattamente 11 giorni dopo essere risultata positiva al test rapido. È stata lei, in prima persona, a mettersi a cercare le signore a cui aveva asciugato i capelli negli ultimi giorni, cercando in qualche modo di risalire alla loro identità: “Ricordavo di avere asciugato i capelli ad una giornalista riccia, così ho chiesto a un’altra signora se la conosceva, per fortuna sono riuscita a rintracciarne qualcuna”, racconta Miriam. Il contact tracing svolto in prima persona e da nessun altro, un episodio tutt’altro che isolato. Anzi, si inserisce in un contesto esemplare che è quello dell’Asp di Messina, sottoposta ad ispezione lo scorso dicembre. Un’ispezione messa nero su bianco che ha certificato come l’azienda ospedaliera pubblica avesse perso completamente la gestione della pandemia, mentre i contagi si moltiplicavano: il 9 dicembre sono stati registrati 38 contagi, mentre il 16 gennaio se ne contavano 434.

Una storia forse da manuale, di come la gestione istituzionale della pandemia sia saltata, lasciando correre il virus. D’altronde, la sintesi di questa débâcle la fornisce un documento firmato da Mariagrazia Furnari, commissaria ad acta nominata a metà dicembre dall’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza. Furnari scrive alla Regione: “Nel periodo intercorrente tra il 22 dicembre del 2020 e il 5 gennaio del 2021 sono stati ‘caricati’ sulla piattaforma Iss 3129 nuovi positivi riferiti al distretto di Messina recuperando il ritardo accumulato”. Non uno, non due, ma 3129 persone contagiate non risultavano nei dati, tra queste anche Miriam, risultata positiva il 22 dicembre. Solo uno degli aspetti carenti della gestione della pandemia nella provincia della città dello Stretto, una vera e propria disfatta, certificata anche da una commissione d’inchiesta che ha comunicato i risultati a fine dicembre all’assessorato regionale, ora resi pubblici, dopo l’avvio della procedura di revoca e contestuale sospensione del dirigente generale dell’Asp di Messina, Paolo La Paglia, a febbraio.

Nel frattempo, inevitabilmente, la città dello Stretto ha raggiunto il picco di contagi ed è entrata a gennaio in un lockdown simile a quello di marzo, aggravato infatti, nelle misure dall’ordinanza del sindaco, Cateno De Luca. E il risultato dell’inchiesta sulla gestione della pandemia da parte dell’Asp di Messina, messa nero su bianco nella relazione della commissione d’inchiesta che si è insediata lo scorso 17 dicembre, sembra dargli ragione: tracciamento saltato, dati non caricati, affidamenti a laboratori privati per i tamponi pur avendo risorse pubbliche e con relativo ingolfamento. Un fuoco di fila che ha portato alla sospensione da parte dell’assessorato regionale alla Salute del dirigente generale dell’Asp, Paolo La Paglia. Un esito chiesto a gran voce in più occasioni dal sindaco di Messina, Cateno De Luca. La prima lo scorso marzo, quando il primo cittadino aveva denunciato in una delle sue roboanti dirette Fb uno dei più vistosi ritardi della struttura sanitaria: 1400 mail non lette. E infatti nella relazione dei commissari si leggerà quasi un anno dopo: “Sulla base di quanto riferito, il personale afferente al Dipartimento di Prevenzione non riusciva a smaltire le segnalazioni che pervenivano attraverso la casella di posta elettronica”. A novembre, il sindaco chiede nuovamente le dimissioni di La Paglia: “Perché non erano stati attivati i 50 posti letto di terapia intensiva. Nel tavolo tecnico da me convocato del 23 ottobre emerse che solo 12 posti letto di terapia intensiva Covid erano stati attivati al policlinico” spiega De Luca. Che adesso affonda il coltello: “C’erano tutte le evidenze per sospenderlo già ad ottobre”.

L’iter per la sospensione e contestuale revoca di La Paglia è iniziato invece a dicembre – così riferiscono dall’assessorato – poi ci sono voluti i tempi tecnici fino alla delibera firmata da Razza il 19 febbraio, dieci giorni fa. Un uomo di fiducia di Musumeci, silurato solo dopo le evidenze portate dall’ispezione della commissione d’inchiesta inviata dalla Regione e i necessari tempi tecnici. Le “responsabilità”, però, di una cattiva gestione della pandemia, secondo La Paglia, sono “riconducibili ad altri organi dell’amministrazione”. Ma quali sono queste responsabilità nello specifico? Il fuoco di fila della commissione d’inchiesta voluta da Razza e composta anche da membri del Cts regionale (Salvatore Scondotto, Francesca Di Guadio, Giuseppe Murolo, Roberto Virzì, Stefano Campo), inizia dai dati sui contagi: “Nonostante i continui e reiterati solleciti da parte dell’Assessorato (videoconferenze e telefonate ripetute), l’Asp di Messina non registra i dati sulla piattaforma”, risultando “l’azienda con i peggiori risultati a livello regionale”, e così contribuendo “negativamente alla rappresentazione del quadro epidemiologico locale esponendo gli amministratori regionali ad assumere decisioni, sulle misure di contenimento e mitigazione della trasmissione del virus, basate su dati fuorvianti”. Non solo, secondo gli accertamenti degli ispettori inviati dalla Regione, l’Asp di Messina inseriva i dati della pandemia con ritardo, soprattutto nel fine settimana, per carenza di personale: “Il sistema di sorveglianza Iss è stato alimentato sempre con grave ritardo per l’esiguo numero di personale (3 persone oltre il dr. Cariolo) con orario di servizio dal lunedì al venerdì”. Se non si riusciva a smaltire le mail poi figuriamoci la gestione dei database: “Risulta che non è stato utilizzato alcun software per la gestione del contact tracing… non è stato organizzato e strutturato un database per indagine epidemiologica e scheda contatti”.

Ma la lista delle inadempienze è lunga e in un punto evoca l’ipotesi di danno erariale: “Pur potendo richiedere all’assessorato e alla Protezione civile, e ricevere, gratuitamente e in tempi rapidi strumentazione e reattivi (un milione fornito dalla Regione, ndr)” si è scelto di rivolgersi a due elaboratori privati, con conseguente dispendio di risorse e ritardo nella gestione dei contagi: “Ha affidato il soddisfacimento del suo fabbisogno sostanzialmente agli esterni ed ai laboratori privati. Tale affidamento, oltre a comportare un enorme dispendio di risorse, ha di fatto reso l’Asp incapace di controllare i suoi flussi”. Non solo, uno dei laboratori privati non passa due verifiche di qualità, di cui “l’Asp non risulta essersi accorta”.

Per non parlare dei posti letto, così largamente dibattuti lo scorso novembre, quando fu resa nota la “spinta” vocale del dirigente della Regione che in un audio invocava il caricamento dei posti letto Covid, spinta che non pare abbia avuto alcun effetto a Messina: “Si è constatato che su 51 rilevazioni estrapolate dal flusso, 19 volte (il 37%) non sono stati caricati i dati dei posti letto disponibili”. Mentre lo scorso novembre la procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha aperto un’inchiesta – ancora contro ignoti – sulla mancata attivazione dei posti letto Covid, in quella occasione il dg La Paglia aveva lamentato: “Le carenze di personale riguardano tutti i presidi ospedalieri dell’Asp di Messina, dove mancano ad oggi 25 anestesisti”. Bene, i commissari sottolineano che l’azienda avrebbe potuto fare più assunzioni e non a caso mettono a confronto le assunzioni fatte da Messina e Catania: “Alla fine del mese di ottobre 2020, dai dati del monitoraggio, risultano solamente n. 87 assunzioni a totale di cui 13 medici, n. 35 infermieri e 39 altro personale. A titolo esemplificativo, al mese di ottobre 2020, l’Asp di Catania ha assunto a totale n. 401 unità di personale per fronteggiare l’epidemia di cui n. 158 dirigenti medici, n. 136 infermieri e n. 107 altro personale, così come l’Asp di Palermo ha effettuato n. 225 assunzioni, con n. 40 medici, 100 infermieri e n. 85 altro personale”.

Tutto questo si traduceva nelle lunghe attese, come quella lamentata dalla parrucchiera messinese che raccontava pure come nessuno venisse a prendere i rifiuti: “La mancanza di un efficace sistematico sistema informatizzato di raccolta dati sui tamponi, verosimilmente, rende difficoltosa la produzione di elenchi aggiornati di utenze per la raccolta dei rifiuti di tipo A. La criticità del sottodimensionamento del servizio è stata rappresentata anche dallo stesso personale intervistato dell’Asp che dichiara anche di avere ricevuto molteplici reclami”. Le conclusioni, dopo una simile disamina, sono presto fatte: “Emerge l’inadeguatezza dell’organizzazione nel suo complesso, ad incidere con successo sui risultati dei processi organizzativi interni e nell’individuare risposte efficaci, tempestive e funzionali alle nuove esigenze legate all’epidemia Covid 19”. E per il sindaco non ci sono dubbi: “Ho dovuto applicare misure restrittive perché la gestione della pandemia era saltata a causa dell’inefficienza dell’Asp”.

L'articolo Il buco nero della gestione dell’epidemia a Messina: dai positivi non registrati ai test fatti dai privati. “Misure decise su dati fuorvianti” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Dopo il monitoraggio dell’Iss e del ministero della Salute, sono in vigore le ordinanze che da oggi lunedì 1 marzo cambiano i colori di alcune regioni. In particolare, Basilicata e Molise passano in zona rossa, mentre Lombardia, Piemonte e Marche diventano arancioni. La Sardegna diventa la prima zona bianca. Ecco le restrizioni nelle diverse fasce



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Con la firma dell'ordinanza da parte del presidente Solinas, la Sardegna è la prima zona bianca d'Italia. Nel resto del Paese, come sottolinea il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini, il marzo di prospetta difficile, con contagi in rialzo e nuove restrizioni. Si delinea, intanto, il nuovo piano vaccini: una crescita che punta tra 300mila e 500mila somministrazioni al giorno ad aprile, per raggiungere l'obiettivo di 19 milioni di vaccinazioni al mese



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Il Sisa, sindacato indipendente scuola e ambiente, ha proclamato uno sciopero nazionale per oggi lunedì 1 marzo, invitando all'adesione tutto il personale docente e dirigente, di ruolo e precario. Escluso invece il personale ATA. La mobilitazione è stata annunciata a febbraio, come si legge anche sul sito del Miur, ed è stata indetta per protesta contro l’ipotesi di un prolungamento dell’anno scolastico con lezioni sino al 30 giugno e per chiedere l'accelerazione dei tempi per l'immissione in ruolo dei precari.



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L'Iss monitora le mutazioni, soprattutto quelle considerate più preoccupanti: l'inglese, la brasiliana e la sudafricana, che sono ormai diffuse in diverse zone del Paese. In Sicilia primo caso di variante brasiliana. In Abruzzo, soprattutto nel Pescarese, dilaga quella inglese. Il matematico Sebastiani: pandemia è in una fase di aumento di tipo esponenziale e ogni 5 giorni raddoppia il suo incremento. Il tempo di raddoppio, avverte, è più basso probabilmente a causa della “maggior diffusività di alcune varianti”



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Dopo lo scioglimento del duo Benji & Fede, Benjamin Mascolo ha deciso di provare la strada da solista con il nome d’arte B3N. È uscito il primo Ep “California” che contiene 6 tracce, compreso il singolo “Finché le stelle non brillano”. È la prima metà di un album a due anime la cui seconda parte uscirà verso l’estate. “Questo canta? Ma non suonava e basta? È quello che si domanderanno tutti ascoltando questo album”, racconta a FqMagazine B3N.

Preoccupato del giudizio degli altri per il tuo debutto da solista?
All’inizio un pochino sì, soprattutto quando ho deciso di fare questo passo. Mi sono convinto perché alla fine questo sono io, la mia voce può essere imperfetta ma ho imparato ad amarla e a lavorarci costantemente per migliorare. Avevo bisogno di trovare un nuovo stimolo e mettermi in gioco in questo modo. So che mi rendo vulnerabile e bersaglio delle critiche. L’ho messo in conto e fa parte del mestiere, ne prendo atto ma sono orgoglioso del lavoro che ho fatto e del mio progetto. Non ho nulla da recriminare. Meglio di così non potevo fare.

Cantare nasce da una nuova consapevolezza di sé?
Il fisico, il canto, lo stile di vita, tutto nasce dalla mente. Anni fa ho avuto uno stile di vita non sano e bevevo per me era un modo per sopprimere alcuni pensieri che nascevano da un mood sbagliato. Non ero felice con me stesso e soprattutto non mi sentivo a mio agio con me stesso. Ad un certo punto ho iniziato a fare pulizia, eliminando per prima cosa le persone che mi circondavano. Tolti questi elementi tossici ho iniziato a stare meglio. Non voglio addossare colpe a nessuno, mi sono sempre assunto le mie responsabilità. Ora seguo un’altra strada e non rispondo a chi si aspetta altro da me.

Cosa ti aspetti da te stesso?
Mi aspetto di mettermi sempre in gioco e non accontentarmi mai. Vorrei anche godermi di più il presente e ci sto lavorando. Ad esempio, la scorsa notte sono rimasto un’ora a fissare il tetto senza tv né cellulare. Faccio mille cose contemporaneamente durante il giorno, come tutti, così mi sono imposto mezz’ora per scaricare tutto per pensare e anche non pensare. Ho avuto difficoltà in questi anni a godermi il momento se penso ai sold out, le migliaia di copie vendute e gli incontri con i fan. Se siamo qui e ora è giusto, a volte, fermarsi un secondo, non penso ci sia una vita dopo questa.

Come mai hai scelto come primo singolo “Finché le stelle non brillano”?
La prima scelta è stata ‘Los Angeles’ poi lavorando al disco pian piano mi è sembrata più chiara la visione generale del progetto. Considerando il periodo e il momento mi sembrava giusto lanciare un brano più introspettivo.

Tra l’altro è la canzone preferita di Tiziano Ferro. Come è nata la vostra amicizia?
Ho avuto una sfiga incredibile perché ci siamo sentiti quando sono tornato da Los Angeles poi è scattato il lockdown. Non ci siamo potuti vedere. Siamo sempre in contatto e ha conosciuto pure la mia ragazza, Bella. Ci siamo promessi di fare una cena tutti assieme appena sarà possibile.

C’è già una seconda parte di questo progetto musicale?
Sì, ci saranno sei pezzi. Sarà un disco più “estivo”, meno diplomatico e ancora più rock.

Quanto c’è di Bella Thorne in “California”?
C’è tantissimo di lei. Questi ultimi due anni li abbiamo vissuti assieme e mi ha regalato una diversa prospettiva della vita. La California non rappresenta solo il luogo dove ho conosciuto la mia ragazza, ma anche un mondo che ha influenzato questo disco.

Cosa non ti piace della California?
Lo dico sempre a Bella. Secondo me c’è troppo consumismo e c’è questa tendenza un po’ da hippie che non ho capito quanto sia sincera o frutto di una moda passeggera.

Hai girato il tuo primo film da attore. Com’è andata?
Si intitola ‘Time Is Up” ed è diretto da Elisa Amoruso. C’è anche Bella nel cast. Ci ho pensato un pomeriggio quando ho ricevuto questa proposta e mi sono convinto perché sarei stato folle a non cogliere al volo questa opportunità. Ho sempre pensato di non essere in grado di cantare e ho fatto un disco, così ho pensato di fare lo stesso con la recitazione. Ho lavorato per 4 mesi sia per prepararmi fisicamente (il protagonista è un nuotatore) sia con la memoria e la recitazione per imparare il copione.

E com’è andata?
Il primo giorno di set ho avuto paura. Piano piano mi sono reso conto che forse ero proprio portato! Ho visto già qualcosina del girato e sono rimasto sorpreso…I produttori non vogliono farmi vedere altro girato per evitare di influenzarmi, manca ancora una settimana di riprese.

È difficile vivere una relazione a distanza?
Devi avere una fiducia totale nei confronti di chi ami e il rispetto. Ci sono dei giorni in cui ti senti il mondo crollare addosso e devi continuare a essere forte perché rappresenti il punto fermo per l’altra persona. Con Bella ci aiutiamo a vicenda e la lontananza tutto sommato ci fortifica. Oggi con lei mi sento invincibile.

Sei sempre così ottimista e solare?
(Ride, ndr) No, no anzi. Ho anche io i miei momenti di down, ma poi cerco di farmeli passare.

Tu e Federico Rossi avete un programma un concerto di ‘arrivederci’ all’Arena di Verona il 3 maggio. Si farà?
Anche io sto chiedendo informazioni in merito ma la verità è che tutto dipenderà dai Dpcm e dalle decisioni del Governo. Io penso che arrivare ad una situazione all’Arena con 12-14mila persone sia impensabile. Immagino a uno spostamento nel 2022. Ma non ci sono certezze per ora.

Federico non è stato preso a Sanremo, cosa ne pensi?
Avrà mille altre occasioni per dimostrare quanto vale. Non ho dubbi.

L'articolo Benji (senza Fede) a FqMagazine: “Cantare da solista è una sfida con me stesso. Bella Thorne? Con lei mi sento invincibile, ecco il nostro segreto” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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di Paolo Di Falco e Marta De Vivo

È passato già un anno da quel 20 febbraio destinato a cambiare per sempre la nostra vita: all’apparenza sembrava un giorno come gli altri, ma all’ospedale di Codogno arrivò il risultato del tampone fatto a Mattia Maestri, ricercatore di una multinazionale con base a Casalpusterlengo, che risultò positivo al Covid19 trasformandosi immediatamente nel paziente 1. A lui ne seguirono molti altri fino ad arrivare al giorno odierno con un bilancio spaventoso: 97.000 morti e ben 2,87 milioni di casi totali. Da allora sono diverse le parole che sono entrate nel nostro lessico quotidiano come: dpcm, assembramenti, quarantena…

Guardando a quei giorni sembra sia passato un tempo infinito eppure sono passati solamente 12 mesi, durante i quali dagli allegri balconi di maggio, da quel “andrà tutto bene” sventolato in più occasioni, siamo arrivati di fronte alla famigerata “terza ondata”. Il vaccino, che un anno fa sembrava un miraggio lontano, è arrivato ma la distribuzione procede a rilento, colpevoli anche i ritardi delle multinazionali farmaceutiche, e così ci ritroviamo di nuovo in bilico.

Questo primo anno di pandemia ha avuto un peso abbastanza rilevante per tutti i ragazzi come noi che, da un giorno all’altro, abbiamo fatto delle rinunce inimmaginabili: c’è chi ha rinunciato alla sua gioventù e chi alla sua adolescenza. I pomeriggi all’aria aperta sono mutati in un confinamento all’interno delle quattro mura domestiche, che sono risultate troppo limitate e di conseguenza, tutte le giornate sono diventate monotone: uguali e indistinguibili l’una dall’altra. I sacrifici erano e continuano ad essere legittimi, data la situazione pandemica, ma troppe volte si sorvola e si guarda con troppa leggerezza alla “generazione post Covid”, a quella generazione che tutt’oggi non è riuscita a metabolizzare cos’è successo.

Una generazione che ha trovato l’unica consolazione nel mondo dei social dove, almeno, la vita sembrava scorrere come prima. Non è un mistero che negli ultimi 12 mesi gli utenti dei social network sono aumentati di ben 4 milioni e che tutte le piattaforme social, nessuna esclusa, hanno visto un incremento dei loro utenti attivi. Il boom di utenti ha coinvolto anche piattaforme social che erano in leggero declino prima della pandemia da Coronavirus, come Twitter. Da una parte i social, ma dall’altra i grandi protagonisti, partner virtuali delle nostre lunghe e noiose “serate pandemiche”, sono state le piattaforme che offrono serie tv, film, partite.

Adesso dobbiamo anche cominciare a programmare un futuro post Covid, pensare al Recovery Fund, spartire le risorse e lavorare ad un progetto di ricostruzione del nostro Paese e dell’intera Unione Europea: per fare questo occorre una grande organizzazione e coesione tra i partiti. Inoltre dovremo lavorare alla campagna di vaccinazione cercando di immunizzare una buona fetta di popolazione per uscire finalmente da questo incubo: serviranno strutture e dosi a sufficienza per poter vaccinare tutti e, in questo senso, l’operato del nostro nuovo Governo Draghi sarà fondamentale.

Il futuro dell’Unione Europea dovrà essere green, tecnologico e all’avanguardia, ma dovremo lavorare sodo per costruirlo e per rimanere al passo con i tempi in modo da non restare indietro rispetto alle grandi potenze come Cina e America. L’occasione di costruire un’Unione più forte è adesso e dobbiamo sfruttarla. Come diceva uno dei nostri padri fondatori, Alcide De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alle prossime generazioni”. In questa frase si racchiude quello che dovrebbe essere il pensiero comune in un momento complesso come quello attuale.

Dobbiamo riflettere su quello che sarà il nostro domani e sulle decisioni che prenderemo su questioni cruciali quali: opportunità per i giovani, allargamento degli accordi internazionali, diritti umani e la ricostruzione delle basi per un futuro migliore. Per riuscire a risollevare il nostro Paese e tutti i Paesi membri bisognerebbe dare più spazio ai giovani, creare opportunità, connessioni e sinergia. Solo tramite uno sforzo collettivo per dare prospettive a noi ragazzi sarà possibile un futuro. Per dirlo ancora con De Gasperi: “È necessario guardare alle future generazioni”. Proprio perché saremo noi il Futuro, saremo noi un domani a guidare l’Unione, saremo noi la prossima classe dirigente e, proprio per questo ora più che mai, dovremo lavorare per essere attrattivi e competitivi agli occhi dei più giovani.

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Viaggiavano a bordo di un’ambulanza con 30 chili di marijuana. La guardia di finanza ha arrestato in flagranza a Messina Francesco Minissale, di 39 anni, e Gregorio Fiumara, di 45, per traffico di sostanze stupefacenti e sequestrato il carico. La scoperta è stata fatta nel corso dei controlli effettuati sugli automezzi che sbarcano a Messina provenienti da Villa San Giovanni. I militari hanno perquisito l’ambulanza dopo che un cane antidroga aveva fiutato qualcosa di sospetto: all’interno del mezzo erano infatti occultate oltre 50 confezioni di marijuana, per un totale di circa 30 chili. La droga avrebbe potuto fruttare, sul mercato illecito al dettaglio, circa 300mila euro

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Il nuovo David – la mia vignetta per Il Fatto Quotidiano oggi in edicola!

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Esponenti di Fratelli d’Italia multati dalla polizia a Reggio Emilia per assembramento. Gli agenti sono intervenuti al termine della conferenza stampa indetta per il passaggio del deputato reggiano Gianluca Vinci dalla Lega al partito di Giorgia Meloni. Come ha raccontato lo stesso Vinci, i presenti sono stati sanzionati per il brindisi che hanno compiuto a fine cerimonia. Il parlamentare già a gennaio era stato multato per aver cenato in un ristorante che ha aderito alla campagna #IoApro. La leader Meloni ha definito “intollerabile” quanto accaduto, sostenendo che gli esponenti del partito “sono stati ingiustamente multati con l’accusa di aver violato le norme anti-Covid”.

La conferenza stampa si è tenuta nella sede di Fdi di via San Zenone a Reggio Emilia: presenti, oltre al deputato Vinci, anche il coordinatore provinciale Alberto Bizzocchi, il vicecoordinatore regionale Alessandro Aragona, assieme a un paio di giornalisti e qualche militante. L’Ansa riporta che all’esterno della sede era stato preparato un tavolino con bicchieri e bottiglie. Al momento del brindisi però è arrivata la polizia che ha multato i presenti per assembramento, come previsto dalle norme in vigore.

“Finita la conferenza stampa – ha raccontato Vinci all’AdnKronos – abbiamo preso due bottiglie per brindare e, visto che la sala era piccola, siamo usciti sul marciapiede e l’abbiamo stappata, così da poter stare distanziati. In tutto saremo stati in otto. Tuttavia sono arrivate tre pattuglie della polizia municipale: una è andata via mentre le altre due, con sei agenti, ci hanno contestato l’assembramento”. Per Vinci le sanzioni non sono corrette: “Era una via del centro deserta. Le manifestazioni politiche sono consentite, in più c’erano otto persone all’aperto con mascherine. A pochi passi, invece, nel centro pedonalizzato, era pieno di gente”. Lo stesso parlamentare un mese fa aveva partecipato aveva pubblicato un selfie su Facebook con la didascalia: “Terza cena fuori, solidarietà agli imprenditori”. Non solo: rispondendo al commento di un utente che chiedeva come potersi tutelare in caso di multe, Vinci aveva risposto di “non pagare” e “contestarle”.

Giorgia Meloni però difende i suoi esponenti: “È intollerabile per una democrazia che si definisca ancor come tale che si compiano abusi di questo tipo nei confronti dell’unica forza di opposizione – spiega – Soprattutto a fronte delle immagini che vediamo tutti i giorni e che abbiamo visto in passato, nei confronti delle quali non abbiamo notizie si sia intervenuti. Tutti ricordiamo bene gli assembramenti selvaggi creati dall’ex capo del governo Conte davanti Palazzo Chigi e in occasione di conferenze stampa improvvisate per strada”. La presidente di Fdi ha poi concluso: “Abbiamo già annunciato un’interrogazione parlamentare e chiederemo conto direttamente al ministro Lamorgese“.

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Fuori controllo. In preda a un furore antiscolastico immotivato e assurdo, che va contro ogni buon senso ma soprattutto contro le stesse decisioni del governo prese a livello nazionale. Così appaiono le ultimissime decisioni dei due governatori – Michele Emiliano e Vincenzo De Luca – di un partito che si definisce “democratico”. Chiusura delle scuole di ogni ordine e grado – di ogni ordine e grado, cioè a partire nidi! – fino a che la campagna vaccinale non si sia conclusa. Una scelta, ripeto, che nessuno al governo, ma neanche dal Comitato Tecnico Scientifico, ha chiesto loro di fare, almeno finora. E tutto questo con la Puglia in zona gialla da lunedì e arancione la Campania. Nessuna zona rossa, dunque, dove comunque altrove le scuole restano aperte fino almeno fino alle medie.

Oggi tutti i giornali parlano di allarme contagi a scuola e di possibili chiusure. Ma per ora le indicazioni restano quelle dell’ultimo Governo Conte: scuole aperte fino alle medie, appunto, Dad in caso di zona rossa per le superiori – anche se le ultimi disposizioni sono andate verso la riapertura al 50% o 75% anche di queste. E, dunque, quello che si sta svolgendo soprattutto in Campania e in Puglia, nell’indifferenza generale, è l’ennesima violazione del diritto allo studio. Centinaia di migliaia di neonati, bambini, ragazzi e genitori sono vittime di diktat imposti da parte di due persone animate da una vera e propria ossessione contro la scuola: non saprei come definirla altrimenti.

Forse, anzi sicuramente, non è chiaro a queste due persone cosa significhi chiudere le scuole. Significa bambini piccolissimi che non apprendono a parlare, a socializzare, che accumulano ritardi enormi sul piano cognitivo e linguistico. Significa bambini più grandi e adolescenti stremati da un anno di pandemia e costretti a vivere chiusi nelle loro camere, senza quella socialità fondamentale per non cadere in depressione o, peggio, per evitare di perdere il contatto con la realtà. Significa disabili che regrediscono forse in maniera irreversibile. Significa genitori letteralmente allo stremo, che lavorano da casa in condizioni indicibili, senza aiuti esterni come i nonni, che si trovano anche loro chiusi in casa da mesi e mesi, dove il rischio è l’aumento della violenza domestica, oltre che di malattia sia fisiche che psicologiche. Ma tutto questo, ad Emiliano e De Luca, non interessa.

In queste settimane veramente tremende per le famiglie soprattutto campane e pugliesi, solo i giudici hanno saputo restituire un minimo di giustizia e verità. Numerose volte, infatti, i Tar hanno accolto i ricorsi dei genitori, rigettando la chiusura delle scuole perché, appunto, palesemente immotivata. Adesso però i governatori hanno trovato una nuova “scusa”: ovvero legare chiusura e campagna vaccinale. Pertanto le scuole saranno chiuse fino a che gli insegnanti non saranno vaccinati, dunque a tempo indeterminato. Peccato che questa decisione non sia stata presa da nessuna altra parte. Peccato che non sia stata chiesta dal Cts. Da un punto di vista logico, è totalmente incoerente, perché allora con lo stesso ragionamento avremmo dovuto chiudere ospedali e tutto il resto fino a che gli operatori non fossero stati vaccinati. E così per tutte le altre attività.

Perché l’assurdità del collegamento non arriva? Semplice. Perché per loro la scuola in presenza non vale nulla. Nella loro totale e completa ignoranza della vasta letteratura scientifica in merito, credono che la Dad si identifichi alla didattica in presenza. Come se un bambino di due anni potesse apprendere dallo schermo. Come se degli adolescenti potessero imparare stando chiusi, per un anno, dentro una stanza. Roba da uscire pazzi o disperati. La cosa più grottesca di tutte è che ai disabili e ad alunni con esigenze speciali è possibile chedere la didattica in presenza. Come se i disabili potessero andare a scuola senza la propria classe. Come se i docenti potessero fare il doppio lavoro, impegnandosi nella didattica in presenza e a distanza.

Perché allora i genitori campani e pugliesi vengono lasciati da soli? Perché devono impegnarsi, lottare, fare ricorso ai tribunali nell’indifferenza generale – visto che ormai solo con i tribunali si ottiene ciò che spetterebbe per diritto? Una risposta ce l’ho e sta nel fatto che l’indifferenza verso la didattica in presenza è comune a molti governatori. Da sempre questi, tutti maschi, anziani, chissà perché sono ostili alla scuola in presenza! Semplice. Per loro è solo un focolaio di contagi, e chiudere le scuole non costa nulla né danneggia il Pil. Così, proprio di recente, hanno chiesto di trattare la scuola esattamente alla stregua di tutto il resto, come se la scuola non avesse un valore superiore, mentre nel frattempo chiedevano che si riaprissero i ristoranti di sera, contraddizione che solo la ministra Mariastella Gelmini ha notato.

Tutto qusto non è davvero più tollerabile e neanche la nuova emerganza varianti giustifica il comportamento di questi governatori. Chi si sta occupando di questa emergenza democratica vera e propria? Nessuno. Nicola Zingaretti, da leader del Partito Democratico, non ha speso mezza parola per le famiglie campane e pugliesi. Gli altri governatori nemmeno. Per ora il governo tace. Ma non è più ora del silenzio: il neo-ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che sembra tenere alla didattica in presenza, come ha da subito dichiarato, dovrebbe assolutamente esprimersi su questi casi. Intervenga in difesa di una gigantesca violazione del diritto allo studio e in favore di famiglie stremate. Imponga ai governatori di rispettare le regole comuni sulla scuola. Perché i tribunali non bastano.

Serve che le istituzioni fermino persone che usano il loro potere in maniera arbitraria, causando enormi sofferenze alle fasce più fragili della popolazione. Persone che agiscono senza tenere più conto di obiezioni forti e ragionevoli delle famiglie, che vengono anzi, come nel caso di De Luca, persino irrise quando sono costrette a ricorrere al Tar. Quanto sarà possibile continuare ad assistere a questo insopportabile spettacolo?

Infine, sulla possibile nuova chiusura delle scuole in caso di focolai crescenti, che Gianni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanità ha definito una scelta “dolorosa ma necessaria”. Le Regioni hanno chiesto un parere al Cts, che sembra sì orientato a un inasprimento delle misure sulla scuola, ma unicamente in zona rossa. E ancora non è chiaro di quali scuole si parla (se cioè anche nidi, infanzia, primarie). Ovviamente nessuno – neanche i genitori – vuole correre rischi troppo elevati. Ma davvero l’unica soluzione è la chiusura? Davvero, almeno in questi giorni in cui l’allarme variabile è alto ma ancora relativamente sotto controllo, non si potrebbe pensare a un sistema di tamponi per gli alunni, da effettuare in maniera sistematica e costante? Dotare gli alunni di mascherine Ffp2? La chiusura non dovrebbe essere l’ultima spiaggia, dopo tutte le esternazioni dello stesso Cts sulle conseguenze psicologiche e non solo delle chiusure? Il problema sono forse i soldi per i tamponi e le mascherina protettive che non ci sono?

Sono certa che le famiglie si auto-tasserebbero. Lo hanno fatto per la carta igienica, i colori, gli arredi figuriamoci se non lo farebbero per consentire che i propri figli possano esercitare il loro sacrosanto diritto di scuola (non solo di “studio”). Se Mario Draghi ci tiene alle giovani generazioni, bisognerebbe partire, con urgenza, da qui.

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Un silenzio assordante: è questa l’unica risposta ottenuta in tutti questi mesi di pandemia dai governi dei loro paesi. Dal Venezuela al Perù, dalla Bolivia al Brasile fino alla Colombia, le popolazioni indigene dell’Amazzonia non hanno ricevuto alcun tipo di aiuto, in termini di farmaci, cibo e adesso di vaccini. Una situazione tragica, che rischia di peggiorare ancora di più con la cosiddetta variante brasiliana del coronavirus SarsCov2 che rischia di propagarsi senza freni, sterminando intere popolazioni.

“In Amazzonia stiamo vivendo una tripla pandemia: l’attività estrattiva, che non si è mai fermata, neanche con la quarantena, il cambiamento climatico e il Covid-19 – spiega a ilfatto.it Gregorio Mirabal, coordinatore generale di Coica (Coordinamento delle organizzazioni indigene del bacino del Rio delle Amazzoni, che raggruppa nove organizzazioni indigene nazionali amazzoniche) -. La seconda ondata sta peggiorando drasticamente le realtà dei nostri territori, soprattutto quelli al confini col Brasile“. Gli effetti già si vedono: se prima i più colpiti erano gli anziani, ora ci sono anche i leader delle comunità indigene e i giovani. Secondo gli ultimi dati del 12 febbraio pubblicati da Coica, dal 2020 ad oggi le persone contagiate, tra 278 popolazioni colpite, sono state oltre 82.200 e 2237 i morti, distribuiti tra Brasile, Perù, Ecuador, Bolivia, Venezuela, Colombia, Guyana, Suriname e Guyana francese. I numeri peggiori sono quelli del Brasile (34529 casi e 783 morti), seguito da Colombia (21654 casi e 750 morti) e Perù (18394 casi e 395 morti).

“Molti fratelli di Brasile, Colombia e Perù stanno lanciando appelli ai loro governi, perché si sentono dimenticati – racconta Mirabal – In Perú le popolazioni indigene che vivono alla frontiera con Brasile e Colombia – i Tikunas, Yaguas, Kichwas e Awajún – sono tra le più colpite di questa seconda ondata, ma non hanno ricevuto alcuna informazione e assistenza medica. I centri medici più vicini sono collassati e la gente sta morendo per la mancanza di ossigeno”. In Brasile il tasso di infezione tra gli indigeni è del 200 per cento più alto della media nazionale. Tra l’altro, come denuncia al fattoquotidiano.it Tomás Candia, presidente della Confederazione delle popolazioni indigene di Bolivia (Cidob), “abbiamo paura di andare in clinica, perché quando si va in città ci si infetta. In 5 territori stiamo avendo anche problemi con i narcotrafficanti. In Bolivia, nonostante il cambio di governo le cose per noi non sono cambiate: continuiamo ad essere ignorati e ad essere considerati una zavorra per il progresso del Paese”. L’unica cosa che li ha aiutati in questi mesi è stata la loro medicina tradizionale, tanto che hanno iniziato a mettere su delle farmacie con i loro farmaci tradizionali.

E sempre la Coica in modo autonomo, grazie al Fondo di emergenza per l’Amazzonia, è riuscita a far arrivare aiuti, farmaci e cibo alle sue popolazioni. A gennaio ha inviato una petizione ai governi degli stati amazzonici chiedendo l’implementazione di misure sanitarie, confini epidemiologici, unità di cure mediche specializzate nei territori indigeni, vaccini al 100 per cento delle popolazioni indigene del Brasile e negli altri stati l’avvio delle campagne vaccinali previa consultazione con le popolazioni indigene. “Finora sono stati vaccinati lo 0,0000001 per cento degli indigeni, che non è niente – continua Mirabal – La nostra priorità è che vengano date subito cure alle popolazioni indigene che vivono ai confini col Brasile”.

Ora, dicono i vari coordinatori delle popolazioni afferenti alla Coica, è importante raccogliere almeno 5 milioni di dollari attraverso il Fondo di emergenza per l’Amazzonia, per far arrivare cibo e medicine, e far sì che la pandemia non tocchi gli oltre 66 gruppi che vivono in isolamento volontario nel bacino amazzonico. “La maggiore urgenza adesso è rappresentata dalla mancanza di cibo e farmaci – conclude Candia – Non servono medicine solo per il Covid, ma anche per altre malattie come dengue e raffreddori, che in questo periodo sono più frequenti con l’inizio delle piogge. Vogliamo parlare con il Governo. È importante intervenire a favore dei popoli indigeni dell’Amazzonia, protettori e difensori della foresta tropicale più grande del pianeta”.

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La gravidanza costituisce un momento molto delicato e ricco di cambiamenti sia per il corpo della donna che per la vita della coppia: pone infatti nella condizione di ristrutturare il proprio modo di concepire il legame – siamo in tre, ma ancora in due –, la propria intimità e la prospettiva del futuro.

Nel momento in cui vi è la scoperta del concepimento inizia anche l’incremento delle proprie aspettative, ma anche dei propri timori: sarò in grado di essere un bravo genitore? Come cambierà la mia vita adesso? Sarà un bambino sano? Come devo comportarmi affinché la gravidanza giunga a buon termine? Tutti dubbi e interrogativi leciti, che mai come in questo momento risultano esacerbati dal periodo che stiamo vivendo. Diventare genitore in questo periodo storico significa trovarsi a dover fare i conti con molte più ansie rispetto alla possibilità di ammalarsi, con molta più cautela di avvicinarsi agli altri, ed una diminuita dose di serenità. Il timore di poter trasmettere il virus al feto è sempre in agguato, così come quello di poter essere maggiormente a rischio di infezioni respiratorie.

La buona notizia: le ricerche mediche suggeriscono che le donne in dolce attesa non sembrano presentare un maggior rischio di contrarre il SARS-CoV-2 rispetto al resto della popolazione, né risultano evidenze di trasmissione dalla madre al feto, sebbene una minima percentuale di rischio di trasmissione sussista dopo la nascita. Tuttavia, l’allattamento al seno e il contatto col bambino, in particolare il rooming-in, ovvero la permanenza del bambino nella stessa stanza della madre fin da subito dopo il parto, sono possibili e vanno sostenuti pur adottando delle precauzioni.

E la sessualità? Una recente ricerca ha messo in rilievo come in moltissimi casi il sesso durante la gravidanza resti un tabù: secondo questo studio durante il primo trimestre oltre il 20% delle coppie smette completamente di fare sesso, una percentuale che raggiunge l’80% varcata la soglia del terzo trimestre. In questo periodo sopraggiunge anche la contrapposizione tra corpo come involucro e corpo sessuato, fra essere madre ed essere amante, spesso emotivamente di difficile risoluzione. Anche il partner fa talvolta fatica ad operare questo distinguo, che richiede una buona integrazione cognitiva dei due opposti.

A questo complesso quadro occorre aggiungere anche la paura frequente, totalmente infondata, che il sesso durante la gravidanza possa risultare nocivo per il feto. In generale i medici hanno rilevato come sia possibile continuare una regolare attività sessuale durante tutti i novi mesi di gestazione, sia essa naturale o risultato della fecondazione assistita. I rapporti sessuali sono sconsigliati soltanto in alcuni casi specifici, ovvero in occorrenza di gravidanze a rischio o di precoce dilatazione della cervice (incontinenza uterina).

Secondo le ricerche statistiche, la riduzione dei rapporti sessuali in gravidanza si verificherebbe soprattutto nel primo e nel terzo trimestre. Durante i primi tre mesi, in particolare, l’attività sessuale si riduce per via dei malesseri fisici e dei sintomi che accompagnano questo periodo, come nausea e stanchezza, i quali tendono a scomparire nel corso del trimestre successivo. Inoltre durante il primo trimestre l’azione degli ormoni, in particolare l’aumento degli estrogeni e del progesterone e la diminuzione del testosterone, possono avere un’influenza negativa sul desiderio sessuale. Il progesterone può però portare ad un aumento dell’irrorazione sanguigna nei tessuti vaginali, rendendo la zona genitale più lubrificata e di conseguenza più sensibile; la congestione vascolare dei tessuti genitali, da questo punto di vista, può facilitare la risposta orgasmica.

Negli ultimi tre mesi, invece, l’aumento dell’ingombro fisico del pancione e le preoccupazioni per il parto imminente possono essere un deterrente a una serena attività sessuale.

Generalmente, però, il sesso nel corso dei nove mesi non solo non è sconsigliato, ma secondo un recente studio pubblicato anche nelle “Linee Guida sulla gravidanza fisiologica” del Ministero della Salute, può avere importanti effetti benefici sul decorso della gestazione. Secondo questa ricerca, infatti, una frequenza di 1 o 2 rapporti sessuali alla settimana è associata a una minore incidenza di parti pretermine. Quest’ultima diminuisce ulteriormente se i rapporti sessuali sono 3 o 4 a settimana. Inoltre, il sesso durante la gravidanza ha anche la funzione, soprattutto nell’ultimo periodo della gestazione, di preparare la muscolatura pelvica per il parto.

Inoltre, non tutti sanno che in alcuni casi, nel secondo trimestre, per effetto delle produzioni ormonali di origine ovarica, la donna può sperimentare orgasmi più frequenti ed intensi. La riduzione di molti sintomi fastidiosi e una sopraggiunta maggiore serenità della coppia sull’andamento della gravidanza sono dei fattori essenziali per una buona attività sessuale. Come rivelano molti studi questo periodo si caratterizza nell’80% dei casi per un miglioramento della sessualità di coppia sia sotto il fattore del desiderio sia per quanto concerne la soddisfazione.

Durante il terzo trimestre di gravidanza circa il 75% delle coppie riporta una riduzione della vita sessuale, imputabile soprattutto alle difficoltà tipiche di questa fase: pienezza addominale, dolori lombari e sensazione di affaticamento. In generale, in questo periodo è consigliabile evitare pressioni sul ventre durante i rapporti sessuali e modificare le posizioni del coito per evitare di schiacciarlo.

Occorre comunque precisare che il sesso in gravidanza può essere un elemento positivo anche per il feto: in particolare, gli specialisti ritengono che quest’ultimo possa beneficiare degli effetti positivi correlati al rilascio di endorfine durante l’attività sessuale.

Non va inoltre trascurato neanche l’aspetto psicologico: l’intimità fra i partner, infatti, può rafforzare un clima di rilassatezza, utile per affrontare sia il parto che i primi mesi dopo la nascita.
Minime le controindicazioni, molti i benefici: dunque, perché non farlo? Con qualche piccolo accorgimento, sarà così possibile rinforzare il legame della coppia e favorire la preparazione ad accogliere con pienezza il nuovo nato.

Con la collaborazione della dr.ssa Elisa Ginanneschi

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“HO VINTO”. Scritto così, in maiuscolo. Quasi un urlo che annuncia l’essere guarito dal coronavirus. Iacopo Melio ce l’ha fatta e ha vinto la sua battaglia contro il Covid, affidando a Facebook il racconto e l’emozione di questa notizia.

Il post inizia proprio così, con quella scritta “urlata”. Poi prosegue: “Dopo 18 giorni del primo ricovero e 27 del secondo, sono tornato a casa“. Il consigliere regionale toscano e attivista per i diritti delle persone con disabilità, infatti, era già stato ricoverato a inizio gennaio e poi dimesso perché il quadro clinico era migliorato anche se restavano “sintomi forti”. “È stata dura ma ce l’ho fatta, sono stato più forte. Sono negativo“, continua Melio nel lungo post, specificando che però la lotta non è ancora finita. Il coronavirus infatti, ormai si sa, lascia lunghi strascichi anche dopo la negativizzazione. “Ho sconfitto il virus, ma non i suoi effetti e tutto ciò che ha lasciato”, spiega quindi il consigliere che ricorda come il virus, “il bastardo”, “ti cambia, nel corpo e nella testa, e l’unica cosa certa è che non si torna più come prima”. Il recupero quindi sarà “lungo e lento”, cercando “un equilibrio precario che più volte, in queste settimane, mi ha portato a tornare indietro senza farci capire il perché”.

Oggi, però, dopo essersi negativizzato, la strada sembra essere tracciata e “migliore”. “Spero che tutto ciò che non riesco ancora a raccontare venga seminato piano alle spalle, con scaramantico ma necessario ottimismo”. Ora, scrive ai follower di Facebook, “avrò bisogno di dedicarmi a me stesso”. La riabilitazione è fondamentale dopo essere guariti, e Melio lo sa. Dovrà quindi dedicarsi “al peso e alla muscolatura da recuperare, alla respirazione che deve tornare, ad un’alimentazione non del tutto ripristinata”. Nel post c’è anche spazio per qualche battuta: “A proposito – scrive tra parentesi Melio – in questi mesi sono diventato sommelier esperto di omogeneizzati, oltre che di maionese!”. Ma, assicura, “tornerò al lavoro“: “Gradualmente e a piccole dosi, già dalla prossima settimana sperando di farcela, perché sento il bisogno di raccogliere anche questo incubo e farne qualcosa di buono, dalla parte degli ultimi, con maggior consapevolezza e determinazione – scrive ancora – Perché in fondo è proprio nel dolore che dobbiamo scavare, a mani nude e occhi aperti, quando vogliamo tirar fuori il meglio che abbiamo racchiuso dentro”.Melio, scrive infine, si sente “fortunato, molto fortunato“: ” Nonostante tutto, da questa sofferenza ne sto uscendo senza troppe cicatrici. Una consapevolezza che a volte mi rende leggero, altre ancora mi toglie il sonno la notte… – scrive – Anche per questo, ancora una volta, ringrazio di cuore il personale sanitario del reparto 5A3 del San Giuseppe di Empoli, che con pazienza e attenzione ha fatto il massimo per capire cosa mi stesse succedendo e come gestire una situazione già di base complicata. Quello che OSS, infermieri, medici, fino agli addetti alle pulizie, devono affrontare ogni giorno in quell’inferno, è indescrivibile”. Quindi un appello: “Per questo abbiamo il dovere di aiutarli come possiamo, rispettando le regole per limitare al massimo i contagi. Come sempre: facciamo ancora a modino. Tutti quanti”. E conclude: “A voi, il mio affetto sincero per tutto ciò che mi avete dimostrato. Viva le ripartenze e viva la vita”.

HO VINTO IO

Dopo 18 giorni del primo ricovero e 27 del secondo, sono tornato a casa.

È stata dura ma ce l’ho fatta,…

Pubblicato da Iacopo Melio su Sabato 27 febbraio 2021

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Le mascherine distribuite dal commissario straordinario Domenico Arcuri nelle scuole finiscono sul tavolo del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, pronto a prendere in mano la questione. A sollevare il caso è un’interrogazione parlamentare dell’onorevole leghista Roberto Turri a cui molti dirigenti scolastici del Veneto si sono rivolti dopo aver tentato invano di comunicare con Arcuri.

Il problema è noto a chi vive nel mondo della scuola: degli 11 milioni di dispositivi che sono distribuiti ogni giorno tra i banchi, migliaia di mascherine vengono buttate via dai genitori o nemmeno distribuite dai presidi perché non sono adatte ai volti dei bambini; son fastidiose o peggio ancora maleodoranti. Di conseguenza mamma e papà comprano la classica “chirurgica” con gli elastici alle orecchie, aumentando così l’inquinamento.

“Essendo stato sindaco a San Bonifacio ed ora assessore, molti capi d’istituto – spiega Turri – si sono rivolti a me sperando che avessi una strada per raggiungere Arcuri al quale ogni settimana mandano mail segnalando il problema ma non hanno mai ricevuto risposta. In queste scuole gli scatoloni si ammucchiano e c’è persino il problema di dove metterli. A quel punto, non avendo contatti diretti con il commissario, ho presentato un’interrogazione al ministro”. L’iniziativa parlamentare è stata fatta durante la crisi di Governo ma a rispondere dovrà essere il neo inquilino di viale Trastevere.

“Le mascherine – spiega Turri nel testo dell’interrogazione – che la popolazione scolastica ha ricevuto e continua a ricevere si sono rivelate sempre o troppo piccole oppure troppo grandi, in molti casi prive del nasello metallico, dotate non di elastici da passare dietro le orecchie, bensì di lunghe fasce da tenere dietro la testa con il risultato che in più di otto casi su dieci non vengono utilizzate: spesso vengono buttate, oppure accantonate perché scomode”. Il vice sindaco chiede a Bianchi se intenda avviare un monitoraggio su scala nazionale per verificare il reale impiego delle mascherine distribuite nelle scuole e quali iniziative il Governo intenda adottare qualora l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale dovesse risultare non appropriato per le finalità cui era destinata la commessa.

Pronta la risposta del ministro ferrarese che fa sapere di essere intenzionato a “fare un approfondimento specifico”. Bianchi ha già incontrato Arcuri: non si sa se abbia affrontato anche questo tema ma ha intenzione di non lasciar cadere la questione. Intanto sono tanti i presidi che hanno accumulato mascherine non distribuite. La dirigente del liceo scientifico “Bottani” di Milano ne ha 46mila in magazzino: “Il problema è che le hanno inviate quando la scuola era chiusa. Dopodiché ci siamo accorti che erano brutte, puzzavano, non erano confortevoli. I ragazzi non le volevano più. Quelle che avevamo comprato per i docenti le diamo ai ragazzi. I professori hanno devoluto le loro. Speriamo che Arcuri le ritiri prima di ritirarsi anche lui”. Anche Ugo Carnevali, dirigente dell’istituto comprensivo di San Giovanni Ilarione ha 30mila mascherine in deposito: il 21 gennaio ha inviato una mail al commissario ma non ha mai ricevuto un riscontro. A Monteforte d’Alpone, invece, il dirigente scolastico Giuseppe Boninsegna ha deciso di regalare le mascherine che i genitori non vogliono alla Caritas.

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A San Marino sono partite le somministrazioni del vaccino contro il Covid Sputnik, di produzione russa. Giovedì 25 febbraio è stato il V-Day, con 25 dosi simboliche somministrate al personale sanitario. Da lunedì 1 marzo invece prender il via la campagna vera e propria. I vertici dell’Istituto superiore di Sanità di San Marino puntano a vaccinare 400 persone al giorno. In totale le dosi già arrivate nella piccola Repubblica sono 7500. Il vaccino Sputnik non ha l’approvazione dell’Agenzia europea del farmaco, che deve verificare che sia prodotto secondo gli standard dell’Unione. “Le evidenze scientifiche ci rassicurano”, afferma Sergio Rabini, direttore sanitario dell’Ospedale di San Marino “Anche l’istituto Spallanzani ne parla in termini ottimi”. Mentre il segretario di Stato alla Sanità Roberto Ciavatta non chiude alla possibilità di vaccinare gli italiani, una volta che saranno immunizzati tutti i sammarinesi, e solo “se ci saranno richieste da Roma”

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Caro Draghi,

Lei ha fatto un grande servizio all’Europa e all’Italia quando dirigeva la Bce e riuscì a realizzare l’emissione di 50 miliardi di euro al mese per comprare i debiti degli Stati membri dell’Unione Europea. Così più di 500 miliardi di debito pubblico italiano sono stati comprati dalla banca dell’Unione Europea e sostanzialmente tolti dal mercato, congelati. Se Lei non ci fosse riuscito oggi il nostro spread sui titoli tedeschi sarebbe insostenibilmente alto e gli italiani pagherebbero interessi salatissimi.

Bene! Bravo! Però si sarà reso conto che l’Unione Europea non ha gestito adeguatamente la comunicazione di questa azione geniale. Era una grande occasione per dimostrare ai cittadini europei i vantaggi dell’Ue e cosa l’Europa unita stava realizzando per il loro futuro. Il risultato di questa incapacità di raccontare ha fatto sì che in Italia la Lega e gli altri sovranisti abbiano potuto continuare a ripetere che l’Europa si prendeva dagli italiani molto più di quanto dava, che noi eravamo fregati dall’euro, eccetera eccetera. Balle grandi come grattacieli visto che l’Europa si è comprata circa un quarto del nostro debito, mica bruscolini!

Si sarà anche reso conto che M5S e Pd non sono capaci di raccontare quel che di buono sono riusciti a concretizzare. È una mancanza che viene da lontano e sta dietro alle molte vittorie della destra. Non sono capaci di trasmettere la scintilla del loro sogno. Ne hanno dato splendido esempio con il bonus casa 110%, una legge scritta per permettere anche alle famiglie a basso reddito di migliorare la sicurezza antisismica, tagliare di netto i costi energetici e quindi aumentare la loro capacità d’acquisto, risparmiando denaro su riscaldamento ed elettricità. Ma una ricerca del governo uscente valuta che solo il 10% delle famiglie a basso reddito riuscirà a ottenere il bonus casa, il 35% dei finanziamenti andrà a chi è già ricco.

Il motivo è ovvio: chi ha basso reddito ha generalmente minor capacità di destreggiarsi con burocrazia e professionisti. Se invece hai un cugino commercialista o uno zio ingegnere non hai problemi. Così in Italia tutti i finanziamenti pubblici, da quelli per le start up a quelli agricoli, vanno a chi ha maggiori strumenti culturali.

Sarebbe fondamentale che la comunicazione del governo raggiungesse queste persone, che non ci si limitasse a conferenze stampa e alla pubblicazione delle faq sui siti ministeriali. Bisogna andare a parlare di persona con queste persone. In Francia lo hanno capito e hanno creato una flotta di pulmini arancioni che girano per quartieri periferici e paesi per incontrare i cittadini, aiutarli a compilare le domande e mettere insieme i documenti necessari.

Sogno che il suo governo intraprenda questa strada e non solo cerchi la comunicazione diretta, ma coinvolga quelli che nel marketing vengono chiamati opinion leader. E di certo i migliori opinion leader che possono parlare con tutti gli italiani sono gli studenti. Riuscire a spiegare nelle scuole superiori le opportunità che questo governo offrirà ai cittadini e chiedere agli studenti di diventare comunicatori verso le loro famiglie li entusiasmerebbe. Li toglierebbe dalla noia di una didattica astratta, lontana dalla realtà e permetterebbe di conquistare la stima dei loro genitori, con ovvia ricaduta positiva sulla loro autostima e passione per la conoscenza.

Avere un’idea diversa della comunicazione, uscire dai canali consueti, generalmente peraltro mal usati dai progressisti italiani, darebbe al governo quel sostegno diffuso, necessario per portare avanti grandi cambiamenti. La politica potrebbe uscire dalla sua torre d’avorio e andare per strada. Aggiungo che ho scritto tante volte che mi pareva demenziale che di fronte alla pandemia il governo Conte non avesse organizzato una comunicazione diretta verso gli studenti, con videolezioni per loro e corsi di aggiornamento per gli insegnanti…

Se avessero utilizzato le ore di scienze per capire cosa è un virus, come si diffonde, come si può evitare il contagio avremmo oggi più rispetto per le regole e meno morti. Invece Pd e 5S sono rimasti barricati nelle loro conferenze stampa, convinti che sparando tweet parlassero col mondo.

Lei ha la possibilità di prendersi la rivincita per la comunicazione insufficiente sul bene che ha fatto agli italiani e al contempo riformare gli strumenti e i modi della comunicazione tra istituzione e cittadini in Italia. Credo che convincere l’Ue che convenisse a tutti abbassare il peso dei debiti dei singoli stati sia stato molto più difficile e stressante… Allora non basterà uno sgambetto per farla cadere.

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di Dario Immordino*

Una recente ricerca internazionale (del centro Rand) stima che la corruzione costa all’economia dei paesi europei oltre 900 miliardi di euro l’anno e a quella italiana almeno 237 miliardi, pari a circa il 13% del Pil. Si tratta di numeri difficili da verificare, ma l’impatto negativo della corruzione sui sistemi economici risulta ormai ampiamente comprovato.

Secondo i dati della Banca Mondiale (indici 2017), il reddito medio nei paesi con un alto livello di corruzione è circa di un terzo inferiore a quello dei paesi con un basso livello di corruzione, ed una ricerca dell’Istituto per la competitività certifica che il radicamento del fenomeno corruttivo inibisce l’afflusso di capitali stranieri e incide negativamente sull’occupazione spingendo le imprese a mantenere una dimensione ridotta; mentre la riduzione del livello di corruzione favorisce l’avvio di nuove imprese, il radicamento di capitali e imprese straniere, rende più agevole la gestione delle attività pubbliche, incide positivamente sull’occupazione giovanile.

Non a caso il premier nel discorso di insediamento ha evidenziato la necessità di contrastare la corruzione e i suoi effetti: meno investimenti, riduzione dell’occupazione, dei redditi e dei consumi, delle entrate fiscali, della quantità e qualità dei servizi pubblici, lievitazione dei costi burocratici e del contenzioso contro cittadini ed imprese.

Un recente rapporto dell’Anac rivela che nel triennio 2016-2019 in Italia si sono registrati un episodio di corruzione a settimana e un arresto ogni 10 giorni. Il numero può sembrare piuttosto esiguo se rapportato ad un apparato pubblico di decine di migliaia di unità, ma risulta allarmante se si considera che i dati ufficiali (riferiti ai provvedimenti della magistratura) non forniscono una stima attendibile della reale entità del fenomeno corruttivo, che resta in larga misura sommerso e deve pertanto essere considerato molto più esteso di quanto lascino intendere le statistiche giudiziarie.

Le norme penali sono molto severe, ma si sono dimostrate inadeguate a contrastare il dilagare della corruzione a causa del ridotto numero di denunce, della difficoltà di scoprire e sanzionare i casi e di accertare il passaggio di denaro o il conseguimento di altri vantaggi, dei tempi lunghi delle indagini e dei processi, che richiedono svariati anni e spesso si interrompono a causa della prescrizione.

Per ovviare a queste criticità, la legge del 2012 ha imposto a tutte le amministrazioni, gli enti e le società pubbliche di perseguire come eventi corruttivi tutti i casi di malaburocrazia e violazione di norme, a prescindere dal conseguimento di denaro e dalla conclusione delle indagini penali, e di adottare un piano anticorruzione e una serie di strumenti per prevenire e contrastare il fenomeno: rotazione del personale, regole stringenti sul conflitto di interessi, codici di comportamento, tutela di chi segnala episodi corruttivi, incompatibilità specifiche per alcuni incarichi dirigenziali, obblighi di trasparenza per gli atti pubblici e i dati su dipendenti, dirigenti e amministratori, adozione di meccanismi di prevenzione del rischio di corruzione, informatizzazione e digitalizzazione dei procedimenti amministrativi, accesso generalizzato agli atti pubblici, misure di semplificazione dell’organizzazione burocratica e dell’attività amministrativa, controlli efficienti.

Queste norme consentono di anticipare, estendere e rendere più efficace il contrasto alla corruzione. Tuttavia le relazioni dell’Anac e della Corte dei conti rivelano che le amministrazioni e le società pubbliche le hanno applicate solo formalmente, come complessi e fastidiosi adempimenti burocratici. Il campionario delle elusioni è vasto: piani anticorruzione fotocopia, sostanziale inattuazione delle misure precauzionali imposte dalla legge e delle regole di semplificazione e trasparenza, controlli inefficaci, scarsa responsabilizzazione del personale, assenza di coordinamento tra il piano anticorruzione e quello della performance, scarso coinvolgimento di dirigenti e vertici politici.

Le sanzioni, inoltre, sono soltanto virtuali, poiché l’Anac non ha la struttura adeguata per verificare l’attività di venti regioni, oltre ottomila comuni e decine di migliaia di altri soggetti che svolgono funzioni pubbliche, e per verificare la legittimità di un infinta mole di atti. Questa allarmante situazione potrebbe notevolmente aggravarsi a causa dell’emergenza sanitaria, che impone di accelerare procedimenti e acquisti pubblici attraverso deroghe alle regole standard, riduzione e semplificazione dei controlli.

Basti pensare al regime speciale (provvisorio) per l’affidamento degli appalti pubblici introdotto dal cosiddetto decreto Semplificazioni, che estende l’applicazione delle procedure di urgenza per l’affidamento e la consegna dei lavori, amplia la possibilità di aggiudicare gli appalti senza gara, “taglia” numerosi adempimenti e controlli previsti dal Codice dei contratti, consente di procedere all’aggiudicazione delle gare e all’esecuzione dei lavori in deroga a ogni disposizione di legge (con pochi vincoli: il rispetto delle norme penali, della normativa antimafia e delle regole europee), accentra in capo ai commissari pressoché tutti i poteri di aggiudicazione ed esecuzione delle opere di particolare rilievo.

Queste norme, peraltro, vengono abbinate alle disposizioni che rendono non punibili gli sprechi di risorse pubbliche causati da grave negligenza, superficialità, mancanza del livello minimo di prudenza di dipendenti e amministratori pubblici, depotenziano il reato di abuso di ufficio ed introducono limiti all’annullamento dei contratti dichiarati illegittimi dai giudici amministrativi.

Questo regime speciale comporta un rischio concreto di proliferazione degli episodi di corruzione, degli sprechi e delle irregolarità negli acquisti pubblici. Non a caso le verifiche dell’Anac hanno evidenziato una vasta gamma di criticità: proliferazione degli affidamenti diretti, gare revocate, difformità dei servizi eseguiti rispetto a quelli appaltati, prodotti non certificati.

Per invertire la rotta è indispensabile garantire il rispetto delle norme sulla trasparenza, che facilitano i controlli; inserire l’adempimento delle misure anticorruzione tra gli indicatori di performance dei dipendenti pubblici che condizionano percorsi di carriera e retribuzione accessoria; prevedere controlli efficienti sulla qualità dei piani anticorruzione e sulla corretta attuazione delle misure previste; coinvolgere concretamente dirigenti e vertici politici nell’attuazione dei piani e renderne effettiva la responsabilità; rendere efficienti i procedimenti disciplinari.

Durante l’emergenza sanitaria, in particolare, è necessario compensare le deroghe alle regole che garantiscono la qualità e l’economicità dell’attività amministrativa e degli acquisti pubblici con controlli efficienti e misure che garantiscano la trasparenza di atti e contratti della Pa.

La soglia di adempimento alle regole anticorruzione potrebbe essere considerata come requisito per l’attribuzione di finanziamenti a società pubbliche ed enti locali, in modo da premiare le amministrazioni virtuose e sanzionare quelle inefficienti.

*Avvocato e dottore di ricerca in Diritto interno e comunitario

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Dopo un lungo e durissimo lockdown londinese e la prima vaccinazione sono rientrata in Italia per alcune settimane. La cronistoria del mio viaggio e di ciò che ho visto di certo non fa notizia, ma ho pensato di raccontarla per illustrare le differenze abissali tra l’Italia ed il Regno Unito in materia di gestione del Covid e vaccinazioni.

La prima cosa che balza agli occhi quando si atterra in Italia è la confusione di ordinanze. Non esiste una regola applicata a tutta la nazione, ma tante, diverse, in costante cambiamento a livello regionale, provinciale e persino comunale. E questo è un male perché la gente si perde e finisce per non sapere cosa deve fare. In secondo luogo, in Italia si riempiono moduli su moduli che nessuno ha idea se servano davvero o se finiscano nel riciclaggio della carta, ma alla fine c’è poco controllo dei movimenti. Infine, a differenza del Regno Unito, in Italia si ha la netta sensazione che il virus non sia poi così pericoloso, che il peggio sia passato e quindi sia giusto riprendere le vecchie abitudini.

Faccio un esempio: in aereo da Londra non c’erano inglesi, a loro è vietato viaggiare, mentre a noi italiani è permesso grazie al nostro passaporto. Atterrati a Milano, come di prassi, la British Airways ha specificato che avrebbero sbarcato per file, hanno chiamato le prime sei, io ero alla undicesima e diverse persone intorno a me si sono alzate. Quando ho fatto notare che non era il nostro turno sono stata aggredita. Un signore che mi aveva riconosciuta, anche se avevo due mascherine, ha urlato che mi ha sempre detestata perché scrivo per questo giornale.

Sul bus e in fila per il controllo passaporti nessuno ha mantenuto la distanza sociale, erano tutti belli appiccicati gli uni agli altri, pronti per schizzare fuori dall’aeroporto. Alla fila per il tampone le solite lamentele, e quando la polizia ha fatto passare una famiglia con un bambino piccolo sono partite le occhiate di disapprovazione. Nessuno a Linate ha voluto vedere i risultati del mio tampone londinese, né il certificato di vaccinazione, ma si sono presi l’autocertificazione senza neppure leggerla; quando ho chiesto quando avrei avuto i risultati del tampone che mi stavano facendo, mi hanno risposto “se è negativa mai”. E così, sono uscita dall’aeroporto. Perché vivo nel Regno Unito da quarant’anni non mi è neppure passato per la testa di non fare la quarantena. Nessuno però ha controllato, né chiamato, avrei potuto infischiarmene, insomma!

Finita la quarantena sono andata a vedere cosa succede nelle stazioni sciistiche della Lombardia, che sono aperte fino a lunedì. Nel weekend fiumi di gente si sono riversati lungo le strade, bar strapieni fino alle 18:00; da quell’ora in poi quelli degli hotel si popolano dei loro clienti, nessuno controlla se con loro ci sono amici non residenti nell’albergo. Discorso analogo vale per i ristoranti degli alberghi dove i clienti mangiano ai tavoli decisamente non distanziati. E non potevano mancare tra i commensali i raccomandati del luogo, lascio alla vostra immaginazione la scelta di chi sono costoro.

Secondo punto cruciale: le vaccinazioni. Nel Regno Unito la politica perseguita da Boris Johnson è stata la seguente: lockdown totale, vaccinazione a tappeto e riapertura graduale dopo aver vaccinato tutti gli operatori sanitari, quelli che hanno più di 60 anni e chi è a rischio a causa di patologie specifiche. È chiaro che questo programma ha funzionato benissimo perché ci sono i vaccini. Ed è bene spiegare il motivo: ci sono perché, a differenza di Bruxelles, Londra li ha ordinati e pagati prima che venissero approvati dalle autorità preposte, ha rischiato e ne è valsa la pena. La storia che non ci sono vaccini a sufficienza perché le case produttrici li hanno venduti a caro prezzo, anche agli inglesi, è una frottola, in Italia come in Francia, Spagna e nel resto dell’Unione Europea i vaccini scarseggiano perché Bruxelles li ha ordinati tardi.

Anche per le vaccinazioni in Italia ci sono mille regole, a seconda delle regioni o di chi è a capo del governo, ma così non si va bene avanti. Di certo il fatto che io, 65enne, sia stata vaccinata a Londra un mese e mezzo fa e mia madre 88enne residente a Roma lo sarà il 30 marzo non depone a favore del sistema italiano. Tralascio l’assurdità di far prenotare gli ultra-ottantenni online, mi piacerebbe sapere quanti lo hanno fatto da soli… Nel Regno Unito il sistema è infinitamente più semplice: i medici di base chiamano le persone seguendo un ordine specifico, identico in tutto il paese. Le vaccinazioni vengono somministrate in posti diversi, dagli ambulatori agli stadi. Un sistema elettronico nazionale fa sì che, una volta chiamati, ci si vaccini in 20 minuti: 5 per avere l’iniezione e 15 di osservazione, nel caso si verificasse uno shock anafilattico. Non si compila nessun documento, né si mostrano le tessere sanitarie, basta il nome, il cognome e la data di nascita e il sistema viene aggiornato. Si potrebbe anche parlare delle liste di attesa alle quali ci si può iscrivere per avere alla fine della giornata le dosi restanti dei vaccini, quelli che devono essere scongelati a 6 dosi alla volta, ad esempio.

Ma basta quanto detto per illustrare ai lettori perché le cose funzionano meglio nel Regno Unito e quali sono i veri problemi del contagio e delle vaccinazioni in Italia.

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