settembre 2019

“Renzi è un esponente di una delle forze che sostengono il governo, un attimo dopo il giuramento si è sfilato dando vita a dei gruppi autonomi. Non ho problemi a citarlo, ci confronteremo ogni volta che ce ne sarà bisogno. Ma quando si dice che Renzi ha una golden share, rispondo che la golden share ce l’ha anche il M5S, il Pd, Leu, Iv, ce l’hanno tutte le forze che sostengono il governo. Vedete, ragionare di golden share è sbagliato, lavoriamo per i cittadini”. Lo afferma il premier Giuseppe Conte, rispondendo alle domande dei cronisti a Palazzo Chigi. “Parlare di golden share, è attribuire a una forza il compito di decretare vita o morte, ma noi stiamo lavorando per i cittadini”. “È chiaro che gli esponenti di forze politiche lavorano anche per incrementare il consenso – afferma Conte – ma se diventa priorità rispetto all’obiettivo comune per i cittadini significa guardare a un interesse di parte, ci sono già passato. Io chiedo alle forze politiche quello che è normale: essere tutti concentrati e lavorare con spirito di squadra per lavorare a questo progetto politico”.

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La crisi globale dell’inquinamento da plastica è conseguenza di un sistema di riciclo inaffidabile su scala mondiale e le soluzioni alternative proposte dalle grandi aziende, come carta e plastiche biodegradabili e compostabili, non risolvono l’emergenza. È quanto emerge dal report di Greenpeace Il Pianeta usa e getta. Le false soluzioni delle multinazionali alla crisi dell’inquinamento da plastica, che evidenzia come le soluzioni promosse dalle multinazionali degli alimenti e delle bevande, “non riducendo a monte la produzione di packaging usa e getta, consentiranno di perpetuare un modello di business e di consumo insostenibile per l’ambiente”. La strada giusta? “Le grandi aziende – si spiega nel report – devono dare priorità alla riduzione, impegnandosi per eliminare la plastica monouso, partendo dalle tipologie di packaging superflue e più problematiche per il riciclo, riducendo il numero di imballaggi e contenitori in plastica immessi sul mercato e investendo in sistemi di consegna alternativi basati su sfuso e ricarica”. Accorgimenti lontani da quella che è la realtà. “L’industria delle fonti fossili – spiega il report – sta iniziando a reindirizzare i propri investimenti nella produzione di plastica che, secondo le stime, aumenterà del 40% nei prossimi dieci anni, arrivando a essere responsabile del 20% del consumo mondiale di petrolio”.

NESSUN IMPEGNO SUL PACKAGING MONOUSO
A invertire la rotta non basta il fatto che sempre più persone preferiscano acquistare prodotti sfusi e impiegare contenitori riutilizzabili. Nonostante gli imballaggi rappresentino circa il 40% di tutta la plastica prodotta nel mondo, infatti, secondo Greenpeace nessuna tra le grandi multinazionali come Nestlé, PepsiCo e Coca Cola si è impegnata a ridurre davvero la produzione di packaging monouso, investendo in sistemi di consegna basati sullo sfuso e sulla ricarica. “Sono molte, invece, le false soluzioni proposte”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, sottolineando che “nel 2018 la Nestlè ha aumentato la produzione di plastica del 13% rispetto al 2017, portandola a 1,7 milioni di tonnellate”.

LA CARTA
Molte aziende, come McDonald’s e Nestlè stanno cercando di risolvere il problema sostituendo parte degli imballaggi con packaging in carta. In effetti, si tratta di un materiale percepito come più sostenibile dal punto di vista ambientale, in realtà è un’alternativa altrettanto problematica. La carta deriva dal legno e dalle foreste, ecosistemi a elevata biodiversità, fondamentali nella lotta al cambiamento climatico. Il sistema del riciclo della carta, inoltre, che non è in grado di fornire, su scala globale, una quantità e qualità di fibre tali da far fronte all’aumento della domanda di packaging in carta.

LE BIOPLASTICHE
Alcune aziende stanno sostituendo parte della plastica monouso derivante da fonti fossili con plastica a base di materie prime rinnovabili (per esempio mais e canna da zucchero), spesso descritta come biodegradabile e compostabile. “Gran parte delle tecnologie attualmente disponibili – scrive Greenpeace – non consentono di produrre packaging interamente in materiale rinnovabile”. Spesso, confezioni e imballaggi in bioplastica sono realizzati solo in parte con materiali rinnovabili. “La bottiglia NaturALL – spiega il report – che sarà adottata in alcune nazioni da Danone e Nestlé, presentata come ‘bio’, è costituita per il 70% da plastica tradizionale. È bene diffidare da termini come ‘eco’, ‘bio’ o ‘green’, spesso utili solo per il marketing”. Tra l’altro, la maggior parte della plastica a base biologica proviene da colture agricole che, oltre a competere con la produzione di alimenti, fanno cambiare l’uso del suolo, con un aumento delle emissioni inquinanti provenienti da questo settore, oggi causa principale di deforestazione e distruzione degli habitat naturali, nonché responsabile di un quarto delle emissioni di gas serra.

CANNUCCIA E VASCHETTA DEL GELATO
Gli imballaggi monouso e le soluzioni proposte finora dalle multinazionali sono andate tutte in questa direzione. “Dalla cannuccia del Nesquik di Nestlè per il mercato europeo, che sarà di carta invece che di plastica – continua Ungherese – fino alla vaschetta del gelato Carte d’Or, prodotta da Unilever con un materiale misto di carta e bioplastica. Soluzioni che spostano il problema da un materiale all’altro, non privo di impatto ambientale”. Eppure, proprio la scorsa primavera, Unilever ha presentato la nuova confezione e annunciato una serie di obiettivi sostenibili raggiunti e da raggiungere nei prossimi anni. Entro il 2025, ha dichiarato, tutti i packaging dei prodotti presenti nel mondo “saranno completamente riutilizzabili, riciclabili o compostabili”.

BIODEGRADABILE E COMPOSTABILE
Ma Greenpeace sottolinea che per i consumatori è spesso fuorviante anche l’utilizzo di termini come ‘biodegradabile’ e ‘compostabile’. I prodotti definiti ‘biodegradabili’, infatti, non si decompongono se dispersi nell’ambiente o gettati in discarica, ma solo in determinate condizioni di temperatura e umidità, raramente presenti in natura”. La plastica compostabile, invece, è progettata per decomporsi del tutto solo in condizioni tipiche degli impianti di compostaggio industriali o, più raramente, in sistemi di compostaggio domestico. “Non in tutto il mondo – spiega Greenpeace – sono presenti questi impianti e, se ci sono, non sono in grado di gestire grandi quantità di rifiuti”. Queste plastiche spesso finiscono per essere smaltite in discarica o negli inceneritori.

IL RICICLO
Le multinazionali hanno a lungo promosso il riciclo come soluzione principale, eppure più del 90% della plastica prodotta dagli anni Cinquanta non è mai stata riciclata. In Ue solo il 31% dei rifiuti in plastica raccolti nel 2016 è stato riciclato. Persino per alcune plastiche realmente riciclabili come il Polietilene tereftalato (PET) e il Polietilene ad alta intensità (HDPE) i tassi di riciclo sono molto bassi. Gran parte del packaging in plastica, poi, è soggetto a downcycling, ossia viene riprocessato per prodotti di qualità inferiore non riciclabili. Inoltre, negli ultimi anni è cresciuta la quantità di packaging composto da diversi materiali difficili, se non impossibili, da riciclare. “Produrre plastica vergine spesso costa meno rispetto a quella riciclata – spiega Greenpeace – quindi, anche se tecnicamente è possibile, alcune tipologie di plastiche non vengono riciclate perché trovano difficile collocazione sul mercato”.

IL RICICLO CHIMICO
Trentasette multinazionali si sono impegnate ad aumentare la quantità di plastica riciclata nei loro imballaggi. In questo modo, la domanda di plastica riciclata crescerebbe di 5-7,5 milioni di tonnellate entro il 2030. “È difficile che tale impegno si concretizzi considerando i limiti del sistema di riciclo, incluso quello chimico che si sta affiancando recentemente al riciclo meccanico”, spiega Greenpeace. Con riciclo chimico, infatti, si intendono diverse tecnologie (ad esempio gassificazione e pirolisi) finalizzate a minimizzare il rischio di downcycling. Alcune di queste, però, già usate in passato come alternative all’incenerimento, sono state abbandonate per i costi e le emissioni inquinanti, mentre altre opzioni non sono state mai completamente sviluppate. “La conoscenza degli impatti ambientali e sanitari di queste tecnologie – si spiega nel rapporto – è ancora limitata” e ci sono serie preoccupazioni riguardo le sostanze chimiche pericolose utilizzate per ‘purificare’ la plastica, l’uso intensivo di energia e la necessità di costruire infrastrutture costose per realizzare gli impianti. “Eppure – conclude Greenpeace – le grandi multinazionali le includono nei loro progetti di responsabilità sociale d’impresa, mentre compagnie petrolchimiche cominciano a investire in start-up di riciclo chimico in parte finanziate dalle multinazionali degli alimenti e delle bevande”.

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Il 1 ottobre 2009 una colata di fango distrusse Giampilieri e Scaletta Zanclea. Oggi quegli stessi borghi sono stati messi in sicurezza ma si sono svuotati. Tra le opere più importanti realizzate il canale fugatore, in grado di controllare l’acqua a Giampilieri

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Nella notte tra l’1 e il 2 ottobre del 2009 un violento nubifragio causò un disastro idrogeologico che colpì in particolare le frazioni di Giampilieri e Scaletta. Frane di fango e detriti, ma anche lo straripamento di diversi corsi d’acqua provocarono decine di morti

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37 morti e nessun colpevole. Due corpi mai ritrovati. Paesi e borghi distrutti dall’alluvione che hanno cambiato volto in nome della sicurezza. Era il 1 ottobre del 2009 quando una colata di fango venne giù dalla montagna trascinando via intere abitazioni (FOTO). Giampilieri, Scaletta Zanclea, Itala, Briga, Molino, Altolia. Un territorio ferito per sempre da quel violento nubifragio che riversò, in poche ore, 350 millimetri di acqua. Dieci anni dopo, la maggior parte delle opere per la messa in sicurezza sono state completate. Ma resta l’amarezza e la delusione per il processo, che si è chiuso senza colpevoli e senza risarcimenti per le famiglie.

Nessun colpevole

Lo scorso marzo la quarta sezione penale della Cassazione ha rigettato infatti i ricorsi della procura generale di Messina e delle parti civili, rendendo definitiva la sentenza con cui la corte d'Appello aveva assolto l'ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca e l'ex sindaco di Scaletta Zanclea Mario Briguglio perché “il fatto non sussiste” e revocato i risarcimenti. In primo grado erano stati condannati a 6 anni.
“Prima l’illusione della condanna, poi la sentenza rovesciata. Siamo rimasti disincantati e delusi. I giudici avrebbero dovuto temporeggiare e arrivare alla prescrizione perché così avremmo potuto chiedere il risarcimento per danni. Mancava davvero poco. Invece così, con la sentenza definitiva di assoluzione. non abbiamo più neanche la possibilità di chiedere il risarcimento” sottolinea a Sky Tg24 l’avvocato Orazio Carbone, difensore delle famiglie colpite dall’alluvione. “Io ancora non me lo voglio dire che tutto si chiude così, non ho ancora archiviato quel fascicolo. Ma sottovoce lo posso dire: è finita”. Così il sindaco di Scaletta Zanclea Gianfranco Moschella: “Oltre al danno anche la beffa”.

Paesi messi in sicurezza

Se sul fronte giudiziario i cittadini si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni, lo stesso non è accaduto per quel che riguarda la messa in sicurezza del territorio. Per consentire agli abitanti di Giampilieri e Scaletta Zanclea, i due paesi più colpiti, di non abbandonare la loro terra,
“Pochi mesi prima dell’alluvione, nell’aprile del 2009, c’era stato il terremoto dell’Aquila. Il modello di ricostruzione era quello delle new town a cui noi ci siamo opposti” spiega a Sky Tg24 l’ingegnere Gaetano Sciacca che all’epoca era a capo del Genio Civile di Messina.  “Le persone vogliono vivere e morire dove sono nate. Anche se si tratta di zone difficili, a rischio idrogeologico e sismico. Noi la sfida l’abbiamo vinta. Siamo riusciti a mettere in sicurezza un’area di 50 km. Come si fa? Facendo opere strutturali e opponendosi alle aggressioni al territorio, bloccando l’edilizia scellerata”.

Giampilieri esempio virtuoso

Tra le opere più importanti realizzate il canale fugatore, in grado di controllare l’acqua, che ha preso il posto del cuore di Giampilieri, lì dove sono morte 19 persone.
“Lì, al centro del paese, c’erano 50 case: 25 sono state distrutte dall’alluvione, l’altra metà è stata abbattuta dall’uomo per realizzare, appunto, questa opera di messa in sicurezza” sottolinea Fulvio Corrado Manganaro, presidente del Comitato dei cittadini di Giampilieri. E aggiunge: “Giampilieri è un esempio virtuoso. E’ stato messo in sicurezza con un costo di circa 60 milioni di euro, risparmiando su quanto era stato stimato. Persino la Corte di Conti ha sottolineato che i soldi sono stati spesi bene”. In tutto, per i lavori effettuati dal Genio Civile, dalla Protezione civile, dalla provincia e dal Cas (consorzio autostrade siciliane), sono stati spesi oltre 100 milioni di euro.

Ricostruzione quasi ultimata

Anche a Scaletta Zanclea sono stati messi in sicurezza torrenti e pareti rocciose. “Oggi uno stesso evento non procurerebbe più quei danni. Certo, il rischio zero non esiste, ma possiamo mitigarlo” assicura il sindaco Moschella. Ancora da ricostruire, invece, la strada che conduce al cimitero. Dalla notte dell’alluvione è rimasto solo un piccolo viottolo, come Sky Tg24 aveva raccontato cinque anni fa (VIDEO). Un sentiero impervio che i cittadini intraprendono, a loro rischio e pericolo e infrangendo un’ordinanza comunale, per portare un fiore ai loro cari. “E’ l’ultima cosa importante che è rimasta da fare. Ci sono stati dei ritardi legati alle gare d’appalto” afferma a Sky Tg24 Bruno Manfré, Dirigente dell’Unità Meteo del Dipartimento Regionale della Protezione Civile di Messina. “I lavori sono iniziati da due mesi e secondo le previsioni dovrebbero concludersi entro la fine del 2020” precisa il sindaco. “Quello che manca è la riqualificazione. La sensazione, camminando per le vie del paese, è quella di vivere in un enorme cantiere sempre aperto. Ora dobbiamo lavorare sull’estetica, coprendo con delle aree verdi le opere realizzate. Quelle lastre di cemento o reti di contenimento che ci fanno sentire più sicuri”.

Pochi sfollati, tanti abbandoni

Pochi gli sfollati, le persone rimaste senza casa dieci anni dopo. “Ci sono 18 famiglie della parte alta di via Puntale, la zona di Giampilieri dove c’è stato il maggior numero di vittime, che possono usare l’immobile solo di giorno e non di notte. Le loro case sono agibili ma non abitabili. Famiglie che non ricevono più il contributo per l’autonoma sistemazione” sottolinea l’avvocato Carbone. A Scaletta Zanclea, invece, gli sfollati non ci sono più. “Chi non è rientrato ha deciso di lasciare il paese. Abbiamo assistito a un enorme spopolamento. Ci sono circa 400 persone che hanno abbandonato Scaletta. Abbiamo rischiato la desertificazione”. Così l’avvocato Carbone: “Cosa manca rispetto a dieci anni fa? Mancano le persone. Ci sono molte case vuote. Non c’è stata una politica per il ritorno”.

Si poteva evitare?

Nel cuore e nella testa di chi vive in quei paesi, feriti e ricostruiti, rimbomba la stessa domanda da dieci anni: si poteva evitare? “Si poteva attenuare” ripete l’ingegnere Sciacca (VIDEO). “Nel 2007 c’era stato un evento analogo. C’era un commissario, aveva pochi soldi, circa 10 milioni di euro. Ma qualcosa si sarebbe dovuto fare. Ad esempio, si doveva evitare che le persone vivessero nelle zone considerate rosse”.
Oggi, dopo i 37 morti dell’alluvione, quei paesi sono stati messi in sicurezza. “Ma l’attenzione deve rimanere sempre alta – avverte Manfré - I cittadini devono seguire le raccomandazioni diramate dalla Protezione civile o dalle amministrazioni locali. Allo stesso tempo è fondamentale fare manutenzione altrimenti quelle stesse opere che oggi ci fanno sentire al sicuro tra qualche anno potrebbero non essere più così efficaci”. Anche l’ingegnere Sciacca mette in guardia: “Al di là di una responsabilità penale ce n’è una tecnica amministrativa. Bisogna attivarsi e fare dei presidii. Quando ci sono dei bollettini di allerta meteo è necessario mettere le persone della protezione civile lì sul posto così che possano intervenire subito in caso di emergenze. Non basta chiudere le scuole, bisogna chiudere le strade”.



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Donald Trump mi ha tirato le orecchie per l’apertura alla Cina? Mai. Noi siamo alleati degli Stati Uniti, siamo un Paese Nato e facciamo parte dell’Unione europea. Detto ciò, abbiamo il diritto di trovare nuovi sbocchi per il nostro export. E quali sono i Paesi in crescita? Cina e India, che hanno voglia di made in Italy”. A dirlo, ospite di Massimo Giletti a Non è L’Arena, su La7, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Preoccupato dei dazi dagli Usa? Sono sicuro che l’amicizia tra Giuseppe Conte e il governo americano ci aiuterà a superare questi problemi” ha aggiunto il capo politico del M5s.

Video La7

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Lele Mora ha scoperto solo pochi giorni fa mentre stava facendo un’intervista di avere un tumore maligno e domenica sera ha deciso di parlarne in diretta a “Live – Non è la D’Urso“. “Tu mi sei stata vicina e sai, questo male che mi è arrivato per tanti dispiaceri – ha esordito l’ex agente dei vip rivolgendosi a Barbara D’Urso -, il carcere, dopo il carcere è morto mio papà, a cui ero legatissimo, poi mia mamma, poi sai ripartire non è facile. Un giorno, un mese fa circa viene un mio amico fisioterapista a farmi un messaggio, erano giorni stanchissimi, mi giro sulla schiena e mi dice ‘ma cosa hai qua? hai una cosa qua, hai preso una botta?‘ e mi fa sentire la parte, come io lo faccio sentire a te. È grande, lungo 8 cm e profondo 5“, ha rivelato.

Lele Mora è stato ospite in studio accompagnato dalla figlia Diana e il suo racconto è stato scandito dai forti applausi del pubblico in studio. “Non me ne sono mai accorto, ho fatto un ago aspirato per la biopsia e domani viene anche mio figlio ad accompagnarmi dai chirurghi – ha spiegato Lele Mora -. Devo fare una terapia di 25 radio, perché deve ridursi. Domani mi danno un’altra risposta sulle ultime tac che ho fatto, per vedere se ci sono problemi al rene. Dopo le radio mi operano, deve diventare almeno 5 cm, perché l’operazione altrimenti diventa faticosa. Il primo giorno di radio sono stato male, sono molto forti, ma mi servono per stare meglio, guarire e riprendere a lavorare”, ha concluso.

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Una domenica televisivamente trafficata con una concorrenza che stimola analisi e polemiche. Partendo dai numeri, ovviamente. A vincere la serata del 29 settembre è Rai1 con la fiction Imma Tataranni-Sostituto Procuratore che porta a casa 4.389.000 telespettatori e il 20%, la serie con Vanessa Scalera segna un calo rispetto a setti giorni fa ma ottiene comunque ottimi ascolti. Ascolti che permettono a Rai1 di doppiare Canale 5 dove Live-Non è la D’Urso crolla all’11,9% con 1.808.000 spettatori. Perde per strada tre punti rispetto alla puntata precedente puntando sul malore di Francesca De Andrè, sul tumore di Lele Mora, sulla presenza dell’attore hard Rocco Siffredi e sul discusso Adriano Panizroni.

Nuova rete, nuovo orario e nuova concorrenza per Fabio Fazio che ottiene un buon debutto su Rai2. La trasmissione è stata vita da 1.907.000 e l’8,2% nella prima parte e 1.563.000 e l’8,5% nella seconda, con l’anteprima dalle 19.30 alle 20.30 che ha ottenuto il 5% con 982.000 telespettatori. Nel salotto del conduttore savonese sono arrivati Enrico Brignano, Federica Pellegrini, Mahmood, Gino Strada, l’ex ministro Tria, oltre alla presenza fissa di Luciana Littizzetto. Cala ma tiene Non è l’Arena, il talk show di Massimo Giletti su La7 rinuncia al caso Prati e si affida a Luigi Di Maio e alla prostituzione minorile incassando 1.002.000 e il 5,57% di share. Al pomeriggio cresce Domenica In, il contenitore condotto da Mara Venier si porta al 17,1% e al 16.4%. Nonostante il traino cala Francesca Fialdini, il suo Da noi a ruota libera si ferma al 12,6% soccombendo a Domenica Live con Barbara D’Urso al 13,6% di share. Quelli che il calcio ottiene il 5,2% e il 5,9%, La Domenica Ventura cresce leggermente al 4,2% di share.

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Autoproclamatisi da tempo sapiens sapiens, ma dando prova troppo spesso di assoluta imbecillità, gli esseri umani sono sull’orlo di un’estinzione provocata dal riscaldamento globale, eufemisticamente soprannominato “cambiamento climatico“. Non sarà un processo a esito immediato, piuttosto un’agonia lunga e dolorosa: ma la fine è già in atto e non si vedono segni di resipiscenza, nonostante l’abbondanza di sintomi e le denunce sempre più precise e dettagliate del mondo scientifico.

Il tema è di drammatica attualità e urgenza, dato che ne va il futuro del pianeta e delle generazioni future. Eppure i livelli di parte purtroppo non trascurabile del mondo politico e dei media sono assolutamente inadeguati e le esternazioni del tutto sconfortanti. Prendete ad esempio quella europarlamentare leghista che pare risponda al nome di Susanna Ceccardi, la quale si chiedeva qualche giorno fa cosa c’entrino i migranti con il clima.

Evidentemente per la leghista il clima riguarda solo gli orsi bianchi al Polo Nord e non la vita, la società e l’economia di tutto il pianeta. O quell’altro fenomeno che mi pare si chiami Filippo Facci il quale, in compagnia dello spassoso (dal vivo o nell’ottima imitazione di Maurizio Crozza) Vittorio Feltri, non trova di meglio da fare che deridere Greta Thunberg, la quale, a detta dei due splendidi esemplari in questione, sembrerebbe la bambina dell’Esorcista.

Certo, se l’umanità fosse composta da personaggi come Ceccardi, Facci o Feltri e i numerosi “webeti” (a volte anche sedicenti di sinistra) che se la prendono con Greta, l’estinzione sarebbe un esito non solo inevitabile, ma anche per molti versi meritorio e contribuirebbe a migliorare l’universo, purgandolo di una scoria dannosa come l’umanità.

Purtroppo siamo pieni di parlamentari incompetenti, come denunciato dalla senatrice a vita Elena Cattaneo, e di maschi (o femmine) frustrati di mezza età che scaricano i loro eccessi di bile su una giovane donna esemplarmente impegnata come Greta Thunberg.

Se ci si limitasse a queste categorie, per quanto spregevoli, non sarebbe nulla di che. Purtroppo sono moltissimi coloro che rimuovono il problema per non cadere preda dell’angoscia e preferiscono adottare, più o meno consapevolmente, la politica dello struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia e autoconvincendosi che in fondo si tratta solo di un brutto sogno dal quale ci risveglieremo presto.

E poi ce ne sono altri – sono pochi -, inseriti nei gangli decisionali di grandi imprese, banche e governi. Questi sono i veri e propri criminali ambientali, visto che la portata dei loro crimini è incommensurabile e che le loro azioni inconsulte, ispirate esclusivamente alla logica perversa del profitto e del potere politico fine a se stesso, minacciano di distruggere il futuro delle generazioni a venire.

Molti, disseminati nei consigli di amministrazione, operano nell’anonimato continuando a lucrare laute prebende, vendendo a peso d’oro il futuro della specie umana. Ce ne sono poi altri che invece godono di una certa fama, seppure pessima. Basti citare Donald Trump e Jair Bolsonaro, i due negazionisti climatici per eccellenza, i quali, un po’ per ignoranza, un po’ per convenienza, hanno deciso di operare come se il problema non esistesse e si danno anzi da fare ogni giorno per aggravarlo. Basti pensare ai folli piani di Bolsonaro per colonizzare l’Amazzonia, insostituibile polmone verde e riserva di biodiversità del pianeta.

Per salvare il futuro dei nostri figli e nipoti occorre mettere i criminali ambientali in condizione di non nuocere, isolandoli a livello internazionale (certo da questo punto di vista non si può certo dire che Luigi Di Maio e “Giuseppi” Conte siano una garanzia, data la loro vocazione servile nei confronti di Trump) e promuovendo politiche per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica, abbandonando la scellerata politica di finanziamento delle fonti fossili, perseguita finora da tutti i governi italiani. Nessuno escluso.

Occorre una costante mobilitazione dal basso e occorrono norme di carattere generale ben più avanzate ed efficaci di quelle contenute nella Convenzione di Parigi. La sfida è enorme. Se non vogliamo fare la fine dei dinosauri dobbiamo muoverci ed agire ora, seguendo le indicazioni di Papa Francescoche al tema ha dedicato la sua enciclica più bella, che andrebbe studiata in ogni scuola e università – e di Greta Thunberg.

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È successo di tutto nel corso dell’intervista di Mara Venier a Maurizio Costanzo nell’ultima puntata di Domenica In. Dopo aver mandato un saluto a Lamberto Sposini e aver parlato della vicenda dell’attentato che coinvolse il giornalista, c’è stato un incidente in diretta che ha creato forte imbarazzo in studio. Ad un certo punto infatti, a Mara Venier è scivolato dalle mani il bicchiere d’acqua che si era versata e questo è caduto a terra bagnandola.

Con la spontaneità che la contraddistingue, la conduttrice si è alzata e ha chiesto a Maurizio Costanzo di toccarle il pantalone che si era bagnato proprio all’altezza dell’inguine, per dimostrare a tutti che non stava mentendo. “Sono tutta bagnata, tocca qui!“, ha detto la Venier ad un imbarazzatissimo Costanzo che non ha potuto fare altro che accontentarla e toccare il pantalone per confermare che era effettivamente bagnato d’acqua. Il tutto tra le risate del pubblico e della stessa Mara, che con la sua ironia ha volutamente giocato sui doppi sensi.

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Muoveva all’attacco, prendeva fiato; apriva le gambe e la fessura vaginale si dilatava formando un cerchio che lasciava affiorare un uovo piuttosto appuntito, che era la testa del bambino. Dopo ogni spinta sembrava che la testa sarebbe uscita: minacciava, ma non usciva; arretrava come il rinculo di un fucile, il che per la partoriente significava il rinnovo centuplicato di ogni dolore. Allora, il Folle Rodríguez, nudo, con la terribile frusta attorno alla vita – il Folle Rodríguez, padre di quello sgorbio infingardo, precisiamo – piantava i suoi gomiti nel ventre della donna facendo sempre più forza. Eppure, Carla Greta Terón non partoriva. Ed era evidente che ogniqualvolta quello sgorbio attuava la sua agile ritirata, lacerava – in definitiva – le dolci viscere materne, la dolce pancia che lo conteneva, che non riusciva a vomitarlo. Veniva a crearsi una nuova lacerazione nel suo otre“.

Uscito per Miraggi Edizioni nella collana Tamizdat (progetto curato in collaborazione con Francesco Forlani e Francesco Ruggiero, che raccoglie traduzioni di autori di alta qualità letteraria che difficilmente arriverebbero al lettore italiano del mercato editoriale mainstream), La pianura degli scherzi, dell’argentino Osvaldo Lamborghini (a cura di Vincenzo Barca e Carlo Alberto Montalto) è un testo (o meglio, una sequenza di testi da capogiro) complesso, a tratti difficile. Una sfida avvincente per un lettore. Un gioco infinito di nomi e parole, un linguaggio che passa dal formale all’informale con una naturalezza spiazzante, un registro gergale e un registro aulico che si ritrovano a battagliare, a lusingarsi l’un l’altro.

Ne La pianura degli scherzi convivono le innumerevoli influenze stilistiche che hanno formato lo stile originale e unico di Lamborghini, uno stile che sembra rifiutare la linearità della prosa tradizionale, e che trasforma la psicoanalisi freudiana, il post-strutturalismo di Lacan e il libertinismo del marchese de Sade in qualcosa di nuovo, gaudente, viscerale. Uno stile che assorbe il lettore. Leggendolo, tre autori mi sono venuti in mente, con le enormi e sostanziali differenze narrative e lessicologiche che li dividono, ma accomunati dallo stesso coraggio di arrogarsi il diritto di essere se stessi: Pedro Lemebel, Severo Sarduy e Louis-Ferdinand Céline.

Perché il godimento era ormai stato decretato lì, per decreto, in quei pantaloncini sorretti da una sola bretella di un cencio grigio, lercio e sfilacciato. Esteban gliela strappò e restarono all’aria le natiche senza mutande amaramente malnutrite del bambino proletario. Il godimento era lì, ormai decretato, ed Esteban, Esteban con una sola manata strappò la lurida bretella. Ma fu Gustavo a gettarglisi addosso per primo, il primo ad avventarsi sul corpicino di Storpiani! Gustavo, che sarebbe poi stato il nostro leader nell’età matura, in tutti questi anni di fallita, storpia passione: lui per primo conficcò il vetro triangolare lì dove cominciava lo spacco del culo di Storpiani! e ne prolungò il taglio naturale. Schizzi di sangue si sparsero in ogni direzione, illuminati dal sole, e il buco dell’ano si inumidì senza fatica come per facilitare l’atto che preparavamo. E fu Gustavo, Gustavo a trafiggerlo per primo col suo fallo, enorme per la sua età, troppo affilato per l’amore“.

L’opera di Osvaldo Lamborghini non è facilmente raggruppabile in categorie generiche, poiché abbraccia e combina elementi di poesia, prosa e teatro. Figura radicale e a tratti clandestina nell’Argentina peronista e post-peronista, una delle anime delle avanguardie del Paese sudamericano prima che il regime militare devastasse un intero tessuto culturale e sociale e facesse diventare di gran moda i voli di sola andata sul Rio della Plata e sull’Oceano Atlantico, Lamborghini con il suo neobarocco per il volgo, le sue eccentricità linguistiche, le sue divertenti trovate, il ritmo forsennato delle sue parole è senza dubbio uno scrittore da scoprire, e La pianura degli scherzi un’opera che va senz’altro letta.

In sospeso, il prezzo del pane. In sospeso, la quotazione del miele delle api del Libano, che non libano più. «Riso con latte? Vogliamo tornare a Treblinka!». Ai palestinesi manca qualcosa, è il Dottor Mengele che manca ai palestinesi? È terribile il dolore di (questo) amore. È terribile il fallimento di un’arte amata, per esempio questa. Ma niente di equiparabile all’espulsione dal partito. La porta si chiude, camminare, giungere fino all’angolo. E fino all’angolo si giunge, fino a quest’angolo. Punto: divieto, il semaforo rosso, di un rosso vivo, un fuoco che estrarrebbe nei dal nulla. Ogni neo sarebbe un nuovo principio (solare). In quest’angolo si mozzica il filtro della sigaretta. Una poltrona in un cinema: la guerra. La Germania intera si mobilita. È formidabile. L’Argentina (Argentina, Argentina!) specula sulla caduta dell’impero britannico. La Polonia schiacciata, così è la vita. Silenzio. Silenzio nell’oscurità, oscurità nel silenzio, una mano indifferente (…) I cingoli dei carrarmati e la lampo del pantalone lottano contro ostacoli simili, imprevedibili monticelli, fossi. Ma comunque: comunque. Qui il pene eretto, lì la svastica che sormonta l’Arco di Trionfo (di catrame). Lo stesso grido di ricchioni percorre tutto il pianeta. Stiamo trapiantando organi. Le Malvine nel cuore di Buenos Aires. Nel chilometro Zero. Il debito esterno in un bosco pietrificato“.

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“I computer non funzionano, non ci sono le connessioni, i telefonini… i lavoratori dei centri per l’impiego sono lì che vorrebbero fare ma non possono fare”. Massimo Giletti, a Non è L’Arena su La7, elenca ciò che non funziona nei centri per l’impiego, prima di lanciare un servizio. Luigi Di Maio, ex ministro del Lavoro e promotore dellariforma sui centri per l’impiego e del reddito di cittadinanza, si difende così: “È da 30 anni che la situazione è così. Possibile che la colpa sia mia?”.

Video La7

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"Non è il quanto vivi, ma come vivi". Queste le parole di Nadia Toffa in un video di circa 20 minuti, visionato in anteprima dal Corriere della Sera, girato il 21 dicembre 2018 a casa sua. La stessa conduttrice, morta il 13 agosto scorso a causa di un tumore, ha voluto registrare quelle immagini nelle quali fa una richiesta precisa alla produzione del programma: "Vorrei incontrare amici, vecchi, nuovi, persone care, parenti, colleghi che hanno lasciato un segno in questo mio ultimo anno tremendo, persone che contano davvero. Vorrei che tu mi aiutassi a filmare questi incontri", dice Nadia Toffa a Giorgio Romiti, storico produttore delle Iene e amico della donna. "Quei filmati sono stati registrati, ma Davide Parenti, “inventore” delle Iene, afferma che "non è ancora tempo di mandarli in onda, troppo doloroso. Vedremo più avanti". La prima puntata della nuova stagione, in cui verrà omaggiata Nadia Toffa, andrà in onda martedì 1 ottobre, con Alessia Marcuzzi e Nicola Savino in conduzione.

"Non contano gli anni, ma se hai vissuto intensamente"

Alla domanda sul perché della richiesta di realizzare il video, Nadia Toffa risponde con la sua solita sincerità e schiettezza: "Perché in questo ultimo anno sono cambiata tantissimo. Non è il quanto vivi, ma come vivi", dice la donna. "Quando muore una persona, trovo stupida la domanda: quanti anni aveva? Non contano gli anni, ma se hai vissuto intensamente. Io sto facendo il possibile per ritardare la mia morte, tutte le cure possibili. Vedremo quanto tempo avrò ancora, ma non credo molto".

Le persone che ha voluto vedere Nadia prima di morire

Il motivo per cui Nadia Toffa ha chiesto ai suoi amici e autori delle Iene di filmarla nei suoi ultimi incontri con le persone più care è semplice: voleva "incontrare le persone che contano perché vuole sapere da loro cosa pensano davvero di lei. Voleva vivere un momento di pura verità e lasciare un bel ricordo". Nel video c’è infatti la mamma Margherita, "persona meravigliosa, mi spiace più per lei che per me", ma anche due compagne di liceo classico, un amico di Brescia, Tommaso e "il mio boss Davide Parenti". Poi l’amica Sara, la nonna Maria "donna tutto d’un pezzo" e la nipotina Alice della quale si dice "orgogliosa". Infine un nome particolare: Silvio Berlusconi. È Nadia stessa a spiegare il perché: "Non l’ho mai conosciuto ma avrei tante curiosità da chiedergli. Provo molta gratitudine per lui, ha fatto partire l’elicottero per me per farmi portare subito al San Raffaele quando sono stata male a Trieste. Gli direi che non l’ho mai votato, non sono la migliore conduttrice di Mediaset, e gli chiedere perché mi vuole bene?".



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“E’ più urgente di prima” che i governi dei singoli Paesi si impegnino a spendere di più per fare fronte al rallentamento globale dell’economia ed è anche “essenziale” che l’Eurozona si impegni sul lungo termine per realizzare quell’unione di bilancio necessaria per competere con le altre potenze globali. Lo ha indicato il presidente della Bce Mario Draghi in un’intervista pubblicata sul Financial Times online. Nell’intervista, osserva il Ft, Draghi mostra di sostenere pienamente la richiesta del presidente francese Emmanuel Macron di realizzare trasferimenti tra i Paesi dell’Eurozona al fine di sostenere la moneta unica sul lungo termine.

Per il presidente della Bce, “alla luce della debolezza dei singoli Stati nel contesto di un mondo globalizzato, quello che conta è rendere l’Unione più forte“. E per rafforzare l’Unione economica e monetaria “abbiamo bisogno di un bilancio comune dell’Eurozona. Certo il dibattito politico sarà ancora lungo, ma sono ottimista”.

Per il presidente della Banca centrale europea, ormai vicino al termine del mandato, “le conseguenze positive” del pacchetto di interventi varati dalla Banca centrale sono finora riuscite a evitare effetti negativi sui risparmiatori e sui prezzi dell’immobiliare. “Ma interventi a livello di governi potrebbero aiutare molto ad alleggerire il peso che sta portando la Bce. Gli stimoli straordinari potrebbero dover durare a lungo se non saranno sostenuti dalle politiche di bilancio”. Per Draghi, “la gente ha capito i benefici della moneta unica, la fiducia sta crescendo. I nemici dell’euro non hanno vinto”.

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Continua a calare la disoccupazione in Italia. Ad agosto il tasso è sceso al 9,5%, in diminuzione di 0,3 punti percentuali su base mensile. Lo rileva l’Istat, spiegando che si tratta del minimo dal novembre del 2011, quindi da quasi otto anni. Buoni anche i dati sulla disoccupazione giovanile (15-24anni), che cala di 1,3 punti percentuali su base mensile, portandosi al 27,1%. È il tasso più basso da agosto del 2010, ovvero da nove anni.

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L’incidente aereo del 21 settembre a Bergamo causa un’altra vittima. Dopo la morte sul colpo della figlia 15enne Marzia, non ce l’ha fatta neanche Stefano Mecca, morto venerdì all’ospedale Niguarda di Milano dove era ricoverato a causa delle gravi ustioni. L’uomo, 51 anni, era alla guida dell’ultraleggero, da pochi minuti decollato dall’Aero Club di Bergamo insieme alle sue tre figlie, due gemelle di 15 anni e una di 18, quando ha perso il controllo del veicolo.

A intervenire per primo sul posto era stato un ex poliziotto che aveva assistito all’incidente. Quella mattina era riuscito a salvare due delle tre ragazze e il padre. Le fiamme avevano poi impedito il soccorso a Marzia. Restano ancora ricoverate in ospedale le altre due sorelle, Silvia e Chiara. Sul caso indaga la Procura di Bergamo con il supporto della polizia di frontiera in servizio all’aeroporto di Orio al Serio.

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Per i miracoli non sono competente“, così dice ironico in un’intervista a Repubblica Philippe Menasché, medico pioniere delle ricerche sulle cellule staminali che ha in cura Michael Schumacher, l’ex pilota della Ferrari in coma dal 29 dicembre 2013 dopo un incidente sugli sci. “Sono un cardiochirurgo, non ho mai preso un centesimo fuori dal servizio pubblico, altro che medico delle star”, ha tenuto a precisare il professore che sta vivendo un momento di grande popolarità dopo che tre settimane fa si è saputo che Schumacher è stato trasferito dalla Svizzera a Parigi ed è stato ricoverato proprio nel reparto di chirurgia cardiovascolare che gestisce presso l’ospedale Pompidou per seguire una cura “top secret”.

“C’è stata un’esplosione di attenzione sul nostro reparto — ammette il professore — ma la situazione si è già normalizzata. Con la mia équipe non stiamo facendo nessuna sperimentazione, termine abominevole che non appartiene a una visione seria della medicina. È vero che sono stato il primo a fare trapianti di cellule staminali sul cuore ma il ciclo di test clinici si è concluso due anni fa. Negli ultimi vent’anni ci sono stati molti progressi ma la verità è che sappiamo ancora poco”, ha spiegato Menasché senza però rivelare ulteriori dettagli sull’ex campione di F1.

Il medico non ha voluto infatti spiegare per quale motivo Schumacher è stato trasferito lì dalla famiglia e in queste ore si susseguono i rumors a riguardo: il quotidiano francese Le Parisien ha anche riferito di fonti anonime su un presunto stato di coscienza dell’ex pilota.

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Francesca De André doveva intervenire in diretta a “Live – Non è la D’Urso” su Canale 5 ma proprio pochi minuti prima dell’inizio del programma ha avuto un malore. Subito soccorsa, tutti i tentativi di rianimarla da parte della produzione sono stati vani motivo per cui si è reso necessario l’intervento del 118. La De André è stata così trasportata d’urgenza in ambulanza al vicino ospedale San Raffaele.

Le sue condizioni sono state presto stabilizzate, come ha fatto sapere un’inviata della trasmissione durante un collegamento in diretta con Barbara D’Urso: “Ci siamo continuamente tenuti in contatto con i suoi collaboratori e Francesca ora sta bene“, ha spiegato. “Sono contenta – ha risposto sollevatala conduttrice – perché nonostante le indicazioni del 118 noi non siamo riusciti a rianimarla. Sono stati momenti di tensione“. Rassicurazioni sulle condizioni di salute della ragazza sono arrivate anche dal fidanzato, Giorgio Tambellini: piuttosto scosso da quanto successo ma presente in studio, ha spiegato di aver sentito al telefono il manager di Francesca che gli ha raccontato di esser stato la prima persona di cui la De André ha chiesto appena ha ripreso conoscenza.

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“Basta con questa storia del clima, d’ora in poi farò solo death metal“. È il messaggio, autoironico, pubblicato da Greta Thunberg, che ha rilanciato la parodia del suo discorso all’Onu in versione death metal. La ragazza svedese, tra lacrime e parole di rabbia,se l’era presa coi “potenti” del mondo, accusati di non fare abbastanza per fermare i cambiamenti climatici. Il video è stato realizzato dallo youtuber John Mollusk.

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“Emma è una ragazza non forte, fortissima, straordinaria. Una ragazza giovane che sembra aver vissuto più vite, insegna a me, che sono più grande di lei, la determinazione, la volontà di andare avanti nonostante tutto”. Con queste parole Paola Turci, ospite di Francesca Fialdini nella seconda puntata di Da noi… A Ruota Libera – in onda domenica 29 settembre su Rai1 – descrive la collega e amica Emma Marrone. Turci ha poi attaccato gli hater che da sempre sui social contestano Emma per le sue prese di posizione e che non hanno risparmiato i commenti sul recente stato di salute della giovane cantante: “Per questo suo cuore così grande, per questo suo cuore così dolce viene presa di mira da chi non ha nulla rispetto a lei“.

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Nel corso della puntata de La Domenica Venturasu Rai2, in cui era atteso ospite Vittorio Cecchi Gori, è intervenuto telefonicamente Carlo Verdone che ha raccontato dell’appuntamento mancato di ieri sera a cui il produttore cinematografico non è potuto andare per motivi di salute. Nel corso della notte è stato infatti operato per un’appendicite. Nelle parole del regista grande affetto e tanta riconoscenza nei confronti di Cecchi Gori che ha prodotto gran parte dei suoi film, nonostante il loro rapporto abbia vissuto anche delle divergenze.

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“Silvio Berlusconi compie trent… ehm, scusate, gli piacerebbe. Ottantatré anni”. Divertente gaffe, subito corretta, di Paolo Celata, durante la conduzione del Tg La7. Il giornalista stava lanciando il servizio sulle dichiarazioni del leader di Forza Italia secondo cui “Lega e fascisti li ho fatti entrare io nel governo, li ho legittimati”.

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Punta sui giovani Enrico Letta. L’ex premier e direttore dell’Istituto di Studi politici a Parigi in un’intervista a La Repubblica chiede al nuovo governo di riaprire il fascicolo Ius culturae e di abbassare l’età di voto a sedici anni: “Il mio lavoro sono i ragazzi, è a loro che bisogna pensare”. Proposte che l’ex premier giudica urgenti e facilmente approvabili in parlamento con questa maggioranza. “È un modo per dire a quei giovani che abbiamo fotografato nelle piazze, lodando i loro slogan e il loro entusiasmo: vi prendiamo sul serio e riconosciamo che esiste un problema di sottorappresentazione delle vostre idee, dei vostri interessi. Il momento è ora, non si aspetti per ottenere di più”.

Per Letta ora il premier Giuseppe Conte si gioca il tutto per tutto: “Fare bene con questo governo è nel suo interesse, non ha un terzo tempo da giocare. L’anno trascorso gli è valso come apprendistato. Ha capito che Matteo Salvini stava portando il Paese a sbattere”. E poi suggerisce: “Adesso bisogna accelerare sul green new deal, coniugarlo con la lotta alle diseguaglianze, non permettere che il ministro Sergio Costa metta la faccia su un testo vuoto. Aspettare magari, ma fare bene il decreto sul climate change, d’intesa con Bruxelles. Sono anche d’accordo con la lotta al contante: basta con la palla delle vecchiette che non sanno andare al bancomat”. E ancora: “Soprattutto serve una nuova legge elettorale che dia diritto di tribuna alle minoranze. Non un maggioritario all’inglese o alla francese. Quella giusta è il Mattarellum, i collegi con una quota proporzionale. Aggiungerei la sfiducia costruttiva: un governo casca perché ce n’è un altro pronto, sennò si va al voto. E secondo me le legislature dovrebbero essere più brevi, di tre, quattro anni”.

A La Repubblica poi promuove a pieni voti l’inizio al Viminale di Luciana Lamorgese: “Ha cominciato con il piede giusto. Il vertice di Malta è un passo avanti importante, ma non è la soluzione finale. Sull’immigrazione non ci si può nascondere, servono risposte strutturali. E occorre un trattato con i Paesi volenterosi, lasciando fuori quelli di Visegrad, e applicando regole chiarissime: voto a maggioranza e automatismi in tutte le scelte, a partire dalla redistribuzione”. Mentre boccia la scelta politica di Matteo Renzi: “Penso sia stato un errore per il modo e per i tempi, oltre che per la sostanza. Il Pd ha fatto un’operazione enorme costruendo il governo, aveva suscitato ammirazione in Europa, ma quella mossa ha fatto sì che pensassero: ‘Sono sempre gli stessi’. È una piccola mina messa sotto l’esecutivo, ma non penso abbia interesse a farlo cadere”.

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Ottobre nel capoluogo lombardo parte con una novità che riguarda le misure anti inquinamento. Si estende infatti l’area B con un divieto di ingresso anche per i veicoli diesel Euro 4 senza filtro dalle 7.30 alle 19.30 dal lunedì al venerdì. Ingresso vietato anche a moto e ciclomotori a gasolio Euro 0 e 1.  Si calcola che i veicoli interessati siano circa 160.000

La Regione inoltre, sempre da inizio Ottobre, estende le limitazioni per i veicoli diesel Euro 3 per tutta la durata dell’anno. Chi possiede un mezzo di questo tipo quindi non potrà circolare nei giorni infrasettimanali nelle aree urbane dei 209 Comuni di Fascia 1 dalle 7.30 alle 19.30

 

Come funzionerà

L’Area B è una zona a traffico limitato (ZTL) che abbraccia gran parte del territorio della città di Milano, con una superficie di oltre 128 kmq, equivalente al 72% dell’intero territorio del capoluogo lombardo.  E’ un'area vigilata dalle telecamere poste in 187 varchi che entro Ottobre 2020 monitoreranno costantemente l’ingresso giornaliero di circa 80.000 veicoli.

L’area B non è accessibile a pagamento, quindi o si avrà diritto ad entrare oppure no. Non sarà possibile regolarizzare l'ingresso pagando un ticket a posteriori.  Solo i mezzi autorizzati quindi potranno circolare al suo interno, pena una sanzione. 

 

Segnaletica da correggere

Il 28 giugno scorso il Ministero delle Infrastrutture ha pubblicato le linee guida sulla segnaletica nelle zone a traffico limitato, precisando che nei casi di Ztl variabile con controllo elettronico, in aggiunta alla segnaletica verticale dovrà essere installato un pannello a messaggio luminoso a favore dell’utenza. Il Comune di Milano, dopo la mozione leghista per una maggiore chiarezza dei cartelli approvata all’unanimità, dovrà ora recepire le indicazioni ministeriali e installare pannelli luminosi ai varchi, innanzitutto quelli dell’area C, ma anche dell’estesa area B. Le scritte dovranno essere sia in italiano che in inglese, in modo che i numerosi turisti stranieri non vengano penalizzati.

La mozione per il rinvio

Nell’ultimo consiglio comunale prima che scatti il provvedimento però, Forza Italia si è detta pronta a dare battaglia presentando una mozione al foto finish per ottenere il rinvio di un anno delle regole restrittive, oppure l’utilizzo della scatola nera a bordo che potrà usare chi percorre solo pochi chilometri.



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Chissà se la bomba che il 28 giugno in Yemen ha distrutto la famiglia al-Kindi faceva parte delle 6120 autorizzate dal presidente Obama nel 2015 o delle nuove forniture approvate da Trump contro il parere del Congresso nel maggio 2019.

Come hanno determinato le recentissime analisi di Amnesty International sui frammenti, era una bomba made in Usa, per l’esattezza modello GBU-12 Paveway II da 500 libbre prodotta dall’azienda Raytheon e questo basta e avanza per definire chi è al potere a Washington, così come a Londra e a Parigi, corresponsabile di crimini di guerra. Perché, ricordiamolo, le bombe le producono le fabbriche ma le autorizzazioni a esportarle le danno i governi. Pure quello italiano, fino a luglio, con l’azienda produttrice che ha di conseguenza minacciato tagli al personale.

L’attacco del 28 giugno ha avuto luogo nel villaggio di Warzan, situato nella zona di Khadir. I morti sono stati sei, tra cui una donna di 52 anni e tre bambini di 12, nove e sei anni. “Non c’erano autopsie da fare, i corpi erano privi di arti, i brandelli di carne di una persona mischiati con quelli dell’altra. Li abbiamo avvolti nelle lenzuola e sepolti immediatamente”, ha raccontato un loro familiare. “Stavo lavorando nei campi, a tre minuti di distanza a piedi. Ho visto l’aereo avvicinarsi e sganciare la bomba contro quella casa. Mi sono avvicinato, è arrivata la seconda bomba e per l’impatto sono finito a terra”, ha testimoniato un contadino.

Il presunto obiettivo militare più vicino al momento dell’attacco era un centro operativo del gruppo armato huthi a circa un chilometro di distanza che, tuttavia, dopo essere stato ripetutamente colpito dagli attacchi della coalizione nel 2016 e nel 2017 non era più funzionante. I testimoni hanno riferito ad Amnesty International che nei paraggi, in quel momento, non c’erano combattenti né altri obiettivi militari.

Il secondo attacco è avvenuto a circa un quarto d’ora di distanza dal primo, come se il pilota volesse accertarsi di aver distrutto l’abitazione degli al-Kindi. Un terzo attacco è seguito cinque giorni dopo, mentre i familiari superstiti stavano ispezionando la zona, fortunatamente senza causare vittime.

Dal marzo 2015 i ricercatori di Amnesty International hanno indagato su decine di attacchi aerei compiuti dalle forze saudite ed emiratine e hanno ripetutamente trovato e identificato resti di munizioni made in Usa.

Il Gruppo di alti esperti, istituito dal Consiglio Onu dei diritti umani nel 2017, nel suo ultimo rapporto ha denunciato una lunga serie di violazioni del diritto internazionale umanitario commesse da ogni parte coinvolta nel conflitto dello Yemen e ha puntato il dito sulle procedure adottate dalla coalizione per determinare gli obiettivi da colpire.

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A pochi mesi dalle elezioni regionali, ormai il Pd calabrese è spaccato, frantumato tra il governatore uscente Mario Oliverio che vuole ricandidarsi a ogni costo e il partito “ufficiale”, quello degli eletti che, in nome del rinnovamento e del cambiamento, si sono schierati con il segretario Nicola Zingaretti, con il commissario regionale Stefano Graziano e con il responsabile del Mezzogiorno Nicola Oddati. Da una parte Oliverio e i circoli del Pd, che in assemblea chiedono le primarie, e dall’altra un documento firmato dai big regionali del partito come il presidente del Consiglio regionale Nicola Irto, il deputato Antonio Viscomi, il capogruppo a palazzo Campanella Domenico Battaglia, diversi consiglieri regionali e segretari provinciali e il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà.

Ex renziani e non, tutti insieme contro Oliverio, hanno stilato un documento che ha il sapore del benservito al presidente della Regione il quale, dal palco dell’assemblea dei circoli, venerdì sera aveva tacciato la ricerca anche in Calabria di un accordo con il Movimento Cinque Stelle come “l’espediente per mettermi alla porta”. La visione di chi, invece, gli chiede di fare un passo indietro è diversa. Secondo i dem calabresi, infatti, “in questi anni abbiamo avuto l’onere e l’onore di rappresentare il Partito Democratico e le istituzioni. Abbiamo provato a incarnare il bisogno di cambiamento, crescita e sviluppo chiesto a gran voce dai calabresi. Comprendiamo pienamente che l’insediamento del Conte bis ha aperto una nuova fase politica, non ipotizzabile fino a qualche mese fa e che chiama tutti noi a fare scelte coraggiose per portare sul territorio rinnovamento e cambiamento. Una fase politica che ha superato nei fatti l’opzione di ripresentarsi al voto con lo stesso schema e la stessa guida di cinque anni fa”.

Il messaggio è chiaro e se Oliverio va avanti per la sua strada, la frattura del Partito democratico non farà altro che favorire le destre populiste. “Condividiamo, pertanto, – si legge sempre nel documento degli eletti del Pd – le parole del commissario regionale Stefano Graziano e del responsabile del Mezzogiorno Oddati. C’è bisogno di unità, lealtà e responsabilità per costruire un patto civico ampio e plurale, in grado di far recuperare al Partito Democratico la fiducia dei calabresi, di mondi ormai lontani. Non è il momento delle conte, dello scontro muscolare tra apparati, delle prove di forza. Dobbiamo concentrarci contro l’avversario che ricordiamo essere una destra populista. Non possiamo permettere che questa destra torni al governo della nostra regione ed è perciò fondamentale mettere in campo tutte le energie per un polo civico”.

Poche ore prima, il Comitato promotore dei circoli, schierato con Oliverio, aveva chiesto a Zingaretti di “non girarsi dall’altra parte”. Dopo l’ultimatum di Graziano (“chi partecipa è contro il partito”), il Comitato non solo si è riunito in assemblea ma ha anche risposto a tono: “La linea delle imposizioni e delle scelte calate dall’alto rischia di generare l’espulsione del Pd dalla Calabria e dall’attenzione dei calabresi”. Come dire: se andate avanti, siete voi che volete perdere.

Dalla parte di Oliverio, al momento, ci sono sicuramente l’ex vicepresidente della Regione ed ex parlamentare Nicola Adamo e la deputata Enza Bruno Bossio che punta il dito contro gli esponenti calabresi del Pd colpevoli di “sottoscrivere documenti autoreferenziali”. Per tutti e tre, prima delle regionali, c’è l’appuntamento del 17 ottobre davanti al Tribunale di Catanzaro che deve decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per corruzione formulata dalla Procura nell’inchiesta “Lande Desolate”.

Un fardello che, probabilmente, imbarazza in Calabria quanto a Roma. Ma al netto delle polemiche interne al Partito democratico, in vista delle regionali c’è ancora il nodo dell’accordo con il Movimento Cinque Stelle così come è avvenuto in Umbria. Se una buona parte del Pd, con la presa di distanza da Oliverio, sembra percepire gli imput romani e si dichiara pronta a “mettere in campo tutte le energie per un polo civico”, i grillini calabresi la pensano diversamente e, dopo essersi riuniti, nei giorni scorsi hanno indicato i nomi dei due papabili candidati alla presidenza della Regione: l’imprenditore Pippo Callipo e il presidente dell’Isde Ferdinando Laghi. Ma hanno anche escluso qualsiasi alleanza con il Pd “considerato il responsabile dei più grandi disastri avvenuti in Calabria negli ultimi anni”. Una decisione che, però, al momento sembra non dipendere solo dagli eletti del Movimento Cinque Stelle in Calabria.

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Annegarono a mezzo miglio dalla spiaggia dei Conigli, il 3 ottobre 2013. Qualcuno aveva dato fuoco ad alcune coperte per segnalare a terra la presenza della barca, ma sul ponte si era sviluppato un incendio e quella era colata a picco. Morirono in 368, quasi tutti eritrei, di fronte alle coste di Lampedusa. Che anche quest’anno ricorda la tragedia e guarda al futuro con 200 studenti provenienti da tutta Europa.

In sei anni ne sono arrivate di barche sulle rive della più bella delle isole Pelagie, e ne sono morte di persone nel Mediterraneo. Mare Nostrum, Triton, EuNavforMed – Sofia, le principali missioni di salvataggio, protezione di confini e contrasto al traffico di esseri umani che si sono succedute. Poi la guerra alle ong e l’esternalizzazione della frontiera sud dell’Europa con l’accordo con la Libia: Bruxelles paga Tripoli tramite l’Italia per fermare chi parte e riportare nei centri di detenzione chi viene fermato in mare. Da ultimo la politica dei porti chiusi del passato governo.

Nel frattempo a Lampedusa si è continuato a ragionare, come si farà anche quest’anno. Da oggi sull’isola sciameranno oltre 200 studenti di 60 scuole da 20 paesi del continente per la sesta Giornata della Memoria e dell’Accoglienza organizzata dal Comitato Tre Ottobre. Tre giorni in cui i ragazzi visiteranno i luoghi degli sbarchi nei quali inizia la seconda vita di chi riesce ad attraversare il Mediterraneo, discuteranno di migrazioni, tratta di esseri umani, minori stranieri non accompagnati, rifugiati nel mondo con l’aiuto di esperti, giornalisti e addetti ai lavori e incontreranno i protagonisti del fenomeno, quei migranti le cui storie finiscono per perdersi nel silenzio, nascoste dai numeri nella narrazione che ne fanno i media.

“E’ un’iniziativa unica in Europa – spiega Tareke Brahne, presidente del Comitato Tre Ottobre – i rappresentanti di 20 Paesi si ritrovano a Lampedusa, isola porta d’Europa e simbolo delle migrazioni, per discutere di flussi, integrazione e accoglienza. Solo che non sono politici, ma studenti: sanno che erediteranno il continente e vogliono essere consapevoli delle dinamiche che ne condizioneranno il futuro”. “Nel nostro piccolo abbiamo fatto la storia e per questa edizione un ringraziamento va al ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che da subito si è dimostrato sensibile al tema, e alla Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del Miur“, conclude il presidente del Comitato.

Che per l’edizione di quest’anno lancia la campagna #siamosullastessabarca. volta ad informare correttamente sulle tematiche migratorie e favorire la partecipazione attiva dell’opinione pubblica e in particolare modo delle nuove generazioni, al fine di stimolarle a diventare il motore di un cambiamento duraturo, attraverso il dialogo e la condivisione con l’altro. Perché c’è chi è nato su questa sponde del Mediterraneo e chi invece il mare lo attraversa per fuggire da fame e guerra, o semplicemente cercare una vita migliore. Ma la barca è la stessa: il grande vascello dell’umanità sul quale i popoli e le culture si incontrano.

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La prima ragione sociale della nascita del governo M5s-Pd era bloccare l’aumento dell’Iva. Ora proprio sull’imposta indiretta si consuma il primo vero momento di tensione nella nuova maggioranza. A differenza del governo Conte 1 non sono solo due squadre a fronteggiarsi, ma quattro partiti – l’ultimo appena nato grazie a Matteo Renzi – e così il presidente del Consiglio si è trovato costretto a convocare un vertice a Palazzo Chigi domenica sera per allineare un po’ di punti e posizioni a meno di 24 ore dal consiglio dei ministri che dovrebbe dare la luce alla nota di aggiornamento al Def, il documento di economia e finanza, cioè la cornice della manovra finanziaria. Al tavolo con il capo del governo si sono seduti oltre al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri i capi-delegazione dei partiti che compongono la maggioranza: il ministro della Cultura Dario Franceschini per il Pd, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (con il sottosegretario alla presidenza Riccardo Fraccaro) per il M5s, il ministro della Salute Roberto Speranza per Liberi e Uguali e per la prima volta la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova in rappresentanza di Italia Viva.

Fin qui i partecipanti al vertice di governo. Poi però ci sono i contenuti. E la prima sorpresa è che le alleanze sono imprevedibili. Perché se il presidente del Consiglio Conte sabato e il ministro Gualtieri domenica su Rai3 hanno parlato di ipotesi di “rimodulazione dell’Iva“, a pretendere un blocco tout court dell’aumento dell’imposta (clausola di salvaguardia rinnovata dall’esecutivo M5s-Lega nella manovra precedente) sono Matteo Renzi e Luigi Di Maio. “Farò di tutto perché non aumenti” ha detto l’ex presidente del Consiglio. “Non siamo Italia Iva, siamo Italia Viva” ha ironizzato uno dei suoi dirigenti transfughi dal Pd, Ettore Rosato. E Di Maio, intervistato in serata da Massimo Giletti a Non è l’Arena, ha rafforzato questa posizione con in dote la quota di maggioranza nel governo: “L‘Iva non può aumentare, né nell’aliquota minima, né nell’intermedia, né in quelle più alte”.

Implicitamente Di Maio replica alle varie opzioni su cui Palazzo Chigi e ministero dell’Economia lavorano da giorni e che a pezzi e bocconi stanno uscendo in vari retroscena sui giornali. Nessuna di quelle è già decisa, come ha spiegato il ministro Gualtieri su Rai3, e ancora bisogna scegliere quale sarà la strada. Un’ipotesi, non favorita rispetto ad altre, che Gualtieri ha illustrato a In mezz’ora in più è quella che si abbassi l’aliquota Iva per i prodotti di maggior consumo e si aumenti nei settori di beni e servizi in cui c’è maggiore evasione, assorbendo poi questo aumento nell’incentivo – confermato da Conte e Gualtieri – all’uso del pagamento elettronico che dovrebbe prevedere un ritorno in percentuale. Insomma, per il ministro dell’Economia questo circolo sarebbe virtuoso e porterebbe alla fine a una riduzione generale dell’Iva. Questo però non pare sufficiente ai più influenti soci di maggioranza del governo Conte 2. Il consiglio dei ministri che dovrebbe tenersi nel pomeriggio per dare il via alla cosiddetta “Nadef” (la nota di aggiornamento appunto) potrebbe rivelarsi complicato, anche perché si parla di una manovra da 30 miliardi – cifra confermata da Gualtieri – ma almeno secondo i giornali ne continuano a mancare almeno 7, mentre sembra complicato già applicare un sensibile taglio al cuneo fiscale, a beneficio delle classi medie e medio-basse, così come ha riconfermato Gualtieri e come da centro principale del discorso di insediamento di Conte alle Camere nei giorni della prima fiducia in Parlamento.

Non facilita affatto la situazione il fatto che Di Maio nell’intervista su La7 ha aggiornato la lista delle richieste per la manovra con il salario minimo che del resto è nel programma dell’alleanza giallorossa. Sempre lì Di Maio ha anche aggiunto che lo ius culturae non è la priorità (e tra l’altro non aiuta a spingerlo il fatto che non sia nel programma). “Ragioniamo un attimo, voglio essere molto chiaro – ha detto – Il governo ha delle priorità, il 7 ottobre il taglio dei parlamentari, entro il 31 dicembre la riforma della giustizia, poi la legge di bilancio, nella quale si decidono le tasse degli italiani, che non aumenteremo, e il salario minimo”. Puntualizzazioni a cui ha risposto il collega di governo Franceschini: “Vedo che poco prima della riunione a Palazzo Chigi, Di Maio ha annunciato in modo ultimativo in tv una serie di posizioni sulla legge di Bilancio e su molto altro. Cose anche interessanti che credo impegnino il suo movimento, ma di certo non impegnano l’intera maggioranza”. Il ruolo da mediatore del presidente del Consiglio Conte sarà così una volta di più il punto di ripartenza.

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In poche ore è diventato il simbolo italiano della battaglia per la salvaguardia del pianeta. Lui è Potito Ruggiero, ha undici anni e vive a Stornarella, a pochi chilometri da Foggia. Venerdì 27 settembre è sceso in piazza da solo per comunicare il suo personale messaggio alla sua comunità in occasione del terzo Global Strike For Future. La sua foto in piazza, solo col suo cartello, ha fatto presto il giro del web richiamando l’attenzione anche dei media nazionali e della politica regionale. “Non volevo rinunciare a fare la mia parte in questa giornata – racconta Potito a ilfattoquotidiano.it – L’idea è maturata da tempo, ho pensato che probabilmente anche a Stornarella valeva la pena scendere in piazza, e così ho fatto”. Sua madre Alessandra lo guarda con profonda ammirazione, ma non nasconde un po’ di preoccupazione per eventuali strumentalizzazioni che potrebbero nascere da tale vicenda. “Lo sentivo parlare con i suoi amici di classe – ha spiegato la madre di Potito – si stava organizzando per questa importante manifestazione cercando il modo migliore per poterlo fare. Giovedì sera mi ha detto che i suoi compagni sarebbero rimasti in classe, vista anche l’età, a portare avanti una serie di iniziative dedicate alla giornata e promosse dalla scuola. Un po’ gli stava stretta quella decisione, non per l’importanza dell’attività ma per il fatto che voleva comunicare al di fuori un messaggio. Così l’ho visto addormentarsi mentre continuava a colorare il suo cartellone, pensando che al risveglio l’idea di scendere in piazza sarebbe tramontata. La mattina del Global Strike For Future, l’ho visto più deciso di prima, ho cercato di fargli capire che andare da solo in piazza forse non era un’ottima idea ma lui mi ha risposto, facendomi rimanere a bocca aperta, con una frase piuttosto eloquente. ‘Mamma – mi ha detto – in questo mondo ci vivo, ci devo andare. Riempita la borraccia e preso il panino ha inforcato la bicicletta ed è andato in piazza. Un po’ ero preoccupata, sinceramente però quella risposta mi aveva un po’ frenata e quindi ho pensato di fargli fare questa esperienza“.

“È vero – ha aggiunto Potito – ero un po’ perplesso ed insicuro, volevo scendere in piazza ma temevo le reazioni. Poi ho pensato, il cartellone è finito, la roba è tutta pronta quindi vale la pena tentare. Appena arrivato nella piazza del paese, che dista con la bici pochi minuti da casa, ho scelto il marciapiede vicino al Municipio, l’ho ripulito perché c’erano delle buste di patatine e delle lattine e mi sono seduto. Subito si sono avvicinati degli anziani e nel leggere lo slogan da me scelto per il cartellone, I keep on eye on you, mi hanno rimproverato dicendomi, “lo dovevi scrivere in italiano che noi non capiamo… al massimo in francese visto che ho fatto la guerra lì”. Ho sorriso e mi ha fatto piacere avere il loro sostegno, anche perché in piazza c’erano solo loro seduti sulla panchina. Ho anche spiegato le motivazioni della scelta dell’inglese – ha aggiunto il ragazzino – metti che il mio cartellone approdava nel web, sarebbe stato molto più facile poter far conoscere il mio messaggio, mai a pensare però che poi tutto questo si trasformasse in realtà. Poi è arrivato il sindaco e mi ha chiesto del cartellone e lì mi sono sentito ancor di più soddisfatto, sopratutto quando ho raccontato il mio pensiero sulla terra vista come madre e sul fatto che un figlio non può avvelenare una madre. Il sindaco mi è sembrato veramente sorpreso e sorridendo mi ha chiesto di potermi scattare una foto. Da lì in poi sono arrivate mille chiamate al telefono di mia madre e mi sono visto su tutti i giornali e in televisione. Di questa giornata sinceramente la cosa che più mi ha emozionato è stato leggere le parole del presidente della Regione Emiliano, – ha raccontato il ragazzino di Stornarella – che ci ha chiamato per dirci che vuole darmi il premio della Regione Puglia “Radice di Puglia” anche in rappresentanza di tutti i ragazzi e ragazze pugliesi che hanno partecipato alle manifestazioni. Sono soddisfatto!”.

Potito nonostante compirà 12 anni il prossimo 31 dicembre, sembra avere le idee ben chiare sul suo futuro e sul mondo che lo circonda. “Considero Greta Thunberg una bambina dalla grande volontà. La stimo molto ed è grazie a lei che ho trovato il coraggio di scendere in piazza ieri. Proprio ieri mattina ero insicuro di voler continuare a portare avanti la mia decisione e guardando una foto di Greta sui social, ho trovato la giusta motivazione. Le critiche degli adulti – ha spiegato – le considero insignificanti, ribadisco la terra è nostra madre, quindi quando uno critica iniziative come queste per salvare anche la loro madre significa che non vogliono bene neanche a loro stessi, e poi forse se ci criticano è perché vogliono nascondere quello che ci stanno dando in eredità, ossia un pianeta sempre più distrutto”. L’animo green di Potito non sembra una novità neanche in città: “Si è fatto promotore – ha raccontato sua madre – tra i suoi compagni all’utilizzo della borraccia di alluminio al posto delle bottigliette di plastica e tutti hanno sposato la sua causa anche grazie al lavoro degli insegnanti, che da sempre cercano di portare in classe l’educazione ambientale”. Anche sul futuro Potito ha le idee chiare: “Voglio fare l’inventore da grande, e trovare un codice per creare un teletrasporto, così possiamo ridurre anche l’inquinamento emesso da macchine e aerei”.

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Un giovane subacqueo è morto nel Lago di Garda, mentre faceva un'immersione assieme al padre a Torri del Benaco, in provincia di Verona. La vittima aveva 20 anni. Il ragazzo, residente a Verona, è stato soccorso da un altro sub che si trovava nelle vicinanze, che l'ha riportato a galla. Sul posto sono giunti i medici del 118, che hanno tentato a lungo di rianimarlo, purtroppo senza esito. Sono ancora da accertare le cause dell'incidente.

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A quattro settimane dalle elezioni che dovranno consegnare all’Umbria la nuova giunta e il nuovo consiglio regionale, tra Donatella Tesei e Vincenzo Bianconi si prospetta un testa a testa. Secondo un sondaggio realizzato Quorum/YouTrend per Agi, la candidata della coalizione di centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) potrà contare sul 47,2% dei voti mentre l’imprenditore scelto dall’alleanza Pd-M5s è accreditato del 43,1%.

Interrogati su quali ritengano siano le tematiche più importanti da affrontare nella Regione e a livello nazionale, le mille persone intervistate tra il 25 e il 27 settembre hanno indicato al primo posto il lavoro e la disoccupazione e al secondo la sanità. Non è un caso, visto che l’amministrazione guidata dalla dem Catiuscia Marini è caduta ad aprile in seguito a un’inchiesta della magistratura sulla gestione delle aziende sanitarie regionali che ha investito la giunta e i vertici locali del Partito democratico.

Secondo la rilevazione, poi, le priorità indicate variano tra gli elettori dei diversi schieramenti politici: se i sostenitori del M5s mettono in cima alla lista delle loro priorità argomenti come l’ambiente e del territorio e la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto; al contrario chi vota per la Lega indica la sicurezza e le tematiche legate all’immigrazione come quelle di cui la nuova amministrazione dovrà occuparsi in via prioritaria.

A livello nazionale Matteo Salvini è il leader di partito a godere del maggior tasso di fiducia: il 41%. Nove punti in più del segretario dem Nicola Zingaretti (32%) e 26 sopra Matteo Renzi (15%). Il gradimento di Giuseppe Conte (secondo solo a quello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella) varia in base all’elettorato: nutre fiducia nel premier l’84% di chi vota Pd e il 94% di coloro che scelgono il Movimento. Il capo politico, Luigi Di Maio, è in difficoltà, al 23%.

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