gennaio 2021

Nuovo incontro oggi, tra governo e Regioni, per rimodulare il piano vaccini dopo i ritardi della produzione e dopo l'approvazione da parte dell'Aifa del farmaco di AstraZeneca, più adatto agli under 55. I ministri Boccia e Speranza incontrano i governatori insieme al commissario Arcuri. Proprio Arcuri, intanto, lancia l'allarme: "Stiamo lavorando con uno schema che prevede 11 milioni e 200 mila vaccini, rispetto ai 28,6 milioni inizialmente previsti: oltre il 60% in meno" (PILLOLE DI VACCINO - I VACCINI DISPONIBILI E QUELLI IN ARRIVO - TUTTI GLI AGGIORNAMENTI LIVE SUL CORONAVIRUS).



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Chiede alla popolazione di non accettare il colpo di Stato, mentre tutti i poteri in Myanmar sono stati trasferiti al generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate. Il capo del governo birmano e premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi è stata arrestata dalle forze armate birmane, in un golpe ordito dall’esercito a seguito del quale la presidenza ad interim affidata al generale Myint Swe, che era uno dei due vicepresidenti in carica. A intervenire gli Stati Uniti, che hanno dichiarato che “agiranno contro i responsabili se queste misure non saranno revocate”, ha reso noto in un comunicato la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. Intanto nel Paese sono state chiuse le banche e sospesi i servizi di prelievo automatici fino a nuovo ordine, e anche Internet è bloccato. “Le interruzioni delle telecomunicazioni – osserva la società Netblocks – sono iniziate circa alle 3 di lunedì mattina, ora locale e hanno avuto un impatto il tutto il Paese, compresa la capitale. Probabilmente, per questo motivo, sarà difficile seguire gli eventi che si stanno verificando in queste ore”.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken, da parte sua, ha invitato l’esercito birmano “a rilasciare tutti i funzionari governativi nonché i leader della società civile e a rispettare la volontà del popolo birmano espressa alle elezioni democratiche dell’8 novembre”. Più di una dozzina di ambasciate, tra cui quella degli Stati Uniti e la delegazione dell’Unione Europea, lo scorso venerdì avevano sollecitato la Birmania ad “aderire a standard democratici”, che assieme all’Onu, temevano il colpo di stato, mentre il capo dell’esercito – il generale Min Aung Hlaing – aveva dichiarato che la costituzione del Paese poteva essere “revocata” in determinate circostanze.

La presa del potere da parte dei militari è un epilogo che arriva dopo settimane logoranti e difficili, in cui l’esercito denunciava da diverse settimane frodi avvenute le elezioni legislative dello scorso novembre, vinte in modo schiacciante dalla Lega nazionale per la democrazia (LND), partito di Aung San Suu Kyi. Gli arresti sono avvenuti poche ore prima della riunione inaugurale del Parlamento recentemente insediato.

Con il pretesto della pandemia di coronavirus, le elezioni “non sono state né libere né eque”, ha dichiarato in conferenza stampa la scorsa settimana il portavoce dell’esercito, il maggiore generale Zaw Min Tun. I militari affermano di aver identificato milioni di casi di frode, tra cui migliaia di centenari o minori che risulterebbero tra i votanti.

Il partito di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, molto criticato a livello internazionale per la gestione della crisi musulmana Rohingya ma ancora adorato dalla maggioranza della popolazione, ha ottenuto una schiacciante vittoria a novembre. È la seconda vittoria nelle elezioni elezioni generali dal 2011, quando la giunta che ha governato il Paese per mezzo secolo è stata sciolta. L’esercito, tuttavia, mantiene un potere molto importante, avendo il controllo su tre ministeri chiave (Interno, Difesa e Confini).

L'articolo Colpo di Stato in Birmania: arrestata Aung San Suu Kyi. Tutti i poteri al capo dell’esercito. Usa: “Agiremo se misure non saranno revocate” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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La strage del Moby Prince è la più grande della storia repubblicana, con le sue centoquaranta vittime, ad oggi ancora impunita. Una commissione d’inchiesta ha riscritto larga parte del racconto di quanto accaduto e ha inviato tutti gli atti alle Procure di Livorno e Roma. Ma l’organismo del Senato ebbe modo di leggere le 55 pagine di un “fascicolo fantasma” rinvenuto a 30 anni dall’incidente del 10 aprile 1991 nell’archivio dell’associazione 140 grazie al progetto “Armadio della Memoria” della Regione Toscana. Come spesso è accaduto in questa storia gli elementi di indagine erano già negli atti delle indagini, ma sono lasciati cadere senza approfondirli.

In questo fascicolo sono inserite le trascrizioni della Procura di testimonianze ma anche nastri audio, il cui contenuto non è mai stato approfondito. In uno di questi per esempio si dà conto di una conversazione a tre in cui si fa riferimento alla possibile presenza di esplosivi della mafia a bordo del Moby Prince (sul quale avvenne un’esplosione nel locale eliche di prua). Si trattò di un colloquio a tre al quale presero parte l’allora presente del Comitato familiari delle vittime, Franco Lazzarini, un avvocato di Viareggio e un tenente della Capitaneria di porto (questi ultimi indicati con un cognome nel documento “riemerso” in questi giorni).

In una seconda parte dello stesso nastro riporta il racconto dettagliato del tenente della Capitaneria sulla presenza di due registrazioni audio delle chiamate avvenute via radio tra la Capitaneria di Porto, istituzione preposta al soccorso in mare – mai coordinato quella notte -, e altri protagonisti della notte della strage. In queste registrazioni sarebbe stato impresso, a detta dell’allora ufficiale, anche il mayday lanciato dal Moby Prince, secondo la ricostruzione della prima inchiesta della Procura “non udito” dalla Capitaneria e quindi per questo “scagionata” dall’aver omesso il soccorso al traghetto per gli 80 minuti successivi alla collisione con la petroliera Agip Abruzzo. La registrazione sarebbe stata obbligatoria dal 1987, sulla base di una decisione del precedente comandante della Capitaneria di Porto, l’ammiraglio Giuseppe Francese, poi divenuto il comandante generale delle Capitanerie di Porto. Naturalmente nelle inchieste e nel processo non è mai entrata alcuna registrazione delle comunicazioni radio della Capitaneria. Quelle arrivate ai giorni nostri sono rimaste per caso perché quella notte Livorno Radio, la stazione costiera, decise di registrare il Canale 16, quello delle comunicazioni d’emergenza.

Ma un qualsiasi accertamento sull’esistenza della registrazione delle comunicazioni della sala operativa della Capitaneria è assente negli atti di tutte le inchieste e di tutti i processi sul Moby Prince e di conseguenza anche da ciò che fu acquisito dalla commissione d’inchiesta. La Procura di Livorno non ha mai indagato su questa rivelazione del tenente della Capitaneria, che non è mai stato interrogato. Né i pm hanno acquisito mai questo presunto nastro che – stando sempre a ciò che diceva il tenente – la guardia costiera doveva conservare proprio in caso di necessità di indagini.

Ma non solo. Lo stesso ufficiale della Capitaneria aggiunge in quella conversazione che esiste anche una seconda registrazione effettuata dall’Avvisatore Marittimo (una sorta di “torre di controllo” del porto) e utilizzata, a suo dire, dall’addetto di turno la sera dell’incidente per ricattare del personale della Capitaneria. Nel racconto trascritto dal perito del magistrato e trasmesso dal pm Luigi De Franco all’allora gip Roberto Urgese tale ricatto sarebbe riuscito con la distruzione di questa registrazione. Ma la Procura non ha mai fatto indagini per verificare questo racconto né il giudice ha chiesto un supplemento d’inchiesta.

A conclusione del suo racconto il tenente della Capitaneria descrive un quadro di connivenze nel porto di Livorno tra controllori e controllati che chiama in causa anche la compagnia armatoriale di bettoline – e poi, dal 1992, di petroliere – D’Alesio Group. Nello D’Alesio e il figlio Francesco furono gli autori del video amatoriale registrato la notte dell’incidente a ridosso della collisione, pervenuto alla magistratura 20 mesi dopo i fatti e soprattutto la messa in onda da parte del Tg1 del 12 aprile 1991. L’unico altro video amatoriale realizzato a poche decine di secondi dalla collisione tra Moby Prince e Agip Abruzzo arriverà alla Procura di Livorno molto tempo dopo: anche in quel caso rimase nell’archivio della tv locale Granducato per 28 anni.

L'articolo Moby Prince, l’ufficiale disse: “Esistono due registrazioni sulle chiamate alla Capitaneria. E c’era anche il mayday”. Ma nessuno le cercò proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Tutti in classe. Stavolta è proprio il caso di dirlo. Da stamattina i ragazzi delle scuole superiori di tutto il Paese saranno tra i banchi, anche in quelle Regioni che avevano deciso di rimandare la riapertura. Unica eccezione la Sicilia dove il presidente Nello Musumeci ha fatto slittare la ripartenza delle secondarie di secondo grado all’8 febbraio. Il ritorno alle lezioni in presenza nella maggior parte delle Regioni resta al 50% perché la paura di un aumento dei contagi rimane alta tra i governatori. Da segnalare, inoltre, la decisione delle giunte regionali calabrese e campana di adottare a loro volta il “metodo Emiliano”, dal nome del presidente pugliese che ha lasciato la libertà alle famiglie di scegliere se mandare a scuola i ragazzi o continuare con la didattica a distanza.

Nella terra di Vincenzo De Luca, invece, molti sindaci hanno deciso di tenere le scuole chiuse andando contro l’ordinanza del presidente. Poi c’è la questione Milano: nel capoluogo lombardo alcuni presidi, con tanto di giustificazione del prefetto, hanno rinviato l’apertura che era fissata per lunedì scorso. Una decisione che ha irritato la dirigente dell’ufficio scolastico regionale, Augusta Celada, che con una nota ha richiamato i presidi a “una ripresa il più possibile rapida”, suscitando non poche polemiche tra i sindacati. Intanto su viale Trastevere cala il silenzio. La ministra Lucia Azzolina è tra coloro che, a causa della crisi innescata da Matteo Renzi, potrebbe dover lasciare il posto dopo aver lavorato a lungo per la ripresa delle scuole. Ecco la mappa Regione per Regione di ciò che accade oggi 1 febbraio.

Chi ritorna in classe

Basilicata – Con l’ordinanza numero 4 del 29 gennaio si dispone il rientro dei ragazzi a scuola con trasporti pubblici che garantiscano il giusto distanziamento. Si ritorna in aula al 50%. Qualora si passasse al 75%, serviranno più mezzi.

Calabria – Superiori in presenza al 50% almeno per i primi 30 giorni dalla ripresa e didattica digitale per le famiglie che lo richiedono. È quanto prevede l’ordinanza del presidente facente funzioni Nino Spirlì che ha adottato la formula proposta in Puglia per i ragazzi delle superiori.

Campania – Ritorno tra i banchi al 50% con collegamento on line per le lezioni, preferibilmente in modalità sincrona. Deve essere inoltre consentito ai genitori degli alunni di optare per la fruizione della didattica a distanza. Da segnalare che i sindaci di Torre Annunziata, Avellino, Ottaviano, Nolano, Casamarciano, Cicciano e Marigliano hanno scelto di rinviare il rientro a scuola di una settimana a causa del significativo aumento del numero dei positivi in questi territori.

Friuli Venezia Giulia – Rientro al 50% con un’organizzazione complessa. Le attività in presenza saranno strutturate su un turno di ingresso e di uscita unico per le scuole delle ex province di Gorizia e Pordenone e con articolazioni diverse per i poli scolastici dell’ex provincia di Udine (ingressi scaglionati su due turni per i poli scolastici di Udine, Codroipo, Cividale del Friuli e San Pietro al Natisone, Gemona del Friuli, San Daniele del Friuli e Tolmezzo, ingresso su turno unico per gli altri). Le scuole di Trieste osserveranno ingressi scaglionati con modalità specifiche. Ci saranno 700 corse giornaliere degli autobus in più e quattro nuove corse treno.

Puglia – Dall’1 al 6 febbraio gli studenti delle scuole superiori pugliesi potranno tornare a seguire in presenza le lezioni scolastiche ma “nel limite del 50%”. Le istituzioni scolastiche – specifica l’ordinanza regionale – organizzano le attività scolastiche, applicando preferibilmente la percentuale a ogni singola classe e garantendo comunque la didattica digitale integrata per tutti gli studenti le cui famiglie ne facciano richiesta, tenendo presente che a questi ultimi non può essere imposta la didattica in presenza.

Sardegna – Sono oltre 250 i bus messi a disposizione da Anav, l’associazione che rappresenta le aziende private di trasporto pubblico locale e noleggio autobus, per la riapertura degli istituti superiori sardi da stamattina. Sarà una ripartenza anche qui al 50%. Confermati per il Sud Sardegna gli slittamenti di orario per circa la metà degli istituti per evitare un ritorno in massa sugli stessi mezzi pubblici.

Veneto – Il presidente Luca Zaia ha predisposto il piano di trasporto pubblico. Ci saranno 683 mezzi aggiuntivi con una capacità predisposta per il 50%. Alle fermate, per evitare assembramenti, ci saranno 224 stewards. Il costo dell’operazione, per la Regione, è di oltre 6 milioni di euro al mese. In una nota l’ufficio scolastico regionale ricorda che possono richiedere la didattica a distanza gli studenti fragili, con “patologie gravi o immunodepressi”. Inoltre, lo stesso Usr ha precisato che si potrà tornare a fare educazione fisica ma con un distanziamento di due metri e abbassando la mascherina.

Chi non torna in aula

Sicilia – Dovranno aspettare ancora i ragazzi delle superiori prima di tornare sui banchi. La giunta regionale ha deciso di rinviare di una settimana la ripresa al 50% delle secondarie di secondo grado. Stamattina si parte, invece, con gli alunni delle medie (classi seconde e terze) rimasti a casa a causa della zona rossa.

Chi è già a scuola
Hanno già ripreso le lezioni in presenza Toscana, Abruzzo, Valle d’Aosta, Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Molise, Umbria, Lazio, Liguria, Trento e anche a Bolzano, dove nonostante la zona rossa di due settimane fa il governatore Arno Kompatscher ha scelto di tenere aperte le scuole. Tutto sta procedendo con regolarità, a parte qualche problema relativo ai trasporti nella Capitale.

L'articolo Superiori, da oggi in classe gli studenti di tutte le Regioni. Solo la Sicilia rimanda di un’altra settimana. Ecco come si riparte proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Sono passati dieci mesi da quando Irma, 55 anni, si è ammalata di Covid. Ma i vuoti di memoria, la perdita di concentrazione, i fischi alle orecchie e un’esagerata stanchezza continuano a far parte della sua vita. Irma è una delle oltre 1600 persone con sintomi post Covid che hanno partecipato al sondaggio promosso dal portale sindomeposcovid-19.it, un’idea del giornalista trentenne Enrico Ferdinandi – aiutato dagli amici Rubina Beneduce e Daniele Zerosi – colpito anche lui dal virus. Le testimonianze raccolte in questo database vengono messe a disposizione della comunità scientifica per favorire la ricerca sugli effetti collaterali provocati dall’infezione di Sars-Cov2. Da gennaio sono online i risultati dei primi 1025 intervistati, che integrano lo studio sui primi cento utenti pubblicato a fine novembre.

“Ci hanno scritto da tutte le regioni, soprattutto Lombardia, Lazio e Piemonte, e perfino otto cittadini italiani che risiedono all’estero” racconta Enrico. La maggior parte degli ex pazienti Covid intercettati (il 95 per cento), si legge sul report, ha dichiarato di avere ancora dei sintomi, e quasi la metà di questi (il 45 per cento), è il dato più impressionante, ne soffre da più di sette mesi. Tra i disturbi più frequenti del long Covid, l’espressione inglese comunemente usata per indicare i postumi dell’infezione, si riscontrano stanchezza (85 per cento), affaticamento (80 per cento), fiato corto (61 per cento), mancanza di concentrazione (60 per cento), dolori alle articolazioni (59 per cento), disturbi del sonno (57 per cento) e tachicardia (49 per cento). Per quattro intervistati su dieci persiste la perdita (o alterazione) di olfatto mentre per oltre tre su dieci la mancanza (o alterazione) di gusto. Una percentuale uguale ha dichiarato di accusare regolarmente vuoti di memoria. Ma la preoccupazione più grande per queste persone, conclude il report, è data dalle anomalie cardiache, come aritmie e tachicardie, i forti mal di testa e i frequenti dolori a livello del torace. Chi vuole partecipare con la propria esperienza può farlo compilando due form che trova sul sito web. “Nei prossimi mesi usciranno report di volta in volta aggiornati e somministreremo altri questionari per monitorare l’evoluzione dei sintomi post Covid su chi ha già lasciato il suo contributo”, specifica Ferdinandi.

In Italia sono stati avviati due importanti progetti di ricerca sulla sindrome post Covid. Il primo è stato condotto da un gruppo di geriatri del policlinico Gemelli di Roma. Lo studio iniziale su 143 pazienti – seguiti a distanza di oltre due mesi dalla diagnosi della malattia – è uscito lo scorso luglio su Jama. A firmarlo anche Francesco Landi, direttore della Riabilitazione geriatrica e tra i responsabili del Day hospital post Covid dell’ospedale capitolino, che anticipa al Fattoquotidiano.it i risultati preliminari della seconda fase della ricerca, che ha coinvolto ad oggi 520 pazienti: “I dati confermano che a distanza di circa due mesi dalla diagnosi i sintomi permangono nell’80 per cento dei soggetti“. A pesare non sono tanto le differenze di età, quanto piuttosto quelle di genere. E a stare peggio sono le donne: “Il 56 per cento contro il 40 degli uomini accusa tre o più sintomi – specifica Landi -. Quelli in assoluto più ricorrenti sono l’affaticamento e la perdita di appetito, presenti prevalentemente nelle donne, la dispnea, di cui soffrono quasi la metà di entrambi i generi, e i dolori articolari, che colpiscono un soggetto su quattro”. Landi sottolinea infine che “fatica e sensazione di affanno non sempre corrispondono a un danno d’organo reale. Sembrerebbero – spiega – manifestazioni da stress post traumatico visto che i valori di spirometria, emogas, tac toracica e saturazione di ossigeno risultano normali. Stiamo cercando di approfondire meglio questo aspetto”.

L’altro studio in corso è quello su più di 1500 pazienti – di cui il 40 per cento donne e con età media di 59 anni – sottoposti a follow up tra maggio e ottobre nei padiglioni della Fiera di Bergamo, dove da giugno fino all’inizio dell’autunno i reparti per i pazienti Covid sono stati trasformati in ambulatori per la presa in carico delle conseguenze della malattia, a distanza di tre mesi e mezzo dall’esordio dei sintomi. Marco Rizzi, direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, espone le valutazioni preliminari, simili a quelle già descritte: “La fatica nelle attività quotidiane, riscontrata nel 48,5 per cento dei casi, e la difficoltà respiratoria, di cui soffrono il 32,6 per cento dei soggetti, sono i due problemi più frequenti. In quasi il 29 per cento dei pazienti si osservano, inoltre, danni sulla funzionalità polmonare e una piccola parte perde l’autosufficienza. Poi c’è l’alterazione dell’olfatto – continua il medico -, che riguarda circa il quattro per cento dei casi, più donne che uomini”. Tra le conseguenze a lungo termine del Covid c’è anche “un’esposizione al rischio di complicanze trombotiche nel 39 per cento dei soggetti e dal 9 fino al 17 per cento la tendenza a sviluppare tiroiditi”. Tutte alterazione che secondo Rizzi “è verosimile che col tempo siano destinate a regredire”. Fino adesso solo una minoranza di questi pazienti (poco meno della metà) ha avuto bisogno di un percorso specialistico (il 31,8 per cento con lo pneumologo, il 7,6 con il neurologo e il 6,9 con il cardiologo), mentre oltre la metà (il 56 per cento) è stata affidata al proprio medico di base. “È fondamentale che ogni ospedale attivi un percorso di follow up dedicato al post Covid, perché da questa infezione non si guarisce quasi mai rapidamente”.

Indagare le conseguenze a lungo termine del Covid sulla salute è anche uno degli obiettivi del progetto internazionale Orchestra, che coinvolge 27 centri universitari distribuiti tra Europa, Africa, Sudamerica e India, coordinati dall’ateneo di Verona. Il progetto, finanziato con circa 20 milioni di euro stanziati dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione europea, mira a guidare le strategie europee per affrontare i diversi aspetti della pandemia (dalla protezione delle categorie fragili alla riduzione dei rischi per il personale sanitario, le risposte alla vaccinazione, fino all’impatto di fattori ambientali, socio-economici, stile di vita e misure di distanziamento sulla diffusione del virus, oltre alla sindrome post Covid). “Unendo tutte le coorti già formate e studiate dai vari centri avremo a disposizione una quantità di dati tale da poter fornire risposte scientificamente valide” spiega a ilfattoquotidiano.it Evelina Tacconelli, direttrice del dipartimento di Malattie infettive dell’ospedale universitario veronese, a capo del progetto. “Uno dei nostri gruppi – informa la professoressa – lavora anche sugli effetti della vaccinazione nella popolazione fragile, cioè anziani, bambini, malati di cancro, di Hiv, di Alzheimer, donne in gravidanza e trapiantati”. “Entro fine febbraio – annuncia alla fine – verranno analizzati i risultati ottenuti dalle coorti già esaminate, dopodiché costruiremo una nuova coorte, costituita da gruppi di popolazione appartenenti a Paesi europei ed extra-europei, che ogni tre mesi dovrà sottoporsi a test e prelievi per monitorare velocemente quello che succede”.

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Niente leader e probabilmente ancora niente nomi. A Montecitorio si apre il secondo giro di consultazioni convocato da Roberto Fico. Dopo aver ricevuto dal capo dello Stato l’incarico esplorativo per provare a ricucire l’alleanza di governo formata dal Pd, dal M5s, da Leu e da Italia viva – il partito che ha aperto la crisi – il presidente della Camera ha trascorso il week end incontrando le varie forze politiche. Dopo aver visto separatamente i rappresentanti dei vari partiti, la terza carica dello Stato ha deciso di radunarli tutti allo stesso tavolo alle 9 e 30. L’obiettivo è arrivare a un patto di legislatura per liberare la strada al Conte ter. Un percorso che vista la data massima di martedì – quando Fico dovrà tornare al Colle per riferire a Sergio Mattarella le sue conclusioni – appare ancora pieno di mine. Le incognite sono molteplici: dai punti da inserire all’interno del programma condiviso fino al nome del premier.

Tra sabato e domenica la maggioranza ha fatto quadrato attorno al nome di Giuseppe Conte. Dal Pd ai 5 stelle a Leu, passando per i gruppi minori – Europeisti, Centro democratico, Autonomie, dicono tutti la stessa cosa: ok al governo politico, va bene siglare un patto di legislatura, ma a guidare il governo deve essere Conte. Matteo Renzi, però, continua a giocare a carte coperte: ha chiesto prima di stilare un accordo programmatico e solo dopo parlare di nomi. Il timore è che solo dopo aver trovato la quadra sui temi, il leader d’Italia viva possa porre il veto su Conte: in quel caso saranno gli altri a passare per quelli che hanno fatto saltare il tavolo. Bruno Tabacci vede il bluff e dichiara: “Il programma va definito con Conte quando verrà incaricato, non prima, non funziona così”. Lo sostiene Loredana De Petris, capogruppo del Misto al Senato ed esponente di Leu: “Nel momento in cui si inizierà a discutere di temi, nello stesso istante bisognerà mettere sul tavolo il nome di Conte. Al presidente Fico lo abbiamo detto e lo diremo domani alle altre forze politiche: il programma non si può separare dal nome di chi dovrà attuarlo. E quel qualcuno è Conte”. La senatrice di Leu lo specifica perché in giornata i rumors su Mario Draghi si sono trasformati in notizie di stampa, con i quotidiani del gruppo Gedi che parlano addiritura di telefonate di Mattarella per preallertare l’ex presidente della Bce. Il Quirinale è stato costretto a intervenire per smentire categoricamente una notizia definita “destituita di fondamento”. Draghi, invece, tace.

Sull’argomento intendono tacere pure i renziani: annunciando la presenza al tavolo di Maria Elena Boschi e Davide Faraone – rispettivamente capogruppo alla Camera e al Senato – fanno sapere che Italia viva non intende ancora discutere della carica di premier. D’altra parte se è vero – come ipotizzano i maligni – che Renzi intenda giocarsi la carta del veto a Conte dopo aver trovato un accordo con gli altri partiti sul programma, è inevitabile che quel jolly vorrà calarlo personalmente. E lunedì alla Camera il leader d’Italia viva non si farà vedere. Non ci sarà neanche Nicola Zingaretti (per il Pd i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci e il vicesegretario Andreo Orlando) e neanche Vito Crimi (Davide Crippa ed Ettore Licheri rappresenteranno i 5 stelle). Non essendoci i leader, è improbabile che a Montecitorio si discuta di una eventuale permanenza di Conte a Palazzo Chigi. Sul tavolo, infatti, ci saranno “solo” i punti da inserire nel programma. Non che siano meno importanti: bisognerà capire che condizioni porranno – se ne porranno – i renziani sul Mes, sulla giustizia, sul reddito di cittadinanza. La strada per il Conte ter non è solo piena di mine: è pure strettissima.

CRONACA ORA PER ORA

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Esclusi i biglietti del cinema, del teatro e dei musei. Così come il pieno di benzina, il costo del parcheggio, il pranzo comprato con i ticket restaurant e, almeno all’inizio, qualunque spesa fatta in farmacia. Tutti questi acquisti non consentiranno di partecipare alla lotteria degli scontrini che parte lunedì 1 febbraio dopo anni di rinvii. Va ricordato che in ogni caso non si ricevono biglietti validi per le estrazioni pagando in contanti: sono ammesse solo le transazioni fatte con strumenti di pagamento elettronico, quindi carte di credito, carte di debito, bancomat, carte prepagate o app per i pagamenti.

Le categorie escluse, citate all’inizio, sono quelle per cui non è prevista certificazione fiscale tramite memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi, “operazioni indispensabili per la produzione di biglietti virtuali della lotteria” come chiarisce il portale dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli. Fuori anche gli acquisti online e quelli destinati all’esercizio di attività di impresa, arte o professione. Discorso diverso per i medicinali: in questo caso la spiegazione è che nella fase di avvio non si può partecipare alla lotteria con gli acquisti per i quali è prevista una detrazione fiscale a fronte di presentazione della tessera sanitaria. L’ultima avvertenza è che non tutti gli esercizi, come hanno avvertito Confcommercio e Confesercenti che speravano in un nuovo rinvio, hanno fatto aggiornare il registratore di cassa telematico con il nuovo software necessario perché il cliente possa partecipare all’estrazione. Se sulla vetrina non c’è alcuna indicazione, meglio chiedere.

La lotteria è collegata al programma Italia Cashless che comprende il cashback di Stato partito a dicembre, con l’obiettivo di incentivare i pagamenti elettronici. La cifra spesa non conta: basta un euro per generare un biglietto virtuale. E ogni euro ulteriore dà diritto a un altro biglietto fino a un massimo di 1.000 biglietti virtuali per acquisti di importo pari o superiore a 1.000 euro. Il tutto a patto di essere maggiorenni e mostrare il codice lotteria all’esercente e chiederne l’abbinamento allo scontrino elettronico da trasmettere al nuovo sistema lotteria. Il codice, che si ottiene sul sito della Lotteria inserendo il codice fiscale, è stato ideato e sottoposto all’approvazione dell’Autorità garante della privacy per evitare che il consumatore debba fornire al commerciante informazioni non necessarie per partecipare al concorso.

Il sistema, come già chiarito, non consente il tracciamento degli acquisti e non riceve informazioni su quello che si compra bensì solo i dati necessari per le estrazioni e per risalire al titolare del biglietto in caso di vincita tramite l’abbinamento tra codice lotteria e codice fiscale. Né l’esercente né altri potranno risalire all’acquirente per profilazioni o analisi delle tue abitudini di spesa.

Le estrazioni dei premi per clienti e negozianti partono l’11 marzo: i primi 10 consumatori vinceranno 100mila euro, facendo incassare 20mila euro agli esercizi dove hanno fatto acquisti cashless tra l’1 e il 28 febbraio. Da giovedì 10 giugno si aggiungeranno le estrazioni settimanali che distribuiranno ogni settimana 15 premi da 25.000 euro per chi compra e 15 premi da 5.000 euro per chi vende. A partire da quella data, ogni giovedì verranno effettuate le estrazioni settimanali, per tutti gli scontrini trasmessi e registrati dal sistema lotteria dal lunedì alla domenica. All’inizio del prossimo anno, in una data ancora da fissare in calendario, si terrà la prima estrazione annuale che premierà uno degli acquisti effettuati dal primo febbraio al 31 dicembre 2021 assegnando 5 milioni di euro a un acquirente e 1 milione di euro a un esercente.

L'articolo Lotteria degli scontrini al via, ecco con quali acquisti si partecipa e quali sono esclusi. Dai biglietti del cinema al pieno di benzina proviene da Il Fatto Quotidiano.



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L'Italia da oggi quasi tutta gialla, con l'eccezione di Sicilia, Provincia autonoma di Bolzano, Puglia, Sardegna e Umbria. Allarme assembramenti nelle città: a Milano folla ai Navigli, a Roma shopping in via del Corso, a Firenze sanzioni per il mancato rispetto delle norme anti-Covid. Miozzo: "C'è il rischio reale che la curva schizzi rapidamente verso numeri  difficilmente gestibili'

 



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L'ultimo bollettino del ministero della Salute ha registrato 213.364 tamponi analizzati in tutta Italia (contando anche i test antigenici rapidi) e altri 237 decessi. Il rapporto tra positivi e test effettuati è al 5,27% (ieri era 4,26%). Da Nord a Sud, ecco la situazione nel nostro Paese



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Da oggi lunedì 1° febbraio sono scattate le nuove classificazioni di colore per le zone di rischio delle regioni italiane. Solo 5 aree sono in zona arancione: Umbria, Puglia, Sardegna, Sicilia e Provincia autonoma di Bolzano. Il resto del Paese è in zona gialla: ecco cosa si può fare e quali sono le limitazioni



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A partire da oggi, lunedì 1 febbraio, 16 Regioni italiane sono in zona gialla. Si tratta di Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Lombardia, Basilicata, Campania, Molise, provincia di Trento e Toscana. Si trovano in arancione solo Puglia, Sardegna, Umbria, Sicilia e provincia autonoma di Bolzano, mentre per il momento scompare dalla mappa dell’Italia la zona rossa. È l’effetto delle decisioni prese venerdì dal ministro della Salute Roberto Speranza in base al monitoraggio settimanale della pandemia elaborato dall’Istituto superiore di sanità. Alcune restrizioni restano valide in tutto il Paese: è vietato spostarsi tra Regioni, salvo motivi di necessità, salute o lavoro, ed è sempre in vigore il coprifuoco dalle 22 alle 5 del mattino. Cambiano invece le regole per tutti i territori che possono beneficiare di un allentamento delle misure. Ecco cosa è possibile fare (e cosa no) nelle due fasce di rischio.

Le regole della zona gialla – La maggior parte dell’Italia si trova in zona gialla: qui è consentito muoversi liberamente, a patto che non si esca dai confini regionali. Resta valida la regola sulle visite nelle case private: si può andare da amici e parenti una sola volta al giorno, al massimo in due persone (minori di 14 anni e disabili non rientrano nel calcolo), dalle 5 alle 22. Bar, pasticcerie, ristoranti sono aperti fino alle 18: ai tavoli ci si può sedere al massimo in 4. Dalle 18 alle 22 resta consentito il servizio da asporto (non per i bar senza cucina e le enoteche), mentre la consegna a domicilio è consentita senza limiti di orario. Aperti tutti i negozi, tranne i centri commerciali nei week-end. Dal lunedì al venerdì, inoltre, sono aperti i musei. Una novità introdotta con l’ultimo decreto Covid del governo e che consentirà a tanti musei di riaprire i battenti dopo la chiusura più lunga dalla Seconda guerra mondiale.

Le regole della zona arancione – In Puglia, Sardegna, Umbria, Sicilia e provincia autonoma di Bolzano, invece, sono in vigore le restrizioni da fascia arancione. Ciò significa che non è consentito spostarsi fuori dal comune in cui si vive, tranne che per motivi di lavoro, urgenza o salute da documentare con autocertificazione. Resta in vigore la deroga introdotta a Natale per i Comuni al di sotto dei 5mila abitanti, per i quali è autorizzato lo spostamento nel raggio di 30 chilometri (anche in un’altra regione limitrofa) ma non verso i capoluoghi di provincia. È consentita invece la circolazione libera nel proprio comune e si può anche far visita a parenti ed amici, una sola volta al giorno, al massimo in due persone (minori di 14 anni e disabili non rientrano nel calcolo), dalle 5 alle 22. Bar, pasticcerie, ristoranti sono aperti solo per asporto dalle 5 alle 22. Bar senza cucina ed enoteche devono sospendere l’asporto alle 18. È invece consentita senza limiti di orario la consegna a domicilio. Aperti senza restrizioni i negozi.

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Aveva detto di non essere disposto a salire sul palco senza un pubblico (di figuranti). Poi ha fatto marcia indietro e ieri sera Amadeus ha comunicato di essere pronto a fare il Festival di Sanremo in ogni caso. Stamani 31 gennaio però ecco che tutto acquista una “luce diversa”: stando a un retroscena pubblicato sul Corriere della Sera a firma del sempre attento Renato Franco, il Cts non sarebbe tanto convinto che il Festival sia da fare. Il nodo si scioglierà in settimana, prima occorre vedere il protocollo di sicurezza preparato dalla Rai. Le obiezioni del Cts riguardano intanto la “bolla” creata per tutti i dipendenti Rai che saranno la macchina organizzativa e operativa del Festival ma che secondo il Comitato tecnico scientifico così “sicura” non è: gli artisti, che sono 26, più il loro entourage, raccolti in uno spazio stretto come è stretto il dietro le quinte potrebbero portare casi di positività al covid. C’è preoccupazione anche per quanto riguarda l’affluenza a Sanremo dall’esterno: per quanto ridotta, si tratterebbe comunque di una considerevole quantità di persone. Che succederà? La kermesse sarà annullata o rimandata? Intanto il “nodo” de figuranti è risolto: Ama ci sarà anche se la sua convinzione resta quella che l’Ariston debba essere trattato come uno studio televisivo e che quindi valgano le regole, come specificato anche nelle FAQ sul sito di Palazzo Chigi, in vigore per altre trasmissioni. Secondo l’Ansa, il conduttore avrebbe fatto questa scelta, ovvero farlo comunque, anche senza pubblico, perché far saltare Sanremo significherebbe mettere in seria difficoltà tutti coloro che ci lavorano, l’industria discografica che spera in un segnale di ripartenza, la Rai stessa che grazie al festival lo scorso anno ha messo in cassa oltre 37 milioni di ricavi pubblicitari. E il co-conduttore Fiorello? Non è chiaro se seguirà i passi dell’amico Amadeus.

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“In una coalizione si sta con lealtà e con una ricerca continua e costante di soluzioni condivise. Non è accettabile che una parte, come abbiamo visto, abbia solo diritto di critica mentre gli altri abbiano diritti e doveri da rispettare”. Sono le parole del capogruppo di Leu alla Camera, Federico Fornaro, che ieri ha incontrato il presidente Roberto Fico nel primo giorno di consultazioni. Fornaro ha ribadito che è necessario ripartire con un governo guidato da Giuseppe Conte.

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Secondo giorno di mandato esplorativo per il presidente Roberto Fico. Ieri la terza carica dello Stato, come richiesto da Sergio Mattarella, ha iniziato un giro di consultazioni con le forze politiche che si sono dette disponibili a sostenere un nuovo governo. Oggi invece incontra le forze minori, ma non per questo meno significative per la stabilità del futuro esecutivo: Maie, Centro democratico-Europeisti e minoranze linguistiche. Nel primo giro di incontri Pd, M5s, Leu e Italia viva sembrano aver trovato un punto di incontro sulla necessità di partire da un cronoprogramma scritto che permetta di scandire gli interventi fino alla fine di legislatura. “Che possa togliere tutti gli alibi”, ha detto Matteo Renzi. Facile da dire, meno da realizzare. Anche perché restano sul tavolo tutti gli elementi divisivi su cui Italia viva ha deciso di far scoppiare la crisi di governo e sui quali è necessario trovare un punto di incontro. Le mediazioni sono iniziate e al momento non è escluso un secondo giro di consultazioni per dare il tempo ai partiti di scrivere “il cronoprogramma”. Anche per questo le prossime ore saranno decisive.

Il calendario di oggi – Ore 10 – Gruppo parlamentare “Europeisti – MAIE – Centro Democratico” del Senato della Repubblica. Ore 11.20 – Gruppo Parlamentare “Per le Autonomie (SVP-PATT, UV)” del Senato della Repubblica. Ore 12.40 – Gruppo Parlamentare Misto della Camera dei deputati limitatamente alle Componenti che fanno riferimento alla maggioranza: Centro Democratico- Italiani in Europa; Maie-Movimento associativo Italiani all’estero-Psi; Minoranze linguistiche. Ore 14 – Gruppo Parlamentare Misto del Senato della Repubblica limitatamente ai componenti che fanno riferimento alla maggioranza.

CRONACA ORA PER ORA

10.24 – Merlo (Maie): “Conte persona giusta, pronti a confrontarci su tutto”
“Siamo pronti a un programma di legislatura e la persona giusta per portare avanti questo programma e guidare un governo è Giuseppe Conte”. Ricardo Merlo parla a nome del gruppo parlamentare “Europeisti – Maie – Centro Democratico” del Senato dopo l’incontro con Roberto Fico nella seconda giornata di consultazioni per la verifica di una maggioranza parlamentare. Gruppo all’interno del quale c’è anche l’ex azzurra Maria Rosaria Rossi, in passato una delle più strette collaboratrici di Silvio Berlusconi, che fa parte anche della delegazione ricevuta dal presidente della Camera. Rossi ha lasciato Forza Italia dopo aver votato la fiducia al governo Conte e contribuito alla nascita del neo gruppo di ‘responsabili’ a palazzo Madama. “Stiamo lavorando già su un programma – ha aggiunto – e sulle questioni che riguardano la pandemia e ci saranno altri incontri con Fico ma sarà lui a informare. Questa crisi politica è lontana anni luce dai problemi reali degli italiani: l’Italia ha bisogno di un governo forte, che lavori su un programma condiviso”.

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Michele Bravi è stato il protagonista del talk “Programma” con Claudia Rossi e Andrea Conti in diretta sulla pagina Facebook e YouTube de Il Fatto Quotidiano e di FqMagazine. Il cantautore ha presentato il nuovo album “La geografia del buio” . Il disco uscirà il 29 gennaio dopo diversi slittamenti. “La geografia del buio” era già pronto ad uscire la scorsa primavera poi la pandemia ha bloccato tutto il progetto promozionale. A distanza di quattro anni da “Anime di carta”, l’album certificato disco d’oro e contenente il singolo doppio platino “Il diario degli errori”, Michele Bravi torna con un nuovo progetto musicale, profondamente diverso da tutta la produzione precedente. “Avere le parole per dire il caos non salva da niente ma almeno disegna il labirinto. – ha spiegato Bravi – ‘La geografia del buio’ è un racconto attraverso la ferita del mondo. Una perdita di aderenza dal reale e il tuffo in un’oscurità che racchiude in sé la violenza della vita e riscopre nell’amore l’unica salvezza. Un amore che non combatte il male ma che aiuta a disegnarne la geografia”.RIVEDI LA DIRETTA

Intanto è uscito il nuovo singolo “Mantieni il bacio” con il video girato dal giovane regista Nicola Sorcinelli, vincitore nel 2017 del Nastro d’Argento per il cortometraggio “Moby Dick”. I protagonisti sono Michele stesso l’attore Francesco Centorame (già visto nella serie cult “SKAM” e nel film di Gabriele Muccino “Gli anni più belli”).

“Il bacio è l’immagine che, più di ogni altra, trasforma il male in pittura d’oro e la cicatrice del trauma in una poesia. – ha detto Michele – Nel bacio si incontrano il luogo della parola e quello del corpo. Baciarsi nel buio significa trattenersi ancorati al presente, al reale e non perdersi in un fumo di nebbia e dolore ingombrante”. Nel singolo scritto da Federica Abbate, Cheope e Massimo Recalcati, la cui produzione è affidata a Francesco Katoo Catitti con il supporto dell’ingegnere del suono Gijs Van Klooster (Joep Beving), la voce di Michele è accompagnata, al pianoforte, da Andrea Manzoni.

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In diretta il secondo giorno di consultazioni col presidente della Camera, Roberto Fico. Il programma:

Ore 10 – Gruppo parlamentare “Europeisti – MAIE – Centro Democratico” del Senato della Repubblica

Ore 11.20 – Gruppo Parlamentare “Per le Autonomie (SVP-PATT, UV)” del Senato della Repubblica

Ore 12.40 – Gruppo Parlamentare Misto della Camera dei deputati limitatamente alle Componenti che fanno riferimento alla maggioranza: Centro Democratico- Italiani in Europa; Maie-Movimento associativo Italiani all’estero-Psi; Minoranze linguistiche

Ore 14 – Gruppo Parlamentare Misto del Senato della Repubblica limitatamente ai componenti che fanno riferimento alla maggioranza.

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Hanno festeggiato il matrimonio come se non ci fosse il coronavirus. Dunque, dopo la cerimonia, tutti al ristorante con gli invitati per celebrare insieme. Ma a guastare l’evento sono stati i carabinieri, che hanno fatto irruzione nel noto locale di Ischia dove si trovavano e hanno sanzionato tutti, i due neosposi e i 17 commensali. Tutti sono stati identificati e multati per aver violato le norme anti contagio per il contenimento del fenomeno epidemico. Stessa sorte per il titolare del ristorante, per il quale è scattata anche la chiusura temporanea dell’attività.

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Mistress Matisse è una attivista, sex worker, scrittrice, poetessa di Seattle che ha creato un nuovo lubrificante a base di cannabis: compatibile con i sex toys, il latex e vagina-friendly, non ha però odori ed è idrosolubile. Questa bella signora parla con disinvoltura anche delle sensazioni che le dà l’utilizzo dello strap-on.

Per chi non lo sapesse, trattasi di cintura fallica composta da una imbragatura tendenzialmente di cuoio o latex – simile ad un paio di mutande – e un dildo che, fissato nello stesso punto dell’area genitale maschile, permette alle donne di avere “un pene in erezione”. Mica male eh?

Lascio agli storici e ai critici d’arte tutto ciò che riguarda l’iconografia a riguardo, che risale alla notte dei tempi passando per le stampe erotiche giapponesi del periodo Edo.

In tutti questi anni, lo strap-on è cambiato poco se non nella forma del dildo che poteva essere il naso di una maschera, a doppia penetrazione, con vibrazione etc.

Ecco che una nuova sex tech-company ha inventato un device che toglie dall’impiccio di doversi infilare, sfilare, sistemare l’imbragatura, monta quel dildo, avvita l’altro, la brugola dov’è che ci vuole un ingegnere.

Glenice Kinard-Moore è l’imprenditrice di Atlanta (un’italiana, mai) che ha lanciato VDOM – definito da lei un prodotto di lifestyle, non certo un sex toy. Il target a cui è diretto è soprattutto LGBTQ e vediamo in che cosa consiste, che magari viene lo “sfrigolino” anche a chi vuole provare per la prima volta il pegging.

Intanto questo è un prodotto che può essere utilizzato tutti i giorni, anche quando vai a fare la spesa o sei in fila alle Poste. Si indossa come una mutanda (avete presente quelle in neoprene da sub?), si connetterà tramite un’app che farà erigere il pene realistico che è inserito all’esterno dello slip.

Scrivo al futuro perché il prodotto è in pre-ordine e sarà disponibile in primavera, come si legge sul sito.

Tornando agli ingegneri, pochi lo sanno, ma oggi dietro all’industria dei giocattoli per il sesso studiano e lavorano fior di professionisti. Materiale sicuro come un silicone morbido che più si avvicina alla sofficità della pelle, kit per ricaricare la batteria che può rimanere attiva fino a 24 ore, app che con un tocco dal cellulare fa sì che il pene floscio si erga come un periscopio nel giro di un attimo.

Inoltre si può scegliere il modello della biancheria da indossare: dalla mutanda ascellare al sospensorio evidenza-chiappe. Il tutto per far sì che la vestibilità sia perfetta. Per ciò che riguarda il pene posticcio, avrete a disposizione tre nuances di colore: beige chiaro, medio e scuro.

Insomma, aggiungiamoci il fatto di avere le mani libere, che l’erezione si attiverà anche con la voce dal cellulare e che il sex tech sarà il trend del 2021, dico che potremo aspettarci meno strap-on tradizionali e più mutande tecnologiche. Senza dimenticare il preservativo e il toy cleaner, mi raccomando.

Potete seguirmi sul mio sito www.sensualcoach.it e su Instagram

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L’attuale instabilità di governo consentirà di mantenere i lavori in corso che riguardano la psicologia?

Penso al Tavolo di Lavoro Tecnico sulla Salute Mentale costituito dal Ministero della Salute dove si dovrebbe parlare, tra le altre cose, di psicoterapia. La salute mentale è un argomento divenuto molto centrale in questo periodo anche se a causa, o grazie, a una pandemia. Molte indagini dimostrano un significativo aumento della sofferenza psichica nella popolazione, probabilmente ognuno di noi la tocca con mano perché la vive personalmente.

Auguriamoci che il Tavolo di Lavoro non rallenti troppo il suo percorso e che la legittima attenzione abbia poi una ricaduta concreta a favore di chi non ha possibilità di accedere al supporto di psicoterapia privata.

Se da una parte l’apertura di un Tavolo di Lavoro per la psicoterapia fa sperare in una soluzione strutturale per la gestione del disagio e della sofferenza, dall’altra i tempi lunghi che questi iter comportano rendono necessarie soluzioni più veloci per fronteggiare il bisogno urgente di sostegno psicologico. A questo scopo erano stati immaginati e richiesti a più riprese dal nostro Ordine Professionale e dal nostro Ente di Previdenza dei voucher, sin dall’inizio della pandemia, a parziale copertura delle spese sostenute per il ricorso al sostegno psicologico privato. Potevano e potrebbero essere una soluzione intermedia alle richieste urgenti.

Un gesto concreto, quello dei voucher come anche la prospettiva di una “psicoterapia di base”, che aiuterebbe molti ad avvicinarsi ai servizi di psicoterapia e che avrebbe l’effetto anche più importante di riconoscere e legittimare la sofferenza psicologica. Purtroppo i percorsi mirati a istituzionalizzare la psicologia sono spesso rallentati o interrotti dal sopraggiungere di altre priorità.

E’ ormai appurato che investire nella psicologia renda molto di più di quanto si spende. Investire nella psicologia e nella psicoterapia significa investire concretamente nella costruzione e/o nel consolidamento della resilienza personale, cioè nella capacità individuale e collettiva di affrontare le situazioni difficili, come quella attuale. La capacità di resilienza si costruisce nel tempo, è molto legata all’equilibrio psicologico che è a sua volta in relazione diretta all’atmosfera psicologica vissuta a partire dalla nascita e i primi anni di vita. Può comunque sempre aumentare o diminuire nel corso dell’esistenza. Eventi esterni o interni che stimolano forti reazioni emotive influiscono sulla resilienza.

La pandemia ci ha dimostrato chiaramente che benessere economico, psicologico e sociale non coincidono e che non basta avere un buon reddito per stare bene: a ogni miglioramento economico corrisponde un benessere psicologico effimero che ha bisogno di guadagni esponenziali per mantenersi.

Negli ultimi mesi sono risultati evidenti a tutti quali siano gli elementi che hanno la priorità: i rapporti sociali, il fattore umano e un giusto rapporto tra questi e le risorse economiche. E per mantenere questo giusto rapporto deve essere riconosciuto e sostenuto di più il piano umano, il benessere psicologico.

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Ti accorgi davvero che stai invecchiando quando, non solo ti chiamano signora, ma a farlo sono i ventenni, proprio quelli che tu guardi ancora con la convinzione che “più o meno avranno la mia età”; quando ti guardi allo specchio e, come diceva bene Massimo Ranieri, “sopra il viso c’è una ruga che non c’era”; quando ti viene voglia di comprarti una gonnellina giro passera e poi la vedi addosso ad una sedicenne che potrebbe essere tua figlia, quindi la rimetti a posto e compri un maglioncino taglia M; quando nonostante tutte le volte in cui l’hai desiderata, senti di non essere pronta ad una vita senza ciclo mestruale.

Poi scopri pure che Justin Timberlake compirà 40 anni, mentre tu eri convinta fosse arrivato a mala pena a 25, che peraltro è esattamente l’età alla quale il tuo cervello si è fermato. Certi traumi ti segnano.

Tu ricordi il ragazzo che ammiccava cantando “Dirty babe, you see these shackles? Baby, I’m your slave. I’ll let you whip me if I misbehave” (Ragazzaccia, le vedi queste catene? Baby, sono il tuo schiavo. Ti lascerò frustarmi se mi comporterò male), poi ti ritrovi a pensare al fatto che comincerà a fare i controlli per la prostata e ti crolla il mondo e la libido. Per non parlare di quando lo si vedeva piangere come un fiume in piena per Britney Spears – anche lei prossima quarantenne – mentre cantava Cry me a river e noi tutte lì a tenere a bada gli ormoni urlanti da diciannovenni, sognando di asciugare quelle lacrime con i nostri reggiseni.

C’è poco da fare, certe cose non dovrebbero mai cambiare, altrimenti ti si creano certi scompensi che manco Jung potrebbe mai capirci qualcosa. Penso a Ryan Gosling, che a guardarlo ti viene in mente il ragazzetto ribelle della scuola, quello con cui saresti scappata di casa a diciassette anni, mentre poi devi fare i conti col fatto che pure lui ha inaugurato la stagione del metabolismo lento e degli occhiali multifocali e soprattutto che ha messo su famiglia con Eva Mendes, levandosi dalla piazza nella maniera più crudele possibile.

Certo, sul palco Justin è ancora un gran bel manzo di prima scelta, ma d’ora in poi guardandolo mentre si dimena ancora con una certa energia, cominceremo a temere per il suo femore e questo – capite bene – rischia di azzerare qualsiasi fantasia. D’altro canto, bisogna ammettere che Justin ha ancora un fan club decisamente young, pieno di ragazzine urlanti che fanno a gara a chi sbava di più per la sua barbetta incolta e questo anche perché fa parte di quella categoria di uomini con la faccia da eterni adolescenti, stile Gianni Morandi o Leonardo Di Caprio, quei visi in cui ti sembra di scorgere ancora un po’ di acne giovanile pure a cinquant’anni, uomini che fai fatica ad inquadrare in un certo range di età, perché ne dimostrano sempre venti in meno.

Noi ragazze di ieri, abbiamo cominciato a sentire una gran nostalgia del periodo ‘Nsync, quando si è sposato con quella strafiga di Jessica Biel ed è diventato padre (oggi pare sia papà bis!). Il trauma più grande in tal senso – almeno per me – è avvenuto prima con Robbie Williams, col quale avrei voluto trascorrere tutta la vita a drogarci e fare l’amore sul retro-palco dopo ogni concerto. Dopo aver faticosamente accettato che non sarei mai stata la groupie di Robbie, le mie fantasie si sono spostate oltreoceano verso questo ragazzo di Memphis, anche lui orfano di boyband come Robbie Williams, ma molto meno droga-alcol e psicofarmaci, portatore sanissimo di talento e figaggine a vagonate.

Ma il tempo è tiranno e arriva un momento in cui noi, ragazze col cuore a Beverly Hills 90210, pur tenendo ai piedi le nostre Dr. Marteens per sentirci ancora “cciovani”, dobbiamo riporre la Smemoranda nel cassetto e far pace col fatto che, oltre ad averci simpaticamente portato una pandemia di Covid-19, il 2020 è stato l’anno che ha decretato l’inizio dei nostri “anta” e l’ingresso nella cosiddetta fase adulta della vita. Come inizio non è dei più rosei, ma occorre pensare positivo. E se come dice bene qualcuno la vita comincia a quarant’anni, ci auguriamo di ritrovare quel manzo di Justin Timberlake sul palco in forma smagliante e femore saldo, con tutta la consapevolezza di un quarantenne e il solito aspetto di uno di venti.

L’augurio vale anche per noi coetanei, ovviamente. Dopotutto il 1981 è un’ottima annata. Happy B Day Justin!

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Quanti selfie vi scattate prima di scegliere la foto perfetta da postare sui social o da inviare ai vostri amici sulla chat di gruppo? Quanto tempo trascorrete a modificare la vostra foto prima di pubblicarla? Utilizzate i filtri? Anche l’angolazione della fotocamera influenza il vostro aspetto in una foto. Può accentuare o far scomparire una sgradevole gibbosità del dorso nasale, oppure nascondere un fastidioso e brutto doppio mento. E se proprio non riuscite a scattare una foto in cui apparite belli e perfetti, allora potete ricorrere alle app tipo FaceTune, FaceApp o BodyEditor, che con un semplice tocco di dito consentono di cancellare i tanto odiati inestetismi e difetti.

Ecco, sappiate che se diventate ossessivi nella ricerca della foto perfetta, è probabile che siate affetti da Selfite o da Dismorfismo da Snapchat, e più in generale da social. Approvazione e successo sociale sono gli stimoli che spingono le persone affette da questi disturbi a costruire la propria stima sui tanto bramati like e follower, e le foto perfette sono lo strumento con cui ottenerli.

Queste persone sono costantemente preoccupate di avere delle menomazioni o difetti fisici, reali o immaginari. Solo qualche anno fa, le foto perfette erano una prerogativa dei personaggi famosi, oggi, grazie alle app di ultima generazione, lo stesso livello di perfezione è accessibile a tutti.

Questi strumenti stanno modificando gli standard di bellezza, che non sono più dettati da celebrità, ma dalla ragazza della porta accanto, dal collega di lavoro, da persone comuni insomma. Recenti studi hanno mostrato come tra gli adolescenti gli effetti dei selfie modificati condizionino negativamente la percezione di se stessi e del proprio corpo.

Il desiderio di effettuare interventi di chirurgia plastica per modificare il proprio aspetto è parte fondamentale di questi ragazzi, i quali richiedono sempre più spesso di assomigliare alle immagini modificate e distorte di se stessi create dalle app, piuttosto che ad attori e personaggi famosi.

Labbra più carnose, occhi più grandi e a forma di gatto e naso più piccolo sono i nuovi allarmanti modelli estetici più richiesti, spesso irrealizzabili e inadeguati rispetto alle caratteristiche individuali del volto o del corpo, offuscando la linea del reale e immaginario per questi pazienti.

In tutto il mondo, le società scientifiche di chirurgia plastica stanno attentamente monitorando gli effetti della manipolazione digitale delle foto sui nuovi trend delle procedure, richieste soprattutto da pazienti molto giovani. La loro raccomandazione è di individuare i pazienti con aspettative non realistiche, e scoraggiare soprattutto il ricorso a procedure irreversibili come quelle chirurgiche che innescherebbero un circolo vizioso di progressivo abbassamento dell’autostima.

La Generazione Z, ragazzi sotto i 30 anni, nati a fine millennio e per questo più avvezzi all’uso di tecnologie digitali e social media, rappresenta la categoria di giovani pazienti più a rischio. Occorre che questi pazienti evitino di ricorrere ai cosiddetti trattamenti anti-invecchiamento e comprendano come il botox e i filler dermici sono piuttosto utili per attenuare e non prevenire gli effetti del tempo. Il loro crescente uso negli ultimi anni ha evidenziato che, sebbene i loro effetti siano reversibili e meno invasivi della chirurgia, non sono senza rischi di complicanze come infezioni e reazioni da corpo estraneo.

In linea generale, un trattamento è accettabile laddove ci sia un reale difetto da correggere, e questo si concorda con il proprio medico di fiducia, possibilmente rispettando le caratteristiche e le proporzioni del proprio corpo senza ricorrere a trattamenti chirurgici esagerati e caricaturali, dei cui esempi siamo ormai ricolmi su tv, riviste e social media. La decisione di ricorrere alla chirurgia plastica per modificare il proprio corpo è una scelta molto importante, che necessita di un’attenta riflessione. Se siete insicuri di eseguire un intervento, il consiglio è l’attesa. La scelta finale può richiedere diversi consulti prima di sottoporsi ad un intervento. Ricordate che è una chirurgia voluttuaria e non di necessità, e va eseguita in condizioni fisiche ideali.

Rivolgetevi al vostro medico di fiducia, e non dimenticate che il trattamento ideale di chirurgia plastica è quello che non si vede, e soprattutto: non tutto quello che si vede online è esattamente ciò che sembra.

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Esattamente un anno fa il Regno Unito diceva addio ufficialmente all’Unione europea: con una grande celebrazione di piazza, il governo conservatore a guida Johnson festeggiava la Brexit Done.

Già un anno fa, in quella data di fine gennaio, il mondo stava cambiando drasticamente senza che ancora ce ne accorgessimo: all’epoca non potevamo immaginare di ritrovarci nel giro di poco più di un mese chiusi in casa, a causa di una pandemia globale, la quale ha portato ad oggi più di 100mila morti solo in Gran Bretagna.

Ci sono due motivi per cui la pandemia si lega alla Brexit e viceversa. Il primo è di carattere simbolico: proprio il 31 gennaio si sono registrati i primi due casi di coronavirus presso Newcastle. Il secondo invece è di carattere politico: Boris Johnson, nonostante fosse stato allertato del pericolo del coronavirus, ha coscientemente messo in secondo piano la battaglia contro la pandemia per prediligere il piano Brexit.

È stata un’inchiesta dello scorso aprile del Sunday Times a fare luce su questo: a fine gennaio, il comitato tecnico-scientifico del governo inglese aveva raccomandato a Johnson di non trattare il coronavirus come una normale influenza, ma di prevedere anche un possibile lockdown per contenere i contagi. Il governo ignorò la raccomandazione per dare priorità ai festeggiamenti Brexit e alle conferenze stampa sul “Regno Unito come ‘Superman’ del libero mercato” del febbraio successivo.

Dopo diverse pressioni dalla comunità scientifica, il 23 marzo arrivava il lockdown in Gran Bretagna; la reazione era stata troppo tardiva e ad aprile nel paese sono stati registrati in media circa mille morti al giorno. Nonostante la richiesta dei governi gallese e scozzese di estendere il periodo di negoziato e la disponibilità da parte dell’Ue di accettare un’estensione, il governo Johnson voleva mantenere la scadenza per il 31 dicembre.

L’irresponsabilità di questa scelta non era dovuta solo al fatto che il paese ad aprile era sotto lockdown con contagi e morti in crescita esponenziale, ma anche che in una fase di emergenza e incertezza come la crisi pandemica il governo abbia mantenuto la scadenza di negoziato per la fine dell’anno, senza una chiara strategia Brexit tra le mani. C’è una evidente reazione che indica questa mancanza: quando a settembre i negoziati erano in fase di stallo, Johnson minacciò l’Ue di non rispettare una parte di un accordo riguardo il confine tra la Repubblica d’Irlanda e il Nord dell’Irlanda post-Brexit.

Infatti, circa un anno e mezzo fa, era stato deciso, proprio dal governo Johnson, che il confine non sarebbe diventato “rigido” e che l’Irlanda del Nord sarebbe rimasta sotto l’egida dell’Ue.

Questa minaccia rimaneva tale, probabilmente anche perché Joe Biden, prima delle elezioni americane, si era già mostrato contrario a questa mossa di Johnson. Dopo le elezioni americane e l’addio alla sponda sicura dell’amico di Johnson, Donald Trump, abbiamo assistito a una scena interessante: Dominic Cummings, ex consigliere personale del primo ministro e “stratega” della hard Brexit, usciva con degli scatoloni dal n. 10 di Downing Street.

È difficile dire quale siano stati i motivi di tali dimissioni immediate. Forse la vittoria di Biden e un certo cambio di equilibri di potere all’interno del partito conservatore. E’ stato in ogni caso un fatto rilevante: si pensi a quanto Cummings sia stato strenuamente difeso da Johnson lo scorso maggio, quando venne rivelato che il consigliere aveva violato il lockdown, viaggiando per centinaia di chilometri con sintomi di coronavirus, con la moglie e il figlio. Difendere Cummings, nonostante lo scandalo, era un chiaro segnale politico: significava per Johnson difendere tutto ciò che era stato costruito fino a quel momento.

In ogni caso, verso metà novembre iniziava la “corsa all’accordo” con la rinuncia da parte di Johnson di mettere in discussione la parte di protocollo sul Nord dell’Irlanda. Si arrivava così la notte di Natale scorsa a partorire il primo agreement commerciale. Un accordo che, come ha spiegato la Bbc in un articolo, se da una parte ha mantenuto lo scambio di merci tax free, dall’altra comunque complicherà gli adempimenti burocratici, rallentando gli scambi.

Inoltre, il nuovo sistema delle migrazioni “a punti”, il quale mira a porre fine alla migrazione non qualificata in Gran Bretagna, avrà probabilmente un effetto boomerang per il governo britannico, nel lungo periodo. Molti dei lavoratori considerati “non qualificati” sono stati gli essential workers in prima linea durante i mesi duri della pandemia: lavoratori pagati spesse volte il minimo consentito, con un rischio di vita altissimo. Molti di questi lavori svolti dagli immigrati saranno mansioni che, per forza di cose, più britannici dovranno adempiere.

In aggiunta, il Financial Times ha rivelato che nonostante nell’accordo sia stato deciso che il Regno Unito avrebbe mantenuto gli standard europei per i diritti dei lavoratori, questi ultimi verranno molto probabilmente messi in discussione; il nuovo “pacchetto” di de-regolamentazione del mercato del lavoro, il quale ha già l’approvazione politica dall’esecutivo britannico, mette a rischio diritti come la settimana lavorativa di 48 ore, le pause sul posto di lavoro, la retribuzione degli straordinari e alcuni diritti alle ferie.

Un altro punto interessante da sottolineare riguardo l’accordo è il seguente: questa Brexit è davvero done come Boris Johnson ha propagandato durante il corso dell’ultimo anno? Assolutamente no: uno dei due settori più importanti del paese, quello finanziario e di scambio di dati, deve essere ancora discusso e l’accordo sulla pesca dovrà essere rinegoziato tra cinque anni.

Ci sono già due effetti evidenti dovuti alla pandemia e alle nuove regole Brexit. Il primo punto riguarda l’esodo registrato nell’ultimo anno: sempre il Financial Times ha riportato che circa 1 milione e 300 mila immigrati hanno già lasciato il Regno Unito, molti di questi in maniera definitiva. La più grande fuga dopo quella registrata durante la Seconda guerra mondiale. Sarà interessante vedere l’effetto che avranno gli incentivi di rimpatrio che il governo britannico sta proponendo ai cittadini europei: uno schema per i rimpatri, scoperto dal Guardian, che include il rimborso del viaggio e un compenso di circa 2000 sterline.

Il secondo punto invece viene illustrato da un sondaggio del Sunday Times, di fine gennaio 2021, il quale mostra la netta volontà da parte di una maggioranza assoluta di scozzesi e nordirlandesi di lasciare la Gran Bretagna. Questo sentimento è in crescita anche in Galles, dove il 30% della popolazione è favorevole a un distanziamento da Londra.

Tutti questi dati sono certamente preoccupanti per il futuro del paese, che probabilmente subirà una marcata trasformazione. La Gran Bretagna (o ciò che ne rimarrà) diventerà sempre più un paese di migrazione “privilegiata” e, di conseguenza, teatro di crescenti diseguaglianze. I prossimi mesi e anni ci daranno le risposte che stiamo cercando sul futuro di Londra. Nel frattempo, rimaniamo attenti a guardare e cercare di capire la situazione.

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Chi avrebbe detto due anni fa che la pandemia e gli aiuti monetari da parte dello Stato avrebbero portato all’assalto a Wall Street? E chi avrebbe predetto che il saccheggio dei forzieri dell’alta finanza avrebbe redistribuito – almeno per ora –una parte dei soldi stampati negli ultimi tredici anni, migliaia e migliaia di miliardi di dollari mai arrivati nell’economia reale ma intascati dai big di piazza Affari?

Solo chi frequenta le piattaforme come Reddit, Robinhood, r/WallStreetBets lo poteva prevedere. Da almeno un anno abbondano i post dei day traders, i milioni di giovani che bloccati a casa a causa della pandemia hanno imparato a giocare in Borsa, dove si parla di ‘assalto a Wall Street’, ‘annientamento degli hedge funds’, ‘distruzione dell’Olimpo finanziario’. C’è persino chi come Anthony Scaramucci, che ha fatto parte per ben 9 giorni dell’amministrazione Trump, parla di una sorta di rivoluzione francese finanziaria. Una cosa è certa, sono i day trader che hanno creato questa rivoluzione sul mercato e che hanno intascato i soldi delle perdite di Wall Street.

Da poco meno di un anno è in corso uno scontro frontale tra piccolissimi singoli operatori di mercato e i giganti di piazza Affari, tuttavia questo conflitto è atterrato nelle prime pagine dei giganti finanziari solo a fine gennaio, quando la moltitudine dei day traders ha fatto schizzare alle stelle le azioni di GameStop, catena americana di giochi elettronici e playstation, in crisi profonda a causa della pandemia e della concorrenza online. Gran parte dei day trader sono cresciuti acquistando o scambiando videogames nei negozi di GameStop: l’idea di interrompere il suo declino e far girare la ruota della fortuna a favore di questa impresa, dunque, li ha entusiasmati facendoli sentire davvero i Robin Hood della finanza. Ed ecco come si sono svolti gli eventi.

Già prima della pandemia GameStop era in crisi, il Covid è stato un po’ il colpo di grazia. Si è evitato il fallimento grazie all’arrivo di Ryan Cohen, il miliardario che ha creato la catena di prodotti per animali chewy.com. A settembre, Cohen ha acquistato il 10 per cento di GameStop e ha annunciato il suo piano: trasformare la società in un concorrente di Amazon iniziando da un app scaricabile sul telefonino per i video giochi.

L’idea ha attirato l’attenzione di gruppi di day trader che conoscono bene il mercato dei video giochi, in quanto suoi utenti dall’infanzia. A quel punto ci si è accorti che GameStop era oggetto di grosse speculazioni al ribasso da parte di hedge funds, gente specializzata in questa tecnica (si scommette che il titolo scenderà senza però acquistarlo, si prende posizione acquistando solo un’opzione). Il volume delle scommesse era alto, segno che il mercato tradizionale era convinto che le azioni di GameStop avrebbero continuato a scendere. Situazione perfetta per l’assalto in massa dei day trader.

E’ bastato postare sulle piattaforme e sui social la strategia: acquistate le azioni di GameShop. Ed ecco la logica: salviamo la catena dei videogiochi di quando eravamo bambini, distruggiamo le vacche grasse che scommettono contro di esso e, nello stesso tempo, facciamo una barca di soldi. Il mercato si è mosso subito perché quando in ballo ci sono le opzioni tutto viene moltiplicato seguendo una progressione geometrica.

Nelle prime tre settimane di gennaio le azioni di GameStop sono salite del 1200 per cento, alcuni hedge funds come Melvin Capital hanno perso 2,3 miliardi di dollari che i day traders hanno guadagnato. Una redistribuzione della ricchezza dai grandi ai piccolissimi mai vista sul mercato. Ma non basta, la corsa a coprire le posizioni ha costretto gli short sellers ad acquistare le azioni di GameStop e così facendo hanno contribuito alla crescita della domanda e al conseguente aumento del valore del titolo.

Questa però non è una favola a lieto fine. La finanza, quella vera, è l’impalcatura su cui poggia l’economia mondiale, la linfa vitale del sistema economico. Per ogni hedge fund che si lecca le ferite ci sono centinaia di migliaia di onesti operatori finanziari che gestiscono i risparmi delle famiglie, i soldi messi da parte per la scuola dei nostri figli, le nostre pensioni: anche loro verranno travolti dall’esplosione della bolla che si sta formando sul mercato.

Perché la bolla esiste, basta dare un’occhiata alla percentuale della capitalizzazione di mercato rispetto al Pil il giorno dell’inaugurazione degli ultimi presidenti americani: Ford 40%; Carter 47%o; Reagan 43%; Bush padre 53%; Clinton 64%, Bush figlio 117%; Obama 60%; Trump 125%; Biden 190%.

Il pericolo è che i day traders diventino simili ai loro nemici e finiscano per giocare con i soldi delle nostre vite. Senza nuove legislazioni questa redistribuzione della ricchezza non basterà a far riprendere l’economia reale, provata da 13 anni di deflazione e dal Covid. Lì è da anni che non si gioca più.

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Il capo dello Stato Sergio Mattarella lo aveva chiamato per la Festa della Liberazione, in piena pandemia, sottolineando il suo coraggio e il suo valore. Una telefonata inaspettata, dopo che al Quirinale era stato visto un videomessaggio in cui lui, il partigiano “Malerba”, aveva definito il 25 aprile “una festa importante, un giorno storico che ha reso l’Italia libera e democratica e le ha donato pace, libertà, cultura, benessere e diritti dell’uomo”. Pasquale Brancatisano è morto ieri a Samo, nella Locride. Aveva 99 anni.

Nelle settimane del lockdown imposto dalla pandemia, decise di girare il video in cui definì Mattarella un “presidente che merita, mi piace e ha la capacità di guidare l’Italia in questa fase difficile. Per questo gli ho inviato il video, perché pensavo fosse giusto farlo. E lo avrei fatto anche se non ci fosse questa emergenza”.

Quel messaggio al capo dello Stato e la telefonata di ringraziamento di Mattarella, consentirono a Brancatisano di essere, nel 2020, il “partigiano più famoso d’Italia”. “Ero nelle Langhe, – aveva ricordato nel video – le conosco punta per punta, le abbiamo girate diverse volte. Mi piacerebbe che facessero un monumento per le nuove generazioni, che sappiano chi erano i partigiani e cosa hanno fatto per l’Italia. La prima domenica di maggio del 1945 in corso centrale a Torino sfilammo centomila uomini e i cittadini gettavano fiori e battevano le mani e gridando ad alta voce ‘viva i partigiani’ e ‘viva l’Italia libera’”.

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“La mafia aveva degli esplosivi stoccati a bordo del Moby Prince“. Trent’anni dopo la strage del 10 aprile 1991, in cui morirono 140 persone, c’è ancora, nasconde ancora aspetti inediti, per non dire indicibili. L’ultimo esce fuori da un fascicolo rimasto “fantasma” attraverso i decenni: è riemerso dall’archivio di una delle associazioni dei familiari delle vittime, ma non è mai stato messo a disposizione della commissione d’inchiesta del Senato da parte del tribunale di Livorno. Il presunto coinvolgimento della malavita organizzata nell’incidente avvenuto a poche miglia dal lungomare di Livorno è il centro di una conversazione avvenuta nel novembre 1994 tra Franco Lazzarini (all’epoca presidente di uno dei diversi comitati dei familiari), un avvocato di Viareggio e un allora tenente della Capitaneria di Porto. Una conversazione registrata su un nastro e fatta trascrivere dal pm che aveva appena chiuso l’inchiesta sul disastro navale di Livorno, Luigi De Franco.

Un colloquio a tre tutto da verificare, da capire, da pesare. Nella registrazione l’avvocato viareggino attesta di aver ricevuto la proposta di un “malavitoso” disposto per “2 miliardi di lire” a raccontare una verità a lui nota sulla strage, di cui il legale ha anticipato gli elementi principali ai presenti. Il malavitoso avrebbe riferito la presenza di “molto esplosivo a bordo” del Moby Prince “nascosto da uno della nave” e appartenente alla mafia “con ogni probabilità parte di altri quantitativi”. L’avvocato indica più volte la sua paura di “giocare con la nostra incolumità personale” e cita la possibilità di fare “arrestare” questa fonte. Un colloquio da verificare, appunto: la trascrizione con tali notizie di reato fu trasmessa dal pm De Franco al giudice per le indagini preliminari Roberto Urgese, responsabile della valutazione su archiviazione o richiesta di nuove indagini o rinvio a giudizio degli indagati. Ma né Urgese chiese supplementi di indagini mandando a processo quattro figure legate ai mancati soccorsi (e poi assolte) né la Procura compì ulteriori approfondimenti di quelle informazioni.

La presenza di esplosivo mafioso all’interno dei traghetti non è un aspetto nuovo. Per esempio ne parla il pentito Maurizio Avola in merito alla stagione stragista condotta da Cosa Nostra e ‘Ndrangheta nei primi anni Novanta. Secondo le sue testimonianze rese nel 1995 era intenzione della mafia, per esempio, realizzare attentati a bordo dei traghetti. Tra questi anche quelli della compagnia della famiglia dei Morace, storici co-fondatori di Navarma (antenata di Moby Lines) con Achille Onorato poi rimasta a tutela delle questioni legali del gruppo, e successivamente proprietari di compagnie di navigazione anche in Sicilia.

La vicenda dell’esplosivo nel Moby Prince è sempre stata ricondotta alle tracce di sostanze detonanti rinvenute dalla polizia scientifica nel locale eliche di prua del traghetto. Il locale fu teatro di una indiscutibile esplosione, ricondotta dalla commissione ministeriale del 1991-1992 ad una deflagrazione da gas, secondo la perizia della Mariperman, cioè la commissione permanente per gli esperimenti del materiale da guerra della Marina Militare. Secondo i tecnici di Mariperman le tracce di esplosivo erano residui di quantitativi non esplosi ma andati a fuoco. Nessuno tuttavia indagò mai sul perché, a prescindere, in quel traghetto si fossero trovati degli esplosivi non autorizzati. A quanto pare neanche dopo l’offerta di un malavitoso (sia pure da verificare per intero) di testimoniare la provenienza di quegli esplosivi.

Il fascicolo fantasma rinvenuto solo nei giorni scorsi è quasi integralmente dedicato alla questione “esplosione” a bordo del traghetto. A sostenere la tesi fu soprattutto l’armatore del Moby Prince, Vincenzo Onorato. Anzi Onorato affermò di aver dato 50 milioni a Franco Lazzarini, ex presidente di un comitato dei familiari delle vittime, per aiutarlo a continuare le indagini sul disastro. “Lazzarini – disse l’armatore – mi disse di aver saputo, da fonte certa, che un aereo privato proveniente dalla Corsica avrebbe scaricato il proprio carico di esplosivo sulla Moby. Lazzarini non aveva più soldi e così glieli prestammo noi”. E Onorato ripeté le sue convinzioni anche davanti ai pm, identificando nella concorrente Corsica Ferries il mandante del presunto attentato.

Vale la pena ricordare che la Navarma, la società del Moby Prince, beneficiò di una plusvalenza sul traghetto proprio in forza di un quadro assicurativo emerso grazie al lavoro della commissione d’inchiesta del Senato. L’azienda controllata da Onorato e dalla madre dopo l’incidente incassò un risarcimento del danno a valore di polizza, 20 miliardi, e non di perizia: il valore fu tre volte quello del traghetto. Una delle due polizze assicurative proteggeva il traghetto da “rischi guerra”, includendo nella definizione anche atti terroristici, come appunto l’esplosione di polvere nera o qualsiasi altra sostanza detonante. E nelle copie delle due polizze trasmesse nel 1992 alla Procura di Livorno dal legale della compagnia Carlo Borghi, del foro di Livorno, solo quella “rischi guerra” è firmata.

Quanto all’esplosione nel locale eliche di prua “la commissione d’inchiesta ha solo ribadito un fatto già noto – precisa a ilfattoquotidiano.it Gabriele Bardazza, consulente tecnico dei fratelli Chessa, i figli del comandante del traghetto morto a bordo insieme alla moglie – cioè che non è stata causata da un ordigno militare ovvero ad alto potenziale. Ma nulla dice circa una possibile esplosione causata da un ordigno a basso potenziale come la polvere nera. Il dubbio rimane e per toglierselo basterebbe seguire l’indicazione del maggiore Paride Minervini, esperto esplosivista nominato dalla Commissione d’inchiesta, che nel dicembre 2017 suggeriva nella sua relazione di eseguire opportune analisi di laboratorio sui reperti rinvenuti e conservati nell’archivio del tribunale a Livorno”.

Nella foto in alto: lo squarcio provocato sul ponte di manovra del Moby Prince dall’esplosione avvenuta nel locale eliche di prua.

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