luglio 2018

Sembra proprio che gli italiani (giovani e meno giovani) dovranno fare a meno delle farmacie online che promettono “pozioni miracolose” per superare le disfunzioni erettili maschili. Il ministero della Salute ha infatti adottato, tra le prime volte in assoluto, la misura prevista dall’articolo 142-quinquies del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 219, introdotto dal decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 17, di attuazione della direttiva 2011/62/Ue.

La norma, al fine di impedire l’ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale, consente al ministero della Salute di emanare disposizioni per impedire l’accesso agli indirizzi internet corrispondenti ai siti web individuati come promotori di pratiche illegali ai sensi del decreto stesso da parte degli utenti mediante richieste di connessione alla rete internet provenienti dal territorio italiano. Il ministero ha così deciso di sequestrare con effetto immediato uno dei portali più conosciuti nel settore dei farmaci online, ovvero miafarmaciaonline.com.

I carabinieri del nucleo tutela della salute sono impegnati da questa mattina nella notifica agli Internet service provider italiani del provvedimento di inibizione all’accesso rilasciato dalla Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico per il sito portale. La norma era stata sino a oggi praticamente disattesa, preferendo gli organi di indagine rivolgersi direttamente alla Procura della Repubblica per effettuare quelle che a tutti gli effetti sono operazioni di polizia giudiziaria.

La particolarità del sequestro odierno è rappresentata dal fatto che ad emetterlo non è stato né un giudice né un’autorità amministrativa indipendente (l’Antitrust, ad esempio, che aveva competenza si questi temi) ma una diretta articolazione di un ministero, ovvero il direttore generale del servizio farmaceutico. Va detto che il provvedimento è stato firmato dal dirigente responsabile il 2 maggio scorso, prima della nomina dell’attuale ministro della Salute Giulia Grillo.

Non si può sapere dunque se il provvedimento sia un caso isolato, se il ministro ne sia a conoscenza oppure se il provvedimento rappresenti un’inversione di tendenza in grado di inaugurare una nuova stagione di “attenzione” amministrativa verso il web, analoga per certi versi a quanto previsto dal decreto dignità per la pubblicità delle attività di gioco su Internet.

L’Italia, con quasi seimila siti web inibiti l’anno nelle materie più disparate – dalla diffamazione alla tutela della privacy, sino alla proprietà intellettuale – si conferma in ogni caso il Paese capofila nel mondo degli interventi di sequestro sul web.

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Aveva insultato un alunno cinese di 12 anni chiamandolo ‘cinese di m…’, ora un professore di educazione tecnica di una scuola media di Torino rischia il processo per istigazione all’odio razziale. La pm Mario Bendoni ha chiuso le indagini a carico del docente e nelle prossime ore verranno notificati gli atti formali.

Il presunto episodio di razzismo era stato subito segnalato dall’istituto all’Ufficio scolastico regionale e i genitori di tutti gli alunni della classe avevano chiesto che il docente venisse sospeso dall’incarico.

Per questo caso verrà applicata per la prima volta la direttiva del procuratore capo di Torino Armando Spataro, presentata a inizio luglio. Le linee guida sono state scritte per un più efficace contrasto dei reati motivati da ragione di odio razziale e discriminazione etnico-religiosa.

La direttiva prevede che i magistrati possano trattare come prioritari tutti i procedimenti che riguardano reati di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale e religioso, con indagini rapide volte all’individuazione dei responsabili.

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Sanità, dalla Val d'Aosta alla Sicilia: la classifica

Calabria e Campania non riescono a garantire i Livelli essenziali di assistenza, e si confermano agli ultimi posti anche per spesa pro capite e per efficienza. Tra le regioni più virtuose Veneto, Marche e Umbria. Ecco i costi della sanità nel nostro Paese



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Allacciate le cinture e fate gli scongiuri, perché in Parlamento non la faranno passare facilmente. Atterra sulla piattaforma Rousseau la proposta di legge del M5s che promette di portare trasparenza totale sul finanziamento privato a partiti e fondazioni politiche, rimediando alle opacità lasciate dall’abolizione di quello pubblico che inquinano la vita politica, come dimostrano ciclicamente scandali e inchieste giudiziarie. La proposta, firmata dal senatore Gianluigi Paragone, rimarrà 60 giorni online per ottenere pareri e placet degli iscritti prima di essere depositata in forma definitiva in Parlamento, dove entrerà in concorrenza con una dozzina di proposte sul tema, compresa quella depositata a maggio dalla deputata grillina Federica Dieni.

La proposta è di soli 5 articoli ma entra negli ingranaggi laschi delle norme che regolano i rapporti economici attorno alla politica, disciplinandoli in modo tale che pubblicità, necessità e utilità dei contributi siano garantiti e viaggino alla luce del sole e che – qui una delle novità rilevanti – anche il loro impiego sia delimitato e tracciato nel solco degli obiettivi riportati dallo statuto. Alcuni nuovi obblighi faranno discutere, come quello di pubblicare entro 60 giorni dalla consultazione il casellario giudiziale dei candidati. Altri sono auspicati da anni, come quello di sottoporre alla Corte dei Conti annualmente bilanci e rendiconti (e relativi allegati), con la previsione di una speciale commissione deputata al controllo (articolo 1 comma 5).

Tutto trasparente, dai mille euro in su
L’articolo 2 reintroduce l’obbligo di dichiarazione congiunta a partire dalle erogazioni in favore dei partiti superiori a 1.000 euro, in luogo dei vigenti 100mila euro; sopprime l’obbligo del consenso del donante per la pubblicità del contributo; riduce il tetto massimo per i contributi delle persone e delle società da 100mila a 18mila euro annui; riduce da 30mila a 5mila euro il contributo in favore dei partiti somma a cui si applica la detrazione agevolata al 26 per cento; esclude che tale agevolazione si applichi ai contributi erogati in favore dei partiti da eletti o candidati. Abbassa da 5mila a 100 euro l’obbligo di dichiarazione degli eletti e dei partiti in ordine ai contributi ricevuti, da pubblicare entro un mese (non più tre) sul sito del Parlamento senza la foglia di fico della privacy. Il testo introduce una deroga specifica all’articolo 26 del codice della privacy grazie alla quale “non è richiesto il rilascio del consenso scritto degli interessati, ai fini dell’ottemperanza degli obblighi di pubblicazione nei siti internet di cui al quinto e al sesto periodo del presente comma”.

Stretta sulle fondazioni e finta privacy
In un’intervista a ilfattoquotidiano.it il Garante della Privacy Antonello Soro aveva lanciato un appello al Parlamento: “Basta trincerarsi dietro alla riservatezza, bisogna riformare le norme sulle fondazioni perché siano trasparenti”. A questo risponde l’articolo 5 del disegno di legge di Paragone che introduce una nuova definizione delle fondazioni o associazioni politiche non più limitata alle definizioni statutarie o al requisito per cui gli organi direttivi siano espressione del partito che vengono ordinariamente aggirati per non ricadere negli obblighi di pubblicità e trasparenza dei finanziamenti che la legge impone per analogia con i partiti: basta che ne facciano parte ex parlamentari o ex titolari di incarichi di partito da 10 anni, idem per le fondazioni che sponsorizzano con somme superiori a 5mila euro le attività di partito.

Le sanzioni: stop contributi fino a 5 anni 
In Italia, si sa, non c’è legge senza sanzione. E viceversa. Nel caso specifico l’articolo 4 stabilisce che eventuali violazioni degli obblighi di trasparenza e controllo siano puniti con una sanzione da 3 a 5 volte superiore al vantaggio economico conseguito dal partito o dal movimento politico. Se riguarda somme superiori a 50mila euro scatta anche il divieto a ricevere qualunque contributo, pubblico e privato per un tempo non inferiore a un anno e non superiore a 5. Per ogni violazione scatta in capo ai soggetti ritenuti responsabili l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

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“Ho fatto a pezzi Pamela, che è morta per un malore in casa mia dopo aver assunto droga“. A sette mesi dal ritrovamento del corpo chiusa in due trolley vicino a Macerata, avvenuto il 30 gennaio 2018Innocent Oseghale ha ammesso oggi di aver smembrato il corpo di Pamela Mastropietro, la 18enne romana scappata da una comunità di recupero marchigiana.

Il 29enne nigerianoaccusato di omicidio, vilipendio e distruzione di cadavere – lo ha detto ai magistrati della procura di Macerata, che lo hanno interrogato nuovamente nel carcere di Marino del Tronto. A giugno scorso erano arrivati i risultati delle perizie dei Ris e delle celle telefoniche che portarono il gip di Macerata Giovanni Maria Manzoni a revocare la custodia cautelare nei confronti di Lucky Awelima e Desmond Luckyi due nigeriani accusati insieme ad Oseghale.

Un mese prima, davanti al giudice, Oseghale aveva negato non solo l’omicidio ma anche quanto ammesso oggi. Aveva spiegato che la notte della morte di Pamela si è allontanato dal suo appartamento, in Via Spalato 124, a Macerata, lasciando soli Desmond Lucky e la diciottenne. “Lei aveva assunto eroina e stava male, aveva gli occhi all’insù”, raccontava Oseghale, aggiungendo di aver lasciato la casa per consegnare della droga, dopo che Lucky lo aveva traquillizzato sulle condizioni della ragazza. Una versione cambiata oggi nel corso del nuovo interrogatorio, durante il quale ha scagionato il connazionale.

“Una volta a casa Pamela si è iniettata l’eroina e subito dopo si è sentita male – ha raccontato in inglese davanti ai magistrati – Ho chiesto aiuto a Antonhy, un mio amico, al telefono. Lui mi ha suggerito di gettarle sul corpo dell’acqua fredda e di chiamare l’ambulanza. Ho avuto paura. Lei non rispondeva più”. A quel punto, ha aggiunto, “sono uscito a fare delle consegne”. Quando “sono tornato lei era morta” e “sono uscito a comprare un sacco per nascondere il corpo”.

Oseghale ha ricostruito: “Non ci sono riuscito perché il sacco era piccolo. Ho preso così la decisione di sezionare il corpo – ha continuato il 29enne, rigettando quindi l’accusa di omicidio e di violenza sessuale – Non l’avevo mai fatto prima. Ho nascosto i resti in due valigie e le ho portate con un taxi verso Sforzacosta ma ero al telefono e non mi sono accorto di aver superato il paese e così ho chiesto al tassista di lasciare le due valigie lungo il fossato. Temevo della reazione della mia compagna”.

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Il processo “Costa Pulita” contro la cosca Mancuso si è concluso con 29 condanne e una sola assoluzione. La sentenza è stata emessa oggi dal gup di Catanzaro che, tra gli altri, ha condannato a due anni di carcere anche l’ex sindaco di Briatico Andrea Niglia accusato di corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose. Eletto presidente della Provincia di Vibo il 28 settembre 2014, con l’appoggio dei renziani del Pd, esponenti di Ncd, Forza Italia e Fratelli d’Italia, il nome di Andrea Niglia era finito nell’inchiesta a causa di un’intercettazione dove si faceva riferimento a una promessa di posti di lavoro in cambio di voti per le elezioni comunali di Briatico nel 2010.

All’epoca, infatti, Niglia era candidato a sindaco e, stando alle indagini, per ottenere un vantaggio elettorale avrebbe offerto o promesso a Vincenzo Francesco Accorinti, fratello del capo cosca Nino Accorinti, l’assunzione del figlio Franco all’interno dell’Italcementi Spa di Vibo Marina. Inoltre, sempre Niglia avrebbe assicurato “la nomina alla carica di assessore di soggetti graditi alla cosca Accorinti, quali Salvatore Prostamo (condannato a 8 anni per associazione mafiosa, ndr) e Domenico Guglielmo Marzano (quest’ultimo anche con la carica di vice sindaco) in cambio del sostegno elettorale da parte del sodalizio criminale”.

Oltre all’ex presidente della Provincia, il gup di Catanzaro ha condannato sempre a 2 anni di carcere, ma per concorso esterno con la ‘ndrangheta, l’ex sindaco di Briatico Francesco Prestia. Quattro anni, invece, all’ex consigliere comunale Sergio Bagnato. A tutti e tre i politici locali, il gup ha concesso la sospensione della pena. Condanne più pesanti (fino a 14 anni di reclusione) sono state inflitte ai vertici della cosca Accorinti  finita, nell’aprile 2016, al centro dell’inchiesta “Costa Pulita” con la quale la Dda di Catanzaro ha fatto luce sulle infiltrazioni mafiose nel tessuto sociale, politico ed imprenditoriale di Briatico e Parghelia, centri costieri del vibonese.

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Allo stabilimento Electrolux di Susegana, alle porte di Conegliano, lo hanno già battezzato lo “sciopero delle angurie”. I sindacati hanno deciso una manifestazione di protesta contro la direzione dell’azienda produttrice di elettrodomestici che ha risposto alla richiesta di pause per far fronte al caldo torrido all’interno degli stabilimenti con una semplice messa a disposizione di fette di angurie. Saranno anche dissetanti, ma sempre di un palliativo si tratta. E come tale la rappresentanza dei lavoratori ha rispedito al mittente, come offensiva, la proposta.

Tutto è nato dai 32 gradi di temperatura nei locali di lavoro, in particolare nelle “catene”. È così partita la richiesta di inserire pause di dieci minuti in ogni ora di lavoro oppure, in alternativa, di ridurre i ritmi produttivi. L’azienda ha replicato offrendosi di far trovare una fetta d’anguria a testa in sala-mensa. Replica sindacale: “Non se ne parla nemmeno. A tutela della salute de lavoratori non bastano le angurie”. E così è scattata subito un’ora e mezzo di sciopero, in uscita, nel turno che va dalle 14 alle 22, quello più bersagliato dal caldo. I lavoratori sono andati a casa alle 20.30. Annunciate, poi, pause autogestite. In pratica, i lavoratori hanno deciso di prendersi le soste che l’azienda non ha concesso.

In questi giorni, probabilmente a causa del caldo, le assenze per malattia sono aumentate. “La temperatura è infernale all’interno delle linee produttive e non ci è neppure consentito ridurre i ritmi, perché i pezzi che devono essere assemblati hanno una velocità di scorrimento sempre identica” fanno sapere i lavoratori. Intanto i delegati di Fim, Fiom e Uilm hanno affisso un annuncio: “Servono misure extra e non solo angurie, abbiamo scritto una lettera all’azienda”. Commento di Augustin Breda, della Fiom Cgil: “Electrolux si rifiuta di predisporre un protocollo con determinate tutele in caso di temperature eccessive. La soluzione non può essere costituita da una fetta di anguria. E così le pause ce le prendiamo noi, visto che l’azienda, contro i regolamenti, ha rifiutato di darcele”.

“C’è grande attenzione sul problema della sicurezza anche perché la provincia di Treviso si segnala negativamente per infortuni sul lavoro. I capannoni della Electrolux sono molto vecchi, non c’è impianto di condizionamento. Abbiamo voluto lanciare in segnale forte perché con queste cose non si scherza” è il commento di Enrico Botter, segretario provinciale della Fiom-Cgil. “Alle richieste dei lavoratori è stato risposto: vi possiamo dare una fetta d’anguria. Non è così che si affrontano i problemi della salute dei lavoratori”.

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Un gruppo di delfini (stenelle, per la precisione) ha circondato una barca diretta all’isola Filicudi, nelle Eolie. Il video spettacolare è stato pubblicato da Filicudi Wildlife Conservation, sulla propria pagina Facebook. Secondo l’associazione, che si occupa di tutela delle risorse marine, i mammiferi erano almeno una ventina.

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Reggio Calabria, la difesa dell'ospedale: ortopedia non chiude alle 20

Il dg Francesco Benedetto parla a Sky Tg24: "Abbiamo 30 pazienti ricoverati in degenza ordinaria". Sulle denunce di fratture medicate con cartoni, il primario del reparto spiega che riguarderebbero solo due pazienti arrivati in ospedale già immobilizzati



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di Marco Marangio

“È la cittadinanza che decide se fare un tubo o non farlo”.
Queste le parole di Beppe Grillo pronunciate a riguardo del super contestato gasdotto Tap.
Era il 20 settembre 2014 in quel di Melendugno, luogo strategico prescelto per il tubo e che, partendo dall’Azerbaijan, potrebbe ancora approdare in Puglia.

Ricordo bene quel momento, poiché ero presente alla manifestazione di protesta alla realizzazione del gasdotto. Ero lì in qualità di cittadino salentino, ancor prima che da giornalista.
Ricordo bene quanto i cittadini appoggiarono la manifestazione pentastellata, coadiuvata anche da altre realtà associative apartitiche. Ricordo bene quanto i leader M5S vennero accolti sul palco con applausi e grida di speranza. Con buone ragioni tra l’altro, poiché il Movimento era l’unica forza politica che, ben tre anni fa, dava ascolto e sostegno a problematiche territoriali restate inascoltate dalle altre forze politiche, Partito Democratico in primis.

È doveroso sottolineare che i leader pentastellati del territorio hanno fatto, negli ultimi anni, la migliore opposizione possibile per impedire la realizzazione del Tap. Opposizione che è terminata non appena lo stesso Movimento ha varcato le soglie di Palazzo Chigi, forte non solo del consenso degli italiani, ma di tanti elettori del Sud.

Inutile dire quanto le ultime dichiarazioni del premier Conte, pronunciate in conferenza stampa al vertice Usa, abbiano allarmato non poco sia i salentini che gli stessi elettori pentastellati.
Affermare che il gasdotto Tap sia un’opera strategica ha non solo minato enormemente il lavoro politico territoriale fatto sinora, ma ha anche avvicinato il premier Giuseppe Conte a quella categoria di figure politiche che il Movimento ha fin qui combattuto fuori e dentro il Salento. “Tradire” i cittadini salentini e gli elettori con tali enunciazioni getta un’ondata di sfiducia senza pari, tenendo conto delle battaglie combattute per scongiurare il deturpamento ambientale del territorio.

Duole dirlo, ma le assonanze fra Italia e Usa, dichiarate dal premier Conte dinanzi al presidente Donald Trump, sono stridenti. Anzitutto, il proverbiale “governo del cambiamento” italiano ha ben poco da condividere con quello statunitense, giacché le motivazioni storiche e politiche che hanno portato Conte e Trump alla presidenza divergono in tutto.

In seconda istanza, è palesemente inesatto affermare che la realizzazione del Tap sia vantaggioso per entrambe le nazioni: l’Italia ne guadagna ben poco, mentre il Salento ha solo da perderci.
Si spera che le esternazioni del premier Conte siano dettate esclusivamente dalle esigenze comunicative proprie di un summit e, magari, anche dalla poca conoscenza che il presidente del Consiglio ha delle numerose e ferme iniziative “No Tap” che il Movimento ha portato avanti negli anni ben prima della sua entrata in politica sullo scenario nazionale.

Si spera, oltretutto, che faccia quanto promesso: ascoltare il popolo del Sud. Se lo facesse, conoscerebbe un popolo che antepone l’amore per la propria terra alla politica.

Caro premier Conte, non ceda anche lei al lato oscuro del Tap, come hanno fatto i suoi predecessori. Se lo facesse, il Movimento probabilmente perderebbe la sua “base” più dura e pura: quella del Sud.

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Un sistema di mazzette così consolidato da non richiedere nemmeno una parola, grazie al quale le domande per la cittadinanza italiana di alcuni extracomunitari che vivono a Reggio Emilia saltavano magicamente la fila. Il costo dell’avanzamento era di almeno 500 euro, soldi che si dividevano i titolari di agenzie di pratiche per stranieri e la responsabile dell’Ufficio cittadinanza della Prefettura, che riceveva il denaro per accelerare il processo. La donna, Sonia Bedogni, 60 anni, è stata arrestata con l’accusa di corruzione, al termine di un’operazione della polizia coordinata dal pm Giacomo Forte. Ai domiciliari sono finiti anche due fratelli pakistani, mentre per una donna marocchina che avrebbe fatto da tramite per tre pratiche è scattato l’obbligo di firma. Il gip del Tribunale di Reggio ha poi disposto il sequestro preventivo di 116mila euro, denaro contante che la funzionaria ha versato sul suo conto corrente negli ultimi 3 anni in date e cifre svariate e che, secondo, gli inquirenti, sono riconducibili a questa attività.

Le indagini della Polizia sono iniziate nel 2016, dopo che le voci di possibili irregolarità erano state confermate da un’analisi delle tempistiche di trattazione delle pratiche: “Ci siamo accorti che ogni tanto c’erano delle richieste che saltavano la fila ed erano riconducibili a specifiche agenzie straniere”, racconta al fattoquotidiano.it il dirigente della Squadra mobile di Reggio Emilia, Guglielmo Battisti. Da quel momento, per tre mesi, le intercettazione ambientali hanno permesso di accertare 15 episodi di corruzione per un totale di 35 pratiche. Fondamentali, più che le conversazioni, le immagini: “L’impiegata fa finta di guardare altrove e di cercare tra le carte, mentre il corruttore inserisce rapidamente le banconote nel fascicolo, ritirato poi dalla funzionaria che prende il denaro e lo mette nel cassetto vicino. Non c’è nessun accenno a prezzi e modalità e questo ci fa pensare ad una prassi ormai rodata”.

Un sistema curato nei dettagli dalla funzionaria della Prefettura, che si permetteva anche di riprendere chi non conosceva le sue regole: “C’è stata una persona che, forse essendo la prima volta, ad un certo punto si alza e si mette le mani in tasca per prendere i soldi”, prosegue Battisti. “Ma l’impiegata a quel punto lo stoppa bruscamente: ‘Non hai capito niente’, gli dice, accompagnandolo fuori dalla stanza”. Rapporti quindi anche con i privati e che in alcuni casi iniziavano con piccoli regali, come nel caso di un profumo fatto arrivare alla funzionaria da parte di una persona straniera, poi costretta a utilizzare il denaro per le pratiche relative a moglie e figli.

L’impiegata agiva soprattutto sull’accelerazione delle domande, ma gli inquirenti non escludono anche delle manipolazioni sui requisiti: “Dalle intercettazioni si intuisce che gli indagati riuscivano a mettere mano alle dichiarazioni dei redditi dei richiedenti, con dei Cud fatti su misura”, spiega Battisti. Quel che è certo è che la donna aveva il potere di velocizzare o bloccare il processo di una domanda di cittadinanza, la cui durata può superare anche i due anni. Il costo, spiega infine Battisti, dipendeva dalla problematicità della pratica e dai tempi richiesti, “ma chi voleva far salire la propria non pagava sicuramente meno di 500 euro”.

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Un processo fermo da un anno e continuamente rinviato per motivi burocratici: il caso della dottoressa Rita Fossaceca uccisa nel 2015 in Kenya non ha ancora trovato giustizia, l’ultimo rinvio è stato deciso dal giudice la settimana scorsa.

“È una situazione davvero difficile – riferisce l’avvocato Giulia Lozzi che assiste la famiglia del medico molisano – perché ogni volta le udienze saltano per motivi prevalentemente burocratici. Il processo in Africa è ormai fermo da circa un anno, praticamente da quando sono state acquisite in videoconferenza dall’Italia le testimonianze dei familiari della dottoressa e delle infermiere volontarie. Questo stop prolungato è diventato motivo di ulteriore dolore per i parenti che sperano nella giustizia keniota affinché possano essere individuati i responsabili dell’omicidio. Tutto questo è straziante anche perché non ci sono tempi certi per arrivare ad una sentenza. Al momento sappiamo solo che, dopo i tanti rinvii, la prossima udienza è stata fissata alla fine dell’estate”.

Rita Fossaceca era originaria di Trivento, in provincia di Campobasso, si trovava in Africa per conto dell’associazione ‘For Life Onlus’ per aiutare i bambini ospiti di un orfanotrofio nella zona. La donna faceva esperienze di volontariato in Africa da 11 anni.

Fossaceca fu uccisa la sera del 28 novembre 2015 da un commando di rapinatori nel piccolo villaggio di Watamu, del distretto di Malindi, a nord di Mombasa. La donna fu raggiunta da un colpo di pistola mentre cercava di proteggere la madre, assalita con un machete. I banditi ferirono anche gli altri suoi famigliari presenti: il padre, lo zio sacerdote e due infermiere. Sul banco degli imputati ci sono due persone, accusate di aver preso parte al piano per assaltare la casa del medico molisano, ma gli altri complici del commando non sono mai stati individuati e incriminati.

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La pubblicazione lo scorso 28 giugno del Decreto di autorizzazione da parte del ministero dello Sviluppo economico guidato da Luigi Di Maio ha messo fine alla vicenda del Metanodotto Larino-Chieti, ma non alle polemiche. “Un’opera strategica nel trasporto gas nel centro-sud”, a detta di chi la realizza. Ma le contrarietà sul fronte delle associazioni ambientaliste, da Legambiente al Coordinamento Trivelle Zero del Molise, passando per il Forum abruzzese dei Movimenti per l’Acqua e il Comitato No Stoccaggio Poggiofiorito, sono numerose. Viene ricordato che il tracciato attraversa 16 siti di interesse comunitario e una zona di protezione speciale, oltre all’area archeologica di Montenero. Zone sensibili sia dal punto di vista naturalistico-paesaggistico che dal punto di vista del dissesto idrogeologico. In più non sarebbe da sottovalutare il rischio sismico indotto che si presenta con l’estrazione e lo stoccaggio del gas metano.

“E’ approvato il progetto definitivo dell’opera denominata “Metanodotto Larino-Chieti”, compresa la realizzazione di impianti e infrastrutture accessorie, indispensabili all’esercizio dell’opera stessa, della Società Gasdotti Italia S.p.A. depositato presso il Ministero dello sviluppo economico”, recita il Decreto di autorizzazione da parte del dicastero del vicepremier M5s. Non propriamente un’opera condivisa. Tecnicamente il metanodotto (“Larino-Chieti”) è incluso nella Rete Nazionale dei Gasdotti, approvata nel gennaio 2013, e costituisce il completamento della dorsale adriatica della Società Gasdotti Italia, tra i terminali posti a nord a San Marco e a sud a Larino. Un tracciato di 111,450 km, che si snoda tra la provincia di Campobasso in Molise e, soprattutto, quelle di Pescara e Chieti in Abruzzo. Progettato dalla Società Gasdotti Italia Spa nell’ambito del Piano di Sviluppo Decennale della propria rete di trasporto gas-naturale per gli anni 2014-2023, si sviluppa parallelamente alla costa ad una distanza compresa tra i 10 e i 16 km verso l’interno. Costo stimato? 120milioni di euro.

“Un’opera in contrasto con gli impegni presi dall’Italia in Europa e sostanzialmente inutile per la collettività. Anzi dannosa”, sostiene Lucio Nelli di Legambiente Abruzzo, secondo cui “il gasdotto non è strategico ai fini dei consumi del gas, ma è strumentale solo per chi lo realizza, in quanto per stessa ammissione del proponente serve a connettere le aree per realizzare pozzi di stoccaggio”. Per Andrea De Marco, direttore di Legambiente Molise, si tratta di “un’opera non strategica, di nessun interesse pubblico e non in linea con gli obiettivi della strategia energetica nazionale. Ci aspettavamo che, considerato l’ampio fronte di contestazione nato tra Abruzzo e Molise, il governo mettesse in stand-by la realizzazione dell’opera con il fine di capire meglio il suo futuro e l’impatto che questa avrà sul territorio”. Senza contare che, secondo il coordinamento No Hub del gas, “per la posa dei tubi si dovranno fare enormi sbancamenti in numerose aree perimetrate come siti di interesse comunitario per la fauna e la flora. Inoltre saranno sacrificati vigneti e oliveti per decine di ettari” .

Dall’ufficio stampa del Mise assicurano che il ministro Di Maio ha intenzione di rivalutare il gasdotto. Di ripensare ad un progetto nel passato criticato. Intanto però è stato regolarmente autorizzato ed è stato dato giudizio positivo circa la compatibilità ambientale. Prima dalla Regione Molise, nel novembre 2015. Poi dalla Regione Abruzzo, nel luglio 2016. Le due amministrazioni hanno poi approvato la costruzione dell’opera, nel febbraio e nel giugno 2018. E si è conclusa positivamente la Conferenza dei servizi di giugno 2018.

Ancora una volta dunque gli ambientalisti si trovano all’opposizione. Strenuamente contrari, insieme a qualche sindaco dei 26 comuni attraversati dall’opera, ad un progetto del governo. Anche se in passato il gasdotto era stato osteggiato anche dal M5s abruzzese ed europeo. “Riteniamo che quest’opera vada ripensata. Il Mise dovrebbe bloccare l’iter, quanto meno fino a nuovi approfondimenti sui rischi idrogeologici e sismici del territorio ove insisterà l’opera. Visto quello che è accaduto in Abruzzo con la neve, le piogge e gli allagamenti ci si chiede se il progetto non renda ancora più vulnerabile una regione che ha purtroppo evidenziato l’incapacità di sostenere eventi atmosferici eccezionali”, dicevano nel febbraio 2017 il deputato Gianluca Vacca e il consigliere regionale Sara Marcozzi. A novembre 2015 invece il portavoce del Movimento al parlamento europeo Pienicola Pedicini, con un’interrogazione si era rivolto alla Commissione europea per capire se fossero state rispettate le norme comunitarie in tema ambientale. Ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare Vacca, nel frattempo divenuto sottosegretario al Mibac nel Governo Conte, Marcozzi e Pedicini, per sapere ora cosa ne pensano, ma senza successo.

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La sedicente politica italiana scorre dall’espressione torva di Matteo (vade retro) Salvini a quella ridanciana di Luigi Di Maio (di Mao, lo ha soprannominato qualcuno per l’abboffata di “rivoluzioni culturali” che pretende di propinarci). Ci si chiede: fino a quando i due ragazzi in carriera – l’uno all’attacco e l’altro a rimorchio (mentre pigola attorno il premier passerotto Giuseppe Conte) – potranno tenere in piedi questa sceneggiata di governo, in cui entrambi recitano la parte degli statisti mentre giocano le loro rispettive partite elettorali? Con grave disdoro, destinato ad accrescersi, di quanti perseguono nell’accreditare l’esperimento gialloverde per quello che non è, avendo come unica carta argomentativa vincente il raffronto con le baggianate/porcate di chi li aveva preceduti.

Ma il richiamo al passato dei tremuli fantasmini (Enrico Letta, Paolo Gentiloni) o dei poltergeist bruciabaracche (e il pensiero corre all’arraffone Matteo Renzi, dall’Air force one alle ville fiorentine) non sono risolutivi – e tantomeno assolutori – in quanto quei leader di cartone operavano in un quadro mondiale il cui barometro segnava – tutto sommato – bel tempo (la presidenza Usa volenterosa e dialogante di Obama, la congiuntura economica favorevole dopo il trauma della caduta del muro di Wall Street). Gli attuali leader “sotto la chiacchiera niente” dovrebbero guidare la povera Italia oltre le secche di catastrofi – queste sì – epocali: il ritorno agli egoismi protezionistici delle nazioni, il collasso del quadro di riferimento continentale, in cui l’Unione ovviava alle debolezze/inadeguatezze delle piccole patrie europee.

Purtroppo i nostri ragazzi meraviglia hanno come unico riferimento di cultura politica i non rimpianti modelli dei partiti acchiappatutto di Prima Repubblica e gli stilemi imbonitori di matrice berlusconiana della Seconda. Non certo le necessarie capacità di  analisi. Per cui stride sentire Salvini che dichiara di “comportarsi come un papà” quando innesca terrorismi di massa contro extracomunitari, che si stanno traducendo in respingimenti di immigrati non “a casa loro” ma qui, a casa nostra: la legittimazione di un fai da te xenofobo che va dalla bimba di un anno ferita con il fucile ad aria compressa al giovane barista senegalese picchiato a sangue a Partinico.

Intanto Di Maio giustifica l’accordo con la Lega sulla presidenza Rai per un noto putiniano, dicendo che il suo essere “sovranista è una bell’epiteto, presente anche nella nostra Costituzione”. Così confondendo sovranità con sovranismo: il cavallo di Troia della strategia di Vladimir Putin per destabilizzare il lato europeo dell’ordine mondiale, visto che quello oltre atlantico già lo controlla avendo vinto le presidenziali americane con l’elezione del ricattabile Donald Trump. E – detto tra noi – il signor Marcello Foa non è il solo giornalista italico simpatizzante con il Cremlino e il suo despota ex Kgb, assai drastico nel modo di far fuori gli oppositori.

La strana coppia reggerà ancora per molto nell’operazione di tenere assieme strategie in divaricazione? Lo scopriremo vivendo.

Intanto stanno entrando in collisione dalle parti di Susa le rispettive narrazioni: l’anti Tav dei 5 stelle, che consolida il rapporto con gli ambientalisti e l’elettorato che identifica le grandi opere nel grande complotto; il pro Tav della Lega, per confermare nei followers l’idea ottocentesca che vira le infrastrutture fisiche di mobilità in chissà quale panacea, intercetta il blairismo benpensante alla Chiamparino e affarismi berluscones. Un groviglio indistricabile trasformato in nodo gordiano (l’opera, seppure inutile su una linea che non ha bisogno dell’alta velocità, procede da decenni e incomberebbero penali allo stop), che qualcuno vorrebbe tagliare con una consultazione popolare. Ipotesi che fa venire in mente precedenti non lontani: sarà ancora una volta il referendum a troncare esperienze di governo in stallo?

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Danilo Toninelli, ministro alle Infrastrutture, ha presentato in Senato le linee guida del suo dicastero. In particolare, sulla Tav ha detto: “Il governo attuerà la revisione dell’opera nell’ottica di una stima dei costi e dei benefici. Dopo l’analisi, una volta verificata l’utilità dell’opera, il governo potrà valutare l’eventuale vantaggio e gli eventuali costi di tutte le alternative che saranno ipotizzate, compresa quella di recedere dalla prosecuzione dei lavori“. In un altro passaggio Toninelli, sempre sulla Torino-Lione, ha affermato: “La revisione complessiva contempla anche l’abbandono del progetto“.

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Musei, Bonisoli: “Dopo l'estate abolite le domeniche gratis”

Addio #domenicalmuseo, “era un lancio pubblicitario – ha spiegato il ministro dei Beni culturali da Napoli – saranno i direttori a scegliere se e quando farle”



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Non era mai accaduto che una nave italiana riportasse in Libia i migranti soccorsi nel Mediterraneo. Ma ora c’è un precedente. Perché lunedì la Asso Ventotto, vascello di supporto a una piattaforma petrolifera dell’Eni, ha recuperato 108 persone a bordo di un gommone nel Mediterraneo riaccompagnandoli nel porto di Tripoli. Il gommone in difficoltà, come ricostruisce il deputato di Leu Nicola Fratoianni, era stato segnalato dal Centro di coordinamento e soccorso di Roma della Guardia Costiera. Poi, secondo il racconto del parlamentare che ‘avverte’ di “avere le prove”, è stato il caos, tra mancante risposte dell’Italia e della Libia con il vascello battente bandiera italiana che nel corso di una comunicazione radio, spiega Fratoianni, ha ammesso di “seguire le disposizioni di Eni”. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto a Eni di fornire una propria versione, ma l’azienda si è limitata a dire che “sono in corso verifiche”.

La ricostruzione/1 – Secondo il deputato di Leu le autorità italiane erano informate fin dall’inizio dell’intera operazione di soccorso in quanto “la prima segnalazione di un gommone in difficoltà era partita proprio dal Imrcc di Roma“. “È stato un respingimento collettivo”, ribadisce ricostruendo attraverso le comunicazioni radio quanto avvenuto. “Sul sistema Navtex (il sistema utilizzato dalle navi su cui circolano i messaggi di soccorso, ndr) abbiamo ricevuto un messaggio rilanciato da Imrcc Malta ma proveniente da Imrcc Roma in cui si segnalava un gommone blu in difficoltà in area libica”, spiega sottolineando che subito dopo aver ricevuto l’allarme Open Arms, a bordo della quale è imbarcato, si è mossa verso l’area indicata. “Poco dopo – aggiunge – il Colibrì, un aereo da ricerca francese, dà comunicazione a tutti, dunque all’Italia, a Malta e ai libici di altri due gommoni bianchi in difficoltà a nord di Sabratha, nei pressi di una piattaforma petrolifera”. Da Open Arms a quel punto contattano Imrcc Roma, “con un mail e per telefono, due volte, ma non riceviamo alcuna indicazione. E comunichiamo anche ai libici – aggiunge Fratoianni – ma a 3 dei 4 numeri non risponde nessuno mentre l’ultimo chi prende la chiamata parla solo arabo. Poco dopo ci mandano una mail dicendoci che sarebbero intervenuti loro”. Dalla nave della Ong partono le imbarcazioni veloci per la ricerca dei gommoni, ma non trovano nulla. Poco dopo entra in scena Asso Ventotto.

La ricostruzione/2 – “Apprendiamo che ha recuperato 108 migranti (in realtà, preciseranno più tardi, sono 101, tra cui 5 donne e 5 bambini) – dice Fratoianni – Contattiamo l’equipaggio che conferma il recupero, spiegandoci di essere stati loro ad avvistare il gommone ad un miglio e mezzo dalla piattaforma e di aver avuto indicazione di riportali a Tripoli“. E da chi arriva questa indicazione? “La prima risposta è ‘dai libici’ – sottolinea Fratoianni – ma subito dopo si contraddicono e affermano: ‘Stiamo seguendo le indicazioni della piattaforma per cui lavoriamo’. Vale a dire dall’Eni”. Il deputato sostiene inoltre di essere “praticamente certo” che Asso Ventotto abbia sbarcato i migranti direttamente nel porto di Tripoli. “Ad un certo punto abbiamo intercettato una comunicazione radio – spiega – tra un certo ‘mister Ceci’, probabilmente qualcuno a bordo della piattaforma, e Asso Ventotto. L’uomo chiedeva se durante la notte il rimorchiatore sarebbe stato ‘alla via’, vale a dire in navigazione, e l’equipaggio risponde: ‘Non credo, penso che saremo in porto'”.

Salvini: “Male informati” – Un ruolo italiano nella vicenda viene negato da Matteo Salvini con un post su Facebook: “Male informati”, scrive il ministro dell’Interno. Mentre l’Unhcr ha comunicato di aver iniziato a raccogliere “informazioni” sul caso perché la “Libia non è un porto sicuro” e il trasbordo a Tripoli “potrebbe comportare una violazione del diritto internazionale”. La Guardia costiera italiana “non ha coordinato e partecipato a nessuna di queste operazioni, come falsamente dichiarato da una ong straniera e da un parlamentare di sinistra male informato”, ribatte Salvini. “La Guardia Costiera libica nelle ultime ore ha salvato e riportato a terra 611 immigrati – ha scritto il capo del Viminale in un post su Facebook – Le ong protestano e gli scafisti perdono i loro affari? Bene, noi andiamo avanti così!”.

Unhcr: “Possibile violazione diritto internazionale” – Il caso era stato segnalato nella tarda serata di lunedì da Fratoianni: “Abbiamo appreso che uno dei gommoni segnalati oggi dalla Guardia Costiera italiana, con 108 persone a bordo nel Mediterraneo, è stato soccorso dalla nave Asso Ventotto, battente bandiera italiana, che si sta dirigendo verso Tripoli”. “Non sappiamo ancora se questa operazione avviene su indicazione della Guardia Costiera italiana (fatto poi confermato da Repubblica, ndr) – scriveva Fratoianni – ma se così fosse si tratterebbe di un precedente gravissimo, un vero e proprio respingimento collettivo di cui l’Italia ed il comandante della nave risponderanno davanti ad un tribunale. Il diritto internazionale prevede che le persone salvate in mare debbano essere portate in un porto sicuro e quelli libici, nonostante la mistificazione della realtà da parte del governo italiano, non possono essere considerati tali”. Anche l’Unhcr, attraverso il suo profilo ufficiale di Twitter, ha spiegato di aver acquisito “informazioni” e che se il racconto fosse confermato sono “possibili violazioni del diritto internazionale”.

Fico aveva detto: “Porti libici non sicuri” – Sulla questione della sicurezza dei porti libici, nelle scorse settimane, si era espresso anche il Consiglio d’Europa attraverso uno dei suoi portavoce ribadendo che “nessuna nave europea può riportare migranti in Libia perché contrario ai nostri principi”. E nelle stesse ore del soccorso della Asso Ventotto, il presidente della Camera, Roberto Fico, incontrando in piazza i manifestanti delle “Mani Rosse” aveva spiegato che “La Libia non è un luogo sicuro, i migranti non possono stare in luoghi dove manca la tutela dei diritti umani“.

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Francia contro Inghilterra. Quella che con i suoi cent’anni è stata una delle guerre più lunghe della storia e che poteva essere la finale dei Mondiali di Russia 2018, oggi è la nuova polarità nel mondo della telefonia mobile. La sfida tra Iliad e Vodafone si è arricchita di un nuovo capitolo con la sospensione dell’ultimo spot della multinazionale inglese tacciato come “ingannevole”.

La sentenza è arrivata dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria che ha dato ragione alla denuncia portata avanti dalla compagnia low cost francese Iliad (insieme a Fastweb) contro lo spot con protagonista la cantante italiana Baby K. Sotto accusa la scarsa informazione con cui Vodafone avrebbe “ingannato” i suoi clienti. “Nasce Vodafone Unlimited, Giga Illimitati sulla app che ami di più: social unilimited, chat unlimited, mappe unlimited, musica unlimited. Un’estate senza limiti sulle rete senza limiti” recitava lo slogan nello spot, sulle note del tormentone «Da zero a cento». Nella pubblicità però, già passata sia sui canali tv che sul web, non venivano comunicati al consumatore i costi di attivazione e quelli extra nel caso si fosse oltrepassata la soglia. Così la Iap ha accettato la denuncia di Iliad e ha sancito la sospensione della pubblicità.

Vodafone dice così addio a Baby K e allo spot più ballerino dell’estate. Lo sgambetto subito, però, altro non è che l’evoluzione digitale del classico occhio per occhio. Quella dei francesi infatti è una vendetta servita a stretto giro di posta dopo che la stessa Vodafone, in società con Tim, aveva denunciato e fatto sospendere lo spot di lancio della nuova compagnia low cost, rea di aver offerto “messaggi pubblicitari ingannevoli e promesse impossibili da mantenere”. Il Gran Giurì solo pochi giorni fa aveva dato ragione alle due superpotenze sentenziando che, nella pubblicità, Iliad non aveva indicato in modo corretto i costi di attivazione e i limiti di utilizzo dati in Europa. La “guerra” era iniziata nei mesi scorsi con l’annuncio di ho. mobile, l’operatore virtuale targato Vodafone e buttato nel mercato come freno alle offerte pazze della compagnia low cost. La sfida continua e ora si allarga anche al campo della pubblicità. Sperando non duri cent’anni.

L'articolo Iliad e Vodafone, vince la compagnia francese: ritirato lo spot con Baby K perché “ingannevole” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Quattro milioni di persone, nello stato nord-orientale di Assam in India, hanno scoperto di essere “invisibili“. Dopo la pubblicazione dell’aggiornamento del National Register of Citizen – il registro dei cittadini – milioni di famiglie hanno scoperto di esserne escluse, perdendo di fatto la cittadinanza e i diritti a questa legata: rischiano ora l’espulsione. Stando alla legge indiana solo coloro che possono dimostrare di essere entrati in India prima del 25 marzo 1971 – data dell’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan – hanno diritto alla cittadinanza. Ufficialmente da New Delhi fanno sapere che si tratta di una stretta contro l’immigrazione illegale, ma dietro questa mossa c’è l’ombra di una discriminazione contro una minoranza etnica e religiosa.

Un terzo degli abitanti di Assam sono infatti famiglie musulmane, arrivate in India anche in seguito alla guerra di indipendenza dal Bangladesh. E adesso, dopo decenni, queste famiglie rischiano di perdere tutto: da apolidi non hanno più diritto al welfare, ad esempio, alla proprietà e al voto. E possono anche essere espulsi dal Paese, senza avere un posto dove andare, dal momento che il Bangladesh – che deve già fare i conti proprio con l’emergenza dei Rohingya – non ha manifestato alcuna intenzione di accogliere questi 4 milioni di persone. E proprio come per la comunità Rohingya – costretta alla fuga di massa dalla Birmania – gli attivisti per i diritti umani pensano che dietro questo aggiornamento del censimento ci sia la volontà, da parte del partito nazionalista indù del premier Narendra Modi, di accanirsi contro la minoranza religiosa.

Il ministro federale Rajnath Singh ha dichiarato che la procedura di aggiornamento del National Register of Citizen si è svolta sotto la direzione della Corte Suprema, sostenendo poi che “alcune persone stanno politicizzando la questione e creano inutilmente un’atmosfera di panico e paura“. Il governo fa sapere che le persone rimaste fuori dal registro possono presentare reclami e obiezioni a partire dal 28 agosto e i profughi ritenuti irregolari non saranno espulsi immediatamente, ma avranno un’ultima possibilità di consegnare una documentazione che provi il loro diritto di restare in India, entro la fine dell’anno. Per coloro che invece non sono ben accetti, gli attivisti denunciano la possibilità dei centri di detenzione nell’attesa di un’espulsione non si sa dove.

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“Lascerò maggiore libertà ai direttori: se un direttore vuole la domenica gratuita non c’è nulla di male. È l’obbligo che non va bene. Quando sono costretto dal Ministero ad aprire gratis la prima domenica di agosto con migliaia di turisti stranieri non va bene. Non avete idea dei commenti che sento a livello internazionale quando questi arrivano ed entrano gratis. Rischiamo anche di svalutare il valore dei nostri siti. Portare avanti questa iniziativa ben oltre il periodo per la quale era stata pensata non è una cosa che serve e fa bene al nostro paese e ai nostri beni culturali”. Così il ministro della Cultura Alberto Bonisoli sulle domeniche gratuite nei musei e nei siti di interesse culturale, a margine della conferenza stampa sull’acquisizione al patrimonio culturale italiano delle lettere autografe di Giacomo Leopardi a Francesco Puccinotti

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Lo aveva detto una decina di gorni fa dai microfoni di Radio24, ma il fatto di averlo ribadito anche in sede istituzionale durante un’audizione alla commissione Lavori pubblici del Senato riguardo alle linee programmatiche del suo dicastero, rende ufficiali le sue intenzioni a riguardo: il ministro Toninelli ha ha deciso di introdurre l’obbligo per i dispositivi anti-abbandono dei bimbi in auto.

Si tratta di congegni non particolarmente complicati da integrare sui seggiolini, dotati di alert sonoro e/o visivo in grado di segnalare ai genitori che l’avessero dimenticata la presenza dei figli piccoli nei sedili posteriori. Ma ce ne sono anche di quelli che funzionano tramite app, che avvisano mamma e papà direttamente sui loro device, come smartphone e tablet.

Come già anticipato, la via per l’obbligatorietà passa necessariamente per l’aggiornamento dell’articolo 172 del Codice della Strada, quello che regola l’utilizzo delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta tra cui i seggiolini: “da subito vogliamo modificarlo“, ha detto Toninelli, “la novità renderà obbligatorio l’acquisto di un dispositivo elettronico che avvisa di aver dimenticato il proprio figlio in auto. Un modello come quello già in uso negli Stati Uniti“.

Le famiglie, assicura il Ministro dei Trasporti, non saranno tuttavia lasciate sole nell’acquisto di tale ritrovato. A sostegno “saranno previsti incentivi fiscali”, probabilmente nella misura di una detrazione fino a 200 euro sul costo degli stessi, come lo stesso Toninelli aveva anticipato qualche giorno fa.

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Raoul BovaRocio Munoz Morales aspettano il loro secondo figlio. Uno scatto pubblicato in esclusiva dal settimanale Chi mostra infatti l’inequivocabile “pancino” dell’attrice che sarebbe già al quinto mese di gravidanza. Rocio è stata fotografata in un parco di Madrid mentre gioca con la piccola Luna, primogenita della coppia nata nel 2015. Ancora non si sa se si tratta di un fratellino o di una sorellina. I due attori sono legati dal 2013 dopo la fine del matrimonio di Raoul Bova con Chiara Giordano, da cui ha avuto due figli Alessandro e Francesco. Bova si appresta quindi a diventare papà per la quarta volta.

Presto vedremo di nuovo Rocio protagonista nella nuova stagione della fiction di Rai 1 “Un passo dal cielo”, mentre ha appena finito di condurre la versione spagnola di “Ballando con le stelle”. Lo scorso maggio Bova le veva dedicato un pensiero affettuoso su Instagram proprio in vista del suo debutto alla guida del programma spagnolo: “Mi emoziona sapere che sei tornata nella tua terra con un’opportunità meravigliosa, circondata da belle persone, piene di entusiasmo ed energie positive. Noi siamo sempre insieme, è bello condividere ogni momento della vita con te… con toda l’alma”. “Con te il mio mondo è migliore”, aveva risposto Rocío.

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Contro l’assoluzione della corte d’appello di Firenze la procura generale, con il sostituto Vilfredo Marziani, ha presentato ricorso in Cassazione. Lo riporta il quotidiano La Nazione. Il 7 dicembre per gli ex vertici di Mps Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gian Luca Baldassarri era stato dichiarato un verdetto di non colpevolezza rispetto all’accusa di ostacolo alla vigilanza di Bankitalia. Cuore del processo la ristrutturazione del derivato Alexandria e soprattutto l’aver celato, stando all’accusa, in una cassaforte della banca il contratto mandate agreement con la banca giapponese Nomura. L’accordo con la banca giapponese ufficialmente ritrovato nell’autunno 2012 in una cassaforte collegava il derivato che stava azzerando i conti di Siena con l’acquisti di titoli di Stato che avrebbe portato la banca al definitivo collasso.

In primo grado, con sentenza emessa il 31 ottobre 2014 dal Tribunale di Siena, Mussari era stato condannato per concorso in ostacolo alla vigilanza a 3 anni e 6 mesi di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. La stessa pena stata inflitta a Vigni e Baldassarri. In secondo grado i tre imputati vennero tutti assolti perché il fatto non costituisce reato. Il pg Marziani aveva chiesto in appello una condanna maggiore, a 7 anni per Mussari, e a 6 anni per Vigni e Baldassarri ritenendo che gli imputati volontariamente non dissero agli ispettori di Bankitalia del contratto. Tuttavia, anche le difese dei tre imputati hanno presentato ricorso in Cassazione per chiedere che le assoluzioni siano per non aver commesso il fatto (e non ‘perché il fatto non costituisce reato), volendo sottolineare con questa formula assolutoria che non ci fu nessuna volontà degli imputati di nascondere i documenti agli ispettori della Vigilanza.

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Il sì di Gonzalo Higuain è arrivato nella notte, dopo il summit chiuso alle 2.42 del 31 luglio tra Leonardo e l’agente e fratello del giocatore Nicolas: salvo clamorosi colpi di scena, il Pipita diventerà a breve il nuovo attaccante del Milan di Gattuso: arriverà in prestito per 18 milioni di euro, con diritto di riscatto fissato a 36 milioni. Sbloccata la situazione Higuain, la maxi-operazione tra Juventus e rossoneri può andare avanti con la chiusura dello scambio alla pari tra Leonardo Bonucci e Mattia Caldara: entrambi i difensori sono valutati 40 milioni di euro e per considerare chiusa la trattativa, secondo la Gazzetta dello Sport, mancano solo le conferme ufficiali.

I numeri che portano Higuain a Milano non sono casuali. Nel suo primo colpo da nuovo direttore tecnico dei rossoneri, Leonardo aveva bisogno di convincere il calciatore del prestito con diritto di riscatto. Una formula che non lega definitivamente l’argentino al Milan, ma l’unica possibile per aggirare i paletti del Fair Play Finanziario, facendo figurare a bilancio di questa stagione solamente i 18 milioni del prestito. Con gli altri 36 previsti per rilevare il cartellino, la Juventus incasserà in tutto 54 milioni di euro: esattamente l’obiettivo di Giuseppe Marotta e Fabio Paratici, che dovevano evitare una minusvalenza. A risultare decisivo per chiudere la trattativa è stata però l’offerta rossonera a Higuain, che ha confermato l’ingaggio percepito a Torino: 7,5 milioni di euro all’anno più bonus.

Le ragioni dello scambio Bonucci-Caldara sono invece più tecniche. Il Milan ha bisogno di liberarsi di quello che 365 giorni fa era il suo top player, sia per fare spazio nel monte ingaggi che per accontentare l’ormai ex capitano, già desideroso di tornare in bianconero dopo appena una stagione. Dall’altra parte la Juventus cercava un difensore con esperienza in Champions League per completare l’undici con cui tentare nuovamente l’assalto all’Europa, dopo l’acquisto di Cristiano Ronaldo. Per farlo però i bianconeri rinunciano a uno dei più interessanti profili italiani: quel Caldara che dopo due anni da titolare all’Atalanta sembra pronto per il salto di qualità e ora al Milan formerà con Romagnoli una coppia di centrali di 24 e 23 anni.

Se il Milan riesce a compiere due importanti operazioni in entrata, nonostante un’estate travagliata tra Europa League in bilico e cambio di proprietà, la Milano nerazzurra continua la sua campagna acquisti. Dopo Martinez, Asamoah, De Vrij, Nainggolan e Politano, a rinforzare la corsia di destra di Luciano Spalletti arriva anche il croato Sime Vrsaljko: all’Atletico Madrid 6,5 milioni per il prestito oneroso e riscatto fissato a 17,5. Stessa formula con cui all’Inter è in procinto di arrivare anche Arturo Vidal. La società ha ricevuto il sì del Bayern Monaco che ha avviato le pratiche per rinnovare il contratto del centrocampista cileno. Poi lo lascerà partire verso Milano per una cifra complessiva intorno ai 30 milioni di euro.

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Molestie sessuali, la Procura chiede l’archiviazione per Brizzi

Secondo i pm, "il fatto non sussiste". Il regista era stato iscritto nel registro degli indagati in aprile dopo la denuncia presentata da tre donne



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Aggressione Daisy: si indaga per lesioni, esclusa aggravante razziale

Secondo la Procura di Torino, nell’ambito dell’inchiesta sulla vicenda dell’atleta italiana di origine nigeriana colpita da un uovo per strada a Moncalieri, non sono emersi elementi che facciano ipotizzare un episodio a sfondo discriminatorio



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Il dibattito interno all’esecutivo sulla questione Tav rischia di avere una prima, vera conseguenza. Secondo quanto riportato dall’edizione odierna de La Stampa, infatti, la Telt – società incaricata di costruire e gestire la nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Lione – ha deciso di congelare la gara internazionale per il primo mega-appalto per l’avvio dei lavori del tunnel di base di 57,5 chilometri. Per evitare prove di forza con i cinquestelle al governo – è il ragionamento del quotidiano torinese – la società italo-francese non ha firmato le procedure per il lancio della gara da 2,3 miliardi di euro. La scelta non dovrebbe avere delle ripercussioni sul rispetto dei costi e dei tempi previsti per la realizzazione dell’opera, anche se lo stop non potrà durare più di qualche mese. Tutte le carte erano e restano pronte, ma se ne riparlerà nei prossimi mesi. Una decisione dettata dalla volontà di evitare, in questo momento di incertezze, atti che possano essere letti come di arroganza e insensibilità rispetto ad una parte della maggioranza di governo.

La stessa società, tuttavia, ha diramato una nota ufficiale che suona come una mezza smentita dell’indiscrezione pubblicata da La Stampa, assicurando che il bando “è previsto da planning entro l’estate”: “In questo momento si stanno completando le valutazioni tecnicogiuridiche in vista della pubblicazione degli appalti sulla Gazzetta Europea” si legge nel comunicato di Telt, che “come da programma concordato con l’Unione europea dai due Stati, sta lavorando alla pubblicazione di bandi per la realizzazione della sezione transfrontaliera della Torino-Lione per un totale di 5,5 miliardi di euro entro il 2019.

CHIAMPARINO: “CAPISCO TELT, COSI’ COM’È È BLOCCATO”
Sulla questione un’interpretazione chiara è arrivata dal governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, che ha legato la decisione della Telt alle ultime dichiarazioni del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Quest’ultimo il 24 luglio aveva scritto sulla sua pagina Facebook che, essendo in programma una ridiscussione dell’intera infrastrutura, “nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera”. A leggere Chiamparino, è questo il motivo che ha spinto al congelamento della gara da parte di Telt. “Inviterò il ministro Toninelli agli Stati Generali delle Infrastrutture, a settembre, per fare chiarezza sulla situazione Tav – ha detto l’ex sindaco di Torino – Spero venga, visto che fino ad ora non ha risposto alle mie richieste di incontro, perché così come stanno le cose la Tav é in uno stato di blocco e capisco Telt – ha aggiunto – che risponde al governo, se non ha firmato un appalto da miliardi. Sarebbe, se è vero, un atto di prudenza comprensibile a fronte di un governo che dice guai a chi firma”. A sentire Chiamparino, “è chiaro che la Tav è una questione squisitamente politica – ha aggiunto – perché se no non si capirebbe perché il Brennero va bene e la Tav no. Non è un problema di Grandi Opere ma un problema politico, il governo usa questa tattica politica sulla questione per equilibrare con la sua ala più di sinistra il disagio per altre questioni come l’alleanza con Salvini”. Chiamparino ha quindi ancora riproposto l’idea di un referendum sulla Tav. “A chi ha espresso tante perplessità su questa idea – ha concluso – chiedo quale altra idea hanno per conoscere il pensiero dei cittadini. So bene che ci vuole una legge regionale, ma se il Consiglio regionale vuole farlo si può fare la legge in autunno e andare a referendum all’inizio del 2019. Vediamo adesso cosa vogliono fare, parlano di un altro incontro dopo settembre per valutare i costibenefici. Insomma – è stato il parere di Chiamparino – c’è materia per un incontro a settembre con tutti gli attori coinvolti, dal ministro agli industriali, per parlare di infrastrutture, non solo sulla Torino Lione, ma anche sulla Asti-Cuneo. Eravamo al traguardo, poi tutto si è bloccato”.

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Ringrazio tutte le persone che oggi ricordano mia madre, ricordarla in molti modi sarà una mia finalità e spero presto -finiti gli studi universitari- di scrivere un libro su di lei”, Virginia Valente parla di sua madre al Corriere Quotidiano. Due anni senza Anna Marchesini, il 30 luglio 2016 l’attrice era venuta a mancare a soli 62 anni. Le condizioni della comica, pochi giorni dopo aver presenziato alla laurea di sua figlia, si erano aggravate dopo aver combattuto a lungo contro l’artrite reumatoide.

Un ringraziamento a chi continua a tener vivo il talento e l’arte della Marchesini ma anche la volontà di raccontarne aspetti inediti: “Da piccola è stata il mio unico punto di riferimento, era una mamma attenta, dolcissima, ma non apprensiva. Con lei ho creato un rapporto fantastico, che nel tempo è diventato di amicizia, intima e vera, uno scambio intellettuale continuo, perché con lei niente era banale o ripetitivo. Tutto diventava “altro”!”.

La ragazza classe 93 è nata dal matrimonio con Paki Valente, con cui non ha rapporti da anni, ed è cresciuta solo con mamma Anna: “Naturalmente per me non era Anna Marchesini, era la mia mamma, non sono mai stata gelosa del suo lavoro, perché non mi ha mai trascurato. Sono sempre stata curiosa, ero la prima a conoscere i testi che scriveva, e a ironizzare insieme a lei. Mi mancano i suoi abbracci, il suo modo calmo di parlarmi, la sua risata inconfondibile e la capacità di creare uno spettacolo ogni giorno, solo per me!”.

Una carriera lunga quarant’anni costellata dai successi con Il Trio in compagnia degli amici Tullio Solenghi e Massimo Lopez fino agli impegni da solista. Ha interpretato più di cento personaggi, molti di questi rimasti nella memoria del pubblico: dalla Signorina Carlo alla sessuologa Merope Generosa dalla Sora Flora alla Piccina a tantissimi altri. Per ricordarla ieri la Rai ha trasmesso sulla prima rete una puntata speciale di Techetechete, vista da quasi quattro milioni e il 20% di share, e su Rai3 uno speciale di Parlo da Sola con Pino Strabioli che ha superato il 7% di share. I telespettatori si sono sintonizzati in massa per osservare ancora una volta l’attrice dai mille volti.

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La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per il regista Fausto Brizzi, indagato per violenza sessuale dopo le denunce presentate da tre donne. Per i pm infatti “il fatto non sussiste“: in base a quanto accertato dai magistrati, nella vicenda non sono stati riscontrati profili di natura penale. Nello scorso mese di aprile lo stesso Brizzi era stato ascoltato dai pm e aveva fornito elementi utili a chiarire la sua posizione. Non solo, gli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Maria Monteleone, hanno svolto accertamenti anche per i due casi, quelli risalenti ad alcuni anni fa, le cui denunce erano arrivate oltre i termini di legge.

Il regista era stato inserito nel registro degli indagati lo scorso aprile dopo che, sull’onda del movimento #MeToo, era stato accusato di tre episodi di molestie avvenuti nel 2014, 2015 e 2017. Secondo le tre giovani, il regista le avrebbe invitate nel suo loft per dei  “provini” privati“Mai e poi mai nella mia vita ho avuto rapporti non consenzienti o condivisi”, aveva dichiarato Brizzi travolto dallo scandalo. Il regista aveva dovuto anche sospendere tutte le sue attività lavorative.

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Lesioni senza l’aggravante razziale. È questo il reato ipotizzato dalla Procura di Torino, al momento contro ignoti, nell’ambito dell’inchiesta sull’aggressione a Daisy Osakue, l’atleta italiana di origini nigeriane ferita ad un occhio da un uovo lanciato da un auto in corsa a Moncalieri nella notte tra domenica e lunedì. Ma la giovane atleta non ha dubbi: “Non volevano colpire me come Daisy, volevano colpire me come ragazza di colore“, ha detto ieri.

Nei giorni precedenti all’aggressione, tuttavia, erano stati segnalati altri episodi analoghi e le vittime non erano di colore. Il Fiat Doblò da cui sono state lanciate le uova contro la primatista italiana di lancio del disco era stata già segnalata alle autorità nei giorni scorsi e oggi Brunella Gambino, 48 anni, residente nella stessa zona in cui è l’azzurra di atletica è stata colpita, ha raccontato al Corriere della Sera di essere stata vittima di un fatto analogo il 25 luglio. La donna ha spiegato di essere appena uscita da una pizzeria con due amiche, nella stessa zona di Moncalieri dell’ultimo episodio, quando l’auto, con i fari spenti, ha accelerato verso di loro per poi colpirle con le uova.

Inizialmente, colte di sorpresa e spaventate, le donne non hanno capito subito di cosa si trattasse e hanno pensato gli fosse stata lanciata una bottiglia di vetro – così come Daisy ha temuto si trattasse di acido. In questo caso però, a differenza dell’ultimo episodio, i conducenti dell’auto hanno ripetuto l’aggressione contro le stesse vittime. Quando il Doblò ha fatto il giro dell’isolato, infatti, ha ritrovato le tre donne – racconta l’intervistata – ed è seguito un secondo lancio di uova. In questo secondo “round”, la donna dichiara di aver visto qualcuno sporgersi dall’auto, ma era troppo buio e la vettura troppo veloce perché potesse riconoscere il colpevole del gesto.

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