In attesa di sapere se le restrizioni Covid vigenti nel territorio cubano consentiranno di muoversi liberamente per raccontare la fase storica che l’isola sta vivendo, credo sia opportuno riassumere i punti salienti della crisi che minaccia popolazione e regime castrista.
Scrivere su Cuba in questo particolare momento, in cui le proteste dilagano, è impresa ardua, bersagliati da rumors, propaganda di Stato e fake news che mirano soprattutto a far cadere il governo. Ed è la gente ordinaria, come sempre, a farne le spese, tra i due fuochi dell’escalation Covid – aggravata da un collasso delle strutture sanitarie che soffrono in particolare la penuria di farmaci per via della materia prima scarsamente reperibile – e la crisi alimentare, che potrebbe a breve accomunare Cuba e Venezuela nell’incubo di un’emergenza umanitaria.
Tra Bloqueo e Burocrazia
Le prime manifestazioni spontanee di protesta sono iniziate a San Antonio de los Baños a 30 km circa da La Habana, e a Palma Soriano nella provincia di Santiago. Si sono poi estese alla capitale con la presenza di migliaia di persone, come documenta El Mundo. Il fattore scatenante è stato quello degli apagones, cioè le interruzioni di energia elettrica della durata anche di 12 ore. Inconveniente di cui i cubani – a differenza di altri paesi di America Latina e Caraibi nei quali è ricorrente – soffrono durante le tempeste tropicali ma che solitamente risparmiava la routine quotidiana.
Nei miei soggiorni a Cuba, dal Periodo especial in poi, li ho sperimentati raramente, mentre in Giamaica sono episodi ricorrenti anche in aree residenziali. Ciò unito all’aggravamento della situazione sanitaria per via della sempre più scarsa materia prima che consentiva di produrre i farmaci nell’isola, ora di difficile reperimento a causa dell’embargo cronico statunitense e per il cambio di governo in Colombia e Brasile negli ultimi anni – in tempi passati fornitori abituali con l’Argentina – che sotto Iván Duque e Jair Bolsonaro alleati di Donald Trump, hanno interrotto i rapporti commerciali con Cuba; ostilità sancite anche dalla fuoriuscita di ottomila medici cubani dal Brasile in seguito alla cancellazione del programma Más Médicos da parte di Diaz Canel, dopo la decisione di Bolsonaro di riqualificare tali medici secondo i criteri brasiliani, e la sua offerta di asilo politico per coloro che si fossero adeguati alle nuove regole rifiutando il richiamo in patria.
A tutto ciò si aggiunge la cronica penuria alimentare, aggravata quest’anno, malgrado la recente riforma agraria che non può essere implementata per via della mancanza di pezzi di ricambio per trattori e macchinari, sempre causa embargo.
Secondo testimonianze pervenute da La Habana, il pollo sarebbe diventato raro, la carne di res (vacca) pressoché irreperibile, e anche il piatto classico arroz y frijoles (riso e fagioli) comincerebbe a scarseggiare, insieme al maiale. Riguardo alle violenze della polizia, aldilà delle fake news provenienti dalla diaspora di Miami, ho ascoltato connazionali attendibili che vivono a Cuba da anni e che hanno riportato quanto segue: l’11 luglio iniziano le prime rivolte che in realtà si preparavano da anni, e che la pandemia ha scoperchiato. Disperazione e fame hanno spinto la gente ad esplodere, soprattutto tra gli strati poveri che ormai non hanno più niente da perdere. Alla loro rabbia si è affiancata la frustrazione e la disperazione dei giovani, soprattutto studenti, che non tollerano la repressione da parte del regime. Sono scese per le strade migliaia di cubani che non ce la fanno più: l’embargo, la carenza di generi alimentari, spesso al buio di notte, con gas e acqua razionata. E il lavoro statale, ancora con turni di 12 o 24 ore, salario medio tra i 30 e i 50 dollari, niente possibilità di sciopero, come pure constatano da me a Santiago.
La polizia, che non aveva mai assistito a proteste di tale portata, avrebbe sparato in aria per disperdere la folla, ma nel caos alcuni agenti avrebbero perso il controllo sparando ad altezza uomo, ferendo molti e uccidendo una persona, morte confermata dalla stessa polizia. Gli arresti di massa conseguenti avrebbero causato 500 dispersi di cui ancora non si ha notizia per il divieto imposto ai familiari di comunicare con loro. La rete è stata bloccata e contemporaneamente è iniziata una campagna politica molto forte, contro il bloqueo e gli Usa, colpevoli di aver inviato infiltrati con lo scopo di alimentare il dissenso. Una manifestazione organizzata dal governo ha fatto seguito, portando nelle piazze circa centomila attivisti.
José Ferrer, all’opposizione da vent’anni, è stato arrestato e rinchiuso in carcere di sicurezza insieme agli studenti più in vista. Per alcuni sarebbero già state emesse sentenze senza una difesa legale, e condanne fino a dieci anni di carcere. Nel video che segue, si notano parecchi esagitati nell’ambito di una protesta per lo più pacifica, e la reazione della polizia che però non sconfina nella violenza abituale che ho riscontrato in Giamaica, Brasile e Colombia. Per completezza, ecco anche il servizio della tv cubana che smentisce le foto di manifestazioni scattate invece in altri paesi.
Diaz Canel ha ammesso però che ci sono stati errori nell’azione anti-pandemica e ritardi nella gestione della crisi alimentare. Pur stigmatizzando le proteste come “infiltrate da delinquenti e controrivoluzionari che hanno sfruttato l’immaturità dei giovani” ha tolto le restrizioni che limitano le quantità di cibo e farmaci consentite ai viaggiatori che entrano a Cuba, così come richiesto dai social media con l’hashtag #SOSCuba.
La critica più feroce al regime viene proprio dallo stesso lato della barricata: Alternativa Comunista, portavoce italiano della Quarta internazionale in America Latina che si rifà alle teorie di León Trotsky, condanna l’oligarchia castrista come responsabile del tradimento dei principi rivoluzionari, rimpiazzati da una sorta di capitalismo di Stato che ha arricchito l’apparato burocratico e militare a scapito della popolazione, attraverso il controllo totale delle corporazioni che incassano il cash flow del turismo, linee aeree comprese.
Conclusioni
Dal mio punto di vista, che il castrismo abbia le sue belle colpe non ci piove, per gli abusi della sua burocrazia e delle forze armate che lo compongono, pur se con riforme tardive dopo un socialismo reale ingessato per decenni.
Ciononostante, la recrudescenza dell’embargo nei confronti di Cuba con Trump ha assunto nel tempo le dimensioni di un vero e proprio Bloqueo, come lo chiamano a Cuba: si è passati dal divieto per le società statunitensi di commerciare con un paese ostile, all’utilizzo di azioni legali anche nei confronti delle imprese straniere che intrattengono relazioni economiche con il governo cubano. In pratica, con Trump si è tornati indietro ai tempi della Guerra Fredda, nel 1962, dopo la fallita invasione della Baia Dei Porci. Una guerra commerciale che consolida ogni giorno che passa lo stato di crimini contro l’umanità.
Tutto ciò finora avallato dalla classica ipocrisia dem di Joe Biden, che sventolando l’usuale vessillo della democrazia esportata, in realtà non aspetta altro che il cadavere del suo nemico storico gli passi davanti, parafrasando un antico proverbio cinese.
Foto credit © F.Bacchetta
L'articolo Cuba, il castrismo ha le sue colpe ma le proteste dipendono soprattutto dell’embargo Usa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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