settembre 2021

C’è chi, come Fabrizio, lo considera un ‘sogno rubato’. Raggiungere il centro storico di Roma e i suoi palazzi, per una semplice passeggiata tra Piazza di Spagna e via del Corso, può diventare quasi una chimera se nasci e vivi nella periferia di San Basilio. Lì, nella vecchia borgata costruita tra gli anni ’40-50′ nel quadrante est della Capitale, tra la Nomentana e la Tiburtina, lungo il Grande raccordo anulare, sarebbe dovuta arrivare già da anni la metropolitana. Un progetto, quello di prolungare la linea B dal capolinea di Rebibbia fino ai quartieri di Torraccia e Casal Monastero, passando proprio per San Basilio, che è rimasto però soltanto sulla carta, nonostante annunci, progetti esecutivi ed affidamenti alle imprese. Il motivo? I lavori, che sarebbero dovuti terminare nel 2017, per un costo totale di 508 milioni di euro con il sistema del project financing non sono mai nemmeno iniziati. Con il rischio che la partita finisca pure in tribunale. Così, almeno per ora, l’intervento potrebbe non partire mai, al di là di annunci e promesse da parte dei diversi candidati sindaco in corsa per le prossime amministrative di Roma del 3 e 4 ottobre, tornati a rievocarlo: dall’uscente Virginia Raggi al dem Roberto Gualtieri, passando per Carlo Calenda (Azione) e il candidato di centrodestra, Enrico Michetti, e non solo.

Ma se la metro non è ancora arrivata, nel quartiere non sono invece mancati gli aspiranti sindaci. In cerca di consenso, non hanno dimenticato un passaggio in periferia, in quella San Basilio passata alle cronache come “terza piazza dello spaccio d’Europa”, oltre che per lo stato di abbandono e degrado cronico. Un tour elettorale condito da quelle stesse promesse di riqualificazione e sviluppo – metro compresa – per troppo tempo rimaste semplici spot elettorali, tra la disillusione e le speranze tradite dei suoi abitanti.

Eppure, quel collegamento sarebbe fondamentale per un territorio, quello di San Basilio, popolato da circa 20mila persone, oggi ancora troppo isolato. Altro che la ‘città dei 15 minuti’ (di distanza dai principali servizi, ndr) promessa da Gualtieri in campagna elettorale. “Qui per andare al lavoro in centro, magari pure per stipendi sottopagati, in nero o con contratti pirata, bisogna partire alle 4 o 5 del mattino. Un’odissea”, spiega al ilFattoquotidiano.it, Cristina, che ha da poco completato gli studi universitari. E che – come altri 92 nuclei familiari – abita nella storica occupazione di via Tiburtina, avvenuta nove anni fa ormai, con protagonisti l’Asia Usb e diversi movimenti per il diritto all’abitare. Un’occupazione tra tante nella Capitale, in un quartiere che negli anni ’70 diventò il simbolo della lotta per la casa. Quella per la quale perse la vita il 19enne Fabrizio Ceruso, militante dei Comitati Autonomi Operai, colpito in pieno petto da una pallottola della polizia. Una ferita mai rimarginata a San Basilio, dove il quadro socio-economico è intanto peggiorato, con l’emergenza abitativa, a più di 70 anni dalla nascita della borgata, che continua ad essere una delle criticità maggiori. E dove, dati alla mano, sono quasi 4mila gli edifici di edilizia pubblica, seconda zona di Roma per case popolari.

“Per noi l’occupazione non è certo la soluzione, ma le famiglie che sono qui hanno fatto tutte la richiesta di alloggio popolare, ne hanno diritto. E le graduatorie non scorrono. E finché non scorrono siamo costretti a scegliere tra l’illegalità e l’abitare per strada”, racconta ancora Cristina, militante del comitato ex Penicillina. Ovvero, un ex complesso industriale alle porte di San Basilio sulla Tiburtina, a Ponte Mammolo, lasciato da anni nel degrado e più volte devastato da incendi, l’ultimo pochi giorni fa: “Questo stabile vuoto, pieno di rifiuti e di amianto, è il biglietto da visita prima dell’ingresso nel quartiere. Andrebbe bonificato perché è una bomba ecologica. Salvini lo aveva fatto sgomberare nel 2018, facendo la guerra a tanti disperati, migranti e invisibili, che abitavano dentro e che poi sono tornati perché non sanno dove andare. Nell’asta di vendita intanto non è stato nemmeno citato l’amianto, da noi documentato con delle perizie. C’era chi voleva fare di questo stabile un centro commerciale, ora chi vuole farne un padiglione del progetto di Roma Expo 2030. Ma qui servono case e alloggi per tanta povera gente”, denunciano dal Comitato.

Non sono gli unici a pensarlo a San Basilio. “Cosa chiedere al prossimo sindaco? Bisogna intervenire sulle abitazioni e sulla riqualificazione urbana, qui nei lotti ci piove in testa tutti i giorni. Nessuno viene a pulire, l’erbaccia sta superando le nostre teste”, si lamenta pure un anziano signore, tra i pochi presenti nel quasi deserto mercato coperto del quartiere, nonostante l’ora centrale della mattinata. Tutto a pochi passi da quel parco della Balena che l’amministrazione di Virginia Raggi ha voluto riqualificare: un intervento sbandierato nel giorno dell’inizio della campagna elettorale, accanto al presidente M5s Giuseppe Conte. Una campagna partita proprio da San Basilio e da quella piazza. “Mi chiamano sindaca delle periferie, qui ci siamo occupati di quella manutenzione mai fatta prima, delle fognature di via Giolitti, della palestra della legalità in un locale strappato allo spaccio, del restauro della fontana e della riqualificazione del mercato rionale. E abbiamo combattuto le mafie. I nostri avversari invece qui non si sono mai visti, Gualtieri non ha mai dato un soldo alla Capitale da ministro”, attaccò Raggi. Polemica soprattutto contro il candidato del centrosinistra, tra gli imbarazzi dell’ex premier Conte, che ci lavorò fianco a fianco a Palazzo Chigi.

Proprio Gualtieri nella vecchia borgata chiuderà invece la sua campagna elettorale. Si era già fatto vedere a metà settembre, fianco a fianco a don Antonio Coluccia, prete anti-spaccio noto nell’area, ora “conteso” dalla politica. “Non sapevo ci fosse questo ‘happening’ a San Basilio, sono molto contrario a fare quel tipo di cose. È stato il primo posto dove sono andato, ma si va senza telecamere“, si lamentò Calenda, vedendo la guerra a colpi di tweet e foto tra l’esponente Pd e la sindaca, che aveva raggiunto il prete e lo sfidante durante la visita di Gualtieri nel quartiere.

“Armato” di megafono e recitando il Vangelo, da anni sotto scorta, don Coluccia a San Basilio invece si presenta quasi ogni sera, girando alcune note vie del quartiere, in prima linea per cercare di allontanare spacciatori e vedette. E combattere la malavita. Sarà lui che seguirà insieme al gruppo sportivo delle Fiamme oro anche il progetto dell’apertura di una palestra, ribattezzata “della legalità”, che sorgerà in un immobile confiscato alle mafie. Perché lì, in quel territorio così complesso, si era trapiantato il clan ‘ndranghetista dei Marando di Platì, narcotrafficanti finiti a processo lo scorso aprile e ai quali sono state comminate condanne totali per oltre un secolo e mezzo. Una presenza, quella delle mafie nella Capitale, ormai capillare. Basta leggere i numeri della Direzione Investigativa Antimafia per comprendere il giro d’affari, soltanto limitandosi allo spaccio: il guadagno complessivo nelle principali piazze romane si aggira, ogni fine settimana, dai 200 a 250mila euro.

“Non avviene soltanto da noi, San Basilio non è soltanto questo, è anche tanto altro“, si lamentano allo stesso tempo diversi cittadini, stanchi di essere raccontati dai media soltanto come una “piazza di spaccio”. Così emergono tante realtà e tanti cittadini che si rimboccano le maniche e provano “a creare bellezza”, in quel territorio per troppo tempo dimenticato dalle istituzioni. Come Fabrizio, che ha preso spunto da un murales tra i lotti, per impegnarsi da volontario nella pulizia del quartiere: “Qui una volta c’era fermata metro immaginaria, Stazione Sanba, costruita con un’impalcatura in legno, che rappresentava il desiderio di collegamento alla città. Una speranza tradita“, ci mostra, indicando lo spazio transennato dove sorgerà adesso un’area pattinaggio, al posto di una vecchia bocciofila abusiva. Altro cantiere rivendicato dalla Giunta uscente.

“Qui manca la continuità, non bastano interventi una tantum e calati dall’alto. Servono subito spazi, strutture, servizi educativi. E chi vive qui deve essere coinvolto nei progetti. I candidati? Vengono a fare il tour della malavita come lo chiamano loro, ma poi puntualmente non cambia nulla. E spariscono”, attacca Laura. Un’altra volontaria che da attrice teatrale, insieme alla collega Vania, si occupa a San Basilio proprio di teatro e scuola, per bambini e adolescenti, all’interno del Centro popolare, in uno spazio occupato, che, racconta, “è aperto a tutti e offre un servizio pubblico al territorio, qui dove non c’è più nulla“. Il Comune ci ha provato con l’iniziativa “Spaccio Arte”, ma, hanno replicato dal Centro popolare, “senza saper coinvolgere la cittadinanza”: “Hanno transennato la strada, c’era la banda che suonava, il bus con gli stornelli romani, ma a seguirlo erano in pochissimi. E nessuno ci ha coinvolti. Così come Raggi non ci ha mai risposto, dopo il nostro incontro un anno fa, sulla nostra idea di creare degli orti urbani”.

Non sono gli unici però a reclamare come a San Basilio sia necessario ripartire dalla cultura. E dai servizi, soprattutto educativi. Lo spiega pure Alessandro Scatolini, che si occupa soprattutto di dopo-scuola per ragazzi, con l’onlus “Amici di Roberto”: “Siamo volontari e cerchiamo di aiutare tanti giovani, ma qui mancano le strutture. Siamo ospitati nella biblioteca comunale, ma con una sede sarebbe diverso. Qui è aperto soltanto un pomeriggio alla settimana”, allarga le braccia.

E certamente, oltre a servizi e strutture, a mancare è soprattutto il lavoro, in una San Basilio che, confermano i numeri, ha visto un boom di domande accolte per il reddito di cittadinanza, durante l’emergenza Covid. Così il quartiere condivide con altre periferie romane – da Tor Bella Monaca a Ponte di Nona, passando per Pietralata, Trullo, Corviale e Primavalle e tante altre – uno dei dati più alti della Capitale: quasi tre domande ogni 100 abitanti accolte. “Oggi il reddito mi permette di vivere e fare la spesa, chi come i due Matteo, Renzi e Salvini, lo vuole cancellare è vergognoso. Vogliono fare la guerra ai poveri. Certo, se avessi una proposta di lavoro dignitosa ne farei a meno, ma quelle che arrivano sono da schiavitù”, ci racconta al mercato uno dei tanti percettori.

In vista delle elezioni, però, è soprattutto la disillusione a emergere: “Se andrò a votare? Non so, il punto è che qui non cambia mai nulla”, sottolinea sconsolata una delle commercianti ai banchi del mercato. “No, non andrò. Raggi ha provato a fare qualcosa, almeno si fa vedere. Ma i problemi sono rimasti tutti. Se recuperi il parco, ma in casa hai ovunque la muffa e quasi ti crolla a pezzi, cambia poco”, denunciano altri. Tradotto, a Su San Basilio il rischio astensione è alto. Eppure, Raggi su quest’area punta forte, nel tentativo di recuperare quel gap mostrato dai sondaggi e agguantare il ballottaggio. Anche perché proprio San Basilio, come tante altre periferie romane, cinque anni fa le permise di arrivare al Campidoglio vittoriosa. “A noi non servono queste passerelle, né le sue, né quelle di Gualtieri o Michetti. Servono risposte urgenti sulle case e sui servizi assenti”, resta però la richiesta ribadita da tanti cittadini. L’ultimo appello da una periferia stanca di degrado e abbandono.

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“Siamo la generazione senza futuro. Viviamo e vivremo sulla propria pelle gli effetti sempre più intensi della crisi climatica“. È questo il grido d’allarme che i Fridays for Future porteranno di nuovo oggi nelle strade di Milano. Una manifestazione per ribadire, ancora una volta, la necessità di agire con decisione contro il surriscaldamento globale. Ma anche un invito ad ascoltare davvero – e non solo in occasioni istituzionalizzate e di “vetrina”, come i dibattiti della Youth4Climate – la voce degli “attivisti che lottano davvero” – giovani e non -, come ha affermato al raduno di ieri 30 settembre la portavoce nazionale Martina Comparelli. Il corteo parte alle 9:30 da piazza Cairoli, uno dei luoghi simbolo del movimento nel capoluogo lombardo e sarà l’apice di una settimana di scioperi ed eventi – raccolti sotto All4Climate – promossi da associazioni ambientaliste italiane e internazionali. Parteciperanno anche i volti più noti della protesta, Vanessa Nakate e Greta Thumberg, con una delegazione di ambientalisti provenienti da tutto il mondo.

“Alla PreCop26 i governi vogliono decidere sul nostro futuro in compagnia delle multinazionali del fossile – si legge nel documento di presentazione dello sciopero – Hanno selezionato 4oo giovani non per essere realmente ascoltati ma per “simulare” una discussione sulle proposte per il futuro”. E non a caso usano la parola “simulare”, perché è quella utilizzata dal ministro della Transizione ecologica Cingolani. Ma in realtà, secondo i Fridays for future, si tratta solo di “una Youth Washing“, ossia di un’operazione di facciata. Un “Bla bla bla” – per dirla alla Greta – per ripulire la reputazione di politici e imprenditori delle vecchie generazioni, ossia di “chi é responsabile della situazione quasi irreversibile del nostro pianeta”. I dibattiti al MiCo – la sede della PreCop – non offrono però – secondo gli attivisti – alcun contributo concreto (“Sarà utile? Spoiler: no“). “I potenti della terra vogliono a tutti i costi utilizzare come vetrina 400 giovani per pulire la faccia di chi è responsabile della situazione quasi irreversibile del nostro pianeta…”.

Per questo motivo è necessario rivendicarlo in piazza. “Noi ragazzi e ragazze, lavoratori e lavoratrici, non siamo seduti ai tavoli dove vengono prese le decisioni – si legge sul sito di Fridays for Future – Scioperando possiamo fare pressione affinché gli scienziati che da anni ci mettono in guardia vengano ascoltati. Ognuno di noi può fare la sua parte, ogni voce è importante”.

Essere parte del cambiamento è più importante che mai adesso: “La Cop26 è l’ultimo momento possibile per rispettare la rotta sugli accordi di Parigi” aveva dichiarato a ilfattoquotidiano.it la 21enne di Torino Valentina Bonavoglia, prima della ripresa delle attività di dimostrazione lo scorso 24 settembre. Visti “i passi timidi” dei dibattiti internazionali e che “la politica che – ancora – non sta ascoltando” – ha dichiarato ancora oggi Comparelli -, è necessario strappare il futuro da “chi cerca di togliercelo”. Il tempo per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi – “ora addirittura si parla di non superare i due gradi” – infatti stinge: il climate clock – la clessidra climatica – segna che mancano poco più di 10 anni. Al di là di una mera questione di sopravvivenza e “di tutela di un pianeta unico” inoltre, la lotta ambientalista oggi è anche una lotta sociale, di equità e di inclusività nella società civile. Le disparità economiche – come testimoniato da Vanessa Nakate – si riflettono anche nelle maggiori conseguenze sofferte, dopo eventi climatici disastrosi. Anche se la situazione dovesse peggiorare, i Paesi più ricchi potrebbero avere le risorse per limitare i danni, mentre altri continenti – responsabili, come l’Africa, di meno del 3% delle emissioni globali di Co2 – le dovrebbero subire. Gli attivisti rivendicano il diritto – per uomini e donne, con “l’abolizione delle dinamiche patriarcali” – all‘istruzione, alla conoscenza e alla ricerca, necessari per capire i fenomeni ambientali e arginare le catastrofi.

Tutte le proposte degli attivisti – quelle sollecitate anche da Cingolani – sono state raccolte e presentate, attraverso il percorso “Climate Open Platform“, culminato con la condivisione di un documento online da presentare alla Cop26. “Come società civile e movimenti vogliamo fare la nostra parte, monitorando e cercando di influenzare i processi istituzionali, in accordo con le associazioni e i movimenti che agiranno a Glasgow – si legge sul sito di Fridays for Future – che condividono il principio guida della nostra azione: la Giustizia Climatica”.

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Nel Paese ci sono ancora 8,3 milioni di persone che non hanno ricevuto nemmeno una dose. Il ministro della Salute Speranza assicura: "Nel prossimo Cdm ci occuperemo di riaperture e capienze per gli eventi". Si studia intanto un taglio dei giorni di quarantena per le classi con alunni vaccinati. Attesa per il monitoraggio settimanale dell'Iss



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Momenti di tensione tra forze dell’ordine e manifestanti davanti al Mico, a Milano: nel video si vede un momento di contatto con manganellate tra gli agenti e gli attivisti del clima. I giovani della Climate Justice Platform stanno tentando da questa mattina di bloccare gli accessi al centro congressi, dove è in programma l’ultimo giorno di Pre-Cop26, con tre diversi blocchi stradali.

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di Gianluigi Perrone*

Se vi è capitato di viaggiare in Cina, per turismo o business, nelle principali città ma anche in centri secondari, vi avranno colpito questi landscape con edifici giganteschi, agglomerati di grattacieli enormi dalle architetture più disparate, palazzi che svettano nel cielo inimmaginabili nello skyline europeo. Cosa c’è dentro quei palazzi? Abitazioni? Centri commerciali? Uffici? No. In questi edifici non c’è niente.

Negli ultimi giorni si è alzata la tensione per via del crollo del gigante immobiliare Evergrande, che ha annunciato di non voler/poter pagare l’interesse di 100 milioni di dollari sulla prossima rata del debito societario totale che ammonterebbe a 300 miliardi di dollari, pari al 2% del bilancio cinese. Cerchiamo di spiegare cosa succede, perché sta succedendo ora e le possibili conseguenze in parole povere.

Fino ad oggi da expat e imprenditore residente regolarmente a Pechino ho potuto osservare tre fenomeni inusuali nel settore immobiliare. Il primo è che senza nessun preavviso e senza nessun motivo, un proprietario di appartamenti poteva decidere di aumentare fino anche a raddoppiare il prezzo dell’affitto della propria casa. Prendere o lasciare. Il secondo è osservare come conoscenti particolarmente abbienti o meno decidessero di comprare uno, due, tre appartamenti per poi rivenderli sei mesi dopo a prezzo maggiorato, e poi comprarne altri. Un modello di speculazione selvaggia che è praticamente la forma principale di investimento per la popolazione cinese. La terza, come detto in apertura di questo post, che venivano costruite letteralmente intere città (città da potenzialmente milioni di abitanti) per rimanere vuote. Perché?

Da diversi anni il governo cinese ha cominciato ad applicare un processo di “normalizzazione” nei rapporti fiscali con i cittadini. Detto in parole povere: per un lungo periodo la Cina è stata un terreno fertile dove gente senza alcuno scrupolo né intuizione economica si è arricchita grazie alla corruzione e l’evasione fiscale, e il primissimo canale era il real estate. Parliamo al passato perché con l’introduzione delle “tre linee rosse” il governo ha posto quei limiti che mettono società come la Evergrande con le spalle al muro, inclusi tutti i piccoli, medi e grandi risparmiatori che hanno investito nel loro business.

Chiaramente parte di questi investitori erano consapevoli di stare attuando un illecito ai danni della comunità, mentre altri, forse la maggior parte, sapevano semplicemente che il valore degli immobili cresceva, senza chiedersi se, come e perché questa crescita dovesse continuare all’infinito. L’ignoranza in materia economica non è una pecca esclusiva della popolazione cinese. Si sono trovati solo nella condizione della signora anziana che ha vinto una grossa somma al gratta e vinci senza avere idea di come gestire quei soldi. È importante anche sapere che questa abitudine di indebitarsi senza limiti non è assolutamente un’esclusiva cinese ma risiede in molte delle principali corporation internazionali.

Perché è successo adesso? Cosa ha a che fare con il Covid? Nulla. O meglio, ha a che fare nel momento in cui il governo cinese, per sanare l’economia, decide di fattivamente combattere la speculazione e l’evasione fiscale. Spesso uno Stato decide di chiudere un occhio su irregolarità per far crescere l’economia a discapito di un andazzo che va comunque a influire negativamente sulla comunità. Se quest’occhio si apre gli equilibri si sfaldano.

Quali potrebbero essere le conseguenze del crollo di Evergrande? Il governo cinese pare non voler intervenire finanziariamente per coprire il buco ma, se lo facesse, fondamentalmente vorrebbe dire che lo Stato si appropria della stragrande maggioranza del patrimonio immobiliare della Cina. Bisogna ricordare che la Cina ha in passato letteralmente regalato denaro ai propri cittadini per far partire il fenomeno del boom economico. Ovvero, gente senza alcuna educazione in economia si è trovata improvvisamente ricchissima in un contesto sociale vivacissimo e in continua crescita. Come pensassero di non dover mai ripagare il debito è un mistero.

È prevedibile che il governo cinese non farà ricadere il peso delle responsabilità della Evergrande sulle famiglie che hanno aperto un mutuo per far vivere la propria famiglia allargata di mamma, papà, due nonni, due nonne e bambino, magari due. A quanto pare il Partito ha intenzione di colpire, o almeno indebolire se non è lecito usare il termine “ammansire”, la classe alta borghese, gli imprenditori, che mal guardano alle politiche internazionali di chiusura, dopo che per un decennio è stata invitata ad aprirsi con il resto del mondo (il che include investimenti, acquisto di beni all’estero, fabbriche, accordi bilaterali, matrimoni misti e figli partoriti in America). Ci si chiede, in tale contesto, che fine farà il progetto della Via della Seta.

La domanda generale è quali saranno le conseguenze per il resto del mondo della Finanza. Lascio a esperti di economia rispondere nello specifico, ma almeno osservando come il nuovo piano economico europeo mostri ogni intenzione di tentare di fare a meno dell’Alleanza economica cinese, così come dichiaratamente anche da parte del Congresso americano, non dovrebbe esserci nulla di nuovo sotto il sole. Così come per l’India e per gli Emirati Arabi, tutto il mondo ha approfittato del fatto che l’atteggiamento della Cina riguardo a fisco, sicurezza, diritti dei lavoratori fosse di lassez faire, e quindi compagnie di tutto il mondo hanno lucrato con negozi, fabbriche e persino laboratori che sottostavano a regole che per i loro territori erano troppo lascive. Non si poteva sperare che durasse per sempre.

*CEO di Polyhedron VR Studio a Pechino

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Tra pochi giorni compio gli anni. Infatti il 29 settembre sono 10 anni che scrivo per questo giornale. Sono felice di aver condiviso con voi le mie idee. Grazie a chi mi ha letto, grazie a chi ha condiviso e grazie anche a chi ha criticato, perché la critica positiva non può essere che di stimolo. Così per questo importante anniversario ho pensato di raccontarvi una favola.

Penso da anni che l’assessorato alla Salute comunale sia importantissimo. In questo periodo di guerra virale ancora di più. La sanità pubblica è andata in crisi perché negli ultimi decenni, soprattutto in Regione Lombardia, è stata svenduta ai privati con le conseguenze evidenti: reazione al Covid scomposta, liste di attese senza controllo, patologie non Covid lasciate al caso e molto altro che chi è abituato a ciò che scrivo conosce bene.

Decido a novembre 2020 di spiegare al mio Sindaco, Giuseppe Sala, che reintrodurre un assessorato alla Salute potrebbe essere fondante e importantissimo soprattutto a Milano per poter almeno colloquiare con l’assessore corrispondente della regione. Scrivo una mail con cinque punti il giorno 23 novembre 2020. Il 26 novembre mi giunge la risposta con apprezzamento dei punti e in particolare per il 4 e 5 e “mi riservo a tempo debito di ricontattarLa”.

Passano i mesi fino alla ricandidatura e all’annuncio di una lista civica “Milano in salute”. Venni contattato dal coordinatore e dal capolista. Alcune telefonate scambiate con le mie idee ma soprattutto con la richiesta di poter reintrodurre l’assessorato alla Salute comunale. Perché è vero che il titolo V della Costituzione demanda, ahimè, le competenze alle regioni; ma la stessa Costituzione pone il Sindaco garante della salute pubblica. Quindi perché non avere un assessore alla Salute comunale che possa dialogare con quello regionale, ancor più se su fronti opposti, per poter far uscire dal cappello le idee migliori?

Dopo qualche giorno la risposta dal coordinatore. Non può essere candidato per le quote rosa e perché lei ha una condanna in primo grado. Per le quote rosa purtroppo non posso fare nulla. Sono uomo, medico e con tante idee. Per la condanna in primo grado, che ritengo invece una medaglia, non posso spiegare più di tanto perché sto aspettando l’esito dell’appello. Quindi ho spiegato e spiego a voi ciò che è pubblico.

È una condanna per un reato di opinione perché scrissi proprio qui di un frate che aveva vinto dei bandi pubblici pur essendo indagato per aver sottratto dei soldi di donazioni al suo ordine. Il frate venne assolto per prescrizione e i superiori, visto che accettò la prescrizione, lo dimisero dall’ordine e dallo stato clericale. Altro non posso dirvi per ovvi motivi processuali, ma sicuramente dirò nel momento in cui arriverà la sentenza definitiva. Una medaglia per me, come detto, uno stop per la politica (!). Anche se in me resta il dubbio che le mie idee, solo dalla parte dei cittadini, avrebbero potuto disturbare molti. Naturalmente ho inviato una nuova mail al Sindaco il 6 agosto 2021 per spiegare la situazione e chiedere perché mi hanno evitato, con la preghiera di fermare lui, quel signore che gira tutt’oggi indisturbato per Milano.

Chiunque vinca mi nominerà assessore alla Salute per far realmente cambiare e proteggere il bene comune? Non penso proprio. Non penso che le idee siano più forti degli intrecci politici anche fra opposte fazioni. Io non ho più voglia ma non ho il coraggio di fermarmi, per voi.

Andate comunque a votare. È l’unica libertà che ci rimane. Buon voto a tutti.

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La notizia è che cinema e teatri aumenteranno la capienza fino all’80% e non al 100%. Ci tengo a dire che io non sono complottista, ma come direbbe Carlo Freccero: “sono loro che complottano”. Perché è chiaro che da due anni è in atto un complotto contro il teatro e anche contro il cinema. Il presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, ha detto che dopo il Covid ci sarà “un grande reset” ed è chiaro che pensava soprattutto ai luoghi di spettacolo.

Il risultato è molto vicino. Per mesi sale con la capienza a un terzo con obbligo di mascherina, poi, giustamente, le vaccinazioni e il green pass. Ora ancora quel 20% in meno di capienza a segnalare che il posto non è ancora sicuro. Manca solo che ad accogliere gli spettatori, invece delle maschere, ci siano dei soldati con fucile carico dietro i sacchi di sabbia. Ma non serve, perché ormai il risultato è raggiunto: la gente in sala non vuole tornarci più. I militari potrebbero servire per rastrellare gli spettatori di casa in casa e sotto la minaccia delle armi costringerli ad alzarsi dal divano e così, in pigiama e ciabatte, deportarli verso le platee deserte.

Il piano dei “complottatori” si è realizzato in modo raffinato. Hanno fatto finta di essere a favore del teatro mostrandolo in televisione, fingendo di non sapere che attori di teatro come Lavia o Popolizio, pur bravi, visti in tv vestiti da Falstaff spaventano le famiglie. Pensiamo a chi arriva a casa dopo una giornata di faticoso lavoro, senza più energia e piedi gonfi. Dove può trovare la forza di farsi una doccia, rivestirsi, cercare il green pass, mettersi il cappotto e la mascherina, andare a prendere l’auto, cercare un introvabile parcheggio intorno al cinema, mentre inizia a piovere, camminare sotto la pioggia perché ha dimenticato l’ombrello, cadere in una pozzanghera, poi pagare un biglietto per vedere un film che magari è già uscito su Netflix e che può vedere proiettato sulla parete del soggiorno che è larga quanto lo schermo della sala cinematografica?

Dopo due anni tutti sentiamo che dentro di noi è successo qualcosa di strano, che per staccare i nostri glutei dalla poltrona avremmo bisogno di un fabbro. Una dipendenza grave, da curare per un lungo periodo in comunità di recupero culturale. Sempre sperando che i danni non siano ormai irreversibili.

I “complottatori“ sanno che quando arriveremo al 100% in sala molte persone avranno ormai cambiato mestiere, come è già capitato a tanti tecnici di suono e luci del teatro. Io ne conosco uno che è diventato elettricista edile. Ho sentito dire di un altro che è entrato nella moda ed è diventato modello di intimo maschile. Un altro, di origine mantovana, è diventato un food blogger di successo, che insegna a tutta Italia come fare una Torta Sbrisolona degna di questo nome. Purtroppo non tutti trovano un impiego alternativo, ho saputo di un tecnico disoccupato che ha identificato nella televisione la causa di tutti i suoi mali e ha deciso di organizzare campagne di shitstorm contro personaggi in vista della tv, come Belen, Mara Venier o Paolo Fox, l’astrologo che, si dice, avesse previsto un meraviglioso 2020 per cinema e teatro.

Gira voce che il motivo per cui i cinema sono semivuoti e gli abbonamenti teatrali vanno a rilento sono i microchip che ci hanno iniettato con la vaccinazione. Macron e Lagarde non vogliono che si vada nelle sale, perché sono luoghi di libertà e coraggio, invece loro vogliono il controllo delle persone attraverso la paura. Se “il grande reset” prevede di far sparire le compagnie teatrali indipendenti, le sale e i teatri più piccoli, ormai l’obiettivo è vicino.

Se invece quella del complotto è una mia fantasia, allora invito ad allargare la capienza subito al 100% e togliere quel 20% di posti in meno (forse sono calcolati per poter fare appoggiare il cappotto a chi non vuole portarlo in guardaroba). Fatelo, se no dirò anch’io che è in atto un complotto delle “élite” contro il popolo. Ne ho le prove.

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Ha il nome del primo modello di fascia media prodotto da Citroën nel 1961 e i finestrini della iconica “duecavalli”, ma rispetto a entrambe le antenate, è ultra-compatta e 100% elettrica. Stiamo parlando di Ami, il modello per la mobilità urbana che punta su comodità, accessibilità, sostenibilità e originalità.

E sicuramente, l’originalità e l’innovazione sono elementi che hanno sempre contraddistinto il costruttore francese: la piccola Ami sembra essere ispirata per soddisfare le esigenze della clientela odierna, al passo con le evoluzioni della società e delle sue esigenze di mobilità. Un’ispirazione che nasce dal voler creare, un prodotto estroso, non conforme agli standard di forme e linee, ma perfettamente rispondente alle esigenze attuali di praticità, di facilità di utilizzo e di accessibilità, anche in termini economici.

La Ami 6 del 1961, nacque come una berlina di fascia media, con un ingombro ridotto ma dalla grande abitabilità interna: il risultato fu uno stile decisamente innovativo, con un frontale dalle linee elaborate e grandi fari rettangolari (una novità per quell’epoca!), un cofano con una parte centrale concava, il tetto a pagoda, fiancate sottolineate da linee sagomate e l’inconfondibile lunotto invertito per recuperare capacità nel bagagliaio.

La nuova Ami, riesce a coniugare perfettamente due spazi: quello interno, ideale per accogliere comodamente 2 persone uno di fianco all’altra, gestito con la modularità della struttura e la razionalità, e quello esterno, risolto con un disegno che, per intenderci, porta ad occupare appena la metà di un parcheggio normale. Il risultato finale è stato un mezzo ultra compatto, di appena 2,41 metri di lunghezza e 1,39 metri di larghezza, e alto 1,52 metri, con frontale e parte posteriore esattamente uguali.
Le portiere, ampie, hanno tra loro aperture contrarie, classica per il passeggero e “antagonista” per il conducente: i finestrini si azionano manualmente e il vetro va dal basso verso l’alto. Dentro è tutto molto essenziale e rispondente a una razionalizzazione degli spazi che rende possibile, addirittura, ritrovarsi un vano per il bagaglio a mano ai piedi del passeggero. Ci sono poi vani porta oggetti lungo tutta la plancia, che ha la parte superiore piatta, e al centro lascia posto al supporto con porta USB per lo smartphone: tra il volante e un ulteriore vano circolare c’è la strumentazione, piccolo schermo che riporta le informazioni di guida necessarie.

Del resto, la due-posti – presentata per la prima volta come concept car al salone di Ginevra del 2019 – nasce in risposta a una esigenza di mobilità prevalentemente urbana, che quindi prevede tragitti più o meno lunghi, ma comunque circoscritti con libero accesso al centro città. Guidabile con una patente AM (il cosiddetto patentino), Citroën AMI è elettrico, alimentato da una batteria agli ioni di litio da 5,5 kWh che garantisce fino a 75 km di autonomia, ricaricabile in sole 3 ore, a una presa domestica da 220 V.

La gamma italiana si declina su 7 versioni, personalizzabili in pieno stile “Do It Yourself”. Il percorso Cliente è 100% digitale, dalla scoperta alla configurazione, fino all’acquisto online, direttamente sul sito https://www.citroen.it/ami . Per i Clienti privati Sono disponibili offerte con acquisto immediato o con formula leasing «à la carte», personalizzabili e particolarmente competitive, in grado di rispondere alle esigenze di utilizzo di tutti. Mentre, i Clienti professionisti possono accedere alla formula in acquisto immediato oppure di noleggio a lungo termine Free2Move Lease.

Alla necessità di tragitti quotidiani ma con trasporto di oggetti, poi, Citroën ha risposto con la versione cargo di Ami, identica alla sorella quanto a dimensioni e specifiche tecniche, ma con una suddivisione degli spazi interni più funzionale, ideale per i professionisti. Al posto del sedile del passeggero, si trova uno spazio di stoccaggio modulare di 260 litri, con carico utile di 140 kg, per un volume complessivo di carico nell’abitacolo di 400 litri. Una soluzione che, oltretutto, non intacca spazi e visibilità del conducente, grazie a un pannello verticale che separa la zona di guida dalla zona di carico.
Direttamente dal sito https://www.citroen.it/ami tutti i Clienti (privati e professionisti) possono configurare e acquistare My Ami Cargo in pochi semplici click tramite la modalità di acquisto immediato, con pagamento cash.

Il prezzo di listino è pari a 7.600 euro. Comprensivo di ecobonus Statale 2021, il prezzo diventa 5.731,15 € (IVA inclusa, assicurazione e consegna a domicilio escluse). Se si aggiunge la rottamazione di un veicolo di categoria “L” ante EU3, il prezzo scende a 5.108,20 € (IVA inclusa, assicurazione e consegna a domicilio escluse). Un prezzo eccezionale, senza pari ed estremamente competitivo per un oggetto di mobilità 100% elettrico, chiuso e protettivo, con libero accesso anche alle zone a traffico limitato.

Anche per My Ami Cargo sono disponibili offerte con formula acquisto immediato o leasing per i Clienti privati e soluzioni di noleggio a lungo termine Free2Move Lease per i Clienti Aziende.

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È Fabiola Gianotti la protagonista della quinta puntata del secondo ciclo di "Vite – L’arte del possibile", una serie di interviste realizzate dal direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis a grandi personaggi italiani. L’incontro con la Direttrice Generale del Cern di Ginevra, prima donna a dirigerlo in quasi settant’anni di storia - in onda su Sky TG24 giovedì 30 settembre alle 20.45 e disponibile On Demand e sul sito skytg24.it - è l’occasione per parlare della sua vita  e conoscere il suo lavoro nel più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Un luogo che la scienziata italiana definisce “una scuola di fisica, dove sono cresciuta professionalmente, ma anche una scuola di vita, è un posto dove si collabora, si lavora con scienziati di tutto il mondo. Culture differenti, lingue differenti, tradizioni, idee. È un posto che ci aiuta a crescere nel modo giusto. Rispettosi della diversità degli altri, ma anche aperti e tolleranti” (LA PUNTATA CON BRUNELLO CUCINELLI - LA PUNTATA CON DIEGO DELLA VALLE - L'INTERVISTA AD ALESSANDRO BARICCO - L'INTERVISTA A FEDERICO MARCHETTI).



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Lo Yemen è scomparso dai radar del dibattito pubblico e politico, ma mai come adesso è necessario richiamare l’attenzione della comunità internazionale su quella che resta la più grave emergenza umanitaria al mondo: la terza ondata di Covid sta colpendo pesantemente una popolazione stremata da quasi 7 anni di guerra, che per il 99% non è vaccinata e che in buona parte non ha accesso a cure, trattamenti e strumenti per prevenire il contagio.

Basti pensare, che, secondo i dati ufficiali, i casi registrati sono triplicati e il tasso di mortalità è aumentato di oltre cinque volte nell’ultimo mese. Cifre che non tengono conto delle innumerevoli morti non diagnosticate a causa della carenza di test, in un paese dove solo la metà delle strutture sanitarie sono ancora in funzione.

Il fallimento dell’iniziativa COVAX

Sullo sfondo un quadro globale di enorme disuguaglianza nell’accesso ai vaccini Covid tra Paesi ricchi e poveri. La scorsa settimana, il Covax (l’iniziativa che dovrebbe consentire ai Paesi in via di sviluppo l’accesso ai vaccini) ha annunciato di essere al di sotto dei propri obiettivi di ben mezzo miliardo nella distribuzione globale di dosi, nonostante le promesse di raggiungere almeno il 23% di copertura vaccinale entro la fine dell’anno. Le conseguenze per un paese come lo Yemen sono drammatiche: al momento meno dell’1% dei 30,5 milioni di abitanti ha ricevuto una dose e solo lo 0,05% della popolazione è stato completamente vaccinato. A giugno, secondo gli ultimi dati disponibili, erano state consegnate solo il 12% delle dosi promesse per lo Yemen: 511.000 su 4,2 milioni.

Una catastrofe umanitaria che può aggravarsi ancora

Appare dunque evidente come l’emergenza in Yemen rischi di precipitare ulteriormente. Il conflitto ha decimato il già fragile sistema sanitario, gran parte della popolazione è indebolita dalla mancanza di cibo, acqua pulita e non può permettersi di acquistare medicinali. Secondo le Nazioni Unite, due yemeniti su tre non hanno accesso ai servizi sanitari: 20 milioni di persone, inclusi 5,9 milioni di bambini. Con i medici che negli ospedali pubblici hanno lavorato senza stipendio per mesi, spesso costretti a dormire direttamente negli ospedali rimasti in funzione, perché non possono permettersi un alloggio.

“La vaccinazione è una soluzione semplice che salverebbe vite umane, – ha dichiarato Muhsin Siddiquey, direttore di Oxfam in Yemen alla vigilia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si è appena chiusa – ma la comunità internazionale sta fallendo e il popolo dello Yemen ha bisogno di dosi ora. È vergognoso che paesi ricchi come il Regno Unito e la Germania si stiano opponendo al superamento della logica dei monopoli dei colossi farmaceutici sui brevetti dei vaccini, impedendo di fatto una produzione di dosi sufficiente a raggiungere paesi come lo Yemen. Salvare vite dovrebbe essere più importante che proteggere i profitti delle multinazionali farmaceutiche che hanno già guadagnato miliardi da questa crisi”.

A peggiorare il quadro sanitario i numeri di quella che è una vera e propria catastrofe umanitaria: 20 milioni di persone dipendono dagli aiuti per sopravvivere; 16 milioni soffrono di insicurezza alimentare e in 50 mila si trovano in condizioni di carestia; oltre quattro milioni gli yemeniti sono stati sfollati dall’inizio del conflitto e due milioni vivono solo a Marib, attualmente luogo di aspri combattimenti. Le condizioni nei campi sono terribili, molte persone non hanno accesso ad acqua pulita, servizi igienici e assistenza sanitaria.

Appello urgente alla comunità internazionale

Quest’anno le Nazioni Unite hanno chiesto ai paesi donatori di stanziare 3,9 miliardi di dollari per fornire gli aiuti umanitari essenziali alla popolazione: finora però meno della metà è stato erogato e l’assistenza sanitaria ha ricevuto solo l’11% dei fondi di cui ha bisogno. Durante l’Assemblea Generale nei giorni scorsi si è tenuto un incontro organizzato da Unione Europea, Svezia e Svizzera dove sono stati raccolti impegni di donazioni per circa 600 milioni di dollari. Un segnale positivo, ma la risposta umanitaria risulta ancora sotto finanziata per circa un miliardo di dollari. Gli attuali volumi di aiuti umanitari non sono affatto sufficienti per raggiungere tutti coloro che sono alla disperata ricerca di aiuto.

Per questo, come Oxfam, chiediamo con forza che la comunità internazionale, Italia compresa, si assuma le proprie responsabilità finanziarie ed etiche mentre lavora per garantire il cessate il fuoco e una pace duratura. Le donne, i bambini e gli uomini dello Yemen vogliono vivere con dignità ed essere liberi dagli orrori che questa guerra ha causato. Oggi, la maggior parte riesce a malapena a sopravvivere: è cruciale non lasciarli soli.

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Morisi dice che si scusa. Ma non deve scusarsi per quello che è emerso negli ultimi giorni. Deve scusarsi per tutto quello che ha fatto prima, perché c’è un rapporto tra politica e morale, perbacco. Non si possono avere doppie o triple morali. Bisogna che se lo metta in testa questa destra“. Così, a “Otto e mezzo” (La7), il deputato di LeU, Pier Luigi Bersani, commenta il caso Morisi.

E sulla situazione attuale della Lega aggiunge: “Da Bossi in poi abbiamo avuto diverse Leghe. E anche la discussione che si sta aprendo, seppure in modi impliciti, in casa loro, testimonia delle differenze strategiche sul piano politico. L’augurio che faccio alla Lega è che si diano un’aggiustata e non scarichino i loro problemi sulla situazione che abbiamo. Adesso posso immaginare che Salvini, per chiudere sul problema, invece di fare dei congressi, voglia andare a elezioni anticipate, alzare la bandiera e ammucchiare tutto. Ma non so se questo sia l’interesse del Paese”.

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Microfoni degli smartphone sempre accesi a carpire informazioni rivendute poi a società per fare proposte commerciali. “Un fenomeno sempre più diffuso”, sottolinea il Garante della privacy, “che sembrerebbe causato anche dalle app che scarichiamo sui nostri cellullari. Molte app, infatti, tra le autorizzazioni di accesso che richiedono al momento del download, inseriscono anche l’utilizzazione del microfono. Una volta che si accetta, senza pensarci troppo e senza informarsi sull’uso che verrà fatto dei propri dati, il gioco è fatto”.

Su questo illecito uso di dati che si sta facendo alle spalle di persone ignare, già all’attenzione dei suoi uffici, il Garante per la privacy ha avviato un’indagine dopo che un servizio televisivo e diversi utenti hanno segnalato come basterebbe pronunciare alcune parole sui loro gusti, progetti, viaggi o semplici desideri per vedersi arrivare sul cellulare la pubblicità di un’auto, di un’agenzia turistica, di un prodotto cosmetico.

L’Autorità ha avviato un’istruttoria, in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza, che prevede l’esame di una serie di app tra le più scaricate e la verifica che l’informativa resa agli utenti sia chiara e trasparente e che sia stato correttamente acquisito il loro consenso. La nuova attività del Garante si affianca a quella già avviata sulla semplificazione delle informative, attraverso simboli ed immagini, affinché gli utenti e i consumatori siano messi in grado in maniera sintetica ed efficace di fare scelte libere e consapevoli.

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Decarbonizzazione dei trasporti, elettrificazione e infrastrutture, innovazione ed educazione ambientale: sono questi i temi urgenti e complessi che andranno a caratterizzare il week-end che si aprirà domani con Rom-e, la prima edizione del festival dell’eco-sostenibilità.

“Una maratona green”, come è stata definita sul sito ufficiale dell’evento [https://www.rom-e.it/], quella che coinvolgerà la Capitale in particolare sabato 2 e domenica 3 ottobre: due giornate colme di eventi e attività diffusi rivolti a tutti, per avvicinare sempre più i cittadini al tema della sostenibilità, esplorandola in tutte le sue sfaccettature.

Nelle zone centrali di Roma, tra piazza San Silvestro, largo dei Lombardi e viale delle Magnolie, all’interno di Villa Borghese, accanto agli stand (nella foto sopra) sarà possibile partecipare a test drive di veicoli, bici e monopattini elettrici, seguire attività pensate per le famiglie e ascoltare i protagonisti dell’industria della mobilità raccontare il proprio impegno verso un futuro dei trasporti più green.

Tra questi ci sarà Fercam, azienda di logistica, che presenterà il progetto pilota sui servizi di trasporto e consegna di spedizioni a zero emissioni, in via sperimentale nelle città di Roma e Milano: il progetto – per cui l’azienda si è avvalsa del supporto di ricerca scientifica del CNR e della ITAE – prevede che l’energia per ricaricare i veicoli utilizzati venga ottenuta dagli impianti fotovoltaici installati nei magazzini.

Il festival diffuso, intanto, si apre ufficialmente in forma digitale (e statica) il primo 1 ottobre, sul sito di Rom-e, in una giornata di confronti di nuovo con i rappresentanti ed esperti del settore, ma anche con le istituzioni: saranno presenti, infatti, la sindaca di Roma Virginia Raggi, Alejandro Agag, fondatore di Formula-E ed Extreme-E, poi l’a.d. di Mercedes Italia Radek Jelinek e quello di Bmw Italia Massimiliano Di Silvestre, e Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution di ENI. Questi e altri ospiti si confronteranno su innovazione tecnologica e innovazione energetica, mobilità urbana a zero emissioni – con un focus sul futuro da smart city della Capitale – e sul motorsport e la mobilità sostenibile.

“È una bella occasione per discutere insieme sugli scenari della mobilità smart e sostenibile e sperimentare nuove soluzioni in ambito urbano” ha dichiarato Virginia Raggi, “all’insegna dell’innovazione tecnologica come leva per una vera transizione green”.

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Festeggiano fino a notte fonda, davanti ai cancelli della stamperia Texprint del Macrolotto di Prato, gli operai dell’azienda in sciopero da fine gennaio per chiedere il rispetto del contratto nazionale. È arrivata la prima sentenza del Tribunale del Lavoro: “Licenziamento illegittimo”. Il primo dei 18 operai licenziati a seguito dell’iscrizione al sindacato dovrà essere reintegrato a tempo indeterminato dall’azienda tessile.
La vertenza ha inizio nel gennaio scorso, quando 30 lavoratori sui circa 70 dipendenti della stamperia tessile raccolgono prove di quello che ritengono essere il loro sfruttamento e decidono di iscriversi al Si.Cobas, sindacato che nella zona del Macrolotto di Prato aveva vinto vertenze simili su caso di sfruttamento. La richiesta è semplice: “Rispettare il contratto nazionale che prevede 8 ore di lavoro per 5 giorni alla settimana, mentre ora fanno lavorare oltre 12 ore tutti i giorni, senza festivi e senza pagare gli straordinari, spesso con contratti di apprendistato illegittimamente prolungati nel tempo”. Anziché prendere in considerazione l’ipotesi di soddisfare le richieste dei lavoratori, dopo i primi giorni di sciopero, l’azienda preferisce inviare una lettera in cui mette in cassa integrazione gli operai iscritti al sindacato per poi passare allicenziamento dei 18 operai che avevano deciso di proseguire la protesta con un presidio fisso davanti ai cancelli. Passano i primi 100 giorni, l’azienda continua a negare le istanze dei lavoratori, come sempre farà in seguito.
Ieri il Tribunale del Lavoro di Prato si è pronunciato sul ricorso di urgenza portato avanti dai legali del Si.Cobas: “Nella sentenza il giudice falcia tutte le accuse contro i lavoratori – spiegano i sindacalisti – certificando quello che noi diciamo da mesi: l’azienda ha inventato di sana pianta fatti mai avvenuti per giustificare il licenziamento dei lavoratori che hanno denunciato lo sfruttamento”. Appena la notizia del reintegro arriva al presidio, davanti ai cancelli della fabbrica partono i festeggiamenti. Arrivano solidali e operai da altre fabbriche del Macrolotto, la festa va avanti proprio davanti alla fabbrica fino a sera, pacificamente ma con determinazione, tra torce, cori e fuochi d’artificio.
Questa volta i dirigenti dell’azienda restano a guardare lo “spettacolo”, solo tre mesi fa avevano tentato di smontare il presidio, nonostante la vertenza in corso, sentendosi liberi di prendere a pugni, calci e mattonate alcuni degli operai in sciopero. “Secondo il Tribunale le condotte addebitabili a chi ha scioperato sono irrilevanti da un punto di vista disciplinare – spiegano Sarah Caudiero e Luca Toscano, che per il Si.Cobas seguono dall’inizio l’evoluzione della vertenza – L’unica “colpa” dei lavoratori è quella di aver esercitato il diritto di sciopero. Questo è bastato al giudice per decretare l’illegittimità del licenziamento, prima ancora di ogni valutazione sulla natura ritorsiva e discriminatoria”. Non commenta, e non è dato sapere se riterrà opportuno farlo, il sindaco di Prato Matteo Biffoni, ex ultra-renziano di quelli che preferiscono restare nel Pd. Forse preoccupato di non turbare gli equilibri che rendono il distretto tessile pratese uno dei più importanti d’Europa, in questi mesi ha sempre preferito predicare la sua equidistanza tra la proprietà e gli operai che denunciano anni di sfruttamento, negandosi al confronto e sostenendo di non sapere dell’interdittiva antimafia che a marzo aveva colpito l’azienda (ora revocata).

Recentemente, per sollecitare le istituzioni locali a fare la loro parte, almeno nel garantire il rinnovo dei permessi di soggiorno messi a rischio dalla perdita del posto di lavoro, gli operai Texprint avevano deciso di iniziare uno sciopero della fame proprio sotto la sede del Comune ottenendo come risposta una multa dalla municipale prima e poi, notte tempo, lo sgombero da parte della polizia.

“Noi qua saltiamo di gioia come bambini – commentano a distanza i lavoratori del Collettivo di Fabbrica della GKN – Ma tra un salto e l’altro la bocca è amara. Perché un lavoratore è stato licenziato ingiustamente, calunniato, caricato e bastonato. E non c’è stato nessuno sciopero di solidarietà nella provincia da parte di altre Rsu o organizzazioni sindacali, né nessun intervento istituzionale. E ci consola poco il fatto di esserci stati. Di aver dato parola alla loro vertenza appena possibile. Funziona così: ogni ingiustizia tollerata in silenzio è una ingiustizia che subirai tu un giorno”.

L'articolo Texprint, il Tribunale impone il reintegro del primo lavoratore licenziato: la festa degli operai davanti alla stamperia di Prato – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.



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“Mi ha picchiata, presa a schiaffi, sbattuta contro il muro, insultata”. Non solo: “Mi perseguita con telefonate di notte, si apposta sotto casa, citofona alle 6 di mattina”. Le accuse sono condensate nella denuncia della ex compagna di Enrico Varriale, lui le respinge, ma dal 27 settembre il gip Monica Ciancio ha disposto nei confronti del noto giornalista sportivo della Rai la misura cautelare del “divieto di avvicinamento a meno di 300 metri dai luoghi frequentati dalla persona offesa” e due prescrizioni: “non comunicare con lei” neppure “per interposta persona” e di “allontanarsi immediatamente in caso di incontro fortuito, riponendosi a 300 metri di distanza”.

La vicenda che riguarda il 61enne volto della tv pubblica, tra i giornalisti di punta di Rai Sport, è stata anticipata dal Corriere della Sera, che riporta ampi stralci del provvedimento firmato dalla giudice del Tribunale di Roma che definisce così Varriale, alla luce della denuncia dell’ex compagna e di quanto accertato finora nel corso dell’indagine: “Le condotte poste in essere dal Varriale danno conto di una personalità aggressiva e prevaricatoria, evidentemente incapace di autocontrollo”. La donna, una giovane imprenditrice trasferitasi dalle Marche a Roma, ha ricondotto l’inizio delle presunte violenze alla mattina del 6 agosto. Si legge negli atti che Varriale “durante un alterco per motivi di gelosia, la sbatteva violentemente al muro, scuotendole e percuotendole le braccia, sferrandole dei calci e, mentre la parte offesa cercava di rientrare in possesso del cellulare che le aveva sottratto, le afferrava il collo con una mano, cagionandole lesioni”.

Così la donna ha deciso “di troncare la relazione e ogni forma di comunicazione” e di andare al pronto soccorso del Policlinico Gemelli. Nel referto viene riportata una prognosi di 5 giorni per “ferita lacero contusa al braccio sinistro, ecchimosi alla mano sinistra, tumefazione del gomito destro con dolenzia alla mobilizzazione attiva, abrasioni alla base del collo e sul ginocchio sinistro”. Due amici hanno anche testimoniato: “Era sconvolta, talmente spaventata da spegnere le luci per evitare che lui si avvedesse ch’era in casa”. Nelle settimane successive, stando a quanto riporta Il Corriere della Sera, la donna avrebbe sporto una seconda denuncia – datata 14 settembre – per “una sequenza di telefonate notturne, citofonate, appostamenti e messaggi insultanti”.

Tutte accuse che Varriale – indagato per atti persecutori, reato punito con la reclusione da 1 a 6 anni e mezzo – respinge: “Non ho mai stalkerizzato nessuno e chi afferma questo ne risponderà in tutte le sedi. È una dolorosa vicenda personale che avrei preferito rimanesse tale. Purtroppo però mi sono state rivolte, e rese pubbliche, accuse del tutto false. Sono sicuro che riuscirò a dimostrare la loro infondatezza facilmente e in tempi brevi”. I presunti “repentini scatti d’ira” di Varriale, sempre secondo quanto riportato negli atti, stando al Corriere della Sera, sarebbero riconducibili a tre aspetti, tutti concomitanti con l’ultimo spezzone degli Europei vinti dalla Nazionale di Roberto Mancini: la rinuncia del giornalista alle telecronache delle partite dell’Italia, dopo essere entrato in contatto con un soggetto positivo al Covid, il procedimento disciplinare per non aver rispettato la quarantena e anche la mancata conferma come vicedirettore di Rai Sport.

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“Conte prende gli applausi dei piani bassi e Draghi quelli dei piani alti”. Così Marco Travaglio, nell’intervento settimanale durante ‘Accordi&Disaccordi’, il talk politico condotto da Luca Sommi e Andrea Scanzi in onda su Nove ha commentato l’ovazione che la platea di Confindustria ha tributato al presidente del Consiglio Mario Draghi, contrapposta alle piazze gremite di persone comuni che vanno ad acclamare l’ex premier Giuseppe Conte. “Io fatico a credere al fatto che quelli che hanno buttato giù il governo Conte, e che applaudono con quell’entusiasmo il governo Draghi, possano giustificare il fatto che il Pd, il M5S e Leu partecipino in maniera così entusiastica al governo Draghi – ha detto il direttore de Il Fatto Quotidiano – E’ una cosa talmente innaturale quell’applauso rispetto a coloro che formano la maggioranza dentro la maggioranza, cioè i vecchi giallo-rosa, che c’è qualcosa che non funziona, c’è qualcosa che stona. Gli imprenditori non applaudono a caso, gli imprenditori applaudono Draghi anche perché non è Conte. Perché hanno contribuito, con le loro pressioni, con i loro giornali, a buttare giù Conte”, ha concluso il giornalista.

‘Accordi&Disaccordi’ è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile in live streaming e successivamente on demand sul nuovo servizio streaming discovery+ nonché su sito, app e smart tv di TvLoft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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“La stima del rimbalzo del Pil al 6% non nasce oggi, le basi sono state poste con le nostre misure”. Così il leader del Movimento cinque stelle Giuseppe Conte ad Accordi&Disaccordi, il talk politico condotto da Luca Sommi e Andrea Scanzi, con la partecipazione di Marco Travaglio, in onda su Nove ha commentato le cifre presentate dal presidente del Consiglio Mario Draghi durante la conferenza stampa sulla Nota di aggiornamento al Def approvata mercoledì dal consiglio dei ministri. “C’è una continuità anche in termini di politica economica, sociale, che io ritengo assolutamente positiva – ha detto l’ex premier – Che poi ci siano dei pezzi di establishment che siano particolarmente esaltati da questo nuovo governo, questo è legittimo, ci sta – ha proseguito – Insomma io non ho mai pensato di governare lusingando e venendo a patti con gruppi, pezzi di establishment. So che non ho goduto dei loro favori e me ne sono sempre fatto una ragione”, ha concluso il presidente del M5S.

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Manca un quarto d’ora abbondante alla fine del derby. L’Atalanta sta vincendo 3-1 in casa del Brescia, l’allenatore Carlo Mazzone toglie Antonio Filippini, inserendo un centrocampista più offensivo come Andrés Yllana. Filippini fa appena in tempo ad accomodarsi in panchina, quando Roberto Baggio accorcia le distanze con un gol di rara astuzia. Per lui è il secondo di giornata, il 174esimo in serie A. Mazzone in questo momento guarda in direzione dei tifosi avversari, è offeso per i cori che ha ricevuto nel corso della gara: promette che in caso di 3-3 sarebbe andato ad esultare sotto la curva ospite. Il mister racconterà anni dopo nella sua autobiografia Una vita in campo (Baldini+Castoldi): “Fu sul 3 a 1, realizzato proprio alla fine del primo tempo, che arrivò alle mie orecchie l’eco di cori sempre più forti e sempre più beceri che mi trafissero il cuore come tante spine. Parole che non accettai quella domenica e che non potrei mai accettare da nessuno. Carletto Mazzone romano di merda, Carletto Mazzone figlio di puttana: non era solo un’offesa nei miei confronti. Era una cattiveria gratuita che mi colpiva negli affetti più profondi”. A tempo scaduto arriva il gol del pareggio, è ancora Baggio questa volta su punizione a siglare il gol. E Mazzone mantiene la promessa. È il 30 settembre 2001. La sua corsa scatenata diventerà un video ancora molto visto sul web e una serie di gif animate. L’immagine di un uomo di 64 anni stravolto dall’adrenalina che nessuno riesce a placcare è diventata un’icona da t-shirt. L’arbitro era Pierluigi Collina che lo espulse quasi solo con uno sguardo. Mazzone sapeva di averla fatta grossa e se ne tornò negli spogliatoi.

Sono passati vent’anni da quella domenica di fine settembre, Antonio Filippini è oggi l’allenatore della Pro Sesto in serie C. Assieme al gemello Emanuele è stato una delle colonne portanti di quel Brescia, dove entrambi hanno fatto le giovanili e l’esordio in Serie A. “Fino a qualche settimana fa – dice Antonio a ilfattoquotidiano.it – quella del mister è stata la corsa più famosa d’Italia. Solo Marcel Jacobs, che tra l’altro è bresciano, gli ha rubato lo scettro alle Olimpiadi di Tokyo. Ho avuto come allenatore Mazzone per alcune stagioni e non lo ho mai visto correre né prima né dopo. Anche durante gli allenamenti rimaneva seduto in panchina in tuta. In campo faceva tutto il suo vice Leonardo Menichini. Una volta rientrati in spogliatoio dopo la gara con l’Atalanta lo abbiamo preso in giro: Mister, da quanto tempo è che non faceva un allungo così?”.

Viene da ridere ancora oggi a Filippini. “I due che hanno provato a trattenerlo durante la corsa sono il team manager Edoardo Piovani e il dirigente accompagnatore Cesare Zanibelli. Secondo me sarebbero stati in grado di fermarlo, ma erano curiosi di sapere come sarebbe andata a finire. Quindi è stato anche merito loro, se quella corsa è diventata mitica. Ad ogni anniversario scrivo un messaggino a Cesare: anche quest’anno ti ho rivisto protagonista sui social!”. Filippini avrebbe poi giocato con Palermo, Lazio, Treviso e Livorno, quasi sempre in tandem con il fratello. “Il mister lo sento per gli auguri di Natale e compleanno. È il miglior allenatore che abbia mai avuto, mi ha regalato tutte le emozioni possibili nel mondo del calcio. Carismatico, coerente, leale. Non raccontava mai bugie e i calciatori queste cose le apprezzano. Era un allenatore vecchio stampo, ma molto preparato sull’aspetto tattico. Le partite le leggeva benissimo. Nella gestione dello spogliatoio oggi mi ispiro a lui. Quando è arrivato Baggio, Mazzone ci ha detto: lui può fare quello che vuole e lo ha fatto”.

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