ottobre 2020

Il 1° novembre è il giorno di tutti i Santi, noto popolarmente come Ognissanti. È una festa cristiana che celebra la gloria e l'onore di tutti i santi, compresi quelli non canonizzati. Le sue origini, però, si perdono tra sacro e profano.

Storia

Le commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad essere celebrate nel IV secolo. La ricorrenza della Chiesa occidentale potrebbe derivare dalla festa romana che celebra l'anniversario della trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata alla Vergine e a tutti i martiri, avvenuta il 13 maggio del 609 o 610. In seguito, Papa Gregorio III (731-741) scelse il 1º novembre come data dell'anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie "dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori". Arrivati ai tempi di Carlo Magno, la festa era diffusamente celebrata in novembre. Il 1º novembre venne decretato festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio, nell'835.

Tradizioni di tutto il mondo

In diversi Paesi, inclusa l’Italia, il giorno di Ognissanti è un giorno festivo, mentre non lo è il giorno della Commemorazione dei defunti (2 novembre). Di conseguenza, molte persone visitano il cimitero nel giorno di Ognissanti. In Austria e Baviera è consuetudine il 1° novembre che i padrini diano ai loro figlioli una pasta lievitata intrecciata (Allerheiligenstriezel). In Portogallo, nel Dia de Todos los Santos, i bambini vanno di porta in porta e ricevono torte, noci, melograni, dolci e caramelle. Il giorno di Ognissanti in Messico coincide con il primo giorno della celebrazione del Giorno dei Morti (Día de Muertos). In Guatemala, nel giorno di Ognissanti si prepara un pasto speciale chiamato "fiambre", fatto di salumi e verdure, da lasciare sulle tombe dei propri cari; è anche consuetudine far volare degli aquiloni come simbolo di unione tra i morti e i vivi.

Ognissanti e Halloween

Negli Stati Uniti e in Canada, la festività di Halloween viene celebrata in occasione del giorno di Ognissanti, sebbene le celebrazioni siano generalmente limitate al 31 ottobre. Nel corso del XX secolo l'osservanza è diventata in gran parte secolare, sebbene alcuni gruppi cristiani abbiano continuato ad abbracciare le origini cristiane della festa. Nella notte di Halloween, i bambini si vestono in costume e vanno di porta in porta a chiedere caramelle ("dolcetto o scherzetto") mentre gli adulti possono organizzare feste in costume.

Il Samhain irlandese

Il Samhain è un'antica festa celtico-pagana, celebrata tra il 31 ottobre e il 1º novembre, e conosciuta spesso anche come Capodanno celtico. Risalente al VI secolo a.C. o addirittura prima, il suo nome deriverebbe dall'irlandese antico e si suppone significhi "fine dell'estate", mentre in gaelico (irlandese moderno) significa "novembre". Le celebrazioni di Samhain, sia quelle religiose che folcloristiche, hanno origine da un'antica festività del paganesimo celtico, che si suppone abbia influenzato anche la festa popolare di Halloween e la festività cristiana di Tutti i Santi.



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Tutti all’inseguimento delle Mercedes, tanto per cambiare. Anche nel 13esimo appuntamento stagionale con la Formula 1, il copione è sempre lo stesso. Questa volta però davanti a tutti scatterà Valtteri Bottas, seguito dal compagno di squadra Lewis Hamilton. Sono stati loro i più veloci nelle qualifiche sul circuito di Imola nel week end del Gran Premio dell’Emilia-Romagna. A due passi da casa nuovamente in difficoltà le Ferrari di Charles Leclerc e Sebastian Vettel.

Il monegasco scatterà dalla settima posizione in griglia, mentre il tedesco – eliminato nella Q2 – partirà addirittura 14esimo. In seconda fila Max Verstappen con la Red Bull e Pierre Gasly a bordo dell’AlphaTauri. Il gran premio sarà visibile trasmesso su Sky Sport F1 HD (canale 207 del decoder satellitare) e in streaming sull’app SkyGo o per gli abbonati NowTv. La gara sarà trasmessa in diretta anche su Sky Sport Uno (canale 201) e anche in chiaro, sempre in diretta, su TV8. La partenza è prevista alle 13.10.

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 Il governo accelera sulle nuove misure anti-contagio. Il Comitato tecnico scientifico suggerisce di non effettuare né il lockdown nazionale né quello regionale, ma chiusure provinciali laddove necessario. Oggi nuove riunioni dei tecnici, dei ministri Boccia e Speranza con le Regioni e di nuovo della maggioranza. Il centrodestra chiude a un tavolo bipartisan: e' tardi

 



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La festa di Halloween affonda le sue origini probabilmente nel passato remoto dell’Irlanda e delle tradizioni di popoli antichi come i Celti che festeggiavano il momento di passaggio tra la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno. I fenomeni migratori hanno portato la festa negli Stati Uniti dove ha assunto la forma che conosciamo, perdendo il suo significato originario e affermandosi di più come evento consumistico. Con modalità simili è diventata popolare anche in Italia negli ultimi anni.

Anche se le origini non ci appartengono e molti la contestano per questo, i bambini sembrano apprezzarla molto, sia per il divertimento, sia perché è un’occasione per prendersi gioco delle proprie paure, di stare per un giorno dall’altra parte e osservare gli oggetti della paura da un altro punto di vista. Un’occasione di riscatto dunque, alle loro più profonde insicurezze. Anche se il Covid ha reso le cose più difficili, con un po’ di fantasia si troverà un modo per festeggiare anche quest’anno.

Le paure dei bambini sono potenzialmente infinite, molto legate alle storie individuali, ma ne esistono alcune, considerate specifiche dell’età evolutiva, che rappresentano una tappa naturale dello sviluppo, non dipendenti da traumi o da un’educazione sbagliata.

La paura del buio, con i mostri che l’accompagnano, è tra queste. Al buio tutto appare diverso, il bambino ha paura che ci siano mostri in agguato negli armadi o sotto il letto, ha paura dei fantasmi, delle streghe, degli zombie, del lupo cattivo o dell’uomo nero… il buio rappresenta per lui l’assenza di punti di riferimento e la paura dell’ignoto, di ciò che è sconosciuto, interno o esterno a sé.

Il mondo interno del bambino è fatto di preoccupazioni e insicurezze, di sentimenti di fragilità che vengono proiettati all’esterno e prendono la forma di figure fantastiche in movimento, perché per i bambini tutto è animato.

Spettri e mostri rappresentano a volte anche i cattivi sentimenti: quando provano rabbia o collera, i bambini mascherano queste emozioni sotto altre forme di pericolo, prendendo in prestito oggetti della quotidianità e facendo convergere su di essi le loro emozioni confuse. Le paure del buio e dei mostri nella maggior parte dei casi spariscono naturalmente quando, crescendo, il bambino comincia a riconoscere e a gestire meglio le proprie emozioni.

Ad Halloween egli personifica e interpreta i personaggi spaventanti e nel farlo li ridicolizza e li relativizza avendo un ruolo attivo nel processo. Chi ha paura del buio e si traveste da creatura della notte, zombie o vampiro che sia, trasforma l’oscurità in opportunità di gioco e la paura in eccitazione e divertimento.

Gli intrattenimenti spaventosi, ma condivisi con gli amici e in famiglia, ridimensionano le proprie paure, le rendono più affrontabili e questa percezione può permanere anche oltre la giornata di festa.

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Dove sei? di Roberta Lena (People, 187 pp., 16 euro) è la storia vera di una donna – l’autrice – che ha dovuto penare nove mesi sapendo che la figlia era in Siria arruolata nelle unità femminili curde che combattevano contro i jihadisti dell’Isis.

Cosa avrà potuto significare, per centinaia di genitori europei, accettare in questi anni l’idea che le figlie o i figli combattessero volontari, dalla parte dei socialisti curdi e dei loro alleati democratici, contro i foreign fighter islamisti, altrettanto europei, che contribuivano a imporre lo Stato islamico?

Abbiamo conosciuto Annalisa e Alessandro, i genitori di Lorenzo Orsetti, caduto in battaglia nel 2019; e le altre? E gli altri? Non è facile accettare scelte simili da parte dei propri figli. Gesti che, per quanto giusti e generosi, lasciano dubbi sul valore che essi danno alla propria vita, sacrificata per quella degli altri, a un’esistenza frutto anche dell’amore e di sacrifici altrui. Ne nasce una sofferenza difficile da descrivere, che Roberta Lena ha ben sintetizzato con un verso di De André: “Non fossi stato figlio di Dio/Ti avrei ancora per figlio mio” (Tre madri).

Le condizioni in cui si trovava sua figlia, Maria Edgarda detta Eddi, hanno impedito spesso la comunicazione, lasciando Roberta costantemente nel dubbio che fosse già morta (da cui il titolo); tanto più con le terribili evoluzioni militari in cui è stata coinvolta: l’invasione turca di Afrin (2018) che ha provocato duemila morti tra le sue compagne e compagni, compresa l’amica britannica Anna Campbell, e 200mila profughi.

Roberta non ha potuto evitare dissidi con lei nei rari momenti di comunicazione, fino a immaginare silenziosamente un’assenza di pietà per lei come madre, o ad accusare come pugnalate frasi o parole distratte di conoscenti e colleghi, incapaci di comprendere una condizione che nessuno vorrebbe vivere.

Lei, attrice e regista, vive una condizione sui generis, quella del teatro: scorre lo smartphone in attesa delle ultime dalla Siria e dal Kurdistan dietro le quinte della sua rappresentazione o con amici e colleghi a un ricevimento di lavoro. Riga dopo riga Dove sei? scompone la percezione frivola del mondo che associamo allo spettacolo, rivelandone la crudeltà. Le persone che ci lavorano appaiono modeste, a volte povere e quasi sempre precarie (e prima del Covid); e alle difficoltà economiche si aggiunge, per le donne, la sorda persistenza di uno stigma inespresso e sottile, duro a morire.

Roberta è nuova a Torino, si è trasferita da Roma, e non può far altro, nella sua solitudine, che cercare conforto e attenzione attraverso le pagine dei social network. È un momento toccante del libro. Emana qui il senso di silenzio che avvolge l’essere umano nei momenti decisivi, gli stessi che forse viveva Eddi in quei giorni; un silenzio che sa di minaccia, o cela una condanna che nessuno oserebbe proferire, ma che si abbatte poiché nessuno proferisce fino in fondo il suo contrario.

Il finale della storia è ambivalente e in parte ancora da scrivere. La sua parte lieta – la più importante – è che Eddi è tornata senza ferite che si debbano o possano curare in ospedale. L’altra è che il 17 marzo il Tribunale di Torino l’ha dichiarata “socialmente pericolosa” in base a una norma le cui origini risalgono al fascistissimo 1931 – la “sorveglianza speciale” – che permette di limitare libertà e diritti civili senza accuse e senza processo, come è stato nel suo caso.

Nessuno ne ha parlato a causa della pandemia che calava sull’Italia in quei giorni, ma ogni volta che un professore francese o un civile siriano vengono decapitati in nome di Dio, dovremmo chiederci perché Maria Edgarda deve rientrare a casa ogni giorno alle 21 e non può uscire fino alle 7; avvicinarsi a locali pubblici dopo le 18 (e il Dpcm non c’entra); partecipare a riunioni o intervenire in pubblico; o perché deve portare con sé un “libretto rosso” su cui la polizia possa annotare ogni giorno… che cosa? Che mentre si diffondeva il virus qualcuno si preoccupava della solidarietà tra donne, là dove esse venivano segregate, mutilate e lapidate? Questa nobiltà di Eddi era in verità l’unica certezza che sorreggeva una madre distrutta durante la sua assenza, dando un senso alla sua angoscia.

Il 12 novembre Roberta sarà davanti al tribunale di Torino per l’ultimo appello legale in favore di sua figlia. Sono due, questa volta, le donne da non lasciare sole.

L'articolo Eddi Marcucci, il finale è ancora da scrivere: intanto sua madre ha raccontato la loro storia proviene da Il Fatto Quotidiano.



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E’ solo un caso.

Più o meno in concomitanza con la pubblicazione del mio post della scorsa settimana relativo ai rischi insiti nei prodotti made in Liechtenstein, c’è stata la sospensione del lancio sul mercato italiano del prodotto assicurativo di PrismaLife, una primaria compagnia assicurativa del piccolo principato.

Probabilmente le autorità di casa nostra, in primis l’Ivass (l’autorità di vigilanza assicurativa), si sono svegliate dal torpore in cui erano cadute negli ultimi anni richiedendo chiarimenti e il blocco del lancio alla Fma (Autorità di Vigilanza del Mercato Finanziario del Liechtenstein), visto che l’autorità di casa nostra non ha potere di intervento sulle compagnie estere.

A dire il vero, almeno fino ad oggi, nella sezione italiana del sito di questa compagnia non sono più disponibili, contrariamente a quanto presente fino a qualche settimana fa, i documenti relativi al prodotto dedicato ai risparmiatori di casa nostra. Non solo ma, aspetto ancora più rilevante, non vi sono neppure più notizie relative al distributore, cioè il soggetto che avrebbe dovuto venderle.

Eppure nelle scorse settimane erano apparsi alcuni articoli sulla stampa tedesca che preannunciavano in pompa magna l’imminente lancio di un prodotto retail (una polizza assicurativa Unit Linked) dedicato al mercato italiano da parte di PrismaLife. E’ stato solo un caso, probabilmente, perché i problemi di PrismaLife erano noti già da tempo anche all’Ivass.

Infatti, secondo il sito mlm-news.net, PrismaLife, fondata nel 2000 nel Liechtenstein, fa parte di un gruppo finanziario tedesco (AFA Ag) interamente controllato da un singolo imprenditore, Sören Patzig, che è anche a capo di una società di brokeraggio finanziario che distribuisce i prodotti di PrismaLife secondo lo schema del marketing multilivello.

E ciò in barba ad ogni regola di disciplina del conflitto di interessi, visto che chi distribuisce il prodotto è anche proprietario della compagnia di assicurazioni. Il distributore, infatti, dovrebbe essere indipendente e fornire consulenza ai potenziali clienti.

Non solo, ma dell’azienda si chiacchiera dalla fine del 2016, quando il giornale Süddeutsche Zeitung ne segnalò i notevoli problemi finanziari, parlando di una “notevole strozzatura di liquidità” e della ricerca attiva di investitori per aumentare il capitale proprio. Cosa che pare sia avvenuta nelle scorse settimane, con l’acquisto del 25% delle azioni di PrismaLife da parte della compagnia assicurativa tedesca Barmenia, di cui AFA Ag è il maggiore distributore in Germania.

E’ stato solo un caso. Ma, come disse Voltaire, ”il caso non esiste: tutto è prova ovvero punizione, ricompensa o… previdenza”.

L'articolo Liechtenstein, sui prodotti assicurativi l’autorità di casa nostra dev’essersi svegliata dal torpore proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Erano ampiamente previste delle reazioni alle parole pronunciate dal presidente francese Emmanuel Macron in riferimento alla crisi dell’islamismo, crisi che si sta pienamente dimostrando con la recrudescenza della violenza e dell’intolleranza. Un punto che bisogna subito sottolineare è che queste tematiche hanno da sempre scatenato reazioni e dibattiti accesi.

Probabilmente la situazione che stiamo vivendo, cioè il conflitto interreligioso, oggi è viziata da un altro fattore: la manipolazione politica da parte di uno stato esterno all’Europa, nella fattispecie della Turchia. Questo paese negli ultimi mesi si è reso protagonista di diversi fatti e azioni, sia in ambito internazionale che interno. Dal punto di vista internazionale sono da rimarcare le azioni di politica estera in scenari quali Libia, Siria e più in generale Mediterraneo orientale. Dal punto di vista interno emblematica la trasformazione di Santa Sofia da museo a moschea.

Ritornando sull’argomento delle vignette satiriche, in questo caso la copertina della rivista satirica francese Charlie Hebdo esse rappresentano sempre un problema fondamentale, non tanto per i contenuti, quanto per la capacità di scatenare e acuire conflitti latenti ma sempre aperti, e creare anche gravi conseguenze.

Se proviamo ad analizzare il nodo del problema, condannando sempre e comunque la violenza, è importante cercare di trovare una soluzione condivisa e duratura al fenomeno che per ora riesce a destabilizzare società che fino ad oggi erano considerate pacifiche e con una buona capacità di accoglienza dell’altro. Paesi che non hanno mai negato la pratica e la manifestazione personale del proprio credo religioso, all’interno della cornice dello stato laico.

Dal mio punto di vista, anche grazie all’esperienza maturata in tanti anni di studio e ricerca proprio su questi temi, cioè l’interculturalità e i conflitti sociali che possono scaturire da essa, si possono individuare in questo scenario, di per sé complesso, due modelli e dinamiche di pensiero dominanti. Lo scontro tra i due modelli può determinare in alcuni frangenti il problema che stiamo affrontando oggi, di difficile gestione e soluzione.

I due modelli, che rispondono anche a precise dinamiche, sono da identificarsi in un primo rappresentato da un pensiero emancipato rispetto alle regole e tabù religiosi, che ha sviluppato il concetto di libertà e su di esso ha fondato la propria identità. Il secondo, che è molto presente all’interno di molte società anche occidentali, è incentrato sulla sacralità religiosa, che governa ogni agire, e che va al di là della pura fede e anche dei personaggi religiosi di riferimento. Il conflitto, l’attrito tra i due modelli si crea quando si cerca di imporre la sacralità al primo modello e il concetto di libertà al secondo.

Oggi come oggi, la situazione che gli europei stanno vivendo è a dir poco scioccante. Hanno il nemico in casa. Questo modello di terrorismo emergente, che colpisce in modo brutale e frequente, rappresenta un doppio fallimento: da un lato delle politiche europee dell’immigrazione e dall’altro delle politiche di integrazione.

Il terrorismo ha cambiato strategia: mentre dall’attentato alle Torri gemelle in poi l’intelligence si è concentrata sul prevenire le azioni terroristiche di gruppi altamente addestrati e con una tecnologia sofisticata, oggi questo modello di azione è obsoleto. Oggi è tutto molto più easy, veloce e imprevedibile.

L’azione in sé è nelle mani di singoli individui che operano nel proprio territorio di riferimento, con armi proprie e obiettivi che decidono in autonomia. Il terrorista non è uno straniero, ma è quello che si definisce “lupo solitario”, il terrorista è il vicino di casa. Questa è una manifestazione della strategia del terrore ideata dall’Isis, che ancora oggi miete vittime.

Questo è un momento decisivo per risolvere il problema prima che diventi insormontabile. La chiave di volta sono le politiche sulle migrazioni e l’identificazione precisa di chi siano effettivamente i rappresentanti, gli interlocutori idonei delle comunità islamiche che vivono nei paesi europei. Uno dei nodi da sciogliere è che l’Europa ha spesso confuso il tema dei diritti umani con i rischi del terrorismo. Questo perché in entrata non vengono in nessun modo selezionati gli immigrati, come invece capita in paesi quali Canada, Nuova Zelanda e Australia.

Con la politica del “dentro tutti” l’Europa si trova a ricevere i migranti meno fortunati, meno ambiti, più fragili, che in alcune occasioni poi cadono nelle trappole delle organizzazioni terroristiche. Quando un immigrato, anche di seconda generazione, non si integra, da un lato lo Stato è responsabile di ciò, ma molta responsabilità hanno anche i capi delle comunità di provenienza.

Infatti capita, purtroppo troppo spesso, che all’interno delle comunità minoritarie si creino e si vivano vie e vite parallele. Si utilizzano da un lato i vantaggi di essere presenti in un certo paese, ma non ci si integra, vivendo spesso una doppia vita. E oggi questa situazione sta peggiorando, anche a causa della crisi economica. Diventa quindi fondamentale individuare immediatamente chi sono i rappresentanti di una certa comunità e cercare il dialogo, per preservare la stabilità sociale.

Ultimamente le comunità minoritarie sono entrate in un altro “grande gioco”, quello del consenso elettorale. Volenti o nolenti sono utilizzate come pedine nel gioco politico, soprattutto in caso di elezioni. Per quanto riguarda nello specifico la Francia, oggi è il nemico numero uno di un altro paese: la Turchia. Erdogan ritiene che le comunità islamiche presenti in territorio francese possano essere lo strumento della propaganda anti francese. Un altro nemico in casa, anche se non terroristico, ma a livello di pensiero politico.

Gli strumenti per ovviare a questa situazione sono molto razionali: non bisogna mai generalizzare, infatti il vero pericolo è quello della reciproca intolleranza. Inoltre è necessario non negare i modelli di integrazione e la loro dimensione e anzi è prioritario rafforzarli. È anche necessario non cadere nella trappola della strumentalizzazione politica che può minare la stabilità sociale di uno stato. I governi sono chiamati ad annientare i rischi e contestualmente gestire i rapporti sociali, soprattutto oggi che combattiamo anche contro una pandemia.

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Ogni giorno i Paesi europei continuano a far registrare numeri di contagi record, con la pandemia che ormai ha costretto gran parte dei governi a ricorrere a nuove restrizioni. In Germania, nelle ultime 24 ore, i nuovi positivi hanno per la prima volta superato la soglia dei 19mila casi (19.059), registrando anche 103 decessi. Si tratta del quarto giorno consecutivo in cui il Paese fa registrare un record di casi, superando così le 500mila infezioni dall’inizio della pandemia, con oltre 10mila vittime e le nuove norme imposte dalla Cancelliera Angela Merkel che scatteranno da domani.

Secondo media britannici come il Times e il Guardian, anche il governo di Londra sembra ormai deciso a tornare a una forma di lockdown nazionale per cercare di arginare l’onda di contagi che non accennano a diminuire. Boris Johnson, dopo aver resistito nei giorni scorsi al suggerimento d’imporre un confinamento generalizzato di due settimane, si prepara ad annunciarne dalla prossima settimana uno più lungo nell’intera Inghilterra. Le stime parlano di una potenziale diffusione del virus nell’inverno fino a quattro volte superiore rispetto allo scenario “peggiore” tracciato dagli stessi scienziati nei mesi scorsi e la minaccia di altri 85mila morti.

In Spagna, invece, centinaia di persone sono scese in piazza a Barcellona per protestare contro le recenti misure anti-Covid che prevedono il coprifuoco e il divieto di lasciare la città durante il weekend di festa. Secondo un portavoce del Mossos d’Esquadra, oltre 700 persone erano in strada per la manifestazione. Cinquanta di loro hanno poi “cominciato a lanciare oggetti pericolosi” contro gli agenti. Registrati anche alcuni saccheggi nei negozi, così come danneggiamenti alle auto delle forze dell’ordine. Cinquanta agenti sono rimasti feriti e 12 persone sono state invece arrestate, come ha confermato la polizia su Twitter.

Uscendo dall’Europa, anche negli Stati Uniti si registra una nuova ondata record: nelle ultime 24 ore si sono contati 94mila nuovi casi di coronavirus, un numero senza precedenti nel Paese dall’inizio della pandemia, come riporta la Johns Hopkins University. Altre rilevazioni parlano addirittura di 97mila nuovi casi.

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Un uomo di 33 anni è stato arrestato dalla polizia francese nell’ambito delle indagini sull’attentato terroristico compiuto giovedì nella basilica di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza dal 21enne tunisino Brahim Aoussaoui, che ha ucciso tre persone. A riferirlo è l’emittente Bfmtv, spiegando che l’uomo si trovava a casa di una delle altre due persone arrestate. Si tratta del terzo arresto nel giro di due giorni: già altri due individui, un 31enne e un 47enne, sospettati di aver avuto contatti con il terrorista sono stati fermati dalla polizia con l’accusa di aver “affiancato l’autore dell’attacco nella giornata precedente l’attentato”.

Le autorità francesi continuano a indagare per capire se esista una regia dietro all’attacco di giovedì mattina, nonostante Brahim Aoussaoui, attualmente ricoverato in prognosi riservata all’ospedale di Nizza, abbia dichiarato di aver fatto tutto da solo. Ma anche la procura di Palermo ha aperto un fascicolo a suo carico: questa notte, ad Alcamo, centro del trapanese, sono state eseguite perquisizioni dagli uomini della Digos di Palermo, guidati dal Procuratore Francesco Lo Voi, alla ricerca di tracce del passaggio di Brahim Aoussaoui, l’attentatore tunisino di 21 anni di Nizza. Nel mirino degli inquirenti sono finiti alcuni negozi, tra cui un venditore di kebab, della zona da lui frequentata.

Sembra infatti che il giovane tunisino, sbarcato a Lampedusa il 20 settembre, sia rimasto per almeno 12 giorni ad Alcamo da un amico. Il trentenne è stato ascoltato fino all’alba dagli uomini del Dipartimento antiterrorismo ma al momento non è in stato di fermo. Il Dipartimento antiterrorismo della Dda di Palermo indaga sui passaggi del giovane dall’arrivo a Lampedusa al trasferimento a Bari e poi il ritorno in Sicilia, dove è rimasto per due settimane prima di spostarsi per raggiungere la Francia. La Direzione distrettuale antimafia di Palermo sta indagando sui rapporti tra Brahim Aoussaoui e il giovane di 30 anni che è stato sentito a lungo dalla Digos: quest’ultimo ha detto agli inquirenti di aver ospitato l’amico per almeno dieci o 12 giorni ad Alcamo. Sembra che l’uomo stia collaborando con gli investigatori, anche se solo “il minimo indispensabile”, come apprende l’Adnkronos. Brahim sarebbe stato ospite dell’amico fino a una settimana fa quando ha raggiunto la Francia. L’inchiesta è coordinata dal Procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Marzia Sabella.

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Faccio un appello ai medici di base e ai pediatri di libera scelta, che saranno importantissimi nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Dalla prossima settimana i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta potranno somministrare i test molecolari rapidi antigenici ai loro assistiti, questa è una prima cosa importante. Le persone che ricevono la notizia di essere un primo contatto stretto devono avere la possibilità di rivolgersi al loro medico che deve avere la possibilità di fargli un test rapido”. Lo ha detto a SktTg24 Economia il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri. “Dalla prossima settimana”, ha aggiunto, “ne distribuiremo 10 milioni”.

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Polizia e manifestanti si scontrano in Placa de Sant Jaume, a Barcellona, durante le proteste contro le restrizioni prese per contenere il contagio da coronavirus. Gli scontri sono scoppiati quando centinaia di persone si sono radunate nel centro della città per protestare contro le restrizioni, che includono il coprifuoco delle 22 e il divieto di lasciare la città per il lungo weekend di vacanza.

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Prima notte di presidio permanente in fabbrica per gli operai dello stabilimento Whirlpool di Via Argine a Napoli. Al termine dell’ultimo turno i lavoratori della multinazionale americana, che nelle scorse ore ha confermato la chiusura a partire da oggi 31 ottobre, invece di tornare a casa hanno allestito un presidio h24. “Per noi questo licenziamento è come una condanna a morte – spiega Vincenzo Accurso operaio Whirlpool RSU Uilm – fuori non c’è nulla e perdere il lavoro in un periodo storico come questo è una tragedia”.

Una protesta che proseguirà ad oltranza. “Non possiamo fare altro che difendere questa fabbrica, questo lavoro, il lavoro che è stato dei nostri padri e delle nostre madri – racconta Italia Orofino, operaia Whirlpool – oggi è stato tremendo venire a lavorare, varcare quella soglia, percorrere quel corridoio e sapere che era l’ultima volta, ma non ci arrendiamo, noi restiamo qui”.

Italia e i suoi 350 colleghi percepiranno lo stipendio fino al mese di dicembre. “Al domani non riesco nemmeno a pensare – ci racconta – ci pagheranno fino a dicembre ma questo non ci cambia nulla, è un contentino, si sono rubati il nostro futuro, il futuro di una fabbrica pluripremiata nel mondo e ancora non sanno dirci perché vogliono chiudere l’impianto di Napoli, i numeri delle perdite di cui parla l’azienda nessuno li ha mai visti. Noi non vogliamo sostegno economico, noi vogliamo solo lavorare e fare quello che da sempre abbiamo fatto, ottenendo diversi riconoscimenti che oggi questa azienda sembra ignorare dopo averci elogiati e dopo aver siglato con noi, 18 mesi fa, un accordo che poi ha stracciato”.

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Nella campagna fuori Latrobe, Pennsylvania, c’è una vecchia casa dipinta a stelle e strisce. Nel giardino si staglia una sagoma in metallo di Donald Trump, alta oltre quattro metri. La gente, una mattina di metà ottobre, si snoda in una lunga coda. Aspettano che la “Trump House” apra. Alle 11 in punto arriva Leslie Rossi, che la possiede e gestisce insieme al marito. La “Trump House” mette a disposizione ogni tipo di gadget: cappellini, penne, spillette, cartelli. Tutti, rigorosamente, con l’immagine del presidente. “Quando l’ho presa, quattro anni fa, era solo una casa in rovina. Guarda cos’è ora”, dice Rossi, mentre accoglie i primi fan.

Alla “Trump House” ci si può anche registrare per il voto. Ma molti arrivano semplicemente per sentirsi rassicurati. “Fa piacere vedere una fila così lunga”, spiega Tom, 65enne ex-commerciante di birra, da sempre repubblicano. “I sondaggi dicono che il presidente è in svantaggio, ma non ci credo, la gente è con lui”. Poco lontano, anche lei in coda, c’è Sarah Landsdale, altra pensionata, che racconta di “essere venuta qui per i miei nipotini, vogliono mettere in giardino un cartello di Trump. Ne abbiamo già tre, ma non bastano mai”. Anche Sarah è convinta che Trump ce la farà: “Ha sconfitto le peggiori aspettative nel 2016. Lo farà anche ora”. Da New York arriva Linda, che di mestiere guida la metropolitana. “Il presidente è vittima di un complotto – dice -. Si sono inventati la cosa del Covid per impedirgli di organizzare gli eventi di raccolta fondi”.

Latrobe, nel sud-ovest rurale della Pennsylvania, è terra di Trump. Qui il presidente ha raccolto consensi record nel 2016, che gli hanno permesso di conquistare lo Stato per soli 44mila voti (su oltre 6 milioni di voti espressi). Trump è stato il primo repubblicano a vincere la Pennsylvania, dopo quasi trent’anni di dominio democratico. Ora le cose non sembrano andare così bene. I sondaggi lo mostrano in svantaggio su Biden: la media compilata dal RealClearPolitics dà il democratico avanti di 3,8 punti. In Pennsylvania quindi Trump si gioca il tutto per tutto. Ci è tornato più volte nelle ultime settimane. In un solo giorno, lunedì, ha tenuto tre dei comizi del suo “Make America Great Again”, davanti alle folle osannanti che ancora riesce a raccogliere. Il messaggio con cui ha cercato di tornare a vincere è stato soprattutto uno: più fracking. “Trump ama il fracking, Biden lo odia”, ha detto il presidente dal podio, dopo aver mostrato un breve video dell’ultimo dibattito, in cui Biden diceva di voler superare la dipendenza dal petrolio.

Il fracking, o fratturazione idraulica, è la tecnologia che sfrutta la pressione dei liquidi per provocare fratture negli strati rocciosi del terreno e favorire la fuoriuscita di petrolio e gas naturale. In Pennsylvania, fino a 50mila persone lavorano nel settore (considerato anche l’indotto), concentrate nella regione degli Appalachi. Biden non ha detto di voler abolire il fracking, come adesso sostiene Trump, ma piuttosto che intende bloccare i finanziamenti federali per l’industria petrolifera, bandire l’estrazione sulle terre di proprietà federale e passare nel giro di trent’anni a fonti di energia rinnovabile. Ma l’occasione, per la campagna di Trump, è troppo ghiotta e il presidente in un comizio ad Allentown ha ripetuto: “Biden vuole l’eolico. Quindi niente fracking, niente lavoro, niente energia per le famiglie della Pennsylvania. Niente. Niente. Niente”. Difficile dire quanto il messaggio farà breccia tra gli elettori. Un sondaggio CBS dello scorso agosto mostrava che una maggioranza esigua di residenti dello Stato si oppone al fracking. Ma la campagna repubblicana esulta. Starebbe ricevendo telefonate preoccupate e indignate dal sindacato che teme la perdita di migliaia di posti di lavoro.

Nelle stesse ore in cui Trump raccontava il suo “amore” per il fracking, Biden faceva anche lui più volte visita in Pennsylvania. Non solo Biden, comunque. Proprio in Pennsylvania, a Philadelphia, è stato mandato Barack Obama per il suo primo comizio di questa stagione elettorale segnata dall’emergenza Covid: un drive-in rally, quello di Obama, un comizio in cui la gente è arrivata in auto nel parcheggio del Citizens Bank Park e dalle auto ha ascoltato le parole dell’ex presidente. La scelta di Philly per Obama ha un senso. La città è per il 40 per cento nera e alla partecipazione al voto dei neri sono affidate le speranze di vittoria. Qui nel 2016 Hillary Clinton perse appunto per soli 44mila voti, e 240mila afro-americani registrati non si presentarono alle urne. Lo sforzo di attivisti, associazioni no-profit, militanti democratici, autorità cittadine, è allora quello di convincere che votare non è un esercizio inutile. Per farlo, ci si inventa di tutto. Per esempio il reverendo Alyn Waller, pastore della più frequentata chiesa nera di Philadelphia, monta regolarmente sulla sua Harley-Davidson Tri Glide Ultra e guida i Black Bikers sotto la statua di Octavius Valentine Catto, un attivista nero ucciso a Philadelphia il giorno delle elezioni del 1871. Bandana nera e chiodo in pelle, il reverendo Waller spiega che “quest’anno non votiamo per i democratici o i repubblicani. Quest’anno votiamo per l’anima della nostra nazione”.

Philadelphia e Pittsburg sono le due aree in cui l’affluenza al voto è tradizionalmente più alta e dove i democratici stanno quindi lanciando il loro sforzo più disperato. L’obiettivo non sono soltanto le comunità afro-americane. Le donne dei sobborghi urbani sono l’altro gruppo conteso. A un rally nel sud-est dello Stato, a inizi ottobre, Trump si è rivolto proprio alle donne della Pennsylvania e le ha implorate. “Donne dei sobborghi, per piacere, mi volete almeno un po’ di bene? – ha detto -. In fin dei conti, ho salvato i vostri dannati sobborghi”. “Non mi ha fatto nemmeno un po’ di effetto – dice ora Laura Siegel, che vive a Devon, un quartiere di case in pietra e legno bianco nel mezzo di prati e rigogliosi giardini -. Trump vuole spaventarci. Non penso che questa volta ci riuscirà”. Laura spiega che per lei “Trump è ridicolo e ha fatto diventare l’America ridicola agli occhi del mondo”. Quanto è forte il credito del presidente tra le donne della Pennsylvania? “Ormai poco, molto poco – risponde Laura, che dice di avere due figlie non ancora in età di voto ma che detestano il modo in cui Trump si pone nei confronti delle donne. “E tutte le mie amiche e conoscenti non lo voteranno”, spiega, anche se ammette che “Trump può avere un suo fascino per certi americani. Comunica un’idea di forza arrogante e insofferente dei limiti”.

Il fatto è che nessuno può, con assoluta certezza, dire chi vincerà i venti voti elettorali della Pennsylvania, che quest’anno potrebbero essere davvero decisivi. Se i sondaggi danno Biden in vantaggio, ci sono segnali positivi anche per i repubblicani. Tra il 2016 e l’ottobre di quest’anno la registrazione al voto dei repubblicani ha registrato un più 235mila. E l’entusiasmo per il presidente è palpabile in molte zone dello Stato, nelle aree più rurali di Luzerne, Erie, Northampton, dove non c’è casa che non abbia in giardino un cartello pro-Trump e dove la domenica pomeriggio i Bikers for Trump si mescolano ad anziane signore che offrono aranciata e biscotti nelle “merende per Trump”. “Sarà una battaglia all’ultimo voto”, ammette Patrick O’Hara, un avvocato di Philadelphia. Lui nel 2016 aveva votato Trump, quest’anno passa ai democratici. Ma, spiega, “ho diversi amici, soprattutto i più anziani, che non ne vogliono sapere di mollare Trump. Dicono che ha fatto tanto per l’America, e che tornerà a fare bene dopo questo dannato Covid”.

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E’ un De Luca showman quello portato da Maurizio Crozza sul palco di Fratelli di Crozza, in onda tutti i venerdì in prima serata sul Nove. Il Governatore della Campania è ormai incontenibile dopo le recenti apparizioni tv da Fazio: “Si è starato il contatore degli ascolti durante i cinque minuti in cui ero in onda. Ormai sono mesi che Amadeus mi chiama supplicandomi di non fare concorrenza a Sanremo altrimenti fa un numero di spettatori pari agli iscritti al partito di Pippo Civati“.

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Il governatore Luca Zaia non si accontenta del 76% di voti delle regionali di settembre. E neppure dei 34 consiglieri su 51 dell’assemblea (lui compreso) che la galassia leghista ha conquistato in Veneto (ma il centrodestra ne ha in tutto 41). E neanche dei tre gruppi consiliari che la rappresentano, ossia “Zaia Presidente”, “Salvini Lega” e “Lista Veneto Autonomia”. Vuole impossessarsi anche dell’opposizione, o meglio prendersi lo scalpo del professore Arturo Lorenzoni, ex vicesindaco di Padova, il suo principale antagonista, che è uscito sonoramente sconfitto, arrivando appena al 15% dei voti. Per farlo, Zaia ha deciso di occupare anche un quarto gruppo consigliare, quello Misto, dove si è accasato Lorenzoni, che non era candidato dal Pd, ma che aveva dato vita al movimento “Il Veneto che vogliamo”. A urne chiuse, ha deciso di entrare nel gruppo-contenitore dove di solito finiscono – per “sottrazione “ – tutti coloro che non si riconoscono degli altri schieramenti. “L’ho fatto per tenere un equilibri tra il Pd, che mi aveva chiesto di entrare come indipendente, e gli altri gruppi della minoranza, compresi i Cinquestelle”.

Ma Lorenzoni ha fatto i conti senza lo strapotere zaiano, che ha deciso di non lasciare nulla all’opposizione. Infatti, due eletti della Lista Zaia Presidente, sono trasmigrati nel gruppo Misto, colonizzandolo. Il primo è Stefano Valdegamberi, veronese, che ha ottenuto quasi 12mila preferenze, risultando il primo degli eletti di tutta la Regione. Eppure, con grande disinvoltura (anche se il passaggio è formalmente legittimo) ha accettato di uscire dalla lista che lo ha visto trionfare per entrare nel Misto, dove peraltro era già nella precedente legislatura, quando però non aveva ancora sottoscritto la tessera leghista, cosa che ha invece fatto la scorsa primavera.

Il secondo è uno strano personaggio, Fabiano Barbisan, di Fossalta di Portogruaro (in provincia di Venezia), fedelissimo di Zaia, fedelissimo leghista, ma che per la seconda legislatura consecutiva accetta, per ragioni di opportunità, di eseguire gli ordini e passare anche lui nel gruppo misto, pur senza abiurare alla maggioranza. Cinque anni fa lo fece perché il governatore Zaia aveva bisogno di occupare una seggiola nella commissione Sanità, ovvero la vicepresidenza appannaggio delle forze di opposizione, strategica nel controllo di Azienda Zero, il braccio operativo dell’assessorato nella gestione sanitaria. “L’ho fatto per una scelta condivisa…” si era giustificato. In una parola, glielo aveva chiesto Zaia, che infatti lo ha rimesso in lista nel 2020.

E così Lorenzoni si trova circondato da due leghisti, ognuno dei quali incasserà un’indennità di funzione non indifferente: in quando presidente del gruppo, Valdegamberi prenderà 2.400 euro al mese, in quanto vicepresidente, Barbisan ne prenderà 2.100 (oltre ai 6.600 di indennità di carica e ai 4.500 rimborsi spese mensili). Inoltre, potranno scegliere il responsabile (non politico) del gruppo che sarà assunto per 5 anni a 3.200 euro al netti al mese e almeno un’altra figura di segreteria. Il professore del centrosinistra commenta: “Zaia aveva 16-17 consiglieri senza indennità di funzione, così ne ha sistemati un paio…”. Non c’è il rischio che i due leghisti mettano il bastone tra le ruote nella scelta del portavoce dell’opposizione, che il centrosinistra ha indicato in Lorenzoni, ma che per essere scelto deve avere l’unanimità dell’opposizione? “No, perchè la Lega ci ha assicurato che Valdegamberi e Barbisan faranno comunque parte della maggioranza, mentre io sarò all’opposizione. – risponde Lorenzoni – E quindi il problema non si pone”. Però potrebbero occupare almeno una poltrona, in commissione, che spetterebbe alle minoranze, come è accaduto cinque anni fa. “Abbiamo chiesto correttezza istituzionale, dovessero occupare posti destinati alle minoranze sarebbe un attentato alle regole del consiglio regionale. E allora ricorreremmo al Tar e andremmo a incatenarci davanti a palazzo Ferro Fini”.

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Un lockdown mirato, solo per i più deboli. Cioè gli anziani. In modo da ridurre la pressione sulle terapie intensive e il tasso di letalità del Covid 19, permettendo al tempo stesso di evitare i contraccolpi economici di una nuova chiusura generalizzata delle attività non essenziali. In questi giorni di ansia per l’andamento dei contagi la proposta, che gli esperti hanno preso in considerazione già durante la prima ondata di coronavirus, sta raccogliendo sostenitori anche in Italia. Sulla carta sembra la soluzione ideale: si tutelano i fragili, si preserva il sistema sanitario, si evita un nuovo crollo del pil. Ma tradurla in pratica, come ammette anche chi promuove l’idea, si scontra con la situazione abitativa dei 3,2 milioni di famiglie (480mila sono il Lombardia) in cui gli over 65 convivono con figli e nipoti. Non solo: Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e consigliere della Società italiana di gerontologia e geriatria, avverte che una decisione del genere rischia di avere conseguenze gravissime – “mortali” – sulla psiche e sul fisico degli anziani. Lo ha mostrato il primo lockdown, che “ha avuto conseguenze anche drammatiche sulla loro salute. Subirlo di nuovo, e in questa ipotesi essere gli unici a subirlo mentre gli altri sono liberi di muoversi, creerebbe un enorme disagio”. A tirare le somme è uno studio pubblicato due settimane fa su Lancet: “L’isolamento prolungato di ampi strati di popolazione è praticamente impossibile e altamente non etico”.

Chi sostiene la proposta e perché – Un distanziamento sociale rafforzato per gli anziani è stato ipotizzato già a marzo dal Covid 19 Response team dell’Imperial College di Londra. E a maggio quattro accademici del Mit sono arrivati alla conclusione che lockdown differenziati per gruppi di rischio “consentono una forte riduzione dei danni economici o della mortalità in eccesso o di entrambi”. Per il presidente della Liguria Giovanni Toti quell’idea è vincente, anche se più che all’isolamento assoluto pensa a “fasce dedicate esclusivamente a chi ha più di 70 anni” nei negozi e “tariffe agevolate per i taxi”. Per la virologa Ilaria Capua invece va “vagliata” l’ipotesi di un confinamento vero e proprio degli anziani. I motivi (sempre in teoria) sono evidenti. Un ricercatore dell’Ispi, Matteo Villa, ha appena pubblicato uno studio in base al quale “sarebbe sufficiente isolare gli ultra-ottantenni per dimezzare o quasi la mortalità diretta del virus”. Mentre “se riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra-sessantenni, la mortalità scenderebbe allo 0,07%, circa dieci volte inferiore” allo scenario di base. Quanto alle terapie intensive, nella regione più colpita – la Lombardia – l’isolamento degli over 60 ridurrebbe “di quasi i tre quarti la pressione sul Sistema sanitario”. “Separare i giovani dagli anziani” è anche il suggerimento degli economisti Carlo Favero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini, collaboratori de lavoce.info, visto che “su oltre 37mila morti per Covid-19, solo 409 avevano meno di 50 anni e solo 19 meno di 30″.

Il problema logistico: 3,2 milioni di over 65 vivono in famiglia – Sono però gli autori stessi a riconoscere che esiste un problema logistico quasi insormontabile. Gli over 60 in Italia sono 17 milioni, quasi un terzo della popolazione. E “molte persone anziane vivono assieme a persone più giovani, e più della metà di loro vive entro un chilometro di distanza dai propri figli”, scrive Villa. Una situazione molto diffusa soprattutto al Sud: stando agli ultimi dati Istat, nella Campania dove oggi il virus dilaga il 17% degli over 65 (362mila persone) vivono insieme ai familiari. In tutte le regioni meridionali la percentuale supera il 14%, con l’eccezione della Sicilia (13%). In Lombardia, la regione con il maggior numero di contagi e di residenti, la quota si ferma all’11% che equivale però a quasi 500mila persone. Il totale italiano arriva a 3,2 milioni di over 65 conviventi con familiari più giovani. Metterli tutti nei Covid hotel? I costi sarebbero “proibitivi”, ragiona il ricercatore Ispi, senza contare che “rischierebbero di agire come nuovi luoghi in cui l’infezione possa provocare contagi di massa, come è avvenuto in molte rsa”. Per risolvere il problema Favero, Ichino e Rustichini arrivano a ipotizzare che il governo possa “offrire voucher che consentano ai giovani che vivono insieme agli anziani di trasferirsi nei numerosi alberghi vuoti e mangiare nei ristoranti attualmente senza clienti. Suggerimenti “non certamente facili da implementare”, ammettono.
A questo va aggiunta una considerazione non secondaria: non è affatto detto – Villa riconosce anche questo – che l’isolamento selettivo sia efficace. Se si infettano anche le suore di clausura, è evidente che basta qualsiasi minimo contatto con l’esterno per correre dei rischi. E un “minimo contatto” sarebbe inevitabile, per la consegna di cibo, medicine e beni essenziali.

Il geriatra: “Sugli anziani avrebbe effetti drammatici. Fino a un aumento della mortalità” – Immaginiamo che si possa fare. Davvero è il modo migliore per tutelare i fragili dal virus? Per il geriatra Trabucchi l’idea va respinta al mittente. “Il primo aspetto è etico e clinico”, spiega al fattoquotidiano.it. “I dati scientifici sono ancora in via di elaborazione, ma io e i colleghi abbiamo osservato durante e dopo il lockdown primaverile conseguenze drammatiche per gli anziani. Depressioni, paure, alterazione del gusto e dell’assunzione di cibo con conseguenti perdita di peso e di voglia di vivere, gravi problemi di sonno. Con effetti pessimi sulla qualità della vita. Una sofferenza psichica e somatica che sarebbe ulteriormente amplificata se isolassimo solo loro mentre gli altri sono liberi di uscire. Non c’è dubbio che potrebbe aumentarne la mortalità”. A questo va aggiunta “l’accelerazione del decadimento cognitivo causata da stress e mancanza di stimoli”. Un quadro che non migliora per chi vive il lockdown in coppia, anche perché “il rapporto può essere reso difficile” dall’assenza di rapporti con il resto del mondo. Il secondo aspetto, continua l’esperto, è strutturale: “Abbiamo verificato che non c’è una rete funzionante a livello territoriale. I medici di famiglia sono pochi, le Usca quando disponibili sono utilissime ma il più delle volte sono affidate a medici giovani, molto bravi, ma affidare la vita di tutti gli anziani italiani a equipe di cura non così esperte è rischioso. C’è il rischio di trascurare le patologie non Covid”. Meglio, secondo Trabucchi, un lockdown soft che colpisca tutti allo stesso modo, cercando di tutelare il più possibile “il lavoro e la scuola” ma senza “discriminazioni” per fasce di età.

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Un piano per la distribuzione delle prime dosi del vaccino per il coronavirus non appena saranno disponibili. La Germania, come fece in primavera per i tamponi, prepara dei centri ad hoc dove effettuare il più velocemente possibile e in sicurezza le vaccinazioni per le persone più a rischio. Nella lotta al Covid il tempismo è cruciale: per questo il ministro della Salute, Jens Spahn, ha già scritto ai governi dei 16 Länder tedeschi chiedendo di fornire entro il prossimo 10 novembre gli indirizzi dei centri in cui verrà effettuato il vaccino. La notizia è stata anticipata dalla Bild e riportata dal Wall Street Journal: il piano prevede che le dosi siano conservate in un deposito centrale e poi spedite a più di 60 centri regionali entro poche ore dall’approvazione del vaccino. Si sta valutando anche di utilizzare i padiglioni delle fiere e sono in fase di sviluppo due app per la gestione della campagna di vaccinazione di 83 milioni di cittadini. Quando? Sempre secondo la Bild, il governo punta ad avere le prime dosi già a dicembre. Un termine che era stato indicato anche dal premier Giuseppe Conte come “possibile”. Il ministro tedesco Spahn per ora ha preferito essere più cauto, indicando l’inizio del 2021, “forse già gennaio”, come data più plausibile. Nelle riunioni private però, stando alle fonti del tabloid tedesco, è stato molto più ottimista.

L’Italia punta forte sul vaccino sperimentato da Oxford/Irbm/AstraZeneca – le cui dosi saranno prodotte in Italia dalla societa Irbm di Pomeziache sta per completare la fase III della sperimentazione e il primo ottobre ha presentato richiesta di autorizzazione all’Ema (l’agenzia europea per i medicinali). In Germania invece la speranza si chiama BNT162: è il vaccino che la Biontech, azienda di Mainz, sta sviluppando insieme al partner statunitense Pfizer. La richiesta all’Ema in questo caso è stata presentata il 5 ottobre e i risultati della fase III sono attesi per inizio novembre. Se non dovessero esserci intoppi, dopo qualche settimane potrebbe arrivare il via libera. Il capo della Biontech, Ugur Sahin, da alcuni giorni sta rilasciando interviste ottimistiche alle tv e ai giornali tedeschi. “Stiamo già producendo il vaccino. Prevediamo di avere fino a 100 milioni di dosi disponibili entro la fine dell’anno”, ha detto il 55enne di origine turca a Business Insider.

Il governo tedesco intanto si sta preparando per la sfida logistica: far sì che, una volta arrivati al capolinea della sperimentazione, non ci sia più nessun intralcio. In Germania sono il Consiglio etico, l’Accademia Leopoldina e l’Istituto Robert Koch a dover scegliere chi per primo avrà diritto a un vaccino per il coronavirus. I loro suggerimenti arriveranno al governo non appena sarà chiaro quante dosi saranno inizialmente a disposizione. Si parla in ogni caso di milioni di persone che devono essere vaccinate in brevissimo tempo. Per questo il ministero della Salute è già al lavoro: secondo alcuni media, si valuta in un secondo momento di utilizzare anche i padiglioni delle fieri per creare dei grandi centri di vaccinazione. Per la prima fase il governo prevede di avere almeno 60 centri a disposizione su tutto il territorio nazionale: ogni Länder dovrà comunicare i propri entro il 10 novembre. Il piano prevede che, non appena avuto il via libera, tutto sia già pronto per la distribuzione. Il ministro Spahn, parlando a Der Spiegel, ha anche accennato a a due app, attualmente ancora in fase di sviluppo. La prima servirà a gestire gli appuntamenti per il vaccino, la seconda invece sarà dedicata alla segnalazione degli eventuali effetti collaterali.

Der Tagesspiegel, quotidiano della capitale, scrive che i dirigenti delle cliniche di Berlino già si stanno preparando a individuare i centri per le vaccinazioni. Solo in città potrebbero essercene da dieci fino a quindici: si studia la possibilità di sfruttare strutture ospedaliere oppure individuare altri spazi, seppure con diversi problemi pratici. In un’altra intervista, questa volta alla tv di Mainz Vrm, Sahin ha spiegato infatti che il vaccino che sta sviluppando la Biontech con Pfizer deve essere conservato a meno 80 gradi. La maggior parte delle cliniche tedesche, scrive sempre Der Tagesspiegel, possiede frigoriferi in grado di mantenere queste temperature. Spahn però vuole evitare sorprese e anche per questo ha scritto una lettera ai Länder, chiedendo di individuare quali strutture sono a disposizione.

Il ministero della Salute evidentemente si sta preparando per il miglior scenario possibile: secondo la Bild, in una riunione privata Spahn ha dichiarato che le prime dosi di vaccino “potrebbero arrivare entro fine anno“. Il tabloid cita un partecipante al tavolo, il ministro della Cdu non commenta e rimanda alle dichiarazioni ufficiali. Nell’ultima conferenza stampa sul tema, la ministra della Ricerca Anja Karliczek aveva ribadito che le prime dosi del vaccino sono attese entro marzo 2021. Mentre per poter vaccinare la gran parte della popolazione tedesca bisognerà aspettare la metà del 2021: “Se andasse più velocemente, sarebbe ovviamente molto bello”, ha detto Karliczek. Al di là del quando, Berlino sta già pianificando il come. Durante la primavera scorsa, gli Abstrichzentrum, i centri ad hoc per eseguire i tamponi, furono una delle principali mosse con cui la Germania riuscì a tracciare il contagio e soprattutto a proteggere i suoi ospedali dalla pandemia. Ora si studia un modello simile per essere capofila anche sui vaccini.

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Strepitoso Maurizio Crozza – nella puntata di “Fratelli di Crozza” in onda il venerdì in prima serata sul Nove e in live streaming su Dplay – torna a vestire i panni del governatore Luca Zaia che in conferenza stampa non azzecca un verbo: “Per noi il sacrificio che han fatto i veneti dovesse essere stato… fosse dovuto stante… avendo statuto fando… lo voglio dir bene col condizionale giusto, cioè col congiuntivo, cioè col congiunzionale. Ghe la devo far… è che l’italiano c’ha un verbo dentro ogni frase… è una lingua ostica”

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Nella puntata di Fratelli di Crozza – in onda tutti i venerdì in prima serata sul Nove – un esilarante Crozza/Salvini cambia rotta e diventa paladino della cultura: “La cultura è arte, bellezza, sorriso, poesia, musica. Cosa c’è di più bello che andare a teatro, mangiarsi un cheeseburger con le patatine e una birra mentre ti godi un Amleto di Alessandro Manzoni? Niente più attori a teatro? Niente più pagliacci? Devo stare a casa? Quindi la farsa che mi indigno per gli italiani non la posso più rappresentare? Non posso più monologare a cxxxx sputacchiando senza mascherina in Parlamento? Niente più paraculate coi rosari?”.

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Con un inizio shakespeariano, Maurizio Crozza apre la puntata Fratelli Di Crozza, in onda il venerdì in prima serata sul Nove: “Lockdown or not lockdown, ‘Chiudere o non chiudere’ questo è il dilemma. Se sia più utile chiudere tornando a casa ad impastare oltraggiosi e nauseabondi pani, ma con la consapevolezza del perdurare ad esistere, bramando agognati ristori di uno Stato mai esistito… o – continua Crozza – affrontare i dardi di una polmonite interstiziale salvaguardando lo stipendio? Negazionismo o Realismo? Sclerare o rischiare? Limonare…o mangiare sdraiandosi su cuoiosi divani sfondati dal tuo stesso ingrassare? Viola o Gismondo? Bassetti o Crisanti? Galli o Zangrillo? Virologi di un certo livello. E io nella mia solitudine aggiungo: è una continua lotta a chi il tampone ha più lungo…”

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Continuano gli isolamenti e le chiusure di varie classi o strutture scolastiche. Nonostante la didattica a distanza, nuovi casi di Covid-19 si stanno diffondendo su tutto il territorio e alcuni focolai nascono tra studenti e personale scolastico in asili e scuole primarie e secondarie. Ecco alcuni istituti di formazione dove sono stati segnalati dei contagi



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In Italia, negli ultimi mesi, per far fronte alla pandemia sono stati aggiunti migliaia di nuovi posti letto nei reparti di terapia intensiva. Molti altri sono in fase di completamento. Il 29 ottobre Arcuri e Boccia hanno dichiarato che possono essere disponibili "immediatamente e in tempo reale" oltre 10.300 posti di terapia intensiva in tutta Italia. Come riporta il bollettino del ministero della Salute del 30 ottobre, sono 1.746 quelli occupati da pazienti risultati positivi al Covid-19



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Continua a preoccupare la crescita dei contagi giornalieri nel Paese. Secondo l'ultimo bollettino del ministero della Salute, sono stati effettuati 215.085 tamponi. Nel monitoraggio settimanale Iss-ministero della Salute per il periodo 19-25 ottobre si legge che la situazione dell'epidemia "è in rapido peggioramento". Ecco dove si trovano i cluster tenuti maggiormente sotto osservazione



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I nuovi ricoveri in terapia intensiva sono 95. Il rapporto positivi-test effettuati sale al 14,5%. Si va verso un nuovo decreto con le misure anti-Covid. Cinque le regioni a rischio chiusura immediata: Campania, Lombardia, con Milano sotto i riflettori, Bolzano, Liguria e Lazio. Cresce la pressione negli ospedali. In varie città la protesta dei lavoratori vittime delle restrizioni. Conte: blocco licenziamenti prolungato a fine marzo



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“Attualmente abbiamo nove pazienti ricoverati in condizioni critiche nella terapia intensiva. Stiamo allestendo velocemente dodici posti letto nel blocco operatorio”. Così Marco Serini, coordinatore del reparto Covid dell’ospedale San Filippo Neri di Roma, racconta l’allarme che il presidio sta vivendo nelle ultime settimane. “È un’esplosione che non ci aspettavamo “, confessa, raccontando di “personale ridotto all’osso” e di un impatto molto diverso da quello della prima ondata, simile “a quello che vedevamo a Bergamo”.

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Siamo indignati, schifati e rammaricati di come la parola “rispetto” venga a mancare davanti al denaro”. Inizia così il post di sfogo di Luca Argentero che, insieme alla compagna Cristina Marino, ha deciso di non tacere e anzi, di attaccare dopo che la foto di sua figlia, la piccola Nina, è stata pubblicata: “Siamo disgustati nel vedere come i direttori di due giornali permettano che la faccia di una neonata venga pubblicata… È immorale venire meno alla volontà di un genitore, è in altrettanto modo illegale postare il viso riconoscibile di un minore… Io e la mia compagna avevamo deciso di tutelare la cosa più preziosa che abbiamo. Siamo sicuri che l’avidità e la superficialità verranno punite nelle giuste sedi!”. L’attore fa riferimento ad alcune foto della piccola pubblicate sul settimanale Oggi e ancora prima sul settimanale Chi. E la compagna Cristina Marino, è ancora più furibonda: “Soprattutto avevamo deciso di fare un po’ come caz*o ci pare in qualità di madre e padre. Di fare in modo giusto e idoneo con l’immagine di nostra figlia. Non bastano due pixellini sul viso per non rendere riconoscibile un minore. Nostra figlia in queste foto si vede bene. Ci sentiamo privati del diritto di decidere se pubblicare le immagini di nostra figlia o no”. Queste le sue parole in alcune stories, nelle quali i due fanno vedere il volto della piccola Nina: “Ora capiamo come mai tanti personaggi pubblici scelgono di pubblicare le foto dei loro figli, forse per evitare un accanimento e quindi vi presentiamo la piccola Nina sperando che vi venga voglia di comprare una copia in meno e che ci sia meno speculazione”. E ancora, Argentero: “Sappiamo che ci sono cose magari più gravi che in questo momento ma è grave tutto quello che ti tocca da vicino e Nina è stata schiaffata su due giornali, Chi due settimane fa e Oggi adesso”. L’attore si rivolge poi ai direttori delle due riviste, Alfonso Signorini e Umberto Brindani, dicendo che hanno deciso loro al posto dei genitori di mostrare il volto di un minore. “E che se parlerà nelle sedi opportune”.

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L'emergenza coronavirus? "La vedo molto dura, la situazione. Complicata e piena di tranelli, perché purtroppo a metà novembre saremo come a fine marzo" e per questo "credo che sarebbe meglio fermare del tutto il Paese per un mese, subito, siamo ancora in tempo per non arrivare a quei numeri". Lo afferma in un’intervista al Corriere della Sera l'ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso. "Con uno stop generale, da un lato potremmo cercare di arrestare la diffusione, dall’altro permetteremmo al sistema di riorganizzarsi. Resettiamo l’Italia, senza aspettare di vedere se le nuove misure sono state efficaci" (COVID-19, AGGIORNAMENTI - SPECIALE - LOCKDOWN, CHI È PRO E CHI È CONTRO)



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Bisognerà scegliere tra un’infinità di progetti, abbiamo già superato quota 500 in carrozza, per 700 miliardi e più. La scelta sarà certo politica, ma definire alcuni criteri gioverebbe alla trasparenza, anche per evitare che questa scelta sia “troppo politica” (vedi alle voci “soldi agli amici” o “compriamo dei voti”).

Per le infrastrutture di trasporto certo c’è una strada maestra nota come “arbitrio del principe”, cioè si fanno grandi elenchi (noti come “lista della spesa”, o “shopping list” che fa più fino) e non si danno spiegazioni, né prima né dopo. Per primo arrivò gloriosamente Berlusconi, con la famosa lavagna da Vespa delle 19 Grandi Opere. Ma il messaggio era forte e chiaro e fu seguito dal ministro Delrio: 133 miliardi di opere chiamate questa volta “strategiche” (chiamarle grandi opere pareva brutto), senza un numero, neanche previsioni di traffico. Tutto in piena continuità metodologica con Berlusconi.

Poi ci fu la gloriosa parentesi dei 5 Stelle: si valuta tutto con l’analisi costi-benefici. Durò 4 mesi, ai primi NO politicamente sgraditi si tornò precipitosamente all’”arbitrio del principe”. E Giuseppe Conte ha continuato con l’Alta Velocità al Sud e dappertutto, senza noiosi conti. La ministra in carica, per chiarire il concetto e renderlo interpartitico, ha anche aggiunto giubilante: “Altro che analisi costi-benefici!”

Ma questo approccio ha un serio inconveniente: i governi cambiano, e così le scelte. L’Italia è piena di opere non finite, o che sono costate il triplo perché andate avanti a singhiozzo secondo i prìncipi di turno al potere (che non hanno a che vedere con i “princìpi”, ma molto di più con i collegi elettorali, o anche con cose bruttissime delle quali poi si occupa la magistratura). Questo procedere a singhiozzo purtroppo non dispiace ai costruttori, che non chiudono i cantieri e poi, come è giusto, fatturano regolarmente tutto.

Oggi però sembrano prevalere gli obiettivi ambientali, e allora usiamo quelli! Ehm, no, potrebbe venire in mente che la cosa più semplice e redditizia sia portare la benzina a 10€ al litro, o proibire di viaggiare ai questi o a quelli. Ma altro che gilet gialli, ne arriverebbero di tutti i colori. Poi i macchinari di cantiere, e il cemento e il ferro inquinano molto, bisogna far tutto in mattoni e a mano, un bel problema.

Ma perché non far scegliere al popolo senza inutili mediazioni (la democrazia diretta è anche di moda)? Macché, verrebbe fuori l’Alta Velocità Biella-Frosinone, o il ponte per la Sardegna (uno attraverso l’Adriatico e un tunnel Trapani-Tunisi sono stati proposti per davvero).

Un altro obiettivo centrale e drammatico è l’occupazione: macché, torniamo a far tutto a mano come sopra, non funziona, ci vogliono poi anni.

E i vincoli alla spesa pubblica? Secondo molti non è affatto vero che ci pagherà tutto l’Europa, finita la festa del Recovery Fund ci troveremo ancora un fior di debito pubblico da gestirci. Allora facciamo solo i progetti che rendono soldi allo Stato. Macché, si fanno solo strade (per la benzina) e autostrade (benzina + pedaggi), neanche uno straccio di ferrovia, e a molti maligni potrebbe anche venire in mente di chiudere ferrovie deserte che ci costano un patrimonio ogni anno.

Ma basta con queste rozzezze: l’analisi costi-benefici è stata attaccata e distrutta perché troppo semplice, ci sono complicatissimi effetti indotti di cui tener conto, e miracolosi moltiplicatori che per ogni Euro speso ne fanno venir fuori almeno altri tre. Per calcolare il tutto, ci sono fantastici modelli (per esempio quelli noti come CGE, statici, dinamici, ma anche vie di mezzo). Perfetto: tre anni tra raccolta dati, costruzione e calibrazione dei modelli (uno per progetto), e il gioco è fatto.

O forse è meglio la “giustizia territoriale”: perché alcuni devono avere ferrovie veloci e altri no? E gli aeroporti poi? Ma in fondo anche i porti, che sono grandi fattori di sviluppo. Ah già, ma in certi posti non c’è il mare, o ci sono montagne da spianare per fare l’aeroporto, o una linea ferroviaria, anche non a grande velocità, che costa 50 milioni al kilometro porterebbe duecento persone al giorno, che costa meno portarli a gratis in elicottero.

Forse si stava meglio quando si stava peggio, anche perché la famigerata analisi costi-benefici continua pervicacemente ad essere la più usata al mondo, quando si vuol misurare qualcosa. E quei famigerati conti, rifatti oggi, dovrebbero ridurre di molto le previsioni di traffico, che già erano largamente insufficienti un anno fa a giustificare le opere…

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L’emergenza Covid rischia di riuscire dove il terrorismo degli anni Settanta-Ottanta ha fallito? Il Viminale fa sapere che sale l’allerta sul rischio di tensioni sociali. La Procura Generale di Napoli ritiene che i disordini che hanno ferito la città non possano essere considerati episodi isolati. Che vi possano essere infiltrate frange terroristiche. Sono due analisi che lanciano un grido d’allarme inquietante. Siamo di fronte ad una nuova strategia della tensione? E se la risposta è sì, siamo in grado di individuarne regia e scopi? Sappiamo tutti come siamo arrivati fino a qui, dove ora regnano paura e disorientamento.

La pandemia ha messo in crisi i diritti fondamentali dell’uomo insieme e contro quello più importante: la salute. Una bomba sociale purtroppo non nuova, ma di potenza senza precedenti. Su quale terreno si gioca questa complicatissima partita? Ha un nome che accomuna tutti, governo ed opposizione: propaganda. “La sua definizione è concettualmente illuminante: la propaganda è l’attività di disseminazione di idee ed informazioni con lo scopo di indurre a specifici atteggiamenti ed azioni ovvero il conscio, metodico e pianificato utilizzo di tecniche di persuasione per raggiungere obiettivi atti a beneficiare coloro che organizzano il processo. In antitesi alla propaganda dovrebbe essere la pura e semplice esposizione dei fatti nella loro completezza ovvero la descrizione della realtà nella sua interezza”.

Mentre i disordini si registrano anche a Milano, Torino, Trieste ed altre città del paese non c’è nessuno, tra governo ed opposizione, che faccia autocritica. Tutto in nome della propaganda alla ricerca dell’effimero giornaliero consenso del comune sentire che viene a tutti i costi inseguito anche a scapito di ogni parvenza di senso dello Stato. Tutto ciò crea disorientamento che viene enfatizzato dalla ricerca esasperata dello slogan che alimenti il tifo e mortifichi l’idea politica consapevole. Se balbetta l’azione di governo quella dell’opposizione cede alla lusinga della comunicazione ignorante e distruttiva che però ha facile presa nella rabbia sempre più potente della moltitudine di persone che stanno vivendo difficoltà drammatiche.

È giusto preoccuparsi di quanto sta accadendo nelle piazze delle nostre città così come è doveroso porsi il problema della possibile esistenza della regia di qualcuno dietro questi fenomeni di rabbia sociale. Credo tuttavia che sia altrettanto giusto e doveroso fare tutti autocritica, abbandonando la via della propaganda nella ricerca di quella della onesta verità, prima che sia troppo tardi. Prima che l’emergenza Covid riesca in ciò che non è riuscito fino ad oggi il terrorismo e, cioè, a destabilizzare e minare le fondamenta della nostra fragile democrazia.

La risposta a questa crisi non può essere soltanto quella della repressione esattamente come la risposta alle rivolte delle carceri italiane non può essere l’intervento violento e criminale delle squadre di agenti della Penitenziaria a Santa Maria Capua Vetere. Abbiamo disperato bisogno di onesta verità e, quindi, di coesione politica nel perseguimento del bene comune. Il Covid non è né di destra né di sinistra. Uccide e terrorizza. Combatterlo richiede solo razionalità, amore per il prossimo e senso di appartenenza alla nostra comunità. Non tifo ed odio. Se non lo capiamo tutti, informazione compresa, saranno dolori.

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“La gestione dell’emergenza deve, sapientemente, saper aprire la strada a un progetto condiviso di crescita sostenibile e inclusiva“. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, torna a parlare, in un messaggio inviato al Presidente dell’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio S.p.A., Francesco Profumo, in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio, della necessità per le istituzioni nazionali ed europee di utilizzare i fondi messi a disposizione per il contrasto alla crisi dovuta al coronavirus con l’obiettivo di limitare le diseguaglianze in tutta Europa. Un progetto che deve utilizzare “le risorse rese disponibili anche in ambito europeo per gli indispensabili investimenti in infrastrutture, materiali e immateriali, riducendo i divari, per un Paese che torni a offrire opportunità, per un futuro dignitoso, specie alle giovani generazioni“.

E proprio il risparmio, spiega, deve essere uno degli strumenti per poter arrivare il prima possibile a una ripartenza: “Questa Giornata – ha dichiarato – si tiene durante una crisi profonda, che richiede misure urgenti per salvaguardare il presente e, soprattutto, il futuro della nostra società. Il risparmio, tradizionale patrimonio del nostro Paese, la cui tutela è sancita dalla Costituzione, può concorrere alla ripartenza”.

Questo perché le difficoltà economiche nelle quali le famiglie italiane sono state catapultate hanno imposto una maggiore attenzione nella spesa. Questo risparmio dovrà essere, così, il tesoretto da poter utilizzare per dare una spinta all’economia quando sarà il momento di ripartire: “La grave situazione economica e le preoccupazioni per la diffusione dei contagi – ha aggiunto – hanno indotto un sensibile aumento del tasso di risparmio di famiglie e imprese. Queste risorse, se adeguatamente utilizzate, potranno contribuire a sostenere una rapida ripresa di consumi e investimenti, una volta domata la pandemia e ridotta l’incertezza sulle prospettive future. È indispensabile creare le condizioni utili a ristabilire un clima di fiducia“.

E, in chiusura, appoggia le iniziative messe in campo dalle autorità nazionali ed europee per contrastare la crisi economica che ha colpito tutto il continente: “La robusta risposta delle Autorità monetarie e fiscali, nazionali ed europee, va in questo senso. Ha prevenuto i rischi di instabilità del sistema finanziario, limitato i danni economici e avviato innovativi strumenti comuni. A fronte di un inaccettabile aumento delle diseguaglianze, è ancora più apprezzabile l’impegno delle fondazioni, che si sono mobilitate con interventi aggiuntivi nell’interesse della collettività, dei soggetti più deboli e dei settori più colpiti”.

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La Corte d’Appello di Milano ha deciso che Cecilia Marogna, la manager coinvolta nell’indagine sull’ex numero 2 della Segreteria di Stato della Santa Sede, il cardinale Angelo Becciu, torna libera con obbligo di firma. La donna era stata arrestata a Milano il 13 ottobre per appropriazione indebita aggravata e peculato su mandato dell’autorità giudiziaria della Città del Vaticano.

Marogna, che qualche giorno fa non ha dato il consenso all’estradizione, secondo la ricostruzione della magistratura Oltretevere avrebbe usato parte del mezzo milione che avrebbe ricevuto per operazioni segrete umanitarie in Asia e Africa, per l’acquisto di borsette, cosmetici e altri beni di lusso. Somma che la donna, che si è definita specializzata in relazioni diplomatiche in contesti difficili, ha ammesso di aver ricevuto spalmata su quattro anni e che includeva il suo “compenso, i viaggi, le consulenze” effettuate. Un caso questo che sta scuotendo il Vaticano e nel quale, secondo quanto rivela l’Espresso, Becciu sarebbe accusato per quelle cospicue elargizioni e per omessa vigilanza sul loro utilizzo.

Le tesi di accusa e difesa – La Procura Generale aveva dato parere negativo alla scarcerazione della donna ravvisando il pericolo di fuga e la mancanza di un indirizzo preciso tra Milano e la Sardegna, fattore che ostacola la eventuale concessione dei domiciliari, mentre il difensore, Fabio Federico dello studio Dinoia, aveva contestato “alla radice” l’arresto convalidato per altro dalla stessa Corte con conseguente misura cautelare. Secondo il legale, che ha citato l’articolo 22 dei Patti Lateranensi, Cecilia Marogna “non poteva essere arrestata dato che l’accordo tra Italia e Vaticano consente l’estradizione dal Vaticano all’Italia, ma non quella dall’Italia al Vaticano“.

Inoltre, l’avvocato aveva lamentato che “al momento non ci è stato nemmeno spiegato quali siano le accuse che hanno portato all’arresto, in quanto non abbiamo a disposizione il mandato di cattura e non lo hanno nemmeno i magistrati milanesi”. Le notizie che sono uscite nei giorni scorsi, ha precisato, “si basano su ciò che ha scritto il promotore di giustizia del Vaticano al Ministero della Giustizia per sollecitare l’estradizione, ma non sulle accuse contestate nel mandato di cattura”. Le carte, ha ribadito, “qui non sono ancora arrivate”. Infine, altro punto evidenziato dalla difesa, non sussiste nemmeno “il pericolo di fuga” che ha poiché il suo arresto è avvenuto “sotto casa mentre stava andando al supermercato. Il pericolo di fuga riguarda chi sta cercando di scappare”.

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