giugno 2020

Sono stati considerati eroi, nel pieno della pandemia, ma oggi a distanza di un paio di mesi si sono ritrovati al centro di denunce per le morti causate dal coronavirus (AGGIORNAMENTI IN DIRETTASPECIALE). Sono i 19 medici del pronto soccorso dell’ospedale San Matteo di Pavia, che in una lettera al quotidiano La Provincia Pavese hanno espresso il loro malcontento per quel che sta accadendo. “Abbiamo sperimentato la paura, la tristezza, la desolazione, l’impotenza, siamo stati chiamati eroi... Oggi riceviamo richiami, segnalazioni, esposti in Procura... Se quello che abbiamo vissuto ci è sembrato un incubo questo epilogo lo è ancora di più”, spiegano i sanitari del nosocomio lombardo.



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Le mutilazioni genitali femminili e i “matrimoni” precoci e forzati sono solo gli esempi più noti di pratiche dannose alle quali sono sottoposte le donne in tutto il mondo, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati. Mettere fine a queste pratiche entro il 2030 è un obiettivo dell’UNFPA (Agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva) che il 30 giugno ha presentato il suo Rapporto annuale in diretta mondiale. In Italia il Rapporto, intitolato “Contro la mia volontà. Affrontare le pratiche dannose per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere” è lanciato da AIDOS (Associazione italiana donne sviluppo) con l’Agenzia di stampa nazionale DiRE.

Di tutte le pratiche dannose denunciate da UNFPA, la più diffusa è il matrimonio precoce e forzato, che ogni anno mette a rischio i diritti e il futuro di 12 milioni di bambine e ragazze. I dati riportati dall’UNFPA segnalano che, nonostante i matrimoni di minori siano vietati quasi ovunque, se ne verificano 33.000 ogni giorno, in ogni parte del mondo. Si calcola che oggi vi siano 650 milioni di donne e ragazze che si sono sposate da bambine ed entro il 2030 se ne aggiungeranno altri 150 milioni.

Sono stati fatti progressi nel rallentare la diffusione di questa pratica, ma per via della crescita della popolazione il numero assoluto delle ragazze che la subiscono è in aumento.

Il costo, incalcolabile dal punto di vista delle singole vite offese e spesso devastate dalle conseguenze dei matrimoni precoci, è stato misurato dal punto di vista economico: secondo la Banca Mondiale – si legge nel Rapporto – in solo 12 dei paesi in cui è più diffusa la pratica, la perdita di capitale umano equivale a 63 miliardi di dollari tra il 2017 e il 2030, molto più di quanto gli stessi paesi abbiano ricevuto tramite gli aiuti allo sviluppo ufficiali (Wodon e altri, 2018).

Tra le conseguenze dei matrimoni precoci vi sono abbandono scolastico, problemi di salute spesso legati alla gravidanza e al parto, violenze di genere minacciate e perpetrate, esclusione sociale che conduce a depressione e a volte al suicidio; limitazione della libertà di movimento; pesanti responsabilità domestiche. Il matrimonio precoce spesso costa la vita alle ragazze, considerando che le complicanze legate a gravidanza o parto sono la prima causa di morte per le adolescenti tra i 15 e i 19 anni, in tutto il mondo (OMS, 2018a)

Le ragazze più colpite sono quelle appartenenti alle fasce di popolazione a minor reddito e nei contesti rurali, e il fatto che abbiano meno possibilità di andare a scuola è allo stesso tempo conseguenza e causa dei matrimoni precoci, che sono l’esito di scelte prese dalle famiglie in relazione alla povertà e al relativo vantaggio economico che deriva dal cedere la figlia in un contesto di tradizioni matrimoniali che contemplano “il prezzo della sposa”.

I matrimoni infantili, infatti, aumentano nei contesti deprivati di risorse, come quelli colpiti da disastri naturali e da conflitti, oppure dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Esempi vengono dallo Yemen, dove oggi il 65% delle ragazze si sposa prima di compiere i 18 anni, mentre era il 50% prima dell’inizio del conflitto. O dalla Tanzania, dove le difficoltà economiche procurate dall’alternarsi di siccità, inondazioni e tempeste, spingono più famiglie delle comunità rurali a cedere in spose le figlie bambine.

Un’altra pratica abusiva diffusa è la mutilazione genitale femminile praticata sulle bambine, descritte dall’UNFPA come una violenza di genere approvata dalla società, parte integrante di un sistema patriarcale che sancisce il potere maschile sulle donne (sebbene l’atto in sé sia di solito eseguito da donne più anziane). Il fatto che questa pratica sia vietata nella maggior parte dei paesi in cui è in uso non è sufficiente ad eliminarla perché fa parte di un insieme di rappresentazioni trasmesse e condivise, basate su stereotipi in materia di sessualità femminile secondo cui la mutilazione proteggerebbe le donne dalla sessualità stessa sottoponendole al controllo degli uomini. Questa pratica viene definita come “il risultato di strutture di potere patriarcale che legittimano la necessità di controllare la vita delle donne, concezione che nasce dalla percezione stereotipata delle donne come principali custodi della morale sessuale, ma al tempo stesso vittime di impulsi sessuali incontrollati.”

Il dato quantificato nel 2020 dall’UNFPA è di circa 200 milioni di donne e ragazze che sono state sottoposte a una qualche forma di mutilazione dei genitali in 31 paesi del mondo, inclusi paesi occidentali, e di 4,1 milioni di donne e bambine che rischiano di subirle. Il fatto che sempre più spesso la procedura sia medicalizzata e attuata in ambiente sterile non mette al sicuro le donne dalle conseguenze sulla propria salute, sia fisica che psichica. Anche in questo caso, il divieto legale non è sufficiente a ostacolare la diffusione della pratica, che persiste in particolare le famiglie più povere nei contesti rurali.

L’elenco delle pratiche dannose è lungo, ed include anche la selezione prenatale in base al sesso, basata su pregiudizi di genere. Negli ultimi 50 anni il numero delle donne mancanti è più che raddoppiato od ogni anno le femmine mancanti sono quasi 1,2 milioni.

UNFPA evidenzia però anche i cambiamenti positivi, dando voce alle donne e agli uomini che a partire dalle proprie esperienze hanno scelto di agire per cambiare il contesto. Sono le nuove generazioni quelle più sensibili ed efficaci nel promuovere l’abbandono delle pratiche dannose all’interno della comunità. Molto più dei loro genitori hanno accesso alle informazioni sui propri diritti e sulle conseguenze di queste pratiche, ed hanno più possibilità di entrare in comunicazione tra pari e chiedere sostegno. I dati citati nel rapporto sono incoraggianti: “Sempre più elementi attestano che le nuove generazioni rifiutano gli stereotipi di genere e la preferenza per il figlio maschio, in Cina e altrove (OMS, 2011). Nei paesi con un’elevata incidenza di mutilazioni genitali femminili, le adolescenti sono più inclini, rispetto alle donne più anziane, a respingere questa pratica con un’opposizione che in alcuni paesi supera il 50% (UNICEF, 2020)”.

Nel corso degli ultimi 25 anni, cioè dalla prima Conferenza internazionale ONU sulla popolazione e lo sviluppo tenutasi al Cairo, è stato anche possibile mettere a punto strategie per incentivare il cambiamento culturale in cui gli attori sociali locali siano protagonisti.

Sono però necessari investimenti economici. Le politiche di austerità imposte dai programmi internazionali si traducono in tagli dei servizi utili a contrastare le pratiche dannose sulle donne e le ragazze, mentre secondo le stime riportate da Natalia Kanem, sottosegretaria generale e direttora esecutiva di UNFPA, con una media di 3,4 miliardi di dollari l’anno ben spesi, dal 2020 fino al 2030 compreso, si potrebbero prevenire le sofferenze di 84 milioni di ragazze.

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La Grecia sceglie un algoritmo per far ripartire il turismo nelle isole dell’Egeo e così provare a non perdere una fetta importante del suo pil, senza svilire al contempo sicurezza e prevenzione verso il coronavirus. Il governo Mitsotakis, sotto la guida del comitato tecnico scientifico, ha diffuso le linee guida per la stagione estiva ormai alle porte. Dal primo luglio 27 aeroporti greci riapriranno a una serie di Paesi, tra cui non figurano Gran Bretagna e Svezia, con un vademecum di procedure.

Il primo strumento usato sarà appunto un algoritmo che calcolerà quali turisti hanno maggiori probabilità di essere portatori del virus. Fino a 48 ore prima della partenza per la Grecia i viaggiatori dovranno compilare un modulo, disponibile sul sito dedicato (https://travel.gov.gr) sia tramite pc che dal proprio smartphone: sono richiesti i dati personali (che verranno confrontati con quelli sul biglietto), i dati del viaggio, del vettore utilizzato, dell’indirizzo di destinazione e delle abitudini avute nelle ultime settimane o degli eventuali sintomi. In base alla percentuale di possibili rischi contenuti in questi dati, il sistema genererà automaticamente un codice a barre che il turista dovrà mostrare una volta sbarcato in aeroporto o nei porti.

A quel punto i turisti con livello di rischio maggiore avranno più possibilità di rientrare nei controlli a campione che verranno fatti al momento dell’arrivo, in aree aeroportuali e portuali dedicate. Se il test risulterà positivo, dopo 24 ore il turista verrà contattato e invitato e mettersi in autoquarantena per 14 giorni. Ad esempio, nel caso di un volo, giunti nell’area di arrivo i passeggeri verranno indirizzati all’interno dalla sala in cui si trova il personale addetto allo screening che controllerà il codice di risposta rapida (QR) che ciascun passeggero mostra sullo schermo del suo cellulare o sul modulo prestampato: per alcuni scatterà il test. Stessa procedura per chi entra in Grecia a bordo di un traghetto nei porti di Igoumenitsa e Patrasso o tramite le frontiere terrestri. Le crociere non sono ancora state programmate.

Al termine dei controlli tutti i dati verranno inseriti nel sistema informativo Eody, che è collegato al registro nazionale Covid per facilitare la ricerca dei contatti nel caso in cui qualcuno risultasse positivo. Tutti i passeggeri, sia in aereo che in traghetto, dovranno comunque seguire le ormai note misure igieniche preventive necessarie, come l’uso di mascherine e il distanziamento sociale. Nelle cabine delle navi potranno viaggiare assieme solo i componenti dello stesso nucleo familiare.

Gli scali aeroportuali nuovamente operativi sono Heraklion, Chania, Corfù, Rodi e Mykonos, Ioannina, Sitia, Lemnos, Citera, Skyros, Paros e Chios. Oltre ai porti di Patrasso e Igoumenitsa riapriranno anche Pireo, Rodi, Corfù, Volos e Katakolon (questi ultimi dedicati alle grandi navi da crociera).

Sempre sul versante turistico, ma interno, il Governo greco ha dato avvio al programma Tourism for all, stanziando 30 milioni di euro. La piattaforma per le dichiarazioni online di partecipazione al programma del Ministero del turismo è stata aperta ieri: i beneficiari sono tutte le persone fisiche residenti in Grecia che hanno presentato una dichiarazione dei redditi per l’anno fiscale 2018 in possesso dei parametri richiesti. Dovrebbero essere circa 300mila i cittadini greci, a basso reddito e portatori di handicap, che potranno usufruire di quasi una settimana di vacanza in tutte le destinazioni di Grecia.

Twitter @FDepalo

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L’ultima è stata la Puglia, dove da oggi, 1 luglio, cade l’obbligo del metro tra un passeggero e l’altro se si sta seduti. Prima era toccato ad altri dire addio al distanziamento sui mezzi pubblici. Un’Italia spaccata in due quella che viaggia su treni, bus e tram, con alcune Regioni che hanno fatto un passo avanti e altre che restano ferme a quanto è stato prescritto nelle scorse settimane, quando è finito il lockdown per contenere la pandemia di coronavirus.

Nel trasporto pubblico locale, in piena Fase 3, c’è una babele di ordinanze che prescrivono regole vecchie e nuove, tra applicazione ferrea del metro di distanza e cordoni allentati. Nelle scorse settimane la Toscana ha ribadito la norma basilare di distanziamento, stessa posizione della Basilicata. Non hanno emesso ordinanze Abruzzo, Campania, Calabria, Molise, Sardegna, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta e la Provincia autonoma di Bolzano. Ci sarebbe anche il Piemonte, ma il governatore Alberto Cirio ha annunciato novità a breve, almeno per quanto riguarda i treni. Nelle altre regioni, invece, la linea scelta è già quella morbida ma non univoca.

In Lombardia un’ordinanza della Regione dello scorso 19 giugno ha fatto decadere la regola che fissava l’occupazione massima al 50% per i posti a sedere e al 15% dei posti in piedi, lasciando tuttavia l’obbligo del metro di distanza e di indossare la mascherina. Liberalizzazione totale dei posti, sia in piedi che a sedere, in Veneto dallo scorso 26 giugno, sempre con l’obbligo di indossare la mascherina.

Dallo stesso giorno l’Emilia-Romagna ha consentito “l’occupazione del 100% dei posti a sedere” nel rispetto dell’uso della mascherina, con obbligo di detersione mani e di entrata e uscita separate. Con le stesse tempistiche è scattato il via libera al pieno riempimento anche in Friuli Venezia-Giulia a bordo di tutti i mezzi del trasporto pubblico locale, comprese funivie e seggiovie.

A partire dal 29 giugno, la Provincia autonoma di Trento consentito la piena occupazione dei posti a sedere, mentre ha confermato “ancora il distanziamento di almeno un metro” per i posti in piedi. Una linea sostanzialmente identica a quella adottata dalla Puglia, a partire da oggi, anche su taxi e Ncc. Lo stesso schema adottato dalla Liguria, dal 27 giugno, a bordo dei treni regionali e dei pullman che coprono tratte extraurbane. “Mentre per il trasporto urbano restano valide le disposizioni” del metro di distanza.

Nelle Marche, da una settimana, con un’ordinanza dal linguaggio criptico, è stata consentita la “deroga al rispetto della distanza di un metro” ma le persone devono essere disposte in fila indiana, senza “faccia a faccia”, e resta l’obbligo di riempimento dei mezzi non oltre il 60% per i mezzi urbani. Sui mezzi e nei percorsi extraurbani, il numero di persone in piedi in fila indiana “può essere accettata solo per brevi tratte” e “il limite massimo di riempimento è ridotto sperimentalmente al 50%”. E si valuta anche l’installazione di “separazioni removibili tipo plexiglas” tra i sedili.

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“Aumentare gli sforzi per combattere ogni forma di tortura e maltrattamento“, anche nello specifico caso della “brutale uccisione di Giulio Regeni“. Ma anche “fissare una moratoria sulla pena di morte“, “adottare misure per garantire la libertà di espressione” e il “pluralismo politico”, “garantire il lavoro delle ong in difesa dei diritti umani” e “combattere la violenza contro le donne e i minori“. Tutte raccomandazioni inviate all’Egitto, tutte provenienti dallo Stato italiano. Lo stesso che, appena 6 mesi dopo, darà il via libera alla maxi commessa da circa 10 miliardi di euro per la fornitura di armamenti al Cairo che comprende, oltre alle due fregate Fremm “Spartaco Schergat” ed “Emilio Bianchi”, altre 4 navi, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo.

Lo si legge nel report del Gruppo di Lavoro della Universal Periodic Review (Upr) sull’Egitto adottato il 12 marzo 2020 e redatto nella sua versione finale a dicembre 2019. Si tratta di un processo sotto l’egida delle Nazioni Unite che comporta l’esame, in diverse sessioni annuali per cicli di 4 anni totali, dello stato dei diritti umani nei 192 gli Paesi membri dell’Onu. Nello specifico, gli Stati coinvolti devono inviare delle loro raccomandazioni su altri Paesi selezionati tra i facenti parte delle Nazioni Unite, invitandoli ad apportare dei miglioramenti nella salvaguardia dei diritti umani. Nell’ultimo ciclo di 4 anni, tra i Paesi sotto osservazione c’era anche l’Egitto.

E le raccomandazioni inviate dall’Italia sollevano questioni molto gravi in materia di diritti umani. Nella prima si fa riferimento subito al caso di Giulio Regeni: per Roma è necessario “aumentare gli sforzi per prevenire e combattere tutte le forme di tortura e maltrattamento, assicurando che i responsabili vengano individuati, anche nel caso di coloro che hanno perpetrato il brutale omicidio di Giulio Regeni”, si legge.

L’Italia si concentra anche sulla necessità di una “moratoria sulla pena di morte” e sulla “adozione di misure per garantire la libertà di espressione, sia online che offline, libertà di associazione e assemblea, pluralismo politico e stato di diritto”. Tutti diritti sistematicamente violati dagli uomini del presidente Abdel Fattah al-Sisi, come testimoniano le notizie quotidiane di incarcerazioni di attivisti, come nel caso di Patrick George Zaki, oppositori politici, persone vicine alla Fratellanza Musulmana e, in generale, di tutti coloro che si oppongono ai diktat imposti dal presidente.

Roma ha chiesto anche che sia “pienamente implementata, in accordo con la società civile e i partner internazionali, la legge sulle ong del 2019, garantendo ai difensori dei diritti umani di operare in un ambiente sicuro e libero”. Infine, si chiede di “fare passi avanti per combattere ogni forma di violenza contro le donne e i bambini e aumentare a 18 anni l’età legale per il matrimonio per le ragazze”.

“Questi documenti – commenta a Ilfattoquotidiano.it il coordinatore della Rete italiana per il disarmo, Francesco Vignarca – dimostrano come il nostro Governo sia ben conscio della situazione problematica dei diritti umani in Egitto, tanto da esplicitare alcuni aspetti in sede internazionale. Eppure tutto questo sembra ignorato nell’ambito dell’applicazione della legge 185/90 sull’export di armi e delle norme internazionali che invece impongono di considerare il rispetto dei diritti umani in fase di valutazione delle licenze”.

Raccomandazioni di questo tipo inviate dall’Italia, e pubblicate su documenti ufficiali dell’Onu, si scontrano infatti con le disposizioni contenute nella legge 185 del 1990 che regola l’export di armamenti. In uno dei passaggi della legge è scritto che “l’esportazione e il transito di materiali di armamento sono altresì vietati verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa“. In questo caso, è la stessa Italia, mettendo le proprie raccomandazioni nero su bianco su un documento ufficiale delle Nazioni Unite, ad allinearsi ai report delle varie organizzazioni internazionali e a ritenere, quindi, che in Egitto vi siano gravi problemi legati al rispetto dei diritti umani. Una consapevolezza che, però, non ha impedito al governo di dare il proprio via libera alla prima fornitura di fregate al generale al-Sisi dopo l’ultima telefonata tra i due.

“Se il Governo ha deciso di superare queste problematicità in una più ampia ottica di politica estera, come sembra suggerire il passaggio in Consiglio dei Ministri, allora si impone una discussione e un voto in Parlamento, come richiede la stessa legge 185/90 – conclude Vignarca – Altrimenti, a nostro parere, l’autorizzazione non è solo problematica e criticabile dal punto di vista politico, ma anche da quello procedurale e legale”.

Twitter: @GianniRosini

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Quando il cinema cominciò a trasformarsi da prodigio della tecnologia a linguaggio artistico, negli anni ’10 e ’20, una serie di maestri gettarono le basi pratiche e teoriche della settima arte. Se i fratelli Lumière subito dopo averlo inventato dichiararono che “il cinema è un’invenzione senza futuro”, le cose cambiarono quando, al posto di fotografi che vedevano nella pellicola solo immagini in movimento, nacquero i registi, che compresero che era una cosa molto diversa: non era fotografia e nemmeno teatro, era una nuova forma.

Uno dei principali maestri di quest’arte fu il russo Sergej Ejzenstejn, tra i suoi capolavori c’è anche La corazzata Potemkin a cui andò l’ironico omaggi di Paolo Villaggio in Fantozzi. Esce ora in Italia per la prima volta, edito da Marsilio e curato da Alessia Cervini e tradotto da Marella Meringolo, Il metodo, la sua summa poetica.

Il regista, che fu uno dei più grandi teorici del cinema, ragiona su cosa è il cinema e quanto questo nuovo tipo di comunicazione stava cambiando il pubblico, che si sentiva improvvisamente vicino ad avvenimenti che prima erano solo immaginabili. Pochi anni dopo a sfruttare questo potentissimo mezzo di comunicazione saranno i regimi fascisti e comunisti. Gli stessi film di Ejzenstejn furono un’arma propagandistica per creare un mito attorno alla Rivoluzione d’ottobre e alla nuova società socialista.

“Il cinema – scrive – grazie alla sua possibilità di emozionare le folle, ha la capacità di assoggettare a una ideologia, alla mia concezione, alla mia visione delle cose”, senza che il pubblico si accorga di essere davanti a un mezzo che non racconta semplicemente una storia, ma crea una visione del mondo.

Ejzenstejn chiama questo fenomeno “il possesso magico”: il cinema possiede il suo spettatore come uno spettro che gli entra nella mente e lo conduce a trarre delle conclusioni da una storia, pensando che quelle conclusioni siano sue. Lo stesso metodo sarà poi usato negli Usa per creare le fondamenta ideologiche della società capitalista tramite i film di Hollywood (Ejzenstejn scriverà un saggio anche su Walt Disney, con cui trovava molte affinità).

Oggi le conclusioni di Ejzenstejn possono essere estese ai nuovi mezzi di comunicazione di massa: la televisione, le serie tv, i social network. La formula di emozione/seduzione non è cambiata molto. Il cinema fu il primo vero mezzo di comunicazione di massa e diede il via alla preponderanza delle immagini nella comunicazione. Quando Ejzenstejn scriveva, il grande schermo era ancora ai primi vagiti, eppure già era chiarissima la sua potenza persuasiva.

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Anche l’Italia, come ogni anno, aspettava con trepidazione l’ultimo show del Cirque du Soleil. Le date di “Totem” erano state riprogrammate – come del resto tantissimi altri spettacoli nel nostro Paese – il 25 aprile 2021 a Roma e il 20 giugno 2021 in Piazzale Cuoco. Sarà impossibile però che il pubblico italiano possa applaudire i protagonisti della compagnia. Il circo canadese ha deciso di aprire una procedura per bancarotta in Canada, nel tentativo di sviluppare un piano per riavviare la propria attività. Una crisi che già si era sviluppata prima della pandemia, ma con il fermo di tutti gli spettacoli per le misure di sicurezza e il distanziamento sociale, la situazione è precipitata. Sono stati tagliati 3.480 posti di lavoro, mentre la società tenta disperatamente una operazione per ristrutturare il proprio debito. “Negli ultimi 36 anni il Cirque du Soleil è stato un’organizzazione di grande successo e molto redditizia. Tuttavia, con entrate pari a zero dopo la chiusura forzata di tutti i nostri spettacoli a causa di Covid-19, il management ha dovuto agire con decisione per proteggere il futuro dell’azienda“, ha dichiarato il presidente e amministratore delegato Daniel Lamarre.

A prescindere da come vadano le cose, il Cirque du Soleil ha segnato il mondo dello spettacolo, regalando una versione inedita di una delle arti più antiche ed affascinanti del mondo. Il Cirque du Soleil nasce nel 1984 da una idea dell’ex mangiatore di fuoco, allora 23enne, Guy Laliberté a Montreal con Gilles Ste-Croix e Daniel Gaulthier. L’idea era di reinventare totalmente l’arte circense per diventare poi leader mondiale dell’intrattenimento dal vivo con 190 milioni di spettatori in più di 450 città di oltre 60 Paesi.

Tutto ha avuto inizio a Baie-Saint-Paul, una piccola città vicino alla città di Québec, in Canada. Lì, nei primi anni Ottanta, una banda di personaggi colorati vagava per le strade, camminando su trampoli, danzando, sputando fuoco e suonando. Erano i Les Échassiers de Baie-Saint-Paul, un gruppo teatrale di strada fondato da Gilles Ste-Croix. I cittadini erano già rimasti colpiti e incuriositi da questi giovani artisti, tra i quali c’era Guy Laliberté. Il gruppo nel 1982 ha organizzato La Fête Foraine de Baie-Saint-Paul, un evento culturale in cui gli artisti di strada di tutto il mondo si sono incontrati per animare le strade della città per alcuni giorni. La Fête Foraine è stata replicata nel 1983 e nel 1984. Così Guy Laliberté, Gilles Ste-Croix e i loro colleghi hanno iniziato mettere in piedi un progetto assai ambizioso: creare un circo del Québec e portare la compagnia in giro per il mondo. Nel 1984 a Québec fervono i preparativi per festeggiare il 450esimo anniversario della scoperta del Canada da parte di Jacques Cartier, e c’era bisogno di uno spettacolo per festeggiare al meglio l’evento. Guy Laliberté ha presentato una proposta per uno spettacolo chiamato Cirque du Soleil ed è riuscito a convincere gli organizzatori. Nel 1984 lavoravano 73 persone per il Cirque du Soleil per poi arrivare a 4.500 dipendenti, provenienti da quasi 70 Paesi.

Nel gruppo, artisti provenienti da tutto il mondo: anche centinaia di italiani sono transitati sotto il tendone del Cirque du Soleil. Ad esempio, Simona Randazzo che a Torino faceva il giocoliere a un semaforo per pagarsi gli studi presso l’Atelier Teatro Fisico di Philip Radice, ma anche Marco Senatore di Cava de Tirreni, in provincia di Salerno, assunto, dopo tante audizioni, come sbandieratore, un’arte che ha imparato dall’età di 12 anni.

Il circo canadese ruota attorno a tre cardini principali tra creatività ed arte: mimo, acrobazia e giocoleria. Soprattutto a differenza degli altri circhi non è previsto l’uso degli animali. Il Cirque du Soleil negli anni ha sviluppato anche imponenti produzioni multimediali, parchi a tema ed eventi speciali. La missione del Cirque du Soleil è “invocare l’immaginazione, provocare i sensi ed evocare le emozioni delle persone in tutto il mondo”, come recitava il manifesto artistico della compagnia. Ecco alcune curiosità legate al circo: nella sola sede internazionale di Montreal, c’erano quasi 1.500 dipendenti. Al Cirque si possono trovare più di 100 tipi di professioni. I dipendenti e gli artisti dell’azienda rappresentano più di 70 nazionalità e parlano 25 lingue diverse. Più di 190 milioni di spettatori di tutte le età hanno visto uno spettacolo del Cirque du Soleil dal 1984. Un piccolo record nel 2017: quasi 10 milioni hanno visto uno spettacolo del Cirque. Dal 1992 il Cirque du Soleil non ha ricevuto sovvenzioni dal settore pubblico o privato.

Guy Laliberté è stato un personaggio controverso. Secondo Forbes il suo patrimonio ammonta a 2.5 miliardi di dollari, poi è stato anche insignito di cariche importanti come Cavaliere dell’Ordine Nazionale del Québec, l’Ufficiale dell’Ordine del Canada, Medaglia del Giubileo D’oro di Elisabetta II, Medaglia del Giubileo di diamante di Elisabetta II, appassionato di poker ha frequentato spesso il Casinò di Montreal. Infine è stato arrestato il 12 novembre 2019 a Papeete, capitale dell’Isola di Tahiti, per detenzione di cannabis nella sua isola privata, l’atollo Nukutepipi. È stato rilasciato dopo qualche ora con l’obbligo di comparire a giudizio per le accuse di detenzione, uso e coltivazione di cannabis. Laliberté si è sempre difeso: “Era solo uso personale e terapeutico”. Nel 2015 Guy Laliberté, ha ceduto la maggioranza della società ad un consorzio guidato dal gruppo Usa Tpg e nel quale figura anche la società cinese Fosun. Laliberté mantiene ad oggi una quota di minoranza e continua a partecipare alla direzione strategica e artistica della società.

Tra gli spettacoli più famosi del Cirque du Soleil “Saltimbanco”, “Corteo”, “Alegria” (tra gli show più longevi della compagnia) e “Dralion” oltre agli eventi speciali come “Alla Vita!”, in occasione dell’Expo 2015 a Milano. Lo sbarco nelle sale cinematografiche risale al 2012 con un film in 3D diretto da Andrew Adamson e prodotto dal premio Oscar James Cameron.

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Una distribuzione a pioggia di soldi pubblici. La Guardia di finanza di Genova ha scoperto un danno erariale da 20 milioni di euro di cinque alle Asl liguri per indennità orarie aggiuntive non dovute ai medici di guardia medica. Gli accertamenti, svolti dal Gruppo Tutela Spesa Pubblica del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Genova, hanno scoperto che quelle risorse sono state erogate ai medici in assenza di progetti ovvero in relazione a mansioni ordinarie.

L’accordo collettivo nazionale e gli accordi integrativi regionali, invece, prevedono l’erogazione di una indennità aggiuntiva solo per specifiche attività; progettuali e per lo svolgimento di attività; aggiuntive a quelle normalmente svolte nonché; la relativa rendicontazione ed il raggiungimento di obiettivi prefissati, per il miglioramento del servizio sanitario. All’esito degli accertamenti amministrativi, che hanno riguardato il periodo 2009-2019 tutte le Asl e, per la sola Asl 3, quello 2007-2017, la spesa sostenuta dalle aziende sanitarie della Liguria, pari a circa venti milioni di euro, è stata segnalata quale danno erariale alla Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti della Liguria.

L’attività ha avuto origine da una segnalazione operativa, nell’ambito di un progetto a livello nazionale denominato “Viribus Unitis”, del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressioni Frodi Comunitarie della Guardia di Finanza che, anche in virtù del rinnovato protocollo d’intesa siglato tra la Guardia di finanza e la Procura Generale della Corte dei Conti lo scorso 28 maggio, è il referente, a livello centrale, per lo sviluppo delle deleghe istruttorie e per il coordinamento informativo per i Reparti dislocati sul territorio nazionale.

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Conto alla rovescia per l’allargamento del bonus di 80 euro, che arriverà a 100 per chi guadagna fino a 28mila euro e fino a fine anno riguarderà – sotto forma di una detrazione fiscale decrescente – anche i contribuenti con redditi fino a 40mila euro. Il taglio del cuneo fiscale previsto dalla legge di Bilancio 2019 scatta mercoledì 1 luglio. “Gli stipendi aumenteranno per 16 milioni di persone“, ha ricordato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. “Per 4 milioni e mezzo aumenteranno di 100-80 euro netti al mese che arriveranno in busta paga. Per 11 milioni i vecchi 80 euro arriveranno a 100. Un taglio significativo delle tasse di oltre 7 miliardi l’anno a regime”. Sempre mercoledì entrano in vigore anche il nuovo limite all’uso del contante che passa da 3.000 a 2.000 euro e il credito di imposta pari al 30% delle commissioni addebitate agli esercenti per transazioni con carte.

Il governo giallorosso ha deciso di distribuire i circa 3 miliardi stanziati in manovra per il taglio del cuneo nel 2020 – per l’anno prossimo le risorse salgono a 5 miliardi – con un “sistema misto“. I single senza detrazioni che guadagnano meno di 8.145 euro (incapienti) continuano a rimanere esclusi. A partire da quella cifra e fino a un reddito lordo di 28mila euro scatta, per tutti i dipendenti pubblici e privati, un aumento dell’attuale bonus Renzi, che viene portato a 100 euro mensili. Chi prende tra 26.600 e 28mila euro non ha attualmente diritto al credito Irpef, per cui avrà il beneficio più evidente.

Salendo nella scala dei redditi, i contribuenti che guadagnano tra 28mila e 35mila euro si vedranno riconoscere non il bonus ma una nuova detrazione, sempre di 80 euro al mese, che andrà gradualmente decrescendo man mano che si arriva a 40mila euro. La platea dei beneficiari si allarga dagli 11,7 milioni che già percepiscono il bonus a 16 milioni di lavoratori. La misura è già di carattere strutturale per la parte relativa al trattamento integrativo, mentre la detrazione deve essere stabilizzata dal 2021 a patto che si trovino le risorse. E forse nell’ambito della riforma complessiva del fisco slittata causa Covid ma ora tornata di attualità.

Secondo Il Sole 24 ore, che cita una simulazione di De Fusco & Partners, nella pa il beneficio interesserà 3,1 milioni di dipendenti con il beneficio maggiore per i ministeriali con reddito annuo medio poco sopra i 27mila euro. Nel privato il vantaggio più significativo arriverà per impiegati della manifattura con reddito medio annuale poco sopra i 30mila euro e operai della fornitura di energia elettrica con redditi medi di 33,972 euro; prenderanno rispettivamente 92 e 83 euro mensili in più.

Resta il nodo della cosiddetta aliquota marginale effettiva, quella che si applica sul reddito “in più” ricevuto per esempio per effetto di straordinari o premi di risultato: salirà al 45% per i redditi tra 28mila e 35mila euro e addirittura al 61% per quelli tra 35mila e 40mila euro. Gli 80 euro attuali già comportano per gli 1,3 milioni di dipendenti che guadagnano tra 24.600 e 26.600 euro – fascia nella quale il bonus decresce rapidamente fino ad azzerarsi – una aliquota marginale effettiva che schizza all’80 per cento. Vale a dire che lavorare di più risulta per loro poco conveniente, perché l’80% del reddito aggiuntivo da straordinari se ne va tra maggiori imposte e minore bonus. Con il bonus rafforzato questo paradosso riguarderà tra 5 e 5,5 milioni di persone.

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Un insegnante di 44 anni, Mauro Pamiro, è stato trovato morto con un foro in testa da alcuni operai all’interno dell’azienda Merico in via Don Primo Mazzolari, in provincia di Cremona. Al momento l’unica indagata a piede libero per omicidio è la moglie della vittima, Debora Stella, interrogata ieri dal sostituto procuratore Davide Rocco per più di tre ore nel tentativo di ricostruire le ultime ore del marito con il quale era sposata da 11 anni. Dopo il colloquio la donna, in stato di choc, è stata ricoverata nel reparto di Psichiatria dell’ospedale Maggiore.

Da quanto si apprende, gli inquirenti non escludono nessuna pista, anche se quella dell’omicidio sembra essere la più accreditata: nessuna arma è stata trovata vicino al cadavere e non sono state rinvenute nemmeno tracce di sangue nel cantiere. L’autopsia dovrà poi confermare la natura della ferita riportata alla testa dell’insegnante, quindi se il foro sia d’arma da fuoco o da un oggetto appuntito, riporta il Corriere della sera.

La vittima, docente di informatica all’Istituto Galilei, aveva appena finito di presenziare agli esami di maturità come commissario. Appassionato musicista, polistrumentista, Pamiro suonava in una band. Aveva un suo sito in cui lui stesso si definiva cantautore: nei primi anni Novanta aveva suonato le tastiere nella rock band d’avanguardia Vedda Tribe, incidendo due album. Compositore di musica elettronica per video e installazioni artistiche, aveva cantato e suonato la chitarra nella band Dherma e nel suo progetto da solista: due mesi fa aveva inciso un cd.

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Con sette giornate di anticipo, dopo la vittoria per 1-0 contro la Juve Stabia, il Benevento è matematicamente promosso in Serie A. Un traguardo che è stato subito festeggiato dall’allenatore, Pippo Inzaghi, che si è scatenato nello spogliatoio insieme ai giocatori. L’ex attaccante è esploso in canti e cori da stadio insieme alla squadra, ricordando che “l’anno prossimo si va tutti all’Olimpico”. Proprio in quelle panchine, come tecnico della Lazio, siede il fratello, Simone Inzaghi.

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Rito collettivo della stagione balneare, il pettegolezzo gode delle alte temperature. E come detto, quello sulla rottura tra Stefano De Martino e Belen Rodriguez è il gossip dell’estate. Anche perché, come accade dal Carbonifero, sul pettegolezzo si fanno congetture, arrivano nuovi rumors, i fan si lanciano in fantasticherie. Proprio ieri Il Messaggero riportava un gossip tutto romano: “De Martino avrebbe tradito Belen con una conduttrice più anziana“. E ieri sera, durante la puntata di Made in Sud, Peppe Iodice non poteva che ‘prendere la palla al balzo’ per scherzarci su proprio insieme al conduttore De Martino: “Non voglio fare gossip, ma una domanda te la devo fare: ma veramente ti piacciono le vecchiarelle, le milf? Fai il zuzzusiello, chi è questa conduttrice, dici, dai dici…”. E l’ex di Belen? “Ma sono fake news, non devi leggere il web”. A quel punto al comico tocca la battuta finale: “Io so che negli ospizi si parla solo di te, ma non facciamo gossip”.

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di Sara Messina

Giornata che potrebbe essere storica quella del 25 giugno scorso per il calcio femminile durante la quale il Consiglio Federale, oltre a definire ufficialmente il corso della Stagione Sportiva 2019/20, ha avviato l’iter per il professionismo.

Dopo lo stop definitivo del campionato – decretato non senza polemiche l’8 giugno – si attendevano infatti i verdetti sull’assegnazione dello scudetto, promozioni e retrocessioni.

Il Consiglio ha quindi deciso di assegnare lo Scudetto della Serie A alla Juventus, la quale accede alla prossima Champions League con la Fiorentina, classificata seconda pari punti con il Milan ma premiata da una migliore media punti calcolata attraverso il coefficiente correttivo adottato.

Retrocedono in serie B Tavagnacco ed Orobica mentre Napoli e San Marino accedono alla Serie A che rimane a 12 squadre a differenza della categoria cadetta che passa a 14 squadre dopo l’approvazione del nuovo format.

Novità anche per la Coppa Italia che la prossima stagione vedrà ben 26 partecipanti totali. Cambia anche la Supercoppa che sarà ambita da 4 squadre, rispettivamente Juventus, Fiorentina, Milan Roma ovvero le prime quattro classificate nella stagione appena conclusa.

Il Campionato Primavera si sdoppia a partire dal 2021/22 con l’istituzione di due livelli di competizione: Primavera 1 e Primavera 2 con promozioni e retrocessioni tra i due tornei.

Importante anche l’approvazione del nuovo Sistema di Licenze Nazionali per il femminile, che permetterà senza dubbio di alzare livello e soprattutto gli standard del movimento. Una decisione che deve essere letta nell’ottica di un costante sviluppo del settore ed in combinato con quella che è senz’altro è la novità più importante presa dal Consiglio Federale: ovvero l’inizio dell’iter che porterà al professionismo del calcio femminile dalla stagione sportiva 2022/23.

Un passaggio – giustamente – graduale quello che avverrà nel nostro calcio femminile così da permettere alle società di prepararsi.

Questa prospettiva – si legge sul sito della Figc – infatti “è stata ritenuta la migliore per formalizzare un passaggio divenuto ormai improcrastinabile sul tema della pari dignità, garantendo al tempo stesso un periodo adeguato per preparare il sistema, in attesa dei decreti attuativi anche su questo argomento che sta preparando il ministro per lo Sport Spadafora nell’ambito della discussione della legge delega di riforma”.

Il condizionale usato in apertura è d’obbligo e forse anche un po’ scaramantico: il bello e il difficile viene adesso.
Il futuro – soprattutto normativo – del calcio femminile è ancora tutto da scrivere così come ha detto il Presidente Figc Gabriele Gravina.

“La decisione presa dal Consiglio Federale è ispirata da un forte senso di responsabilità accompagnato da una certa lungimiranza, scriveremo tutti insieme il progetto per rendere sostenibile il percorso tracciato oggi, per aumentare la competitività del calcio femminile di vertice ma anche facendo crescere inevitabilmente la base”.

Il professionismo non deve essere visto solo come un mero status giuridico fine a se stesso, ma come un sistema al quale gli stakeholders ed operatori del settore dovranno lavorare insieme nella stessa direzione per arrivare ad un professionismo ben regolato e che soprattutto sia sostenibile.

In attesa di una nuova era del calcio femminile, ci rivediamo in campo il 22 agosto.

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di Ebe Giacometti*

Italia Nostra, la prima associazione ambientalista a nascere nell’Italia del secondo dopoguerra, 65 anni fa, si domanda con quali criteri sono state programmate le consultazioni degli Stati Generali appena concluse.

Ci poniamo questa domanda poiché l’associazione, con le sue 203 sezioni sparse in tutto il territorio italiano ritiene aver dato un contributo di idee e riflessioni per il futuro del Paese nei mesi del lockdown. Appelli, lettere indirizzate al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al governo, alle Amministrazioni regionali si sono succedute con perseverante puntualità sui tanti temi legati alla sostenibilità e ad una ripartenza dell’Italia rispettosa dell’ambiente, del paesaggio e del proprio patrimonio storico architettonico e culturale. Non volevamo che si programmasse una ripartenza senza aver fatto tesoro della terribile esperienza che stavamo vivendo: la peste del XXI secolo, come alcuni hanno descritto la pandemia Covid-19.

Non ci siamo mai fermati e abbiamo continuato a lavorare sui nostri obiettivi statutari.

Le nostre proposte sono state semplici e lineari e spesso hanno trovato riscontro e condivisione di contenuti con quelle di autorevoli personalità della scienza e della cultura accademica italiana. Da anni, abituati a essere descritti come i “grilli parlanti” dell’associazionismo, abbiano adottato la buona abitudine di coinvolgere competenze professionali e culturali capaci di aiutarci a disegnare quello che molti cittadini chiedono: ottenere un Paese con le scuole che funzionino, con le strade in sicurezza e prive di buche, dove i ponti non si sbriciolino. Un Paese dove la Cultura sia realmente un item strutturale riconosciuto per il valore costituzionale identitario che rappresenta (art 9) e per questo asse portante per le generazioni attuali e future, possibilmente finanziato dallo Stato, perché il diritto alla cultura è importante come quello all’Istruzione e alla Salute.

Italia Nostra crede nel New Green Deal. Ma auspica un futuro verde non assoggettato ad interessi economici che non tengano conto del consumo di suolo e della valenza paesaggistica dei territori italiani, vero attrattore del turismo. Italia Nostra non casualmente ha plaudito la risoluzione presa dal Consiglio dei ministri sul ricorso del MiBACT per sventare la realizzazione di un mega impianto fotovoltaico a terra in prossimità della bellissima Tuscania (VT). La vicenda, ricordiamo, poteva concludersi con la realizzazione di due progetti che avrebbero devastato non solo il Paesaggio della Maremma laziale, ma anche le tante aziende agrituristiche del territorio. L’Associazione ci tiene per questi motivi a ringraziare il ministro Dario Franceschini per aver compreso la “posta in gioco” e, con determinazione, aver sostenuto il ricorso della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale poi fatta propria anche dal Governo.

Una doccia fredda sono stati invece i risultati della task force di Vittorio Colao dove i Beni Culturali e Paesaggistici sono stati trattati come tema residuale (2 schede) e, schiacciati dalla predominante analisi sulle necessità del Turismo italiano, hanno totalmente ignorato i tanti addetti del settore culturale che rischiano ancora oggi il posto di lavoro a causa del Covid-19.

Altrettanto deludente è stata la declinazione data al tema “ambiente”, espressa estromettendo le posizioni di una parte delle associazioni ambientaliste che, da anni, invitano in materia di sviluppo energetico a guardare alla reale funzionalità degli impianti e ad individuare le aree non idonee agli impianti rinnovabili, garantendo la tutela del contesto paesaggistico.

Viene il dubbio che questi siano stati i motivi a determinare l’esclusione di Italia Nostra dalle audizioni del governo. Certo una delusione per i 10.000 soci che si riconoscono in questi principi. Sono loro infatti che, in questi 90 giorni dell’emergenza sanitaria, hanno svolto azioni di solidarietà nelle regioni colpite dal Covid-19 (Pescara, Asolo, Catanzaro, Lamezia Terme); hanno prodotto contributi qualificati coinvolgendo esperti e immunologhi (sempre riconoscenti per i contributi del Dott. Silvio Greco, della prof. immunologa Cristina Rinaldi, al dott. Maurizio Sebastiani, al dott. Ferdinando Laghi) per rassicurare la popolazione e dare suggerimenti operativi alle amministrazioni; ricordiamo ancora, hanno scritto e condiviso con le altre associazioni ambientaliste numerose le lettere aperte e appelli al governo e alla Istituzioni regionali per rimettere al centro del dibattito politico la sostenibilità del futuro del nostro Paese e del mondo.

Nonostante le molte iniziative, il Consiglio dei ministri ha ignorato il contributo che l’associazione avrebbe potuto portare nel confronto dialettico nazionale sia sul piano sociale che politico culturale. Una scelta che non ci aspettavamo perché Italia Nostra è sempre stata pronta a misurarsi sui contenuti con le forze del Parlamento e di governo, certa che solo attraverso un ampio dibattito si possano trovare quei punti di “reale forza” per individuare le linee di indirizzo.

L’associazione comunque non demorde e presto presenterà un Libro Bianco, del quale un indice commentato sarebbe stato presentato al tavolo degli Stati Generali, con riflessioni per un futuro del Patrimonio Culturale e Paesaggistico a misura dei cittadini del mondo.

*Presidente Italia Nostra

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Chi si somiglia si piglia. Potrebbe essere questa la tagline di I WeirDO, una delle prime mondiali del 22esimo Far East Fim Festival di Udine, quest’anno rigorosamente online. Il film taiwanese I WeirDO, proprio come scrivono gli organizzatori del festival, è una spassosa e “coloratissima favola pop” che ha oltretutto la centrata lungimiranza, in tempi assolutamente non sospetti, di mettere in scena due protagonisti che si proteggono dalla testa ai piedi con mascherine, guanti, impermeabili. E niente meno: si lavano, soprattutto lui, continuamente le mani. Attenzione: non stiamo parlando del Covid 19, ma di patologie ossessivo-compulsive che portano il giovane Po-ching a inseguire continuamente questo ordine di pulizia maniacale (ha anche tutti i pasti già suddivisi in Tupperware ordinatissimi); e la bella Cheng Ching a proteggersi ogni angolo di corpo per paura di una guerra batteriologica. I due temono, guarda caso, il contatto con l’altro, lo sfiorarsi, il dannato senso del tatto, ma il loro incontro porterà ad alcune inattese novità.

Grazie al formato “rettangolare” in verticale, ottenuto da riprese effettuate esclusivamente con un iPhone XS, I WeirDO è un’opera prima di assoluta spigolosità stilistica. Punteggiato sia nelle svolte del racconto che nel montaggio da una frontalità meccanica e buffa che, accompagnata all’eccentricità dell’incontro/scontro delle vite dei due strambi protagonisti, e anche ad un commento musicale sempre in punta di archi come fosse un cartone animato, offre una versione pimpante e spiritosa del genere “outsider” con paranoia patologica. Il regista si chiama Liao Ming-yi e sentiremo parlare ancora di lui.

Per capire cosa significhi la FEFF mania meglio aggiungere un paio di parole su uno dei successi al box office sudcoreano della stagione prima che il Covid 19 portasse alla chiusura delle sale cinematografiche in tutto il Far East, come del resto nella rimanente parte di mondo. 17 i milioni di budget e 58 quelli incassati, il film s’intitola Ashfall ed ha addirittura aperto il festival friulano. Un disaster movie di proporzioni gigantesche, un Armageddon in salsa nucleare che mescola scene d’azione e di distruzione come solitamente fanno i blockbuster hollywoodiani. Ma non storcete subito il nasino pensando che sia una boiata perché anche un Bong Joon-ho, prima di mettersi a cazzeggiare magnificamente con l’estetica art house di Parasite (qui al FEFF 2020 c’è pure la versione del film clamorosamente plurioscarizzato in bianco e nero) ha diretto parecchi blockbuster tra cui quel The Host che ancora riecheggia nella sua magniloquenza e follia come pochi.

In Ashfall è riunito un cast all star sudcoreano da fare paura. A partire da quel Ha Jung-woo che ha fatto strappare con i film da lui interpretati oltre 100 milioni di biglietti (Zalone, per dire). Ha qui interpreta Jo In-chang, un veterano delle forze speciali pronto al congedo, ma dopo che mezza Corea è crollata a causa del terremoto provocato da un’eruzione vulcanica, è chiamato ad attuare un piano militare per arrestare l’attività del vulcano che si trova tra la Corea del Nord e la Cina. Jo viene paracadutato oltre il 38esimo parallelo e dovrà riuscire a far scoppiare dell’uranio nei sotterranei impervi di una miniera con l’aiuto di una spia infiltrata nella Corea del Nord per “sgonfiare” il ribollire di lava vulcanica. Ovviamente Jo ha una moglie a casa incinta, c’è il solito scienziato impacciato ma geniale che detta le linee guida ad un presidente altrettanto indeciso ma in fondo coraggioso.

Se qualcosa vi ricorda Indipendence Day avete ragione. Solo che qui nel film diretto dal duo Le Hae-Jun e Kim Byung-seo c’è un insolito e naturale brio nel girare una storia “leggera”, modalità produttiva e creativa che, ad esempio, difficilmente saremmo in grado di sfoderare in Europa (le eccezioni recenti ma piccoline, certo ci sono, come il norvegese The Wave – 2015). Insomma se non l’avete capito al FEFF si adora incondizionamente tutto ciò che arriva dall’Asia e dintorni. E da quando si è costretti a fare tutto online (la piattaforma tecnica di supporto è MyMovies) per seguirlo non c’è più bisogno nemmeno di arrivare ad Udine. Qui ogni informazione per seguire il FEFF online in queste ore: https://ift.tt/38dP9Lv.

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Botta e risposta al vetriolo tra lo chef Gianfranco Vissani e il deputato di Italia Viva Gennaro Migliore a Stasera Italia. I due sono stati ospiti del programma di Rete 4 nella puntata di domenica 29 giugno: “Tanto parlano di numeri e non ci capiscono niente – ha esordito lo chef toscano, interpellato per testimoniare le difficoltà dei ristoratori dopo l’emergenza coronavirus -. Dove sono questi soldi che arrivano continuamente in Italia? Per prendere 10mila euro bisogna passare per l’ufficio delle entrate, che ti dice: ‘Mi devi dare dei soldi’. Ma come? Hai capito come funziona o fate i giochetti la carta vince e la carta perde. Noi non vediamo niente, basta, è inutile dire stupidaggini, dite la verità, è una vergogna“.

Immediata la replica di Gennaro Migliore che ha attaccato sul personale Vissani: “Va beh, tanto la conosciamo la posizione politica recentemente assunta da Vissani”. Una considerazione, questa, che ha infiammato ancora di più gli animi: “Il Governo sta guardando e sta facendo morire l’Italia, ‘sti teatrini bisogna finirli – ha incalzato infatti Vissani -. Ma quali 100 miliardi, 400 miliardi… bisogna andare sul serio. A settembre, ottobre, ci ritroviamo tutti a Roma, la gente sta morendo non ci sono scuse”. La discussione tra i due ha raggiunto toni tali da costringere la conduttrice, Veronica Gentili, ad intervenire per riportare la calma: “Cerchiamo di rimanere tutti quanti calmi nei toni e nei contenuti”, ha detto.

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Chiunque dotato di smartphone c’ha pensato almeno una volta: videodocumentare la quarantena provocata dal coronavirus. Non importa come e in che misura, conta(va) testimoniare una situazione mondiale senza precedenti. A conferma di ciò, di progetti tra film partecipati, collettanee e collage di ogni sorta ne sono nati a iosa, ma è probabile che pochi abbiano raggiunto una certa “qualità”. Per questo è un autentico piacere per gli occhi, lo spirito e il cervello passare in rassegna i 16 titoli di HOMEMADE, la collezione di cortometraggi creati da grandi cineasti contemporanei – 8 donne e altrettanti uomini – da tutto il mondo, che Netflix mette da oggi a disposizione dei propri abbonati per la produzione condivisa dell’italiana The Apartment di Lorenzo Mieli e della cilena Fabula dei fratelli Pablo & Juan de Dios Larraìn. Una sfida che, se dettata dalle contingenze spaziali similmente a quanto accade durante conflitti e confinamenti, ha permesso ai filmmaker di espandersi artisticamente, aprendo la creatività ma anche – cosa di non poco conto – in taluni casi le proprie abitazioni.

Come mai in precedenza, la privacy domestica è diventata set cinematografico con figli e congiunti attori (spesso) perennemente in scena, andando a creare evidentemente un genere non nuovo ma di rinnovata enfasi, l’home movie, questa volta completamente homemade, appunto.

Da ogni angolo del pianeta, soprattutto dall’America Latina per la “genesi” concettuale nata nei corridoi della factory dei Larraìn Bros, si sono uditi sussurri e grida a scandagliare emozioni e sentimenti diversi, talvolta contrastanti, certamente originali.

Il parigino-maliano di Montfermeil Ladj Ly (dove ha girato e ambientato il suo folgorante esordio Les Miserables – I miserabili, tuttora nei cinema italiani), il “nostrano” Paolo Sorrentino (l’unico italiano del gruppo..), la direttrice della fotografia statunitense Rachel Morrison, e poi naturalmente il padrone di casa Pablo Larraìn con l’amico connazionale Sebastian Lelio, l’afro-gallese Rungano Nyoni, la messicana Natalia Beristain, il tedesco Sebastian Schipper, il britannico David Mackenzie, le star americane che si sono “improvvisate” registe Maggie Gyllenhaal e Kristen Stewart, la libanese Nadine Labaki col marito musicista Khaled Mouzanar, lo statunitense Antonio Campos, il messicano Johnny Ma, l’anglo-indiana Gurinder Chadha e la californiana Ana Lily Amirpour. Tutti ugualmente “costretti” nell’espressione di una diversità antropologico/culturale di alto interesse, vibrata chiaramente nelle pieghe del linguaggio audiovisivo.

Ma fra tutti, va detto, il nostro premio personale va a Paolo Sorrentino e di certo non per motivazioni patriottiche. Il suo Viaggio al termine della notte (questo il titolo del corto) riesce in soli 7 minuti a sintetizzare un universo poetico e simbolico di altissimo livello, nutrito dall’ironia (anche autoreferenziale) che da sempre distingue il premio Oscar napoletano.

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Questa è una storia che vorremo leggere ogni giorno. Siamo a Ricengo, meno di duemila abitanti, in provincia di Cremona. Un borgo delizioso, con una villa settecentesca al centro del paese, un piccolo santuario e una scuola che somiglia a una moderna villa, colorata, ampia. È lì che per qualche anno ho insegnato. A far da cornice a Ricengo il Parco del fiume Serio, un’oasi naturale che ogni cittadino di Ricengo impara a rispettare fin da piccolo. Un posto incantevole se non fosse che qualche ragazzo nei giorni scorsi ha dimenticato l’abc dell’educazione nei confronti del bene pubblico.

Hanno bevuto, mangiato e lasciato tutto a terra, trasformando il parco in una discarica. Un errore di gioventù, una bravata direbbe qualcuno. Ma il gesto di questi giovani non è sfuggito al primo cittadino, Ferruccio Romanenghi: un sindaco che conosce il paese meglio del palmo della sua mano; uno di quegli amministratori che dedica la vita al suo piccolo Comune spalando la neve quando è necessario, tagliando l’erba se serve, andando a spegnere le luci della scuola quando qualcuno le dimentica accese.

Quando Romanenghi scopre i ragazzi non ha alcun dubbio: nessuna denuncia. Nessuna chiamata alle forze dell’ordine. Anzi. Qualcuno dei giovani si presenta persino spontaneamente nel suo ufficio per chiedere scusa di quel gesto. E lui che fa? Sceglie di dare una lezione di vita a questi cittadini: tutti i lunedì fino al 30 settembre dovranno pulire l’area che hanno imbrattato. Dalle 18 alle 20 si incontreranno con il sindaco e sotto la sua supervisione si prenderanno cura del loro territorio.

Un gesto per nulla straordinario, ma per nulla scontato in questo tempo. Il sindaco di Ricengo ha dato una lezione di vita a questi ragazzi scegliendo di “non mollarli”. La via della denuncia sarebbe stata la più semplice, la più immediata ma la meno “milaniana”: quei ragazzi avrebbero accumulato rabbia, non avrebbero avuto l’opportunità di conoscere il sindaco Ferruccio e avrebbero voltato le spalle alla politica.

Un sindaco non può che occuparsi dei suoi ragazzi come fossero tutti suoi figli. Romanenghi l’ha fatto. Grazie, sindaco.

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Alfonso Pio, 52 anni e figlio di Domenico Pio presunto boss del clan della ‘ndrangheta di Desio (Monza) arrestato nella maxi inchiesta Infinito del 2010, sarebbe diventato il “padrone” dell’Hotel del Golfo di Finale Ligure (Savona). Lo si legge nell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari di Milano Guido Salvini, su richiesta dei pm Adriano Scudieri e Francesco Cajani, con cui è stato arrestato oggi assieme ad altre tre persone. Alfonso Pio avrebbe anche imposto che la sua compagna “soggiornasse gratuitamente in una suite a lei riservata”.

L’indagine è stata condotta dalla polizia postale. Ad Alfonso Pio viene contestata, tra le altre cose, un’estorsione aggravata dal metodo mafioso perché, assieme ad un altro degli arrestati, Omar Petrocca, “con minacce” avrebbe costretto i soci della Confort Hotels &Resorts srl, “società proprietaria dell’Hotel del Golfo”, a consegnare allo stesso Petrocca “i certificati cartacei attestanti la titolarità delle quote della società”. E ciò per “ottenere il controllo di quest’ultima, senza dar seguito al contratto preliminare di vendita delle medesime quote già stipulato” con un altro socio. Così Pio avrebbe ottenuto nel 2018 il “controllo della società” e del resort.

Alfonso Pio, pure cugino di Candeloro Pio, anche lui arrestato nella maxi indagine Infinito di dieci anni fa e capo della ‘locale’ di Desio, avrebbe fatto valere la sua “appartenenza” alla ‘ndrangheta per imporsi sulle “vittime”. Fin dal 2016, poi, avrebbe imposto che la sua compagna Nelli Gubina, detta Stella, “soggiornasse gratuitamente in una suite a lei riservata, sia nella stagione estiva che in quella invernale nonostante l’hotel fosse chiuso al pubblico da ottobre ad aprile”. Nel giugno 2018 avrebbe anche minacciato “di morte” un dipendente dell’hotel dicendogli “che Stella ‘può prendere quello che vuole … sono io il capo’” e il primo agosto 2018 lo avrebbe picchiato “impossessandosi dei contanti presenti in cassa“. L’appartenenza alla ‘ndrangheta di Pio, si legge nell’ordinanza, veniva prospettata “anche da Petrocca in alcuni colloqui” con uno dei soci della società dell’hotel. Petrocca diceva che Pio era una persona “difficile da far ragionare”.

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Rischia fino all’ergastolo chi viene riconosciuto colpevole di sedizione, separatismo, ingerenza straniera e tradimento a Hong Kong, dove da domani entra in vigore la legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina bypassando il parlamento dell’ex colonia britannica. Il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, massimo organo legislativo della Repubblica popolare cinese, ha ufficialmente dato infatti il via libera alla legge, approvata all’unanimità dai suoi 150 membri. Un provvedimento – i cui contenuti nel dettaglio non sono ancora stati diffusi – che mina le libertà di cui gode Hong Kong – assenti nella mainland China – e l’indipendenza del suo sistema giudiziario.

La legge “segna la fine di Hong Kong che il mondo conosceva prima”, che “si trasformerà in uno stato di polizia“, ha scritto su Twitter l’attivista Joshua Wong, che insieme a figure di primo piano come Nathan Law, Jeffrey Ngo e Agnes Chow, ha dato le dimissioni da Demosisto, partito nel mirino per le campagne pro-suffragio universale e la richiesta di sanzioni contro gli abusi sui diritti della Cina. Gli Stati Uniti intanto hanno già iniziato ieri il processo di congelamento dello speciale status vantato dall’ex colonia britannica nei rapporti bilaterali ma la governatrice Carrie Lam si è detta pronta a prendere le “necessarie contromisure nell’ipotesi di sanzioni da parte degli Usa” che, ha precisato, non ci spaventano.

La legge imposta dalla Cina arriva dopo mesi di proteste pro-democrazia, con gli attivisti scesi in piazza a giugno anche per ribellarsi al divieto di commemorazione della strage di Tienanmen. La scorsa settimana Wong aveva detto di considerarsi “l’obiettivo primario” della contestata legge che sarebbe stata approvata a Pechino. Dopo gli annunci degli esponenti di Demosisto, il Fronte nazionale di Hong Kong – un altro gruppo pro-indipendenza – ha fatto sapere che la sua base locale sarà sciolta e che tutte le operazioni verranno trasferite a Taiwan e nel Regno Unito. Attualmente sono 15 gli esponenti del fronte pro-democrazia – compreso Jimmy Lai, fondatore dell’Apple Daily, in attesa di processo per il loro ruolo nelle proteste antigovernative durante le quali, dal giugno dello scorso anno, sono state arrestate 9.000 persone.

“È deludente che la Cina non mantenga le sue promesse“, ha commentato la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, convinta che per questo motivo il modello ‘un Paese, due sistemi’ imposto a Hong Kong si sia rivelato un fallimento. Qui, secondo Tsai, Pechino non ha infatti mantenuto la promessa di un alto livello di autonomia per i 50 anni successi alla fine del dominio britannico nel 1997. “il modello ‘un Paese, due sistemì non funziona”, ha incalzato la presidente dell’isola, che Pechino considera una ‘provincia ribellè, dopo le notizie arrivate da Hong Kong secondo cui la Cina avrebbe approvato la contestata legge sulla “sicurezza nazionale” nell’ex colonia britannica.

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“Perché sono i numeri uno. Come loro come tutti quelli che ci sono stati. Compreso mio padre. Qua nessuno si pente compà, San Mauro numero uno, perché mi voglio vantare, San Mauro e Corleone“. Erano sicuri dell’affidabilità di propri uomini i capi del mandamento di San Mauro Castelverde, in provincia di Palermo, dove questa mattina i carabinieri hanno eseguito 11 fermi disposti dalla Direzione distrettuale antimafia, colpendo il clan Farinella. I carabinieri hanno ascoltato “in diretta” le estorsioni messe in atto dal clan. “Ci vai incazzato, tanto io sono qua non ti preoccupare. Ci servono subito (i soldi, ndr) tanto li ha trovati, ci servono tutti”. Ed ancora. “Solo per l’amico, l’amico sono io, ci sono 20 mila euro per l’amico. Noi altri ci siamo messi a disposizione. Lui ancora deve dare 5 mila euro. Qua dobbiamo ragionare da uomini. È da 30 anni che noi altri siamo con tuo nonno, con tuo zio siamo fianco a fianco”. E se qualcuno si ribellava il sistema per fargli cambiare idea c’era. “Gli ho dato una testata, così gli ho spaccato il naso – dicevano gli uomini del clan intercettati -. Lui non ha detto niente a nessuno. Tu non l’hai vista la testata?”. “L’ho vista, l’ho vista, io tutte cose ho visto e tutte cose vedo io”, risponde un altro. Nell’operazione è tornato in carcere Domenico ‘Mico’ Farinella, lo storico boss delle Madonie, scarcerato a inizio anno.

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La pandemia da Covid-19 miete un’altra vittima illustre: a causa delle conseguenze finanziarie dettate dall’annullamento dell’edizione 2020, il celebre Salone dell’Auto di Ginevra non si farà nemmeno nel 2021.

Una decisione ufficializzata dalla fondazione responsabile dell’organizzazione dell’evento, che ha pure deciso di vendere lo storico format a Palexpo SA, la società che accoglie l’esposizione nella sua struttura fieristica, limitrofa all’aeroporto. Il Gims, acronimo di Geneva International Motor Show, oltre ad essere il più importante auto show a livello europeo è anche il più grande appuntamento pubblico della Svizzera, con un impatto economico sul cantone svizzero stimato circa 200 milioni di franchi all’anno.

La decisione di annullare l’edizione 2021 della kermesse è figlia pure di un sondaggio proposto dagli organizzatori ai vari costruttori, la maggior parte dei quali ha dichiarato che, molto probabilmente, non avrebbero partecipato al motor show in programma per il prossimo anno.

Il che è più che comprensibile, visto anche il momento di recessione che sta investendo l’industria delle quattro ruote e che obbliga le case automobilistiche a razionalizzare i costi. Senza contare, infine, eventuali recrudescenze della pandemia e che, pure a livello organizzativo, sarebbe difficile mantenere tutti i presidi di sicurezza necessari per garantire la salute degli oltre 600 mila visitatori e 10 mila giornalisti che partecipano in media al Salone di Ginevra.

Gli organizzatori del motoshow, peraltro, avevano anche richiesto un prestito pubblico per coprire le perdite economiche derivanti dall’annullamento dell’edizione 2020 e assicurare la sopravvivenza della nuova edizione 2021. Prestito approvato ma di cui la Fondazione non ha voluto avvalersi, ritenendo i termini del prestito insufficienti per dare stabilità finanziaria a lungo termine all’evento, perlomeno nella sua forma attuale.

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È tornato in carcere anche Domenico ‘Mico’ Farinella, lo storico boss delle Madonie, nell’operazione antimafia che ha portato al fermo di undici persone. Il capomafia ha continuato a comandare anche dal carcere e una volta tornato libero all’inizio di quest’anno ha ripreso le redini del mandamento. Proprio come sette giorni fa con l’operazione che ha portato in carcere i vertici del clan di San Lorenzo a Palermo: i Carabinieri del comando provinciale di Palermo stanno eseguendo un provvedimento di fermo vecchi e nuovi capi e gregari nel mandamento di San Mauro Castelverde, regno incontrastato della famiglia Farinella.

Il nonno Giuseppe morto in carcere nel 2017, il figlio Domenico che dal carcere era appena uscito nel 2020 dopo una lunga detenzione e il nipote Giuseppe che ha gestito le sorti del mandamento tra le province di Palermo e Messina. Le persone fermate nell’operazione Alastra sono accusate a vario titolo di associazione mafiosa estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento in Sicilia, Lombardia e Veneto.

Estorsioni a tappeto e controllo capillare delle attività economiche nella zona. Questo ha messo in luce l’operazione Alastra, condotta da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca. Gli uomini del clan di San Mauro Castelverde all’indomani dell’operazione “Black Cat” del 2016, avevano serrato le fila e continuato ad imporre il proprio potere. Numerose le estorsioni ai danni dei commercianti locali documentate dai militari, così come l’organizzazione di una efficientissima rete di comunicazione necessaria agli storici capi mafia detenuti per mantenere il comando e continuare a strangolare imprese e società civile.

Le indagini hanno consentito di evidenziare il ruolo ricoperto da Giuseppe Farinella, figlio di Domenico Farinella, boss all’epoca detenuto a Voghera (Pavia) in regime di alta sicurezza che continuava a comandare dal carcere. Nonostante la giovane età, il figlio ha avuto il compito di coordinare gli altri affiliati, cooperando con uno storico mafioso di Tusa (Messina), Gioacchino Spinnato, che ha gestito i contatti con gli uomini d’onore degli altri mandamenti, fra i quali Filippo Salvatore Bisconti, boss di Belmonte Mezzagno ora collaboratore di giustizia.

Sono state ricostruite 11 estorsioni, 5 consumate e 6 tentate. Alle vittime era imposto di pagare il pizzo o di acquistare forniture di carne da una macelleria di Finale di Pollina gestita da Giuseppe Scialabba, braccio destro di Giuseppe Farinella. I tentacoli del mandamento si erano allungati anche sull’organizzazione dell’Oktoberfest del 2018 a Finale di Pollina, quando, per impedire la partecipazione alla sagra di un commerciante che non si era piegato alle imposizioni del clan, gli indagati non avevano esitato a devastargli lo stand. Le indagini hanno consentito di evidenziare anche la gestione diretta di attività di impresa che, fittiziamente intestate a soggetti incensurati, erano nei fatti amministrate dagli indagati. Per cercare di non avere problemi con la giustizia Giuseppe Farinella e Giuseppe Scialabba avrebbero intestato a prestanome un centro scommesse di Palermo e una sanitaria di Finale di Pollina, sottoposti a sequestro, del valore di un milione di euro.

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Un ex collaboratore di giustizia, Orazio Sciortino, 51 anni, è stato ucciso con colpi d’arma da fuoco nelle campagne di Vittoria, nel Ragusano. Il cadavere dell’uomo è stato trovato per terra, in un terreno di sua proprietà, sulla strada provinciale tra Vittoria e Santa Croce Camerina. Le indagini sono condotte dalla Squadra mobile di Ragusa e dal commissariato di Vittoria. Sciortino, affiliato al clan mafioso Carbonaro Dominante, con le sue dichiarazioni aveva contribuito a fare luce sulla strage di San Basilio di Vittoria del 2 gennaio 1999 che causò cinque vittime.

Quel giorno all’interno del bar del distributore Esso sulla S.S. 115 Vittoria-Comiso, poco dopo il tramonto, entrò in azione un commando mafioso. A essere crivellati di colpi di arma da fuoco anche due tifosi del Vittoria calcio, Rosario Salerno di 28 anni e Salvatore Ottone di 27. Nel mirirno Angelo Mirabella, referente del clan della ‘Stidda’ di Vittoria, Rosario Nobile, e Claudio Motta, ritenuti affiliati al clan Dominante. Si salvò per miracolo solo il barista che si nascose dietro il bancone e fu risparmiato dai sicari. Solo nel gennaio del 2013 fu ricostruita la verità sulla strage: venne ordinata dai clan Piscopo ed Emmanuello di Gela, rivali della “Stidda” vittoriese, che intendevano cosi’ estendere il proprio predominio anche nella provincia di Ragusa.

Per quell’azione sono stati condannati all’ergastolo i fratelli Giovanni ed Alessandro Piscopo ed il cugino, omonimo, Alessandro Piscopo, ritenuti i mandanti; oltre che Enzo Mangione, ritenuto il basista. Secondo il collaboratore di giustizia Carmelo Massimo Billizzi, ex boss di Cosa Nostra di Gela, la sentenza di morte fu emessa dai clan Piscopo ed Emmanuello, rivali della “Stidda” vittoriese capeggiata da Carmelo Dominante. Fu Billizzi a rivolgersi al boss di Mazzarino, Salvatore Siciliano, che mise a disposizione i killer Giuseppe Selvaggio e Claudio Calogero Cinardo. Le armi, invece secondo l’accusa, vennero fornite da Alfonso Scozzari nel 2011, intanto, due presunti componenti del commando furono condannati all’ergastolo anche in appello: Giovanni Avvento ed Alessandro Emmanuello. Trent’anni, invece, per i collaboratori di giustizia Gianluca Gammino e Billizzi, esecutori materiali della strage.

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