gennaio 2019
“Legittimo aspettarsi nei primi giorni un maggior numero di domande ma è presto per dire che si tratti di un boom e ci sia stato un numero superiore alle aspettative ma penso che siamo abbastanza in linea con quanto ci si potesse aspettare”. Lo ha detto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, a margine di un evento a Milano.

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“La misura del reddito di cittadinanza, con la regola dei 10 anni di residenza per gli stranieri, c’è e resta così com’è perché il reddito si rivolge agli italiani. Su quella misura non arretriamo, perché siamo convinti che per creare la pace sociale si debba aiutare le fasce sociali più in difficoltà”. Così il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, durante la conferenza per il lancio della campagna ‘Se lo diciamo lo facciamo’, commentando i rilievi di costituzionalità emersi ieri dai tecnici di Camera a Senato.  “Si va avanti anche sul riscatto della laurea, perché, con tutto il rispetto, la costituzionalità non la decidono i tecnici ma la Corte costituzionale“, ha concluso Di Maio.

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“Siamo in recessione e naturalmente Di Maio dà la colpa Pd, ai governi precedenti, a me. È la tragedia disperata di un uomo ridicolo”. È la replica, affidata a un video pubblicato sui social, di Matteo Renzi alle parole del ministro del Lavoro e allo Sviluppo economico dopo i dati diffusi dall’Istat sul quarto trimestre. L’ex presidente del Consiglio, poi, ironizza sui navigator, paragonandoli ai “forestali del nuovo Millennio”.

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Impazza il gossip sui social network e ancora prima sul Globe Magazine: Meghan Markle e il principe Harry starebbero per divorziare.Un notizia che qualcuno bolla fin da subito come falsa mentre altri ne danno conto coinvolgendo anche la Regina Elisabetta. Sua Maestà sarebbe disposta a sborsare addirittura 37 milioni di dollari per liberarsi dell’attrice, incinta com’è noto di suo nipote, per rimandarla negli Stati Uniti senza figlio e senza titolo nobiliare.

Non è la prima volta che si chiacchiera sulle nozze reali, molti si erano mostrati scettici già prima del fatidico sì dando alla coppia solo cinque anni di vita matrimoniale. Da mesi si parla dei problemi della Duchessa di Sussex con lo staff e con i successivi discussi licenziamenti, anche  del rapporto difficile con la cognata Kate Middleton, oltre che della decisione di trasferirsi a sorpresa a Frogmore Cottage in una nuova casa dopo la nascita del royal baby.

La volontà di non rispettare il protocollo reale avrebbe indispettito molti sudditi, l’amore nei suoi confronti avrebbe iniziato a scemare. E poi ancora si discute dell’agitazione di Harry e della Regina poco propensa verso la moglie del nipote. In attesa di scoprire qualcosa in più, quel che è certo è che la coppia, a differenza di tutti gli innamorati, non trascorrerà insieme San Valentino. Il 14 febbraio il principe sarà infatti impegnato in un viaggio di lavoro in Norvegia per visitare una base militare in occasione di un’esercitazione a bassissime temperature.

La notizia è stata confermata da Kensington Palace, mentre la duchessa resterà a casa con il suo pancione. Il lavoro, come si dice in questi casi, chiama e Harry risponde presente. Un po’ com’era già avvenuto lo scorso 4 agosto, giorno del compleanno di Meghan, quando la coppia aveva “lavorato” presenziando al matrimonio di Charlie Van Straubenzee e Daisy Jenks, nessuna fuga romantica. La famiglia reale rilascerà dichiarazioni ufficiali dopo che il polverone mediatico delle ultime ore?

 

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Sea Watch, migranti sbarcati a Catania. Equipaggio interrogato

Abbracci e strette di mano per i 47 passeggeri dell’Ong tedesca, battente bandiera olandese, all'attracco al porto. Al momento nessun sequestro dell’imbarcazione ma il comandante e i membri saranno sentiti dalla Procura

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Maltrattamenti su bambini, due maestre arrestate a Prato

Le prove sulle due donne, di nazionalità cinese, sono state raccolte grazie all'uso di telecamere nascoste. I bimbi percossi hanno tra i 3 e i 6 anni. Una terza insegnante ha ricevuto un avviso di garanzia ma per lei non è scattata nessuna misura cautelare

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“Un programma femminile femminista”. Così si presenta Ordinary Girls, la nuova serie audio che dal 31 gennaio sbarca in esclusiva sulla piattaforma Storytel, ovviamente in podcast. Due voci a guidare l’ascoltatore: quella di Florencia Di Stefano-Abichain e Elena Mariani, già speaker nell’omonimo programma su Radio Popolare. Ma chi sono le “Ordinary girls” a cui le due presentatrici si rivolgono? “Quelle che se fossimo in una commedia hollywoodiana, sarebbero le amiche della protagonista. Quelle divertenti anche se l’unica battuta che hanno nel film è ‘Corri da lui, è il tuo vero amore’”, rispondono Florencia ed Elena all’inizio della prima puntata.

Dieci in tutto gli appuntamenti, della durata di 30 minuti, che accompagneranno l’ascoltatore in un viaggio tra aspetti, dubbi, domande, paure e speranze della vita di tutti i giorni. Soprattutto quella di chi non ha ancora 30 anni, ma ci è vicino, e vede il traguardo della terza decina come una “soglia del non ritorno”. Dieci occasioni, insomma, per farsi trasportare nel mondo di Florencia, appena 30enne, e Elena, 28 anni: due donne che ancora si domandano cosa voglia dire essere adulte. Tanti gli argomenti affrontati nell’arco delle puntate, dall’amicizia dopo l’”età x” al rapporto con il proprio corpo e con la propria solitudine. Argomenti, appunto, “femminili femministi” ma trattati in chiave pop.

La miscela tra le due è scoppiettante. Florencia, argentina d’origine e veronese di adozione, dopo una carriera come manager nelle multinazionali decide di diventare “povera ma felice“. Ora a Milano lavora come content creator, autrice, conduttrice e speaker, assecondando anche le sue velleità di cantante, performer e attrice. Elena, invece, classe 1989, da piccola voleva diventare Donatella Versace, ma dopo la laurea in Fashion and Texture Design ha deciso di scrivere dividendosi tra il lavoro di social media manager e quello di scrittrice di articoli di pop culture. Oggi è autrice video e digital specialist. Un duo che sa raccontare la realtà con gli occhi delle persone normali con la semplicità e la leggerezza delle chiacchiere tra amiche.

Il podcast rappresenta una novità non solo per la chiave di lettura della quotidianità, ma anche per la piattaforma che lo ospiterà: Storytel, la prima applicazione al livello europeo di audiolibri. Nato da un progetto svedese del 2005, l’Italia è il tredicesimo paese su cui sbarca il servizio dopo Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Polonia, Finlandia, Russia, Spagna India, Turchia Emirati Arabi e Islanda. Oltre 2000 gli audiolibri disponibili in lingua italiana. Aumenta sempre di più, infatti, il consumo di storie in movimento. Dalla metro al treno fino alla bicicletta, la possibilità di leggere, o meglio ascoltare, romanzi, storie, notizie, ovunque e qualsiasi cosa si stia facendo, è sempre più amata. Tra i titoli offerti sia i bestseller come Novecento, di Alessandro Baricco, o Il principe della nebbia di Carlos Luis Zafon, ma anche volumi come Il piccolo principe o I classici Disney, per rivivere le storie dell’infanzia.

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La Commissione europea indaga su un cartello formato da otto banche che tra il 2007 e il 2012 – nel pieno della crisi finanziaria e della successiva crisi del debito – avrebbero avuto comportamenti collusivi “per distorcere la concorrenza nell’acquisto e nello scambio di titoli di Stato europei”. L’esecutivo dell’Ue non ha rivelato i nomi degli istituti interessati dal richiamo formale, ma il 20 dicembre scorso, quando Bruxelles ha annunciato che stava conducendo un’indagine, l’agenzia Reuters aveva citato Credit Suisse, Credit Agricole, Deutsche Bank e Bank of America Merrill Lynch.

Secondo la Commissione Ue, i trader impiegati dalle banche si sono scambiati informazioni commercialmente sensibili e si sono coordinati sulle strategie di negoziazione anche attraverso chat room online.

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L’Italia ha speso per le opere pubbliche come e più degli altri Paesi europei (Francia e Germania) nel periodo 2000-2010 (Banca d’Italia) ma non se ne vedono grandi risultati. Politica instabile, legge Severino, carenze di analisi, burocrazia e codice degli appalti, hanno reso la situazione a dir poco problematica. Basti pensare ai costi finali di alcune opere, che t riplicano rispetto alle previsioni e ad analisi dell’utilità (di trasporto in particolare) sovradimensionate per giustificare opere e appetiti. Questo sistema inefficiente c’era nei decenni passati e c’è adesso: di nuovo, solo per una parte di questo Governo, c’è la necessità di fare delle valutazioni più approfondite sui conti, sui meccanismi di finanziamento pubblico (perché i project financing sono falliti solo in Italia?) deresponsabilizzanti e tutti a fondo perduto. Eppure, per misurare se un’opera serve o meno si può verificare anche dal grado di coinvolgimento del mercato.

Dieci anni fa l’ex Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che non è un ambientalista e neppure un radical chic, disse che “la riduzione della spesa per le opere pubbliche impone una valutazione dei costi e dei benefici di progetti alternativi”. L’affidamento dei lavori pubblici in Italia richiederebbe un’analisi dei suoi meccanismi che spieghi gli errori fin qui fatti, anche a causa di modelli di programmazione che sembravano più liste della spesa che progetti di sviluppo delle reti e dei punti di rete, come porti, aeroporti e centri intermodali. Con i vecchi meccanismi, che hanno rallentato la spesa e spolpato le casse pubbliche, viene difficile pensare che ci sarà una crescita sana. Raffaele Cantone presidente dell’Anac aveva sottolineato: “In Italia c’è un problema di infrastrutturazione e una delle ragioni per cui le infrastrutture non riescono ad andare avanti è proprio nella presenza della corruzione soprattutto al Meridione. Sono soprattutto i fatti corruttivi a rendere lunghissimo e complicato l’avvio dei lavori pubblici”.

Quando gli imprenditori chiedono il rilancio degli investimenti, purtroppo, pensano ancora a quelle vecchie logiche dove ce n’è per tutti e dove la lievitazione dei costi diventa la prassi prevalente. In pratica lo sblocco delle opere, chiesto a viva voce anche da Lega e Pd, era già presente prima della formazione di questo Governo. Con un problema in più: gli investimenti oggi non devono creare solo spesa ma anche ricchezza, che deriva dallo sfruttamento efficace di quanto si costruisce. Con una crescita prevista inferiore alla spesa, qualcuno dovrebbe suggerire ai 5 stelle – a torto ritenuti i colpevoli del blocco – quale tipo di spesa aumenta la ricchezza e quali sono i moltiplicatori di sviluppo, magari con qualche attenzione alla sostenibilità.

Un esempio su tutti da portare sui libri di scuola: il più grande investimento aeronautico del secolo scorso, Malpensa 2000. Costato 1,5 miliardi di euro, lo scalo della brughiera è dotato di due piste e due terminal, ma 20 anni dalla sua apertura trasporta solo 24,7 milioni di passeggeri, meno della metà della sua capacità operativa. Stansted, con una sola pista e un solo terminal, muove 24 milioni di passeggeri. Le previsioni dell’Università di Cranfield erano di 33 milioni di passeggeri al 2003 (in realtà sono stati 17,6 nello stesso anno) mentre già nel 2005 si dovevano trasportare 1 milione di tonnellate merci (12 anni dopo, nel 2017, erano fermi alla metà). I posti di lavoro avrebbero dovuto raggiungere i 140mila addetti nel 2005, ma ora si toccano a malapena 60mila unità e la qualità dell’occupazione è sempre più scadente, per salario e normative precarie. Per non parlare di cosa costa continuare una politica di investimenti a pioggia su 34 scali nazionali. Risultato: maggior numero di aeroporti con il traffico medio per scalo più basso del vecchio continente. [Dati Onlit, Osservatorio nazionale liberalizzazioni infrastrutture e trasporti)].

Stessa cosa si può dire per i porti: il traffico container della sola Rotterdam raccoglie la somma di quello di tutti i porti italiani. Tra le opere “ferme per colpa dei 5 stelle” ci sarebbe la Pedemontana lombarda. Se le altre opere del lungo elenco sono ferme per i motivi detti sopra, quest’ultima spicca per un’altra causa, non attribuibile al Governo. La Pedemontana è ferma perché il mercato finanziario ha già bocciato il finanziamento dell’opera in più occasioni. Cosa potrà mai fare Danilo Toninelli per convincere le banche a prestare soldi per un’opera che non sarà mai in grado di restituirli? Una soluzione c’è: pagare il danaro a tassi d’interesse del 20% e scaricare i costi sui contribuenti e sui futuri pedaggi per gli automobilisti. Ma è possibile andare avanti così?

L'articolo Le Grandi opere non danno i risultati sperati. Ma se ne è accorto solo il M5s proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Due pastori, un gregge di pecore, un agnellino sollevato per le zampette, qualche mugugno in latino arcaico. Pochi secondi de Il Primo Re e un’onda modello tsunami travolge due legatissimi Romolo e Remo. Un incipit da kolossal (niente a che fare con il Vajont di Martinelli, per dire), estremamente verosimile, totalizzante. L’atteso film da quasi nove milioni di euro di budget, diretto da un coraggioso giovane innovatore come Matteo Rovere (Veloce come il vento), ha una partenza sprint da impallidire. Altro cinema rispetto a tinelli e commedie della tradizione, altra roba rispetto ai fellinismi d’esportazione per gli Oscar. La voglia di stupire e sconvolgere, di mostrarsi americani a Roma, è vulgata industriale nuova e stimolante per tutti.

Aggiungiamo ancora il blocco narrativo successivo. Salvatisi dalla piena del Tevere, i due fratelli gemelli futuri fondatori dell’Impero che sarà, vengono messi ai ceppi, ingabbiati, fustigati da un’altra tribù primitiva e violenta quanto il loro milieu di provenienza. I prigionieri sono parecchi. La dimostrazione di forza è dietro l’angolo. Il rito di purificazione di fronte alla segaligna vestale del fuoco richiede più di un sacrificio. E qui Il Primo Re accelera ulteriormente. Rivolta alla Spartacus. Martellate, mazze ferrate, lance e spade, ossa che si spezzano, arti che si contorcono, sangue che zampilla. Insomma visivamente il risultato è notevole.

Una ri-creazione verista, tattile, violenta di un’epoca storica che nel passato, magari di qualche peplum d’annata, si era contraddistinta giusto per sandalini comodi e pugnali di plastica con la partecipazione naif delle star di Hollywood. Affascinante è anche l’immersione nella foresta, tutta luci naturali (fotografia di Daniele Ciprì) per il manipolo in fuga. Tra le facce dei comprimari, così incredibili, mostruose, armate, diffidenti, prive di fiducia l’uno nell’altra, Remo (Alessandro Borghi) nel difendere il moribondo fratello Romolo (Alessio Lapice) mostra la sua “vocazione” brutale e quasi sovrannaturale al comando, e sotto la sua determinata ferocia da condottiero si sbarazzerà di tribù poco amiche, conquisterà pacifici villaggi, vivrà in capanne di fango coi tetti di paglia, fino al destino auspicato dalla vestale aruspicina: “Dei due ne resterà solo uno”.

Il Primo Re, oltre al discorso fondativo della leggenda della nascita di Roma, curioso espediente drammaturgico ai confini del fantasy più che dalla storia al cinema, prova a fondare anche un linguaggio autonomo rispetto al milieu linguistico dell’industria del cinema italiano. Il proto latino con relativi sottotitoli sono una scelta che ha più di un debito con altri prodotti del settore (vedi il maya yucateco in Apocalypto o l’aramaico de La Passione di Cristo) ma il risultato di straniamento culturale vale l’azzardo. Stesso discorso per questo necessario scioglimento delle acque nell’ambito dell’action adventure.

Un attore italiano di prima fascia come Alessandro Borghi, ça va sans dire e come Alessandro Lapice, come del resto una buona dozzina di coprotagonisti, più che agire sulla verbalità esercitano doti performative tra salti e botte come la meglio gioventù hollywoodiana/hongkonghese fa da decenni. E non più come comparse in un esotico 007, ma come caratteri originari, solidi, creati da una produzione italiana. Altro dato importante e riuscito. Creare un’atmosfera arcaica, primitiva, senza appigli sentimentali per alcuno, senza far mai baluginare l’idea che sotto quintali di sporco, di pelli di pecora, di capelli e barbe lunghe e crespe, c’è “quello che faceva il portinaio nella serie tv…” è risultato rarissimo e delicato nella miscela casting/messa in scena solitamente più approssimativa.

Solo che c’è qualcosa in quest’opera lungamente preparata e costruita nei dettagli più realistici e crudi per mesi e mesi di preproduzione che non riesce ad appassionare del tutto lo spettatore per oltre due ore. Non per essere così caustici come il nostro collega Federico Pontiggia (“il film si rimpicciolisce, si ripete, e (si) stanca”), che comunque ha colto l’essenza di quello che ci pare un difetto del film, ma a Il Primo Re sembra mancare soprattutto un’epica riconoscibile, un palpito poetico organico oltre l’originalità della profusione tecnica e dell’esplorazione curiosa di un terreno storico cinematograficamente poco approfondito fino ad oggi. Dopo tre quarti d’ora di film, infatti, qualcosa s’inceppa. E non essendoci sottotrame strutturate (scelta di per sé peraltro parecchio ardita ed encomiabile), quindi tratti esteriori più che psicologie per gli splendidi comprimari, quando il minutaggio avanza si va in crisi d’apnea con la macchina da presa e la drammaturgia tutta addosso al fraseggio tra i due fratelli, ancor meglio di Borghi superstar e Lapice resuscitato.

L’esempio di frullo a vuoto è la lunga, interminabile sequenza notturna nel villaggio appena conquistato. Un momento apparentemente robusto e carico di elementi significanti del testo, che però spezza il ritmo generale di un’opera che non sembrava fin lì fare a meno di sangue e violenza e che quindi si accontenta di un lungo ponte recitativo di parole che si fa improvvisamente pesante.

Non aiuta comunque il rocambolesco capovolgimento di fronti, e soprattutto di forze, molto schematico, molto enfatico che arriva in conclusione dove, oltretutto, la regia di Rovere che fino a quel momento era stata agilmente e vigorosamente vicina ai corpi straziati in scena prende a mulinare incomprensibili oggettive aeree di droni che intervallano i primissimi piani di Remo e Romolo in una squilibrata chiusura di scena. Insomma nessuna bocciatura, ma nemmeno una promozione piena. La fredda osservazione antropologica fatica a trasfigurarsi in palpitante mito. Tanto che quando un invasato Remo urla “Tremate, questa è Roma”, o “Saremo noi la paura”, invece che far vibrare i muri della sala cinematografica le parole risuonano fiacche rispetto ad un anelito di rivolta di un qualsiasi William Wallace che mostra il culo.

Infine una considerazione su Alessandro Borghi che, dopo lo Stefano Cucchi de Sulla mia pelle e il Remo de Il Primo Re è oramai l’attore più performativo, talentuoso ed esportabile del cinema italiano. Anche se la sequenza molto “graphic” dello squartamento di un cervo alla The Revenant, che Borghi attua a metà film, non ha nulla a che fare con l’approccio “survival” alla DiCaprio (lì era segno estremo di un sadico e insopportabile carico di privazioni per il fisico, qui è azione risolutrice che sazia il gruppo, più alla zombie di Romero) l’attore romano riesce ad abitare il suo condottiero, spogliato di vesti e carico di barbara grinta, con una naturalezza allo stesso tempo spavalda e fragile che lascia il segno.

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Il vortice d’aria polare che sta facendo registrare temperature negative da record continua a paralizzare il Midwest degli Stati Uniti e ha fatto registrare almeno nove morti.
Nel video, lo stratagemma adottato da Metra, il gestore ferroviario locale, per evitare che i binari congelino e che, di conseguenza, vengano bloccati i treni.

Video Twitter/Abu Saeed Khan

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Cerco per bar a Bari barista dinamica, che sappia usare la macchina del caffè”. Inizia così un annuncio di lavoro pubblicato su una bacheca Facebook dai gestori di un bar del centro del capoluogo pugliese Fin qui nulla di strano, a far discutere però è quanto segue: “È richiesta la disponibilità a lavorare dalle 4 del mattino alle 18 orario continuato, in parole povere deve gestirlo da sola (il bar, ndr), deve sentirsi responsabile e titolare, considerate le ore può stare tranquillamente seduta quando non c’è nessuno, giorno di riposo la domenica, così il sabato potete andare a ballare”. In sintesi: quattordici ore di lavoro per sei giorni alla settimana, in cambio di uno stipendio di 1000 euro al mese. Facendo due calcoli, si tratta di 42 ore di lavoro alla settimana pagate a meno di 3€ l’una. 

L’annuncio è diventato subito virale in rete e c’è chi ha ipotizzato potesse trattarsi di una bufala. Ma è tutto vero: il proprietario ha confermato infatti a Repubblica quanto scritto nel post, spiegando che “se c’è bisogno si possono avere anche due giorni di riposo“. Quanto all’orario continuato, si è detto disponibile ad inserire anche una pausa, ma “in base ai miei turni”. Insomma, “possiamo venirci incontro”. In ogni caso qualcuno si è già fatto avanti: “Nei prossimi giorni – ha detto il titolare – viene una persona in prova“.

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A luglio il governatore Luca Zaia, in controtendenza rispetto al suo partito, la Lega Nord, non aveva firmato la proposta di legge per autorizzare l‘abbattimento dei lupi. E aveva fatto sapere la sua posizione: “Sul problema dei lupi decide il ministro”. Lo aveva detto proprio mentre le Province autonome di Trento e di Bolzano, invece, approvavano provvedimenti che consentivano di intervenire a tutela dell’uomo e delle attività agropastorali di montagna. Adesso anche Venezia si allinea al Trentino-Alto Adige, visto che la proposta di legge è stata approvata dalla terza commissione del consiglio regionale del Veneto. A favore la maggioranza di centrodestra, contrari Pd e M5s. Ora il documento andrà alla discussione dell’aula del consiglio regionale, dove potrebbe essere approvato entro una settimana.

Scontata anche in questo caso, come è accaduto con le leggi regionali delle due Province autonome, l’impugnazione in Corte Costituzionale da parte del governo che ritiene una prerogativa statale decidere le politiche sulla fauna. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, dei Cinquestelle, era stato chiarissimo: “L’esercizio delle potestà di deroga ai divieti sulla fauna selvatica sono in capo allo Stato e non possono essere demandate agli enti locali”.

Non è un caso che la decisione del Veneto cada due giorni dopo una riunione delle Regioni del Nord a Trento, che hanno concordato una posizione comune. Sotto la regia del governatore Maurizio Fugatti, si sono incontrati i rappresentanti delle Regioni dei territori alpini ovvero Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Veneto e Trentino-Alto Adige, con l’aggiunta della Liguria. Il Piemonte ha inviato un documento di adesione. Le regioni del Nord chiedono la delega per i loro territori nella gestione dei grandi carnivori, quindi non solo il lupo, ma anche l’orso. Fugatti ha così sintetizzato la posizione: ”Vogliamo essere noi a decidere come e quando agire, e quindi se ci sarà una situazione di pericolo procedere nel modo ritenuto opportuno”. E aveva fatto riferimento ad “abbattimento o cattura”.

Sono proprio queste le parole contenute nella proposta di legge veneta presentata dal capogruppo della Lega, Nicola Finco, che è composta di un solo articolo: “La Regione, acquisito il parere dell’Ispra, limitatamente alla specie Lupus canis, può autorizzare il prelievo, la cattura o l’uccisione di esemplari di detta specie, a condizione che non esista un’altra soluzione valida e che tali azioni non pregiudichino il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, della popolazione della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale”.

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Si vanno definendo nel dettaglio le caratteristiche tecniche dei seggiolini antiabbandono per il trasporto in auto dei bambini fino a 4 anni: il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha infatti predisposto le linee guida fondamentali per questi dispositivi. La norma, però, dovrà passare al vaglio del Consiglio di Stato prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore dall’inizio del mese di luglio.

I seggiolini antiabbandono potranno avere un sistema di allarme integrato o separato, nonché venduto come un accessorio: così, chi ha recentemente acquistato un seggiolino di “vecchia generazione”, non dovrà comprarne uno nuovo. La norma stabilisce che il dispositivo sia calibrato per attivarsi tempestivamente in caso di allontanamento del guidatore dal veicolo in presenza di un bambino seduto nel seggiolino.

Il sistema di sicurezza in questione dovrà essere capace di accendersi automaticamente a ogni utilizzo del seggiolino, fornendo un segnale acustico di conferma al guidatore. Inoltre, come si legge nel testo della nuova legge, l’allarme “dovrà essere in grado di attirare l’attenzione del conducente tempestivamente attraverso appositi segnali visivi e acustici percepibili all’interno o all’esterno del veicolo”.

Non è tutto: questi dispositivi intelligenti saranno dotati di un sistema di comunicazione automatico per l’invio di messaggi o chiamate ad almeno tre diversi numeri di telefono. E, se alimentati a batteria, dovranno poter “segnalare al conducente livelli bassi di carica rimanente”. Tutto ciò dando per scontata la compatibilità con tutte le norme di conformità della Ue in relazione alla sicurezza stessa del prodotto.

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Pisa, chiuso cavalcavia sulla superstrada per cedimenti strutturali


L’infrastruttura si trova sulla Firenze-Pisa-Livorno, in un quartiere a sud-est della città. Il Comune: "Servono ulteriori accertamenti ed eventuali interventi di messa in sicurezza"

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Detenuto tenta la fuga, agente lo ferma e gli punta pistola alla testa

L'uomo aveva provato a scappare dopo una visita in ospedale. Il capo del Dap: "Non ammissibili comportamenti del genere". Il Sindacato polizia penitenziaria: "Non sia occasione di attacco generalizzato"

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Sul disegno di legge Pillon sull’affido condiviso “non solo ho preso posizione io ma l’ha presa tutto il movimento, quindi diciamo che la certezza è che la proposta così come è stata formulata non sarà mai approvata”. Vincenzo Spadafora, sottosegretario M5s con delega alle Pari Opportunità e Giovani, è tornato a esporsi sul contestato provvedimento che porta la prima firma di uno dei promotori del Family Day e che al suo interno contiene numerosi passaggi contestati dai Centri antiviolenza e dalle femministe (qui la petizione di Change.org per chiedere che il ddl sia ritirato). Se già in passato l’esponente grillino aveva dato garanzie sul fatto che sarebbero state fatte del modifiche al testo, oggi è andato oltre: “Quello che dico da governo è che quella proposta non verrà mai approvata”.

Spadafora è intervenuto alla presentazione della stampa estera, del volume “Una storia lunga trent’anni” sui trenta anni del Telefono Rosa. “Adesso sono in corso decine, anzi credo centinaia, di audizioni”, ha detto per tranquillizzare sul fatto che i tempi sono ancora molto lunghi. “Dopo si potrà lavorare sicuramente a una ridefinizione”. A lui ha però replicato la senatrice Pd Monica Cirinnà, intervenendo nel corso della stessa presentazioni. “Anche io sono in commissione Giustizia”, ha detto. “E’ vero che ci sono le audizioni, ma non sono più centinaia. Il senatore Pillon, che io ritengo pericoloso per il mondo femminile, oggi sarà nella sala del Consiglio comunale di Roma ad illustrare la meraviglia del suo testo, quella sala dove governate e dove abbiamo una sindaca che in qualche modo potrebbe dire la sua su questo. Io sono preoccupata perché se ogni volta che il governo è in difficoltà ci si rifà al contratto, io ho letto che nel contratto la mediazione familiare è uno dei punti”. Effettivamente la riforma viene menzionata nel contratto sottoscritto da Lega e 5 stelle a inizio legislatura. A queste osservazioni, Spadafora ha controreplicato: “Che Pillon non possa fare un convegno per parlare della sua proposta, mi pare tropo, è nel suo diritto. Quello che dico da governo è che quella proposta non verrà approvata mai”.

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Nello stesso giorno in cui la Giunta per le Immunità del Senato, riunita per discutere sulla richiesta di autorizzazione a procedere del tribunale dei ministri di Catania per processare il ministro dell’Interno che aveva vietato per 5 giorni lo sbarco dei 177 migranti a bordo della Diciotti, ha ricevuto la memoria firmata da Conte, Di Maio e Toninelli con cui il governo rivendica la condivisione della decisione, arriva anche lo sblocco del “caso” Sea-Watch.

Giuseppe Conte ha, infatti, annunciato lo sbarco dopo l’accordo raggiunto con 7 paesi europei, compreso il Lussemburgo, che si sono impegnati ad accogliere i 47 naufraghi imbarcati dalla ong tedesca con bandiera olandese finora rifiutati sia dalla Germania che dall’Olanda. E Salvini ha prontamente commentato “Missione compiuta” auspicando un’indagine sul comportamento della ong e aggiungendo che “sta lavorando ad un provvedimento che limiti la possibilità di entrare nelle acque territoriali italiane” anche se ha aggiunto che “non si tratterà di un blocco navale“.

Che piaccia o meno è difficile negare come l’ennesima prova di forza ingaggiata dal ministro dell’Interno, questa volta nei confronti della Sea-Watch, che al di là delle più nobili finalità dovrebbe comunque spiegare insieme a molte altre ong “la curiosa” circostanza di battere una bandiera che non corrisponde alla nazionalità, si stia risolvendo nuovamente a vantaggio della sua posizione intransigente o “disumana” a seconda dei punti di vista.

Così come parrebbe evidente, stando ai fatti e non ai pregiudizi, che la mediazione portata avanti dal presidente del Consiglio, “fantoccio azzimato” o “scudo umano tra Salvini e Di Maio” a seconda degli umori mediatici del giorno, sconfessi le grida di allarme sul pauroso discredito internazionale di cui sarebbe oggetto l’Italia a guida giallo-verde. Da ultimo Nicola Zingaretti, che già lo scorso maggio all’iniziativa “Rigenerazione Italia” aveva definito il presidente del Consiglio “l’avvocato delle paure“, in queste stesse ore per rilanciare l’ammucchiata del Pd, “rigenerato” con appendici al seguito, ha denunciato con enfasi “l’abisso di isolamento in cui siamo precipitati con il voto del 4 marzo”.

La richiesta del tribunale dei ministri di Catania di processare Salvini per il presunto sequestro dei 177 migranti tenuti a bordo della Diciotti per cinque giorni, partita da un’inchiesta del procuratore di Agrigento, oltre ad essere letteralmente senza precedenti in quanto impatta sulla condotta politica dell’indagato e con conseguenze penali rilevantissime, presenta pure una molteplicità di incognite: mancano, infatti, i dati rilevanti per la valutazione giuridica dei fatti durante l’ispezione del procuratore Luigi Patronaggio, come ha spiegato al Fatto del 30 gennaio Ubaldo Nannucci, ex procuratore capo a Firenze. E la sottolineatura di come la situazione sia “anomala” e del fatto che “sta succedendo qualcosa di eccezionale quando un tribunale della Repubblica chiede che il ministro dell’Interno venga processato per un reato che prevede la reclusione fino a quindici anni”, tanto più che non si tratta “di un episodio corruttivo o comunque legato a fatti che l’indagato nega o sono discutibili” non è mia ma di Luca Masera, professore associato di Diritto penale a Brescia che peraltro ritiene “la decisione presa dai giudici di Catania corretta per quanto dirompente“.

Personalmente avrei preferito che il tribunale avesse accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania perché in questo caso mi sembra prevalente il principio della separazione dei poteri che vieta alla magistratura penale di valutare la legittimità di atti politici esplicitamente rivendicati da rappresentanti dell’esecutivo. Naturalmente ora l’attenzione politico-mediatica è concentrata sulla querelle politica e cioè sulla situazione particolarmente “scomoda” del M5S dopo l’indietro tutta di Salvini che dalla spavalderia del “voglio proprio vedere come va a finire” e del “non mi servono aiutini” ha virato nell’arco di poche ore sulla richiesta netta rivolta al Parlamento di negare l’autorizzazione a procedere.

Il M5S viene dato con esultanza incontenibile per spacciato, qualsiasi decisione prenda, come è avvenuto da sempre. La strada in salita ed inesplorata del sì all’autorizzazione a procedere  e dell’autodenuncia di tutti i ministri del M5S potrebbe essere la scelta più coerente ed appropriata per una situazione “eccezionale” ed “anomala” ed una risposta adeguata alla “dirompente” decisione del tribunale dei ministri.

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“I dati Istat sul Pil testimoniano una cosa fondamentale: chi stava al governo prima di noi ci ha mentito, non ci ha mai portato fuori dalla crisi e il fallimento della legge di Bilancio di Gentiloni“. Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, in conferenza stampa alla Camera. Il leader del M5s ha anche aggiunto che “non ci sarà bisogno di correggere le stime, nonostante siamo in una congiuntura economica difficile. Il 2019 è il primo anno in cui avranno effetti le misure messe in manovra”.

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15 giorni fa ha fatto il giro del mondo la notizia inquietante della pubblicazione di oltre 772 milioni di indirizzi e-mail e quasi 22 milioni di password, trafugati durante molteplici operazioni di hacking. I numeri erano da capogiro e gli utenti coinvolti moltissimi, anche italiani. Nelle ultime ore si è appreso che si trattava solo della punta di un iceberg. La “Collection#1”, come il ricercatore di sicurezza Troy Hunt aveva battezzato la refurtiva dal nome della cartella in cui era archiviata, non era un pezzo unico. È venuto a galla un database ancora più mastodontico, soprannominato “Collections # 2-5″, con al suo interno 2,2 miliardi di nomi utente e password associati. Sono stati offerti gratuitamente su forum e siti di hacker, almeno fino a quando il file da 845 gigabyte di dati rubati e 25 miliardi di record è stato avvistato dai ricercatori per la sicurezza.

La cronaca è presto fatta: dopo la scoperta di Troy Hunt, altri ricercatori si sono messi a scandagliare la Rete per accertarsi che in circolazione non ci fosse nulla di simile. Hanno invece trovato la “Collections # 2-5”. Analisti tedeschi dell’Istituto Hasso Plattner dell’Università di Potsdam hanno esaminato il file, e una volta eliminati i duplicati hanno appurato che il bottino era quasi tre volte tanto quello della “Collection#1”.

Chris Rouland, ricercatore di cybersicurezza e fondatore dell’azienda Phosphorus.io ha esaminato il file e ha dichiarato che a suo avviso si tratta della “più grande raccolta di violazioni di dati mai vista“. La cattiva notizia è che la “Collections # 2-5” è ampiamente circolata tra gli hacker clandestini, dato che il file era stato scaricato più di 1.000 volte al momento della sua scoperta.

Come accaduto per la “Collection#1”, la maggior parte dei dati rubati sembra provenire da precedenti furti, come le violazioni ai danni di Yahoo, LinkedIn e Dropbox. Nella maggior parte dei casi, quindi, le credenziali rubate sono datate e potrebbero essere state aggiornate dagli utenti. Resta il fatto che gran parte non era presente nei database dei dati rubati finora.

L’Istituto tedesco che ha analizzato la refurtiva ha già creato una pagina online per permettere a tutti gli utenti di controllare il loro eventuale coinvolgimento come vittime del furto. Consigliamo vivamente di collegarvi qui e di inserire l’apposito spazio il/gli indirizzi mail a voi intestati per verificare se siano stati o meno oggetto di violazione.

Al contrario del sistema di controllo di 15 giorni fa, non avrete una risposta immediata, riceverete una mail con il responso della verifica, nel giro di pochi secondi. Ribadiamo il consiglio di cambiare le password, magari usando un generatore di password in cui è possibile memorizzare codici alfanumerici complessi, o seguendo le indicazioni che abbiamo dato in questo articolo.

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Il processo ad Antonello Montante è stato sospeso. Lo ha deciso il giudice per le udienze preliminari, Graziella Luparello, in attesa che la corte di Cassazione si esprima sulla richiesta di remissione presentata nei giorni scorsi dai legali dell’ex Presidente di Confindustria Sicilia, in carcere per corruzione. La decisione della Suprema corte è attesa per il 19 febbraio. Sospesi anche i termini di custodia cautelare. La prossima udienza del processo che si svolge con il rito abbreviato, è stata fissata per il 23 febbraio. “È un provvedimento adeguato in attesa della decisione della Corte di Cassazione. Non è un provvedimento che arriva a sorpresa o che va in una direzione o in un’altra”, commenta l’avvocato Giuseppe Panepinto che difende Montante insieme a Carlo Taormina.

Nei giorni scorsi l’ex parlamentare di Forza Italia si era rivolto al ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, per denunciare le “gravissime condizioni di salute” dell’ex capo degli imprenditori, trasferito da pochi giorni da Caltanissetta ad Agrigento. Taormina ha chiesto che il suo assistitio possa lasciare il carcere di Agrigento “prima che possa verificarsi l’irreparabile“. Il motivo? “Il dottor Montante è stato sottoposto ad accertamenti medici che hanno confermato quanto già fatto presente è affetto da una gravissima malattia”, scrivendo anche qual è la malattia a cui si riferisce.

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Duro attacco dell’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, contro il governo gialloverde sulla gestione delle vicende Diciotti e Sea Watch. Ospite di Omnibus (La7), Minniti accusa: “Il governo M5s-Lega ha tenuto viva una strategia della tensione comunicativa, cioè ci hanno spiegato che stava arrivando una nave con 47 migranti e che quella era una invasione. Non era né una emergenza, né una invasione, ma abbiamo trattato la questione con disumanità. L’atteggiamento sulla Diciotti è stato ingiustificato. Non c’era alcuna situazione drammatica che potesse portare a chiudere i porti. La Diciotti è una nave della Guardia Costiera, cioè di un corpo militare italiano” – continua – “e si sono utilizzati i migranti salvati da quella nave militare, che aveva fatto solo il suo dovere, per una trattativa con la Ue. Un grande Paese non utilizza ostaggi per fare trattative diplomatiche. E questo vale anche per la Sea Watch, sulla quale l’Italia ha avuto un atteggiamento veramente da Paese piccolissimo. Ma anche l’Europa si è comportata da continente piccino, perché di fronte a 47 migranti un Paese europeo si propone di risolvere il problema”.
E rincara: “Di fronte a queste situazioni, l’unica cosa che non deve fare l’Ue è comportarsi da pizzicagnolo delle vite umane, cioè dividere e distribuire tot migranti in diverse parti. Tutto questo è subalternità politica e culturale ai nazional-populisti. Salvini? Ha cambiato rapidamente rotta sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti: dall’affronto a viso aperto all’appello “salvatemi”. Il punto drammatico è che un ministro dell’Interno, chiunque egli sia, non può mettersi contro il potere giudiziario. Il M5s? Hanno avuto un drastico appannamento della loro posizione politica. Su questa vicenda rischiano di perdere l’anima. Forse salveranno il governo, ma perderanno l’anima. E lo pagheranno in termini elettorali”.

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Il Palermo calcio è nel caos. Una settimana dopo gli arresti domiciliari per l’ex patron Maurizio Zamparini, il nuovo presidente della squadra rosanero, Clive Richardson, annuncia il licenziamento del responsabile dell’area tecnica Rino Foschi. E con un messaggio inviato alla redazione di forzapalermo.it, rinuncia inoltre alla carica di numero uno della società di viale del Fante.  “Foschi è stato licenziato da Emanuele Facile – si legge nella nota – Sport Capital Group ha in programma altre acquisizioni e devo concentrarmi su di esse. Emanuele Facile vuole gestire il Palermo e prendere le decisioni, quindi è stato facile per me mettermi da parte e concentrarmi sui nostri piani operativi in Spagna e Inghilterra”. Facile è l’amministratore delegato del Palermo.

“Non so niente”, è stato il commento rilasciato da Foschi all’agenzia di stampa Italpress. In un aggiornamento successivo, un’altra nota inviata da Sport Capital Group alla redazione palermitana annuncia che “Scg acquisirà una serie di club in tutta Europa” e che Richardson “è una parte importante di questo processo e come tale si farà da parte per permettere ad Emanuele Facile di gestire il Palermo in futuro”.

Solo una settimana fa la corte di Cassazione, che dopo una lunghissima camera di consiglio, aveva respinto il ricorso dell’ex presidente Zamparini contro il provvedimento disposto dai giudici di Palermo. L’ex patron della società calcistica siciliana è accusato di falso in bilancio e autoriciclaggio: la misura cautelare era dunque diventata eseguibile.  “Questa resterà  una storia di vergogna per una città che così ha corrisposto la passione e l’amore che ho dato assieme ai miei soldi regalati e profusi per i rosanero”, aveva commentato l’imprenditore friulano.

“Io sono stato vigile fin dall’inizio. Sono ovviamente preoccupato per la città, per quella meravigliosa tifoseria e per la passione che esprime il calcio a Palermo. Stiamo aspettando di ricevere ulteriori chiarimenti e di capire se questi riusciranno a soddisfare tutti i requisiti previsti dai regolamenti federali”, ha commentato nelle scorse ore Mauro Balata, presidente della Lega Serie B, a proposito del caso Palermo. “Se rischia l’esclusione dal campionato? In questo momento non sono in grado di dirlo. Il codice di onorabilità è un codice federale e la Federazione in sintonia anche con noi starà facendo i suoi accertamenti”, ha spiegato ai microfoni di Radio Sportiva. “Ci sono degli adempimenti ancora da compiere e vedremo nei prossimi giorni. Speriamo che questo problema si possa risolvere. Noi come Lega abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e anche di più per cercare di avere tutti i chiarimenti possibili. Siamo in attesa di ulteriore documentazione, abbiamo già informato la Figc di tutto e vedremo nei prossimi giorni”, ha aggiunto Balata.

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“I problemi ci sono stati e ci sono tuttora, bisogna superarli. Se dopo ventidue anni siamo qui a parlarne forse i piaceri hanno superato i dispiaceri. Vorrei essere la musa di Vittorio, la dea della casa ma se devo dirlo più freddamente direi che sono la sua compagna, la convivente”. Sabrina Colle si racconta nel corso di una lunga intervista a Piero Chiambretti. Il suo rapporto con Sgarbi è da sempre al centro della scena anche per i dichiarati e noti tradimenti del critico d’arte.

Per me il tradimento sessuale non è importante, sono ventidue anni che ripeto la stessa cosa. Gli uomini sono deboli, noi siamo più forti e possiamo sostenerlo questo tradimento. Su una cosa sono intransigente, sul tradimento dei sentimenti reciproci perché trovo riprovevole giocare sui sentimenti. Dire a una donna che la ami e non è vero, quello è un vero tradimento. Il sesso è vitalità, è gioco, c’è sempre la novità e Vittorio faccia pure e si diverta pure”, ha spiegato l’attrice a CR4-La Repubblica delle Donne con la conversazione che si è poi spostata sulla sfera sessuale poco frequentata dalla coppia: “Amore senza sesso? Il sesso è importante nelle prime battute. Vittorio non è geloso perché pensa che dopo di lui non ci possa essere più nessuno.”

Noi non facciamo l’amore da un millennio perché l’ultima volta fu nel secolo scorso”, ha confermato Vittorio in collegamento da Genova per poi aggiungere: “Non lo facciamo per amore perché l’atto sessuale presuppone una componente animale che è importante nei rapporti ma sarebbe impensabile per Dante e per Petrarca.” Il critico d’arte ha però riservato alla sua compagna parole d’amore sottolineando che la frase da lui pronunciata, “La donna ideale esiste, l’importante è non incontrarla” non può valere per la Colle: “Ho avuto la fortuna di incontrare una donna straordinaria che esiste ed è reale, ha resistito con me più vent’anni con la tolleranza, l’intelligenza, il perdono.”

La coppia non ha avuto un figlio: “Vittorio ha tre figli meravigliosi, me lo ha chiesto varie volte ma ho considerato lui come mio figlio.” Argomento che aveva già affontato in un’intervista al settimanale Chi: “Un po’ non è venuto, un po’ sono io che non voglio forzare più di tanto: sono figlia unica, so quanto è difficile crescere un figlio, le incognite.” Chiambretti ha poi ripescato una sua vecchia dichiarazione in cui affermava di aver avuto 1.900 donne: “In realtà risposi con una battuta di Califano dicendo ‘Tre al mese me lo vuoi dà’ e da qui hanno moltiplicato però- dice in presenza della fidanzata-vorrei raggiungere le diecimila“, spiegando in conclusione di una vita sessuale calante nell’ultimo periodo senza negare il ricorso a qualche aiutino.

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Caro Mark Zuckerberg, ho letto la bozza della Carta che dovrebbe guidare il processo di istituzionalizzazione della Commissione indipendente che vorresti aiutasse Facebook, negli anni a venire, a decidere quali contenuti meritano di restare online e quali, al contrario, di essere condannati all’oblio. E ho anche letto che la pubblicazione della bozza mira a raccogliere commenti, suggerimenti e, mi auguro, anche critiche costruttive. Mi permetto, dunque, di indirizzarti questa lettera aperta (nda, aperta anche per contribuire a stimolare un dibattito nella comunità scientifica e, più in generale, in quella dei tuoi utenti).

Lo spirito dell’iniziativa è apprezzabile, anzi nobile. La sua declinazione, a mio avviso, è sbagliata nel metodo e nel merito e non produrrà nulla di buono né per Facebook, né per i suoi utenti. Un paio di questioni, per me centrali perché legate a principi irrinunciabili in ogni società democratica.

1. Il livello di democrazia nelle centinaia di Stati nei quali Facebook è attivo è, inesorabilmente, diverso. Ci sono Stati ragionevolmente democratici, Stati a democrazia ridotta e Stati niente affatto democratici. È un dato di fatto che appartiene alla storia dell’umanità. Sogniamo tutti – o almeno i più di noi – un mondo completamente democratico ma non è quello in cui viviamo. È, tuttavia, un altro dato di fatto indiscutibile che la giustizia degli Stati, quella amministrata dai Giudici e dalle Autorità indipendenti è la miglior forma di giustizia sostenibile in democrazia. Mettere in discussione questo principio e – benché mossi dai migliori dei propositi – ipotizzare forme di giustizia privata, specie se “imposte” da un fornitore di servizi in relazione a questioni che riguardano diritti fondamentali di oltre due miliardi di persone è un passo importante, difficilmente sostenibile sul piano democratico e il cui impatto sulla società non mi sembra facile da prevedere.

E, nonostante tutte le garanzie di indipendenza della Commissione alla quale state pensando in Facebook, basta scorrere l’elenco delle competenze che gli esperti che ne dovrebbero far parte dovrebbero possedere per rendersi conto che, in un modo o nell’altro, la Commissione “amministrerà giustizia” in materia, peraltro, di diritti fondamentali: privacy, libertà di espressione, diritti umani, giornalismo, diritti civili, sicurezza. Sono, più o meno, le materie che perimetrano la competenze delle più alte Corti istituite dalle nostre democrazie sino ad arrivare a quella dei diritti umani di Strasburgo. Non ho motivo di dubitare che, stante la predetta eterogeneità nel livello di democrazia dei diversi Paesi nei quali operate, in qualche caso – permettimi di dire che, per fortuna, si tratta probabilmente di una minoranza benché quantitativamente non irrilevante – le decisioni della Commissione potrebbero essere più giuste, più etiche, più indipendenti di quelle che potrebbero assumere Giudici e Autorità ma, in molti altri casi, non sarebbe così.

E, a prescindere da ogni misurazione del livello di giustizia delle singole decisioni, personalmente, trovo inaccettabile che fatti che riguardano i diritti umani di miliardi di persone siano, nella sostanza, decisi, più o meno in via definitiva, al di fuori delle dinamiche che Governano il Paese o i Paesi con i quali presentano il collegamento più stretto. Si tratta di un principio che potrebbe sovvertire l’ordine democratico perché muove dall’assunto secondo il quale un sistema di giustizia privata “istituito” da una corporation è in grado di garantire una giustizia più giusta rispetto a quella amministrata nei nostri Tribunali.

2. Gli esperti che siederanno nella Commissione quali regole dovranno applicare per risolvere le controversie sottoposte alla loro valutazione? Per quel che si capisce un insieme di principi generali – o valori – che Facebook identificherà come linee guida e, inesorabilmente, le condizioni generali che governano il rapporto tra Facebook e i suoi utenti. Avremo quindi – perdonami se semplifico eccessivamente perdendo le sfumature – un “tribunale privato” che celebrerà processi aventi a oggetto diritti dell’uomo sulla base di regole uscite dalla penna degli avvocati di una corporation.

Facebook è uno strumento di democrazia, Facebook è l’abilitatore di una serie di diritti e libertà che, sin qui, erano rimasti parole sulla carta per miliardi di persone nel mondo. Facebook non dovrebbe – neppure mosso dal perseguimento del più nobile degli obiettivi – trasformarsi in arbitro privato (anzi privatissimo), non importa attraverso un processo quanto “indipendente” dei diritti dell’uomo. Rischia di scivolare lungo il crinale ripido e sottile della posizione che gli appartiene o dovrebbe appartenergli: quella dell’intermediario, quella del fornitore di servizi tecnologicamente neutri rispetto ai diritti degli Stati e degli uomini. Per un intermediario della comunicazione i contenuti devono essere – salvo eccezioni relative a casi di illiceità manifesta che non sono, tuttavia, quelli sui quali sarà chiamata a pronunciarsi la Commissione – tutti eguali sino a quando un Giudice o un’Autorità non stabiliscono il contrario in giudizi e procedimenti nei quali, in un mondo ideale – che non è purtroppo quello attuale -l’intermediario dovrebbe addirittura restare estraneo.

Capisco l’intento che persegui, non c’è ragione di dubitare della tua buona fede e, aggiungo, che se ti muovi in questa direzione è probabilmente per “colpa” di tanti Governo che, in maniera miope, sono incapaci di confrontarsi con le nuove dinamiche della circolazione dei contenuti se non chiedendo ai fornitori di servizi di comunicazione come Facebook di trasformarsi in arbitri, sceriffi, giudici e poliziotti ma la strada lungo la quale ti stai incamminando, a mio avviso, è drammaticamente sbagliata. Non aumenterà la fiducia degli utenti nei confronti di Facebook, non aumenterà la misura della libertà online, non renderà il web un luogo di confronto più civile e, neppure, renderà Facebook un “non-luogo” più sicuro.

Mi dirai che è facile criticare ma è difficile trovare soluzioni a un problema che pure esiste. E hai naturalmente ragione. Io immagino una sola ricetta – certamente non risolutiva e altrettanto certamente esposta a tanti altri profili di rischio – per affrontare diversamente il problema: fornite alle Autorità dei singoli Stati gli strumenti e i mezzi dei quali dovreste comunque dotare la costituenda Commissione, lasciate che siano loro a decidere applicando le loro leggi (più democratiche da qualche parte e meno democratiche da qualche altra parte) e accettatene le decisioni. Solo così si sottrarrà il mondo intero al rischio di doversi confrontare nel prossimo futuro con uno scenario che, sono certo, tu non miri a creare ma che pure potrebbe darsi: quello di una piattaforma che si erge a città-Stato, con oltre due miliardi di “cittadini”, le proprie regole e i propri giudici.

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Ormai la Volkswagen ci ha abituato alle “operazioni” retrò, magari con reinterpretazione in chiave moderna di icone del passato. Era successo con mostri sacri come il Bulli o il Maggiolino, ora è il turno dei buggy. Ma si, le vetturette da spiaggia senza porte nè tetto che spopolavano negli anni ’70. Che ora a Wolfsburg hanno deciso di far rivivere con un’anima “verde”, ovvero a emissioni zero. Verrà presentato al prossimo salone di Ginevra (7-17 merzo) questo e-Buggy concept, che si basa sulla piattaforma elettrificata MEB e stilisticamente rimane fedele all’impostazione tradizionale (niente tetto fisso, portiere appena accennate, pneumatici da off-road), seppur con linee avveniristiche come si può vedere dai primi bozzetti che la casa tedesca ha diffuso. Non resta che aspettare per conoscere le specifiche tecniche e godersela dal vivo a Ginevra.

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Sul regionalismo differenziato, per quanto riguarda la sanità, la mia tesi già illustrata nei precedenti post è semplice: nonostante le improbabili rassicurazioni della ministra Giulia Grillo sulla sua innocuità nei confronti della tenuta del Servizio sanitario nazionale e sulla garanzia di solidarietà nei confronti del Sud, il regionalismo differenziato è una proposta di legge fondata interamente sulla malafede e sull’incompetenza, che pregiudica la tenuta del sistema pubblico e i suoi valori fondamentali. Tre esempi:

1. Quando la ministra della Salute ci dice che sul regionalismo differenziato non ci sono problemi di sorta, due sono le cose:
a. o il ministro a sua volta è vittima della malafede dei suoi alleati di governo, cioè è a sua volta ingannata;
b. o il ministro è in malafede, cioè mente sapendo di mentire.

Nel primo caso si pone un grave problema di incompetenza, nel senso che se la nostra ministra non sa discernere il grano dall’olio allora abbiamo una ministra che non è in grado di rappresentare la sanità e le sue ragioni. Nel secondo caso si pone un grave problema di onestà politica: nel senso che se la ministra, per dare corso al regionalismo differenziato e quindi rispettare il contratto di governo, pensa di poter tradire impunemente il suo mandato politico, allora abbiamo il suo è un comportamento incosciente del danno che potrebbe provocare.

2. Quando il presidente della Conferenza delle Regioni e delle province autonome Stefano Bonaccini dice che “l’unità nazionale è sacra. Il principio di sussidiarietà e di solidarietà tra le Regioni più forti e quelle più deboli del Paese è sacro”, egli è evidentemente in malafede. Se egli fosse in buona fede:

a. non si sarebbe accodato alla Lega per chiedere il regionalismo differenziato (ricordo al presidente che differenziare è il contrario di rendere uguali);
b. non si sarebbe opposto come Regione in questi anni alla battaglia del Sud per introdurre nel criterio di riparto l’indice di deprivazione; quindi si sarebbe prodigato per un riparto più equo. Si sarebbe sentito quantomeno imbarazzato a intascare – a spese del Sud – a saldo più di 357 milioni di mobilità sanitaria (2017), sapendo bene che senza il Sud i suoi bilanci andrebbero in rosso e che per questo la sua Regione non ha alcun interesse a superare le diseguaglianze storiche del Paese.

3. Quando il Pd alla vigilia di un congresso quasi di rifondazione non dice una sola parola sul regionalismo differenziato e nessun candidato alla segreteria parla del rischio di perdere il Ssn, è perché il Pd come partito nazionale è totalmente subalterno alla svolta secessionista dell’Emilia Romagna. Un partito nazionale si trova così alla mercé di una regione controriformatrice, che chiede:

a. mani libere sui fondi sanitari per attuare finalmente il sistema multipilastro;
b. la libertà di sostituire per ragioni di risparmio le professioni più costose con professioni meno costose;
c. autarchia, non autonomia, financo su alcune funzioni regolatorie in tema di farmaci.

La subalternità all’Emilia Romagna distrugge la possibilità politica per il Pd di ripensare le politiche sbagliate del passato e di mettersi alla testa di un’opposizione politica fondata davvero sui sacri valori dell’unità nazionale.

Riassumiamo: il Pd è all’opposizione del governo giallo-verde, ma sul regionalismo differenziato – cioè sul far morire il Ssn – sostiene totalmente il governo. Ma se per distruggere il Ssn Lega, M5S e Pd si sono alleati, allora vuol dire che la politica è da una parte e la sanità e la società sono dall’altra. Che fare, tanto contro la malafede quanto contro l’incompetenza?

Dal mondo della scuola, altra materia – oltre la sanità – oggetto di secessione, è partita in questi giorni una petizione contro il regionalismo differenziato rivolta al Presidente della Repubblica e ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati, con la quale si denuncia a chiare lettere che “siamo di fronte a uno stravolgimento delle basi giuridiche su cui è sorta la Repubblica italiana. Una materia di tale portata non può e non deve essere risolta nei colloqui fra una rappresentante del governo e uno della Regione interessata (oltretutto, dello stesso partito e della medesima regione). Tutti i cittadini italiani hanno il diritto di essere coinvolti nella decisione, che riguarda tutti, sia attraverso i propri rappresentanti parlamentari sia attraverso un grande dibattito pubblico, in cui porre in luce e discutere obiettivi, contenuti e conseguenze di tali proposte. Solo così i cittadini possono valutare e decidere”.

Aderisco pubblicamente a questa petizione e propongo a mia volta una petizione della sanità fondata su un solo punto: “La sanità in tutte le sue rappresentanze chiede a tutti i responsabili delle istituzioni della Repubblica che in tema di regionalismo differenziato si apra un grande dibattito pubblico per agire pienamente la democrazia, nel rispetto totale dello spirito costituzionale”. La mala fides, esattamente come l’incompetenza, uccide la democrazia e la politica. Senza la democrazia, la politica e le necessarie competenze, si torna alle barbarie.

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Alzi la mano chi non è mai capitato su un sito con un indirizzo falso. Siti come per esempio paypall.com invece paypal.com, che hanno minime differenze nell’indirizzo rispetto a quelli autentici. Sono usati per ingannare gli utenti a cui sfugge la lettera diversa, e si ritrovano a inserire le proprie credenziali di accesso online, che vengono puntualmente rubate. Chi usa il browser Google Chrome presto potrà difendersi da queste frodi informatiche grazie a un nuovo strumento, che in italiano potremmo definire “suggerimento per URL sosia”.

Si abilita copiando nella barra degli indirizzi la seguente scritta: chrome://flags/#enable-lookalike-url-navigation-suggestions e attivando la funzione corrispondente, che viene evidenziata in automatico. Bisogna riavviare il browser per fare che entri in funzione. Quello che fa è banale ma molto utile: nel momento in cui cercherete di accedere a un sito con un indirizzo “sosia” vi chiederà se siete proprio sicuri di volerlo fare.

A questo punto anche l’utente più distratto andrebbe a leggere bene l’URL, smascherando l’inganno. La funzione è presente in Chrome Canary, la versione del browser di Google usata dagli sviluppatori per sperimentare le funzionalità di rilascio imminente. Se seguite la procedura nella versione stabile di Chrome va a buon fine, ma alla luce di qualche prova che abbiamo fatto non è sempre efficace. Significa che gli ingegneri di Google stanno ancora perfezionando il sistema di rilevamento degli URL sosia, ma che siamo vicini al traguardo. Non è noto quando questa funzione sarà distribuita su tutti i browser, ma due giorni fa è stata oggetto di una presentazione ufficiale. Ci aspettiamo quindi novità imminenti, per un’idea  più che gradita.

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Via libera dalla miniplenaria del Parlamento europeo alla risoluzione non legislativa che riconosce Juan Guaidò, presidente dell’Assemblea Nazionale di Caracas, come presidente legittimo ad interim del Venezuela. I deputati europei hanno esortato l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e gli Stati membri a fare altrettanto fino a quando non saranno indette nuove elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili per ripristinare la democrazia.

In una risoluzione non vincolante, adottata con 439 sì, 104 no e 88 astensioni, i deputati ribadiscono il loro pieno sostegno all’Assemblea nazionale, l’unico organo democratico legittimo del Venezuela, i cui poteri devono essere ripristinati e rispettati, comprese le prerogative e la sicurezza dei suoi membri.
Dopo il riconoscimento del presidente ad interim, l’Ue e i suoi Stati membri dovrebbero riconoscere i rappresentanti nominati dalle autorità legittime, aggiunge il Parlamento europeo.
I deputati condannano inoltre la feroce repressione e la violenza, che hanno provocato vittime, e chiedono alle autorità venezuelane de facto di far cessare tutte le violazioni dei diritti umani e far sì che i responsabili siano chiamati a renderne conto. A questo proposito, sostengono la richiesta del Segretario generale delle Nazioni Unite di condurre un’indagine indipendente e completa sulle uccisioni perpetrate.

Il Parlamento chiede all’Alto Rappresentante di impegnarsi con i paesi della regione per creare un gruppo di contatto, come indicato nelle conclusioni del Consiglio del 15 ottobre 2018, che possa mediare fra le parti e raggiungere un accordo sulla richiesta di “elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili sulla base di un calendario comune, di condizioni eque per tutti gli attori coinvolti, della trasparenza e del monitoraggio internazionale”.

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Gli indennizzi automatici ai piccoli investitori coinvolti nelle crisi delle banche finite in liquidazione coatta sono finiti come prevedibile nel mirino della Commissione europea. Ad annunciarlo è stato il vicepremier e ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio, che durante una conferenza stampa alla Camera ha parlato di “una lettera dell’Unione europea che dice non possiamo utilizzare la misura per risarcire i truffati delle banche”. “Sono 1,5 miliardi di risarcimento”, è stato il commento del leader M5s. “Ci dicono non lo potete fare? Noi lo facciamo e basta. Per noi i truffati della banche vanno risarciti. Punto. Non possono essere messi in mano a un collegio arbitrale. L’Europa se ne deve fare una ragione”. Linea del tutto diversa rispetto a quella prefigurata due giorni fa dal sottosegretario all’Economia Massimo Garavaglia, della Lega, che aveva detto: “Ove ci fosse un rilievo della Commissione ci mettiamo due secondi a mettere a posto tutto“.

Di Maio ha fatto riferimento al collegio arbitrale perché il fondo di ristoro da 100 milioni istituito dal Pd prevedeva appunto rimborsi totali solo in caso di truffa acclarata durante una procedura arbitrale davanti all’AnacAl contrario il Fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge di Bilancio del governo gialloverde dispone indennizzi del 30% per gli azionisti e del 95% per gli obbligazionisti subordinati fino a un limite di 100mila euro a testa senza necessità di dimostrare la frode o comunque la vendita senza sufficienti informazioni sui rischi (misselling). A gestire la procedura, stando alla legge, sarà il ministero dell’Economia, che dovrà nominare una commissione incaricata di definire le modalità di presentazione delle domande e di riparto delle risorse, pari a 525 milioni l’anno nel triennio 2019-2021.

Un portavoce della Commissione Ue ha confermato che Bruxelles è “in contatto con l’Italia sulle nuove misure proposte”: “Ci sono diverse possibilità, in linea con le regole Ue, attraverso le quali si possono compensare i risparmiatori che hanno sofferto perdite a causa di vendite fraudolente di bond”, la Commissione “ha lavorato con l’Italia per attivare queste soluzioni nel passato, ed è in contatto con l’Italia sulle nuove misure”.

Due giorni fa il sottosegretario Garavaglia non aveva nascosto di avere “qualche perplessità” sul testo definitivo: “Avrei tenuto la formulazione precedente”. Alla domanda su eventuali rilievi Ue aveva risposto: “Ci sono rumors”. Il testo non piace? “Ma lo sapevamo…”.

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Per il 57% degli italiani, il Senato dovrebbe negare l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini. Ad essere favorevole al processo al ministro dell’Interno è invece il 38% delle persone intervistate da Emg Acqua. Il sondaggio dell’istituto – realizzato il 29 gennaio – è stato presentato ad Agorà su Rai 3.

Per il leader della Lega è arrivata nei giorni scorsi una richiesta di autorizzazione a procedere da parte del tribunale dei ministri di Catania. L’accusa è sequestro di persona aggravato per i 177 migranti tenuti per cinque giorni a bordo della nave Diciotti ormeggiata nel porto della città siciliana. Nel dettaglio, la maggioranza dei sostenitori dell’area di governo vorrebbe che l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini fosse negata: di questa opinione è infatti il 97%  degli elettori della Lega e il 66% di quelli del Movimento 5 Stelle. Secondo il 60% degli elettori del Pd, invece, il Senato dovrebbe mandare comunque il ministro a processo. Il 22% dei dem preferisce comunque non esprimersi.

Nonostante l’inizio della discussione sulle accuse ai suoi danni nella giunta per le Immunità del Senato, tra l’altro, Salvini può comunque contare sul 49% degli italiani: un punto in più rispetto alla settimana scorsa. Lo segue, con il 47%, il premier Giuseppe Conte, mentre perde un punto Luigi Di Maio, che è al 42% . Alla domanda: “Chi conta di più nel governo?”, inoltre, il 55% degli intervistati ha risposto “Salvini”. Il ministro dell’Interno, però, perde un punto rispetto alle rilevazioni del 20 dicembre scorso. Rispetto alla stessa data guadagna invece 6 punti il premier Conte  – era 26%, è al 32% – , mentre ne perde 3 Luigi Di Maio che ora è al 9%.

Per quanto riguarda la fiducia nel governo, invece, il 43% degli italiani dà un giudizio positivo sull’esecutivo, che però perde un punto nel gradimento rispetto alla scorsa settimana. Negativo invece il giudizio del 35% degli intervistati. L’esecutivo piace di più agli elettori del M5s – 86% – rispetto al consenso che riscuote tra quelli dell Lega, al 78%. Positivo il giudizio del 50% degli elettori di Forza Italia, mentre scende al 10 la percentuale di elettori del Pd che condivide l’operato dell’esecutivo.

Sul fronte dei voti, invece, se si votasse oggi, secondo l’istituto di rilevazione il Movimento 5 stelle prenderebbe il 25,8%, perdendo più di mezzo punto rispetto alla scorsa settimana (-0,7). In lievissima crescita la Lega (+0,2%),  che è al 30,3%. In totale l’area di governo perderebbe però mezzo punto rispetto a sette giorni fa. Sale – sempre di poco –  l’opposizione di centrosinistra (+0,9%), che raggiungerebbe il 25,5 % dei consensi, ma anche quella di centrodestra (+0,2%), al 14,5 %. Nel dettaglio, migliora Forza Italia (+0,3%), che si attesta al 9,2 %; in lieve calo invece Fratelli d’Italia (-0,2%), al 4,5 %. Per quanto riguarda l’opposizione di centrosinistra, lieve crescita per il Partito democratico (+0,3%), che raggiunge il 18,2 %, e Più Europao (+0,4%), che è al 3 per cento.

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