novembre 2019

Nata nel 2012 e chiusa nell'aprile 2018, in sei anni la fondazione Open ha raccolto circa sei milioni di euro per finanziare le iniziative politiche di Matteo Renzi, tra cui anche la Leopolda. Ma sulle attività di Open a più di un anno dalla sua cessazione si sono accesi i fari della procura di Firenze e della Guardia di finanza. È in corso un'inchiesta che vede tra gli indagati l'ex presidente della fondazione Alberto Bianchi e Marco Carrai, già componente del cda di Open e amico di Renzi. I pm ipotizzano che il denaro arrivato nelle casse di Open sarebbe stato utilizzato senza rispettare la legge sul finanziamento ai partiti.

La tesi dell'accusa

Secondo l'accusa Open è stata una specie di 'cassaforte' renziana impiegata come una vera e propria "articolazione del partito". E carte di credito e bancomat sarebbero state in uso ad alcuni parlamentari, ai quali sarebbero stati elargiti anche rimborsi spese. I pm di Firenze stanno scandagliando, non solo i rapporti tra la fondazione e i parlamentari renziani, ma anche quelli tra Bianchi e gli imprenditori che finanziavano la fondazione.

I reati contestati a Bianchi e a Carrai

L’indagine è partita a settembre 2019 con accertamenti sull’ex presidente di Open Alberto Bianchi, accusato di traffico di influenze illecite e di finanziamento illecito ai partiti. Reato quest'ultimo contestato anche a Marco Carrai, considerato dagli inquirenti il contatto tra Open e alcuni finanziatori che lui stesso avrebbe presentato alla fondazione. Sia lo studio di Bianchi che quello di Carrai sono stati perquisiti dalla Guardia di Finanza.

Le perquisizioni ai finanziatori

Una trentina sono state le perquisizioni effettuate martedì 26 novembre tra Firenze, Milano, Modena, Torino, Bari, Alessandria, Pistoia, Roma, Napoli e Palermo. I controlli avrebbero riguardato anche case e uffici di finanziatori della medesima fondazione. Nel complesso i finanziamenti oggetto dell'inchiesta riguardano somme da 50mila fino a centinaia di migliaia di euro. Le indagini sin qui svolte, si legge nel decreto di perquisizione, avrebbero fatto emergere "significativi intrecci" tra prestazioni professionali rese da Bianchi, e dai suoi collaboratori, e i finanziamenti alla fondazione.

Carrai e Bianchi respingono le accuse

Sia Carrai sia Bianchi hanno respinto ogni accusa. "Ho fiducia nella magistratura che presto chiarirà la mia posizione. So di non aver commesso reati e di aver sempre svolto i miei compiti rispettando la legge", ha dichiarato Carrai.  "Tutte le entrate e le uscite della Fondazione Open sono tracciabili, perché avvenute con bonifico o carte di credito. È stato fatto tutto alla luce del sole. Rinnovo la mia piena collaborazione con la magistratura affinché sia fatta chiarezza prima possibile sull'indagine che mi riguarda", ha detto Bianchi.

Renzi: "Massacro mediatico"

Il caso Open ha acceso un dibattito sui finanziamenti ai partiti, con il leader del M5s Luigi Di Maio che ha invocato "una commissione d’inchiesta su fondi e finanziamenti ai partiti". Da parte sua, il leader di Italia Viva, ex Pd, Matteo Renzi ha parlato di "massacro mediatico" in un lungo post su Facebook. "Se poi altri partiti utilizzano questa vicenda per chiedere commissioni di inchiesta sui partiti e sulle fondazioni - ha scritto Renzi - io dico che ci sto". L'ex premier è poi tornato sulla vicenda: "Chi decide cos'è un partito politico? Se assegniamo ai magistrati il compito di decidere cosa è un partito e cosa non, abbiamo messo in discussione la separazione dei poteri". Parole che l'Associazione nazionale magistrati ha definito come "ennesimo attacco all'autonomia ed indipendenza della magistratura".



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Ogni due giugno Maria Lisa Di Lanzo prende il tricolore che conserva gelosamente nel cassetto, lo mette in bella vista per tutto il giorno nel suo appartamento di Glasgow, e alla sera lo ripiega con cura. “Noi emigrati più ci allontaniamo dall’Italia e più ci sentiamo italiani”. Maria Lisa vive e lavora in Scozia: si è sposata da qualche settimana, insegna nelle scuole pubbliche e sì, ha dovuto fare gavetta e ripartire da zero, “ma con la convinzione che ogni sforzo mi averebbe portato dove avrei voluto”, racconta.

Originaria della provincia di Chieti, 33 anni, la prima volta che Maria Lisa ha lasciato l’Italia è stato per l’Erasmus a Barcellona: 9 mesi che le hanno dato l’entusiasmo di esplorare Paesi e città. Prima Torino, poi Londra, infine Bologna. E una consapevolezza: gli anni che trascorri all’estero ti cambiano. Arrivare nel Regno Unito appena un mese prima del voto sulla Brexit le ha dato una certa inquietudine. Pensava già di dovere essere pronta a rifare le valigie. “Ma alla fine non è andata così”. Gli scozzesi, poi, “sono le persone più ospitali del mondo”, dice. Ma al di là di pregiudizi e stereotipi, farsi strada come insegnante è difficile ovunque, “anche qui”. Eppure esplorare, capire, entrare nel mondo della scuola scozzese si trasforma in una bellissima sfida. La mole dei compiti, ad esempio, è drasticamente più bassa rispetto all’Italia; niente esami fino al quarto anno di superiori e i voti sono giudizi che devono indicare allo studente come migliorare: “Non ci si focalizza troppo sugli errori, ma al contrario si valorizzano gli elementi positivi”. Un metodo di lavoro completamente diverso dal nostro. “Ogni insegnante deve individuare i propri punti di forza e di debolezza e deve lavorare in modo da migliorarsi di anno in anno. Questo non è facoltativo, ma è necessario per continuare ad essere iscritti all’albo professionale”, spiega Lisa.

Guardando agli stipendi, gli insegnanti in Scozia “guadagnano di più, ma hanno anche più ore e più responsabilità rispetto a quelli italiani”. Il percorso per diventare insegnante, poi, è chiaro, trasparente, e “nessuno può entrare in una classe se non è abilitato e non ha conseguito il diploma post-laurea Pgde (Professional Graduate Diploma in Education), per il quale io, essendo cittadina europea, non ho pagato alcuna tassa”. In Italia tutte queste agevolazioni “non esistono”: l’iter che nel nostro Paese porta all’abilitazione è spesso “confuso e soprattutto costoso”, spiega.

Vivere in una società che per molti aspetti è diversa da quella in cui si è cresciuti spinge a mettersi in gioco ogni giorno, cercando sempre di dimostrare le proprie capacità. Insomma, qui non ci si può mai rilassare. Per Maria Lisa la Scozia è forza, possibilità, resistenza. “Questo Paese mi ha reso più forte e mi ha mostrato come essere resiliente, mi ha insegnato che a 30 anni se non hai un lavoro non sei un fallito anzi, hai ancora tutta la vita davanti. E soprattutto che se ad un certo punto cambi idea e hai voglia di rimetterti ancora in gioco, puoi farlo”. L’Italia no. “Non è un Paese per giovani: ci sono le solite gerarchie di pensiero, i soliti politici che non si impegnano mai per un cambiamento vero e positivo”. Eppure Maria Lisa ci tiene a sottolineare che l’università italiana e tutto il sistema educativo, seppur con i loro difetti e lacune, sono di ottima qualità e “riescono a offrire una preparazione altamente competitiva in qualsiasi settore”.

Maria Lisa è emigrata in un Paese dove la comunità italiana è vastissima: ci sono i figli e i nipoti di chi è arrivato nel primo o secondo dopoguerra e poi ci sono quelli come lei, “i ‘nuovi’ italiani, giovani, preparatissimi, arrabbiati e delusi dall’Italia”. Eppure non immaginava per sé un futuro all’estero. È rimasta in Scozia perché ha avuto molte più possibilità, “quelle che non avevo mai avuto prima”. Ama l’Italia, dove ha tanti amici che hanno deciso di rimanere e, a dir la verità, non sa dove vivrà in futuro. “Ora sono a Glasgow e sto bene. Ma tutto dipenderà dalla Brexit. Se vedrò le mie possibilità restringersi – conclude – sarò la prima a dire addio”.

L'articolo Prof a Glasgow. “Qui ci si concentra sulle cose positive, non sugli errori. In Scozia ho imparato che puoi sempre rimetterti in gioco” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Giovedì era all’archivio di Stato di Torino, nella centralissima piazza Castello, a due passi dal Palazzo Reale. Mario Borghezio, ex europarlamentare della Lega, stava consultando dei documenti risalenti al periodo della seconda guerra mondiale quando una funzionaria dei beni culturali gli è andata incontro per capire cosa stesse facendo: “Avevo messo una graffetta su alcuni fogli per tenerli da parte e poi fotocopiarli”. Per farlo, però, avrebbe dovuto portarli fuori, ma il regolamento lo vieta e per questo la funzionaria ha allertato i Carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale (la cui sede è lì vicino) che ieri hanno inviato la segnalazione alla Procura di Torino.

Per Borghezio questa vicenda si basa sul nulla: “La segnalazione fatta dall’archivio di Stato si fonda su un equivoco – spiega a Ilfattoquotidiano.it – Volevo fotocopiare dei documenti, ma non è possibile farlo lì dentro”. Per questo, stando a quanto riferisce, aveva messo una graffetta sui fogli da portare fuori e fotocopiare per poi riportarli. Si trattava di documenti riguardanti le misure di prevenzione messe in atto nel corso di bombardamenti a Torino durante la seconda guerra mondiale, materiale raro. A La Stampa ha dichiarato che al massimo si sarebbe aspettato una lavata di capo, “nulla di più”. Invece ora è finito sotto la lente della Procura perché quel suo gesto ha insospettito la funzionaria che lo ha avvicinato mentre l’ex eurodeputato era ancora impegnato a consultare i documenti. “Non era mia intenzione rubarli”, ribadisce lui.

Secondo il quotidiano torinese i carabinieri specializzati nel settore dei beni culturali potrebbero estendere le ricerche e verificare se, tra i documenti richiesti da Borghezio in passato, agli archivi ne manchi qualcuno. “Se venissero a controllare, di tutto il materiale che io colleziono a casa non c’è niente che sia stato sottratto. Non ho mai preso neanche un foglio”. La sua passione per gli archivi, continua il politico, ha quasi mezzo secolo: “Ho cominciato a frequentarli negli anni dell’università, quando ho scritto la tesi di storia del diritto basata soprattutto su materiali d’archivio”. Ora continua a frequentarli per altre ricerche: “Sono stato anche negli archivi dell’Antimafia per cercare documenti sui legami tra mafia, politica e massoneria”. E poi colleziona libri antichi girando per i mercatini dell’usato: “Sono un grande acquirente, ma anche un consulente de facto di molti venditori”.

Dopo la segnalazione alla Procura è stato aperto un fascicolo di indagine che il procuratore aggiunto Enrica Gabetta ha affidato al sostituto procuratore Francesco Pelosi, davanti al quale Borghezio dovrà fornire delle spiegazioni plausibili. A quanto risulta a Ilfattoquotidiano.it, non è ancora stata formulata un’ipotesi di reato. Potrebbe configurarsi la violazione del testo unico dei beni culturali.

L'articolo Mario Borghezio denunciato perché ha tentato di sottrarre documenti dall’archivio storico di Torino: “Volevo fotocopiarli, lì non si poteva” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Lega in calo, Pd in ripresa dopo l’uscita dei renziani di Italia Viva e Fratelli d’Italia che per la prima volta supera la soglia del 10%. Sono i dati più significativi consegnati dai sondaggi realizzati da Ipsos per il Corriere della Sera. Rispetto al 31 ottobre, il Carroccio perde addirittura 2,4 punti percentuali, scendendo al 31,9% ma rimanendo saldamente primo partito. Anche per la leadership di Matteo Salvini non va meglio: in un solo mese perde 8 punti, passando dal 45% al 37% e venendo scavalcato al secondo posto da Giorgia Meloni che raccoglie il 40% dei consensi degli italiani.

Cresce di 0,9 punti, tornando vicino al risultato delle ultime elezioni dopo l’addio di Matteo Renzi, il Pd, che sale al 18,1% rimanendo secondo partito. Male il Movimento 5 Stelle (-1,3%), oggi al 16,6%, mentre sale oltre il 10% (al 10,6%) il partito di Giorgia Meloni. Seguono Forza Italia, costante al 6,2%, e Italia Viva, al 5,3%, in calo dello 0,9%. Così, la coalizione giallorossa al governo, al momento, ha il 34,7% dei consensi, in calo dello 0,4% rispetto a un mese fa.

Tra i leader più amati dagli italiani, in testa c’è sempre il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che comunque perde 6 punti percentuali passando dal 53% del 31 ottobre al 47% del 28 novembre. Chi scala una posizione, pur perdendo un punto percentuale, è Giorgia Meloni, al 40%, mentre crolla Matteo Salvini: -8% e 37% dei consensi. Gli unici in ascesa sono Teresa Bellanova, che passa dal 22% al 23%, e Roberto Speranza (dal 19% al 23%). Batosta anche per Luigi Di Maio e Matteo Renzi: entrambi perdono sei punti in un mese e si attestano rispettivamente al 18%, un solo punto in più di Berlusconi, e al 10%.

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Novembre nella scuola è mese di intenso lavoro. Non solo in classe con le lezioni. I docenti curricolari, soprattutto i coordinatori di classe, sono impegnati nella stesura dei Piani didattici personalizzati, per quegli alunni che abbiano certificati bisogni educativi speciali. Contemporaneamente gli insegnanti di sostegno provvedono al Piano educativo individualizzato. Tutti strumenti legittimamente riconosciuti a chi ne abbia diritto, come da certificazione medica.

Chiunque oggi abbia una qualche dimestichezza con la scuola, in particolare con quella secondaria di primo grado, sa bene che in ogni classe non mancano mai alunni “con bisogni speciali”. Sono in numero variabile, ma ci sono. A questi si aggiungono poi gli altri. Peccato che nelle realtà dei fatti, anche diversi di loro mostrino fragilità, non solo didattiche, che ne rendono più difficoltoso il percorso formativo. Fragilità di vario tipo, ma che frequentemente hanno la loro causa in problemi familiari.

Accade così che le richieste dei docenti si facciano sempre più basse. “Non hai fatto i compiti neppure questa volta?”, chiede il professore di matematica a Paolo, alunno di una ipotetica seconda media. “I compiti a casa vanno svolti”, conclude l’insegnante, senza che l’alunno abbia neppure cercato di scusarsi. “Sofia, dov’è il tuo materiale per il disegno? Sono già tre volte che non lo porti”, chiede la professoressa di tecnica. Anche lei rimane senza risposta. D’altra parte, ormai anche scusarsi è troppo impegnativo.

Le richieste sono diminuite. Anzi sono state quasi annullate. Sia per quanto riguarda la didattica che il comportamento. Nelle verifiche, sia scritte che orali, troppo spesso ci si accontenta di risposte prive di qualsiasi articolazione. Infarcite di “tipo” e di “cioè”. Sintatticamente sbagliate e con un lessico elementare. In prima media molti temi assomigliano ai “pensierini” delle elementari e la capacità di riassumere un testo, anche breve, è estremamente ridotta.

In terza media, finalmente appreso come si piega un foglio protocollo e dove si scrivono nome, cognome, classe e data, qualcuno sa scrivere un tema. Anche la comprensione di un testo è migliorata, ma tutt’altro che eccelsa. Il comportamento? Un optional. In prima i ragazzi devono abituarsi alla nuova scuola, sostengono in molti. “Bisogna avere pazienza. Non si possono spaventare con troppe regole”, dice il collega al quale hai raccontato come la classe continui ad essere eccessivamente indisciplinata. Al punto da faticare a fare lezione.

“Fanno confusione, è vero. Ma stanno migliorando”, dice la professoressa, uscendo dalla classe dove l’ora è volata via, riuscendo a fare molto poco. “Dire ai genitori che i ragazzi sono spesso anche irrispettosi nei confronti di alcuni insegnanti? Meglio di no”, chiude la questione un’altra professoressa. Così quegli stessi ragazzi arriveranno in terza pensando che nel loro comportamento non ci sia nulla che vada cambiato. Che in classe si possa fare e dire quel che il pensiero suggerisce. In tutta libertà.

Il paradosso è che le regole dello stare insieme rispettandosi a vicenda sono al centro di progetti che arricchiscono il Piano formativo, di ogni istituto comprensivo. Ma restano inapplicate. Insomma se ne parla. Anzi se ne discute. Ma ad applicarle non ci si pensa proprio.

Il rischio non è solo di coltivare ragazzi disabituati alla riflessione e quindi ad avere un pensiero critico. Ma anche al rispetto delle più elementari regole dello stare insieme. Il rischio più grande è quello di allevarli alla fragilità. All’incapacità di affrontare le prove della scuola. Prodromiche a quelle della vita.

I docenti sono sempre più assorbiti da Bes, Pdp, progetti per la classe, in classe e fuori, relazione di attività fatte e da fare. Forse anche per questo molti di loro, anche tra quelli con più esperienza nella scuola, sembrano aver diminuito le pretese. Adeguandosi agli stravolgimenti di questi anni, senza cercare in alcun modo di contrastarli. Nella scuola attuale gli insegnanti arrancano. Sfiduciati e logorati. Forse anche per questo le pretese sono sempre più basse.

“Lo scopo della scuola è quello di trasformare gli specchi in finestre”, ha detto Sydney J. Harris, il giornalista americano che si è spesso occupato di diritti. Una trasformazione sempre più complicata da realizzare. Sono diversi anni che dalla scuola media in Italia escono troppi specchi e poche finestre. Ragazzi che non sanno guardare l’orizzonte perché intenti a specchiarsi.

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Con quella faccia lì, che sembra Gennarino Carunchio nel film di Lina Wermuller, Dario Ercolano ti racconta la sua vita con la facilità con cui da bambini si scartano i regali. E te la mette lì, quella vita rocambolesca, come se decidere di tagliarsi una gamba a 30 anni fosse la cosa più naturale del mondo.

Nasce focomelico, con una malformazione alla gamba destra che si porta avanti fino al 31 agosto del 2007, giorno del suo 36esimo compleanno. E’ lì, sdraiato in un letto d’ospedale, la decisione di amputarla presa con la paura e la certezza di entrare in sala operatoria e di uscirne diverso. “Una rinascita”, mi dice. L’operazione va bene, il ramo secco reciso per i germogli più verdi, gettato nel pozzo del passato, scomparso, in tutti i sensi. Al posto suo una protesi in carbonio che quando cammina sembra che al massimo si sia slogato una caviglia.

Se ne accorgono solo gli avversari di regata che gli manca una gamba, quando le barche si strusciano, vicinissime, l’una all’altra per tagliare la linea di partenza. Lì Dario sfodera una tecnica per distrarli che è roba da non crederci. Va a prua, si mette sopravento, e quando le barche sembrano quasi toccarsi, lui quella gamba bionica se la gira al contrario e appoggia il piede rovesciato sulle draglie. Sorride, beffardo, con lo sguardo tagliente del pugile che è stato mentre gli avversari lo guardano increduli e noi passiamo avanti.

E’ un tipo tosto, Dario Ercolano. Tostissimo. E per chiarire ogni dubbio, in questa specie di intervista che gli ho fatto mentre navighiamo a dieci nodi su una barca da corsa durante un suo allenamento, mi racconta anche questa. Una storia che parte lontano, quando lui aveva 12 anni, andava alle medie e la gamba destra era ancora attaccata al suo posto, più corta di 25 centimetri del piede buono.

La storia inizia tra le poltrone di pelle sintetica di un parrucchiere nelle vie di Livorno, tra l’odore di shampoo e il vapore aspro delle permanenti. Sua madre aspetta e sfoglia una rivista a colori. Tra una foto e l’altra, legge un trafiletto di poche righe che parla di Carlo Mauri, un alpinista e fotoreporter italiano che nel ’53 ha aperto la prima invernale sulla parete Nord di Lavaredo insieme a Walter Bonatti. Un pazzo, insomma, ma di quei pazzi che fanno sognare.

L’articolo parla dell’intervento chirurgico che Mauri ha subito qualche anno prima alla tibia, nella Russia sovietica di Nikita Krusciov. Viene operato da Gravil Abamovic Iliazarov, un medico diventato famoso per aver inventato un apparato in grado di ridurre e allungare gli arti. Sembra uno di quegli articoli di poca importanza, ma la madre di Dario si informa, domanda e chiede ai chirurghi che seguono suo figlio se quella gabbia fatta di anelli, tiranti e bulloni possa riuscire a far mettere a terra quel piede destro che se ne sta sospeso in aria.

E’ amore, totale, una speranza liquida allo stato puro. Passa un anno, Iliazarov viene proclamato Eroe del Lavoro Socialista. Anche in Italia si parla di lui, i medici di Milano suggeriscono di tentare la strada incerta che dalla Toscana porta dritto a Kurgan, nella Siberia Occidentale, una città a qualche centinaia di chilometri dal confine con il Kazakistan, arida e gelida. E’ il 1982 e Dario vola a Mosca con un visto medico, poi raggiunge la clinica di Ilizarov nel cuore della città. Trascorreranno 18 mesi, 540 giorni, un anno e mezzo lunghissimo. Dario, all’epoca, non può immaginare cosa lo aspetti, il dolore che dovrà sopportare, ancora bambino, a migliaia di chilometri da casa.

“Vivevo in ospedale”, mi racconta, in un momento di stanca in cui la barca si mette orizzontale. “Mancava tutto, a volte non c’era l’acqua perché gelava nei tubi e l’anestesia totale veniva fatta raramente per risparmiare. Non sai quante volte mi hanno portato avanti e indietro dalla sala operatoria perché mancava sempre qualcosa”.

Con il primo intervento gli spaccano le ossa della gamba, poi montano l’apparato di Ilizarov sul femore, la tibia e il piede, tre anelli di acciaio, collegati alle ossa con barre filettate e chiodi. Ogni giorno un giro di vite, ogni giorno un millimetro di callo osseo in più per far colmare alla gamba destra il vantaggio con cui è nata la sinistra. Tutto va storto, in quella clinica in cui invece si doveva rendere uguale ciò che è stato creato diverso. Il femore si infetta e la gamba sembra scivolare verso la cancrena. Inizia un calvario di mesi, la gamba viene messa in trazione, la febbre a 40 diventa una compagna immaginaria sdraiata nel letto ogni sera. “La polizia segreta ci controllava”, mi dice, “avevano paura che potessimo raccontare qualcosa in Occidente e mettere in cattiva luce l’immagine dell’Urss. Mia madre e mio padre al telefono parlavano napoletano per non farsi capire”.

Quando arriva il giorno di tornare a casa e lasciare la città a gelare nel freddo, Dario si alza dal letto, debolissimo, e appena posa a terra la gamba martoriata, le sue ossa non ce la fanno a reggere il peso, si rompono e il femore gli esce dalla coscia. Viene operato d’urgenza, nuovamente, e ingessato fino al torace. E’ una mummia, bianca e dura, una farfalla imprigionata nel bozzolo che non vuole lasciarla volare.

Torna a Mosca sdraiato tra le poltrone passeggeri di un Tupolev 134, un bimotore russo sviluppato in Unione Sovietica negli anni ’60. Da Mosca a Roma, poi finalmente a casa. La storia finisce come era iniziata. In Italia lo rimettono sotto i ferri e la gamba allungata torna corta, l’epilogo del paradosso, poi decide di lasciarla indietro insieme ai ricordi della sua infanzia. E’ il 2007, il cerchio si chiude e la linea della vita parte in altre direzioni.

Ha lavorato come meccanico di automobili mentre si allenava in una palestra di boxe per diventare uno dei primi pugili disabili della storia italiana. Picchia il sacco, salta la corda e sale sul ring. Combattere si dice per chi lascia il suo angolo per raggiungere l’avversario e iniziare una lotta. Bisogna essere in due, ci vuole coraggio, paura, tecnica e forza, ma soprattutto rispetto, per chi, insieme a te, produce il suono del battere insieme. Senza l’altro non siamo nessuno, non produciamo rumore, con i pugni come con le parole.

Il 27 agosto del 2016 è in Inghilterra, chiamato dalla Federazione Italiana Pugilato a disputare un torneo con altri pugili disabili provenienti da tutto il mondo. Arriva in finale, davanti al campione del mondo della boxe in piedi Lucky Boy Milligan. Dario perde ai punti, ma non va giù. “Ce le siamo date di santa ragione”, conferma soddisfatto. “Lucky mi disse di non aver mai incontrato un avversario così forte”. E’ il suo ultimo incontro, bisogna saper lasciare al momento giusto. La boxe rimane un pezzo di lui, i guantoni appesi al chiodo, ma non la voglia di tirare al sacco nella palestra popolare in cui è cresciuto.

E il mare?, gli chiedo quando ormai siamo arrivati al porto e lui comincia a disarmare la barca e a piegare le vele. “Il mare”, risponde, “il mare c’è stato sempre. Negli anni in cui ho vissuto sull’isola di Capraia, nella città in cui sono cresciuto. Non avrei fatto tutto quello che ho fatto, se non avessi avuto il mare da respirare ogni giorno”.

Oggi, mentre ci beviamo una birra e le drizze tintinnano al vento, oggi il sogno di Dario Ercolano è l’oceano, il grande Oceano Atlantico da attraversare in doppio, insieme ad un altro comandante disabile come lui. Per poter dire al mondo che, alla fine, i veri disabili siamo noi.

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“Allora, come è iniziata questa vicenda? Il vero nodo di tutta la discussione è che le imprese si aggiudicano gli appalti con dei ribassi troppo forti in funzione dei lavori da eseguire, quindi aggiudicandosi questi lavori con dei ribassi troppo forti, sono inclini ad andare a cercare un compromesso (…) io gli dicevo a lui come anche a tutti gli altri (imprenditori, ndr) voi dovete essere responsabili di quello che voi fate (…) poi l’insistenza ed io ho ceduto chiaramente”.

È un passaggio esplicativo di come è iniziato il sistema corruttivo scoperto dalla Guardia di Finanza all’Anas di Catania. Un caso di scuola per capire il livello di diffusione capillare della cultura delle mazzette in questo paese. A parlare è l’ingegnere Giuseppe Romano, interrogato dagli inquirenti, che ammette di essersi fatto corrompere e che viveva, in buona parte, dei soldi delle tangenti. Massimo ribasso, lavori fatti male o incompleti, mancata rimozione di barriere incidentate. Attraverso questi meccanismi imprenditori e dipendenti dell’Anas riuscivano a risparmiare sugli appalti stradali da eseguire, risparmi che diventavano mazzette da dividere tra dipendenti pubblici e impresa. È il sistema collaudato che ha ‘rubato’ soldi pubblici, eseguito male appalti stradali, scoperto dall’inchiesta Buche d’oro. L’indagine, condotta dalla Procura di Catania, dal procuratore Carmelo Zuccaro e dal pm Fabio Regolo, ha portato all’arresto di nove persone, 6 in carcere e 3 ai domiciliari, al controllo di appalti per 4 milioni di euro e all’individuazione di profitti criminali per 500 mila euro. Questa è la terza parte di una inchiesta iniziata a settembre che ha coinvolto funzionari e dipendenti del centro compartimentale Anas di Catania. In alcuni degli appalti truccati è coinvolta l’intera catena di comando dal dipendente fino al funzionario per profitti da mezzo milione di euro. Una ventina gli appalti sono finiti nell’inchiesta della Guardia di Finanza, indagine condotta dal tenente colonnello Francesco Ruis e dalla squadra del maggiore Sebastiano Di Giovanni. Inchiesta che ha portato già alla confessione di diversi funzionari Anas e imprenditori che hanno ammesso le mazzette.

Uno dei lavori oggetto di scambio corruttivo è relativo alla messa in sicurezza di un piano stradale eseguito con procedura d’urgenza per lo svolgimento del giro d’Italia. In questo caso vengono coinvolti i funzionari Anas Giuseppe Romano, responsabile unico del procedimento, Riccardo Contino, direttore dei lavori e Giuseppe Panzica, direttore operativo. Tutti e tre sono finiti agli arresti domiciliari, raggiunti da una nuova misura cautelare, erano già stati coinvolti nelle prime due retate. L’imprenditore ritenuto dagli inquirenti corruttore è Pietro Matteo Iacuzzo che è finito in carcere. L’ordinanza, firmata dal gip Anna Maria Cristaldi, ha disposto l’arresto anche di un altro dipendente Anas Giorgio Gugliotta anche lui coinvolto nel ‘sistema’.

L’accordo corruttivo prevedeva controlli ‘addomesticati’, lavori eseguiti nei tempi previsti, ma in realtà in difformità rispetto al capitolato, e assenza di contenziosi. Il risparmio che diventava mazzetta veniva ricavato con la mancata rimozione dell’asfalto così da ridurre i costi di smaltimento del materiale e distribuire i ricavi tra impresa e funzionari corrotti. Non solo. In un’altra occasione l’appalto per la manutenzione del verde veniva aggiudicato con un un ribasso di oltre il 50%. Il legale rappresentante della Sicilverde Santo Orazio Torrisi, arrestato nell’operazione di oggi, corrompeva gli infedeli funzionari Anas proponendo l’esecuzione di minori lavori di sfalcio di erbe nonché la mancata effettuazione di opere quali, ad esempio, la raccolta delle sterpaglie tagliate. Il risparmio così ottenuto si trasformava in una tangente complessiva di 10mila euro in contanti ripartita tra i tre dipendenti. Le intercettazioni agli atti dell’inchiesta raccontano il livello di diffusione del sistema corruttivo. In una intercettazione ambientale due dipendenti Anas corrotti parlano di quanto è complicato per gli inquirenti scoprire il giro di mazzette e trovare i soldi frutto degli accordi corruttivi. È il 4 settembre 2019 e i due si trovano negli uffici Anas.

Contino diceva: “Come te li devono trovare qui i carabinieri?” e Gaetano Trovato rispondeva: “Me la sucano qui a me” e Contino replicava: “Qui ce la sucano a tutti”. In un’altra intercettazione l’imprenditore Salvatore Truscelli, accusato di aver corrotto alcuni pubblici ufficiali Anas spiegava la difficoltà di ‘lavorare’ in Italia con il limite di prelievo dei contanti: “A Malta se uno va in banca e vuole prelevare 100mila contanti glieli danno, a loro non interessa. Mio figlio è venuto sabato da Malta che ha il conto lì e ha portato 8mila euro contanti e nessuno gli ha detto niente (…) solo in questo paese del cazzo (…) ci stanno mettendo con le spalle al muro”.

Twitter @nellotro

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Una valanga è caduta in mattinata nella zona del Monte Bianco travolgendo, secondo il soccorso alpino valdostano, almeno due sciatori. Il distacco si è verificato a Punta Helbronner, a 3000 metri di quota, sotto la stazione di arrivo della funivia SkyWay del Monte Bianco, in un’area in cui si pratica lo sci fuoripista.

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Valanga sul Monte Bianco, a circa 3mila metri, nella zona di Punta Helbronner, a Courmayeur: secondo le prime informazioni sono coinvolte più persone. Il soccorso alpino valdostano che sta intervenendo sul posto.

Il distacco si è verificato sotto la stazione di arrivo della funivia SkyWay, in una zona in cui si pratica lo sci fuoripista. In base alle informazioni sarebbero stati travolti almeno due sciatori.

L'articolo Monte Bianco, valanga a punta Helbronner: “Almeno due sciatori coinvolti”, ricerche in corso proviene da Il Fatto Quotidiano.



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L’uomo diventato famoso venerdì sera per essere tra coloro che hanno disarmato Usman Khan, il terrorista 28enne che sul London Bridge di Londra ha ucciso due persone e ferite altre tre con un coltello, è un assassino in libertà vigilata. Lo rivela il Daily Mail che lo identifica come James Ford, 42enne che nel 2004 è stato condannato all’ergastolo, con incarcerazione minima di 15 anni, per aver ucciso Amanda Champion, una 21enne con difficoltà di apprendimento.

Sono stati i parenti della giovane che, vedendo i video, hanno riconosciuto l’omicida: “Quell’uomo non è un eroe. È un assassino in libera uscita, circostanza di cui noi come famiglia non sapevamo nulla”, ha detto Angela Cox, la zia di Amanda al giornale. “L’ufficiale di collegamento di polizia mi ha chiamato dicendo che era in tv – ha continuato la donna – Sono così arrabbiata. Lo hanno fatto uscire senza nemmeno dircelo. Non mi interessa quello che ha fatto oggi, è un assassino. È feccia. Amanda era mia nipote, lei era vulnerabile e lui le ha tolto la vita. Sapeva ciò che stava facendo. Le persone non cambiano”. Ieri sera il Ministero della Giustizia si è rifiutato di commentare, ma fonti di Whitehall hanno confermato che Ford, che aveva scontato gli ultimi giorni della sua condanna all’HMP Standford Hill, una prigione nel Kent, si trovava ieri sul London Bridge.

La giovane vittima, che aveva l’età mentale di una quindicenne, nel luglio 2003 era stata trovata strangolata e con la gola tagliata tra un mucchio di rifiuti in un terreno abbandonato vicino a casa sua di Ashford, nel Kent. A svelare il nome del colpevole alla polizia fu un operatore di un’associazione religiosa di volontariato, infrangendo la rigida politica di riservatezza dell’organizzazione, che contattò le forze dell’ordine dicendo che un uomo aveva telefonato al centralino della sede addirittura 45 volte, per dire che voleva suicidarsi per via di un atroce crimine che aveva commesso. L’uomo venne arrestato e incarcerato senza però dare mai spiegazioni per l’omicidio e la famiglia di Amanda ha sempre tentato di bloccare la sua libertà vigilata.

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Nella puntata di Fratelli di Crozza in onda tutti i venerdì in prima serata sul Nove – Maurizio Crozza in un monologo pungente sul tema dell’istruzione si interroga su alcune grandi contraddizioni del nostro paese: “Ma perchè cambiano di nuovo l’Esame di Maturità? L’avevano cambiato l’anno scorso! In Italia appena uno diventa Ministro dell’Istruzione gli viene la scimmia di fare come le coppiette a Ponte Milvio…L’Esame di Maturità è il lucchettino d’amore.” L’artista genovese ha poi proseguito: “Nelle scuole vecchie ci piove dentro, quelle nuove non sono sicure…E uno per stare tranquillo i figli dove li manda a studiare? In una galleria anti-aerea come durante la guerra?”

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di Ilaria Muggianu Scano*

Se vale ancora il suggerimento di Albert Camus “Siate realisti, chiedete l’impossibile”, allora non resta che invocarsi a Eupalla, l’immaginaria dea del calcio inventata da Gianni Brera, perché l’universo calcistico è a tanto così da poter conquistare un epocale punto di non ritorno nella conquista dei diritti umani.

In occasione della giornata internazionale per la lotta alla violenza sulla donna, giocatori e tecnici di Serie A, da Ronaldo a Nainggolan, sono scesi in campo con l’iconica traccia rossa sul viso aderendo alla campagna alla quale Lega e WeWord Onlus hanno dato vita sotto la sigla di #unrossoallaviolenza, in riferimento al cartellino rosso, metafora d’espulsione della violenza maschile sulla donna, che ogni anno determina una dolorosa, inarrestabile strage. L’Associazione Italiana Calciatori e la Divisione Calcio Femminile Figc hanno aderito, dal canto loro, al progetto #facciamogliuomini, che ha portato in campo le capitane di Serie A e B accompagnate da un uomo con in mano un narciso e indosso una t-shirt con la scritta “Questo è l’unico narciso che conosco”.

Tuttavia manca un gesto più eloquente, tanto così. Basterebbe pochissimo, come il fischio di una terna arbitrale interamente femminile a Riyad. La Supercoppa italiana torna in Arabia Saudita e questa volta tutti i settori dello stadio sono aperti alle donne. La sfida tra la vincitrice dello scudetto e quella di Coppa Italia, dunque Juventus e Lazio, si giocherà nella capitale saudita tra meno di un mese, il 22 dicembre alle 17,45 ora italiana.

Cosa osta? In realtà alcun ostacolo concreto. Non esistono arbitre in Serie A? Nessun problema: la Lega non prevede alcun tangibile impedimento all’arbitraggio internazionale, essendo venuti meno i confini comunitari già dai tempi del “ricorsista” olandese Jean Marc Bosman, il quale il 15 dicembre 1995 ottenne dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che ogni professionista del calcio potesse trasferirsi da un club appartenente a una federazione calcistica europea ad un altro.

Anche questo divieto è superato. Il sistema fino ad allora vigente costituiva una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori e questo era proibito dall’articolo 39 del Trattato di Roma. I tempi sono maturi, il messaggio eloquente, il genius loci ingolosisce. Basta un fischio.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’abbonamento Sostenitore e diventando membri del Fatto social club. Tra i post inviati Peter Gomez e la redazione selezioneranno quelli ritenuti più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Se vuoi partecipare sottoscrivi un abbonamento volontario. Potrai così anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione, mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee, sceglierai le inchieste che verranno realizzate dai nostri giornalisti e avrai accesso all’intero archivio cartaceo.

L'articolo Supercoppa italiana 2019, alla parità di genere nel calcio manca solo un fischio proviene da Il Fatto Quotidiano.



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di Alexis Bonazzi

È notizia di qualche giorno fa come a Marina di Massa (Massa-Carrara) sia apparso sui citofoni di un condominio un cartello che riportava la seguente dichiarazione: “No trans in questo condominio”. Questo episodio è seguito da un altro fatto analogo, questa volta usando bombolette spray sul muro di un palazzo in periferia.

Ovviamente, lo Shakespeare de’ noantri non ha saputo resistere alla tentazione di disegnarci pure un bel fallo stilizzato per coronare la sua opera letteraria. Evidentemente, data la sua scarsa dimestichezza informatica, non è riuscito ad andare su Facebook per insultare la trans di turno e quindi ha ripiegato sull’antico mezzo delle scritture rupestri, che rimane sempre efficace nei secoli dei secoli. Amen.

Il cartello, affisso sopra ai citofoni, suggerisce che la trans in questione abiti nel palazzo, il che mi fa pensare che chiunque lo abbia scritto si sia anche premurato di fare la propria ricerca in merito. Sarà mica uno stalker? Un ammiratore segreto? Il graffito, invece, ci rivela un dettaglio importante che aiuta a definire il profilo psicologico del suo autore. Cosa possiamo capire da quel disegno?

Capiamo il disagio di una persona che molto probabilmente non riesce a rapportarsi con la propria sessualità. Una persona probabilmente attratta da trans, ma che è al contempo insicura e incapace di razionalizzare una pulsione fisica del tutto normale, che però in un paese di bigotti e sessualmente repressi si trasforma in azione di odio. L’immagine del pene disegnata su un edificio diventa simbolo di proprietà personale: come i cani che fanno pipì sui muri per marcare il territorio, anche l’uomo di oggi, disegnando peni di dimensioni inversamente proporzionali rispetto al proprio, marca il proprio di territorio.

L’uomo nella società moderna però, a differenza dei cani, ha bisogno di modificare ed evolvere il proprio comportamento, relazionandosi con una società dove la figura dell’”uomo che non deve chiedere mai” è in declino. Dobbiamo prendere seriamente in considerazione la crisi della mascolinità e abbattere la cortina di paura che nasce dall’ignoranza e dagli stereotipi sui ruoli maschili e femminili.

Una porzione importante della popolazione maschile è terrificata dal fatto che esistano individui che volontariamente rinunciano alla propria virilità in cambio di una vita più felice e serena, una vita dove non ci si debba vergognare della propria apparenza e di come si venga percepiti. A queste persone voglio dire: non abbiate paura di noi. La nostra identità di genere appartiene a noi stessi e non ha nulla a che vedere con la vostra quotidianità. Non abbiate paura di esprimere le vostre preferenze sessuali: sentirsi attratti da una donna trans è normale per un uomo eterosessuale. E sapete il motivo? Perché siamo donne!

È finalmente ora che l’Italia si metta sul piano di tutte le nazioni civilizzate insegnando una vera educazione sessuale nelle scuole e, soprattutto, un’educazione all’affetto che insegni ai ragazzi che va bene essere attratti da persone che escono da un sistema dicotomico che non lascia spazio a quella che è la felicità nell’esprimere la nostra identità di genere e sessuale. Sono anche conscia che una discussione adulta e partecipe non ci potrà essere mai se il paese continua a chiudersi su questioni come la “famiglia naturale“.

Se un padre ripudia un figlio in quanto trans, è da considerarsi un padre? No. La famiglia è tale a prescindere dai legami di sangue e i genitori di figli trans che sono abusivi nei loro confronti non devono avere il diritto e il privilegio di essere chiamati madre e padre. Mi piacerebbe che la persona che ha messo su quel cartello mi spiegasse le ragioni che lo hanno spinto a commettere tale gesto, ma sono certa che non ci riuscirebbe: argomentare è più difficile di disegnare un pene su un muro.

Non dimenticando che tutto ciò è accaduto il 20 novembre, il giorno in cui si celebra il ricordo di tutte le vittime della follia transfobica. L’Italia ogni anno detiene il primato di trans ammazzate in Europa. Questo dato va a braccetto con i numeri sul femminicidio perché ricordiamolo: la violenza contro le donne transessuali è sempre violenza contro le donne.

Vorrei concludere dicendo una cosa anche a tutte le persone trans e non-binary: non abbiate paura. In questo condominio ci stiamo, siamo tanti, e non abbiamo nessuna intenzione di andarcene.
Bacioni.

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La settimana scorsa abbiamo detto che un investitore alle prime armi o che comunque capisce poco di finanza (il 90% degli italiani), per evitare di finire nelle fauci dei consulenti-squalo, deve puntare sulla crescita economica del pianeta, non su singoli titoli (per esempio Telecom, Enel eccetera) o mode del momento (come settori particolari tipo biotecnologie, farmaceutici, energetici e così via), e nemmeno su singoli Paesi (per esempio, esclusivamente su titoli o indici italiani).

Ora aggiungiamo un altro tassello determinante per acquisire un minimo di consapevolezza di un processo di investimento delle proprie disponibilità: oltre a investire in modo globale, dovete assicurarvi che lo strumento su cui investite sia efficiente. Ma cosa s’intende per “efficiente”?

Un indice, un mercato o uno strumento finanziario è efficiente quando è in grado di incorporare appieno l’economia reale che rappresenta. Tecnicamente, gli economisti parlano di capacità di incorporare tutte le informazioni che derivano dal mercato. Inoltre, un mercato è efficiente quando ci sono tanti operatori, così da impedire che pochi attori possano condizionarne l’andamento, e anche quando è molto liquido e reattivo, in grado cioè di incorporare immediatamente i cambiamenti che avvengono al suo interno.

Un mercato azionario efficiente, dunque, incorpora sempre la crescita economica, che però avviene esclusivamente nel lungo periodo. Come abbiamo visto qualche settimane fa, nel breve periodo i fattori emotivi e speculativi incidono sulle oscillazioni delle azioni. Per questo è fondamentale saper aspettare che i frutti maturino e non farsi prendere dalla logica di breve periodo: anche se i mercati crollano, bisogna vedere un’eventuale perdita momentanea del 30-40% come un’importante opportunità, più che una tragica fatalità.

Il mercato finanziario italiano, per esempio, non è un mercato efficiente. Al di là della nostra economia, che ormai è al palo da decenni, il nostro mercato azionario non presenta le caratteristiche dell’efficienza, e non è in grado di incorporare la crescita economica del Paese, perché condizionato da pochi attori che fanno il bello e il cattivo tempo. Chi non ricorda le scorribande del finanziere George Soros e compagni tra il 2011 e il 2013 sui nostri titoli di Stato, che rischiarono di mettere in ginocchio il Paese? O tutte quelle attività ultraspeculative fatte su singoli titoli azionari che nel tempo hanno affossato anche il mercato nel suo complesso?

Questo spiega in parte anche perché dal 2011 a oggi mercati più efficienti come quello americano ed europeo abbiano più che raddoppiato il loro valore, mentre il mercato italiano è ancora in negativo rispetto ai massimi del 2008!

Oltre all’efficienza in senso stretto, la selezione degli strumenti da inserire nel portafoglio deve considerare anche l’efficienza in termini di costi (commissioni e spese varie). Ipotizziamo un investimento di mille euro e un rendimento annuo del 6% per 30 anni. Un prodotto con un costo dell’1% genera in questo arco di tempo, per effetto dell’interesse composto, un capitale finale di 4.248 euro, mentre lo stesso prodotto ma con un costo del 2,5% (quindi 1,5% in più) frutta un capitale finale di soli 2.687 euro. L’incidenza dei costi, dunque, in questo caso quasi dimezza il capitale finale!

La sintesi di tutto quanto detto finora si chiama “risparmio gestito”, ovvero quando il risparmio di un investitore viene gestito da un intermediario finanziario specializzato, sia questo una Sgr (società di gestione del risparmio) o una banca. L’intermediario esegue tutte le operazioni di acquisto e vendita di attività finanziarie per costruire un portafoglio caratterizzato da un livello di rischio e da una modalità di gestione (attiva o passiva). Agli operatori, ovviamente, viene riconosciuta una commissione su tali attività.

Forse starete pensando: “ma che fa, Imperatore, ci ributta di nuovo tra le fauci di quegli squali delle banche?” Mai! Ma ne riparliamo la settimana prossima.

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Usman Khan, l’attentatore 28enne che venerdì sera ha accoltellato dei passanti sul London Bridge di Londra ammazzando due persone e ferendone altre tre prima di essere ucciso dalla polizia, era in libertà vigilata da dicembre 2018, dopo aver scontato sei anni in carcere per reati legati al terrorismo. Nel 2010 aveva partecipato a un complotto per attaccare la Borsa di Londra. Intanto, l’antiterrorismo britannica afferma che non è in corso la ricerca di altri sospetti.

“L’individuo era noto alle autorità, era stato condannato nel 2012 per crimini collegati al terrorismo e rilasciato in libertà vigilata nel dicembre del 2018″, ha dichiarato il capo dell’antiterrorismo britannica, Neil Basu, specificando che “ora chiaramente le indagini dovranno stabilire come abbia potuto portare a termine questo attacco”. Il funzionario ha reso anche noto che è stata perquisita un’abitazione a Staffordshire, l’area dove abitava il sospetto. Khan era da quasi un anno libero “su licenza” e questo vuol dire che avrebbe dovuto soddisfare determinati standard, altrimenti sarebbe finito di nuovo in cella. Non a caso, prima di sferrare il proprio attacco stava partecipando a un evento ospitato da Learning Together, un’organizzazione con sede a Cambridge che lavora nell’istruzione dei carcerati.

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Durante la puntata di Fratelli di Crozza in onda tutti i venerdì in prima serata sul Nove – Maurizio Crozza nei panni di Matteo Renzi lamenta le persecuzioni che deve subire in prima persona e che inevitabilmente coinvolgono chi lo circonda “Una signora voleva farsi un selfie, solo perchè mi ha sorriso e fatto l’occhiolino… E’ da sei ore in uno scantinato a Guantanamo!” Crozza/Renzi poi chiede perdono: “Io chiedo scusa a quelli che mi ha stretto la mano in questi anni, quelli che mi hanno messo un like su Instagram, quelli che mi hanno prestato settecentomila euro per comprarmi una casetta…” E aggiunge: “Ma io vi chiedo cari giudici, che adoro come l’Herpes… Chi è oggi in Italia che non ha un amico che gli può prestare settecentomila euro per comprarsi un villino? Chi? Chi?

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L'articolo Crozza-Renzi: “Mi hanno prestato 700mila euro per comprare un villino? Questa è politica. Cara vecchia politica anni ’80” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Biglietti aerei acquistati attraverso l’utilizzo indebito di carte elettroniche di pagamento, oltre 165 le transazioni segnalate, 79 le persone arrestate in tutto il mondo. È questo il bilancio dell'operazione “Global Airport Action Day” che ha interessato 60 Stati nei 5 continenti.

I dettagli dell'operazione

L'operazione, a cui hanno partecipato anche gli agenti della Postale italiana, ha visto il supporto di Interpol, Europol, Ameripol, Frontex, Eurojust, Iata. Un’attività investigativa che ha interessato 200 aerostazioni ed è stata resa possibile anche grazie alla collaborazione di 56 vettori operanti nel campo del trasporto aereo e 12 agenzie di viaggio specializzate per gli acquisti dei biglietti on line. In Italia, i controlli effettuati a seguito delle segnalazioni provenienti da Europol hanno portato alla verifica di 11 posizioni e alla denuncia di 4 persone (Milano Malpensa, Napoli Capodichino, Roma Fiumicino), trovate in possesso di biglietti aerei acquistati con carte utilizzate in frode.

Polizia postale: "Furto di dati sensibili è epidemia criminale"

"Il furto di dati sensibili e di identità digitali delle persone – ha spiegato Nunzia Ciardi, direttore del Servizio polizia postale e delle comunicazioni - rappresenta oggi una vera epidemia criminale. È il dato, l'informazione, a costituire il bene più ricercato all'interno dei mercati oscuri del Darkweb, per via degli innumerevoli impieghi illeciti che possono derivarne (attacchi finanziari,spionaggio, servizi criminali, danni alla reputazione). Tra tutti, sono proprio i dati finanziari a rappresentare il bene più ricercato dalla criminalità comune e organizzata, utilizzati per attaccare sistemi pubblici, aziendali, o più semplicemente i sistemi di home banking dei cittadini. L'azione messa in campo dalla polizia di Stato, in coordinamento con gli attori internazionali - prosegue - rappresenta l'esempio tangibile di come la cooperazione internazionale tra i diversi Paesi permetta di superare ogni barriera, ed ottenere ottimi risultati sul fronte del contrasto".

Europol: "Frode dei biglietti aerei è senza confini"

"La frode dei biglietti aerei è per natura senza confini – ha aggiunto Wil van Gemert, vice direttore esecutivo di Europol - questa operazione è stata il culmine di molti mesi di meticolosa pianificazione tra Europol, forze dell'ordine, magistratura e agenzie di frontiera, compagnie aeree e società di carte di credito ed è un perfetto esempio di come le nostre forze congiunte possono dare un contributo distintivo nella lotta contro questi sindacati criminali che operano oltre confine".
 



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Nel monologo introduttivo della sesta puntata di “Accordi&Disaccordi”, il talk show politico condotto da Andrea Scanzi e Luca Sommi con la partecipazione fissa di Marco Travaglio, in onda su Nove tutti i venerdì alle 22.45, il giornalista toscano ha commentato la diretta Facebook, in cui il leader della Lega Matteo Salvini, ritwittato dal sindaco di Roma Virginia Raggi, sembra parlare da solo. “E poi c’è Salvini. Fortunatamente uno o una ha ripreso il momento della diretta e la sindaca di Roma Virginia Raggi lo ha fatto vedere a tutti noi: Salvini, sulle scalinate del Campidoglio che parla da solo – ha raccontato Scanzi – Sotto di lui, ai suoi piedi c’è un’aiuola, credo l’aiuola più triste del mondo con i fiori che si sono suicidati appena hanno visto Salvini. Lui vestito come una sorta di Corrado Guzzanti quando prendeva in giro Bertinotti, non si capisce perché si sia messo in testa di vestirsi di fustagno e parlava da solo, gesticolava, la cosa straordinaria era che le persone passavano, lo guardavano come si guarda un mezzo matto – che cazzo fa questo che parla da solo? – e poi andavano via dritti, ce ne fosse stato uno che l’ha riconosciuto. Infatti, vedi Salvini che si guarda intorno come a dire: ‘Ma nessuno mi saluta?’. No, e se ne va mestamente a testa bassa come un Orfini qualsiasi. Io devo dire che osservando quell’immagine, ho avuto una folgorazione perché guardando Salvini che parlava da solo gesticolando, ho pensato: ‘Questa è la scena della politica italiana oggi: politici che parlano, parlano, parlano e non dicono assolutamente niente'”.

“Accordi&Disaccordi” è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia ed è disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play). Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, Sky Canale 145 e Tivùsat Canale 9. Segui @aedtalkshow su Facebook, Twitter e Instagram.

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Nel faccia a faccia della settimana ad ‘Accordi&Disaccordi’, il talk politico in onda su Nove tutti i venerdì alle 22.45 Luca Sommi chiede a Marco Travaglio un commento sulle numerose querele che Matteo Renzi ha annunciato contro Il Fatto Quotidiano (oltreché contro L’Espresso e La Verità) a seguito degli articoli scritti sui guai giudiziari in cui sono finiti la fondazione Open e i finanziatori di Italia Viva. “Fa cause civili a mazzi, ne arrivano cinque, sei al giorno, è il suo passatempo. Io non lo temo, ma anzi temo per lui perché l’ultimo che faceva così, Berlusconi, è finito ai servizi sociali, il penultimo, Previti, è finito in galera e il terzo, Dell’Utri, è finito in galera per mafia, quindi porta sfiga querelare chi scrive le cose vere”.

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Nel faccia a faccia della settimana ad ‘Accordi&Disaccordi’, il talk politico in onda su Nove tutti i venerdì alle 22.45 Luca Sommi chiede a Marco Travaglio un commento sulle parole di Matteo Renzi pronunciate a seguito delle perquisizioni ordinate dai magistrati di Firenze sulle attività della fondazione Open: “Chi finanzia Italia Viva, ha la certezza di essere perquisito”. “E’ un modo per aggirare la legge sul finanziamento pubblico ai partiti – ha spiegato il direttore de Il Fatto Quotidiano – Quando arriva un imprenditore e dice: ‘Voglio finanziare il Pd’ e quelli gli fanno capire che è meglio finanziare la fondazione, come fai a distinguere il partito dalla fondazione? Lo distingui soltanto perché se finanzi il partito, devi dichiarati, se finanzi la fondazione puoi non dichiararti“.

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L’Anpi “fa propaganda politica” perché non è possibile raccontare gli anni della Resistenza “senza un contraddittorio” e “con un’esposizione per giunta in senso opposto rispetto alla strada apprezzabile che la storiografia ha intrapreso ultimamente”. L’accusa all’indirizzo dell’associazione dei partigiani è stata pronunciata durante un incontro con gli studenti dell’Istituto superiore Da Vinci di Civitanova Marche, in provincia di Macerata. A pronunciare quelle parole, però, non è stato un alunno delle classi quinte che stavano ascoltando i delegati dell’Anpi, ma un professore di storia e filosofia, Matteo Simonetti, noto per essere uno dei principali sostenitori in Italia della teoria Kalergi, sul piano di sostituzione etnica in Europa, accusato anche di aver “spinto gli alunni ad uscire dalla stanza durante l’assemblea”. A denunciare l’accaduto è lo storico Andrea Martini, ricercatore all’università di Padova e autore di Dopo Mussolini, (che racconta i processi ai fascisti e ai collaborazionisti), che in quel momento stava presentando il libro insieme all’Anpi di Macerata. Un comportamento, quello del docente, ritenuto invece nei “limiti della libertà di espressione e insegnamento” dal preside dell’istituto, Pierluigi Ansovini, che contattato dal Fattoquotidiano.it, pur “non condividendo le sue posizioni”, ha difeso Simonetti e ha affermato che “gli studenti sono usciti per impegni didattici”. Il preside non è mai stato presente durante l’appuntamento sulla Resistenza ma da una parte assicura che “nessuno è andato fuori dai termini della liceità” e dall’altra garantisce che “il professore ha solo riferito delle posizioni storiografiche, condivisibili o meno: poi tutto nella storia è soggetto a revisione, il negazionismo quando si tratta di rivedere certe posizioni storiche è legittimo, che ci piaccia o no”. Niente sulla responsabilità dei professori davanti ai propri studenti su materie così delicate e peraltro attuali, come dimostra il caso della senatrice a vita Liliana Segre, testimonianza vivente contro i rigurgiti negazionisti.

Cos’è successo nella scuola di Civitanova? Lorenzo Marconi, presidente provinciale dell’Anpi, la racconta così: “Durante l’iniziativa abbiamo introdotto brevemente i primi cinquant’anni della nostra storia per contestualizzare l’intervento del professor Martini. Già durante la sua esposizione alcune classi hanno cominciato a uscire, abbiamo chiesto conto ai docenti e alla fine abbiamo capito che era coinvolto questo loro collega”. L’assemblea, comunque, prosegue e arriva quasi al termine fissato. “Solo allora – accusa Marconi – lo pseudo-professore è entrato e ha fatto il suo intervento, accusandoci di fare propaganda”, mentre invece, sottolinea il presidente dell’associazione, il discorso era generale. “Lui invece – rimarca il presidente dell’Anpi – ha parlato di Casapound e Forza Nuova, che non avevamo citato, affermando che sono organizzazioni democratiche perché partecipano alle elezioni”. Il discorso quindi si sposta sulla necessità di contraddittorio e sui libri di scuola, secondo il professore “scritti con ricostruzioni storiche inesatte”. “Alla fine comunque l’iniziativa l’abbiamo svolta – sottolinea Marconi – Ma ci tengo a precisare che noi non faremo mai il contraddittorio con i fascisti”.

Diversa la versione del professor Simonetti che sui social, tramite un comunicato pubblicato sul suo secondo profilo, aperto con lo pseudonimo di Giorgio Parazzune, dopo la chiusura temporanea del principale, racconta di essere intervenuto per dire che “chi oggi si dice fascista non ci sta con la testa. Sarebbe come dirsi sanculotti o ghibellini”, e di non aver avuto libertà di parola. “Dai discorsi degli oratori abbiamo ascoltato posizioni dai risvolti gravissimi – sostiene Simonetti – Hanno detto che quelli che oggi si rifanno al fascismo vanno combattuti nelle piazze, che dovrebbero essere messi fuori legge e simili amenità”. Il professore poi racconta di essere intervenuto in difesa di un alunno per ribadire “l’ingiustizia di una qualsivoglia censura” e di un comportamento da parte dell’Anpi “violento e intimidatorio”. “E per fortuna – conclude Simonetti nella lunga lettera aperta – che mi sono trovato lì io che oltre a essere insegnante sono anche giornalista, scrittore e ricercatore, altrimenti nessuno avrebbe sollevato obiezioni”.

Sul comportamento del professore la posizione dell’Anpi resta – com’è ovvio – durissima: “Dal punto di vista didattico non è opportuno e dovrebbe risponderne. Questa storia che ormai devi dare voce a posizioni di tipo negazionista, è un must che viene usato come il discorso della libertà di opinione. Sono fenomeni sottovalutati ma penso ci siano delle responsabilità sia da parte delle istituzioni che da parte della scuola”. Amareggiato anche l’ospite dell’iniziativa, Andrea Martini, che ha raccontato quanto successo tramite Facebook. “Certi fatti a 75 anni di distanza dal loro svolgimento non possono e non devono essere derubricati a semplici opinioni – si legge nel post – e non li presenterò mai come tali bensì come il risultato di accurate ricerche. A chi sostiene che il fascismo sia un oggetto del passato, dico solo che sta prendendo una grossa cantonata”.

L'articolo C’è l’Anpi a scuola, il prof di destra protesta: “Ha fatto uscire le classi”. Il preside choc: “Non lo condivido, ma negazionismo legittimo” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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