Dopo un lungo e durissimo lockdown londinese e la prima vaccinazione sono rientrata in Italia per alcune settimane. La cronistoria del mio viaggio e di ciò che ho visto di certo non fa notizia, ma ho pensato di raccontarla per illustrare le differenze abissali tra l’Italia ed il Regno Unito in materia di gestione del Covid e vaccinazioni.

La prima cosa che balza agli occhi quando si atterra in Italia è la confusione di ordinanze. Non esiste una regola applicata a tutta la nazione, ma tante, diverse, in costante cambiamento a livello regionale, provinciale e persino comunale. E questo è un male perché la gente si perde e finisce per non sapere cosa deve fare. In secondo luogo, in Italia si riempiono moduli su moduli che nessuno ha idea se servano davvero o se finiscano nel riciclaggio della carta, ma alla fine c’è poco controllo dei movimenti. Infine, a differenza del Regno Unito, in Italia si ha la netta sensazione che il virus non sia poi così pericoloso, che il peggio sia passato e quindi sia giusto riprendere le vecchie abitudini.

Faccio un esempio: in aereo da Londra non c’erano inglesi, a loro è vietato viaggiare, mentre a noi italiani è permesso grazie al nostro passaporto. Atterrati a Milano, come di prassi, la British Airways ha specificato che avrebbero sbarcato per file, hanno chiamato le prime sei, io ero alla undicesima e diverse persone intorno a me si sono alzate. Quando ho fatto notare che non era il nostro turno sono stata aggredita. Un signore che mi aveva riconosciuta, anche se avevo due mascherine, ha urlato che mi ha sempre detestata perché scrivo per questo giornale.

Sul bus e in fila per il controllo passaporti nessuno ha mantenuto la distanza sociale, erano tutti belli appiccicati gli uni agli altri, pronti per schizzare fuori dall’aeroporto. Alla fila per il tampone le solite lamentele, e quando la polizia ha fatto passare una famiglia con un bambino piccolo sono partite le occhiate di disapprovazione. Nessuno a Linate ha voluto vedere i risultati del mio tampone londinese, né il certificato di vaccinazione, ma si sono presi l’autocertificazione senza neppure leggerla; quando ho chiesto quando avrei avuto i risultati del tampone che mi stavano facendo, mi hanno risposto “se è negativa mai”. E così, sono uscita dall’aeroporto. Perché vivo nel Regno Unito da quarant’anni non mi è neppure passato per la testa di non fare la quarantena. Nessuno però ha controllato, né chiamato, avrei potuto infischiarmene, insomma!

Finita la quarantena sono andata a vedere cosa succede nelle stazioni sciistiche della Lombardia, che sono aperte fino a lunedì. Nel weekend fiumi di gente si sono riversati lungo le strade, bar strapieni fino alle 18:00; da quell’ora in poi quelli degli hotel si popolano dei loro clienti, nessuno controlla se con loro ci sono amici non residenti nell’albergo. Discorso analogo vale per i ristoranti degli alberghi dove i clienti mangiano ai tavoli decisamente non distanziati. E non potevano mancare tra i commensali i raccomandati del luogo, lascio alla vostra immaginazione la scelta di chi sono costoro.

Secondo punto cruciale: le vaccinazioni. Nel Regno Unito la politica perseguita da Boris Johnson è stata la seguente: lockdown totale, vaccinazione a tappeto e riapertura graduale dopo aver vaccinato tutti gli operatori sanitari, quelli che hanno più di 60 anni e chi è a rischio a causa di patologie specifiche. È chiaro che questo programma ha funzionato benissimo perché ci sono i vaccini. Ed è bene spiegare il motivo: ci sono perché, a differenza di Bruxelles, Londra li ha ordinati e pagati prima che venissero approvati dalle autorità preposte, ha rischiato e ne è valsa la pena. La storia che non ci sono vaccini a sufficienza perché le case produttrici li hanno venduti a caro prezzo, anche agli inglesi, è una frottola, in Italia come in Francia, Spagna e nel resto dell’Unione Europea i vaccini scarseggiano perché Bruxelles li ha ordinati tardi.

Anche per le vaccinazioni in Italia ci sono mille regole, a seconda delle regioni o di chi è a capo del governo, ma così non si va bene avanti. Di certo il fatto che io, 65enne, sia stata vaccinata a Londra un mese e mezzo fa e mia madre 88enne residente a Roma lo sarà il 30 marzo non depone a favore del sistema italiano. Tralascio l’assurdità di far prenotare gli ultra-ottantenni online, mi piacerebbe sapere quanti lo hanno fatto da soli… Nel Regno Unito il sistema è infinitamente più semplice: i medici di base chiamano le persone seguendo un ordine specifico, identico in tutto il paese. Le vaccinazioni vengono somministrate in posti diversi, dagli ambulatori agli stadi. Un sistema elettronico nazionale fa sì che, una volta chiamati, ci si vaccini in 20 minuti: 5 per avere l’iniezione e 15 di osservazione, nel caso si verificasse uno shock anafilattico. Non si compila nessun documento, né si mostrano le tessere sanitarie, basta il nome, il cognome e la data di nascita e il sistema viene aggiornato. Si potrebbe anche parlare delle liste di attesa alle quali ci si può iscrivere per avere alla fine della giornata le dosi restanti dei vaccini, quelli che devono essere scongelati a 6 dosi alla volta, ad esempio.

Ma basta quanto detto per illustrare ai lettori perché le cose funzionano meglio nel Regno Unito e quali sono i veri problemi del contagio e delle vaccinazioni in Italia.

L'articolo Contagi e vaccini, vi racconto le differenze abissali tra Italia e Regno Unito proviene da Il Fatto Quotidiano.



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