Il giornalista è sempre impegnato in una lotta impari contro la sciatteria e l’imprecisione. Purtroppo in questo lavoro si commettono spesso errori, anche con le migliori intenzioni e con il massimo dello scrupolo. Che un giornalista sbagli è spiacevole, soprattutto per il giornalista, e per me è doppiamente spiacevole quando a sbagliare sono io. Ma che a sbagliare sia l’Istituto nazionale di statistica è un po’ allarmante.

Lunedì 25 febbraio l’Istat presenta un importante rapporto Il mercato del lavoro 2018 – verso una lettura integrata: aula magna dell’Istituto, convocati tutti i giornalisti che seguono queste cose, un pubblico di esperti, dibattito. Partecipo anche io. Vengono proiettate le slide, distribuito il rapporto in edizione cartacea, che viene pubblicato anche on line.

Tra i dati che il rapporto sottolinea fin dal primo capitolo c’è la distanza dell’economia italiana dal livello pre-crisi: abbiamo superato il numero di occupati del 2008, siamo a 23,3 milioni, la le ore lavorate sono più basse. Di quanto? 1,8 milioni all’anno, si legge nel testo del rapporto. Più di una volta (pagina 1 e pagina 8). E io così riporto nel mio articolo.

Piccolo dettaglio: l’Istat si è sbagliato. Non sono 1,8 milioni, ma 1,8 miliardi! Un errore (refuso?) clamoroso nel testo del rapporto che io, colpevolmente, ripeto nel mio articolo.

Ammetto che mi è sfuggita la tabella con i valori assoluti – e non le differenze – dove si legge che le ore lavorate nel 2008 erano 34.373.837 miliardi, cioè poco più di 34 miliardi (non milioni) mentre nel 2018 sono 32.610.064 migliaia, quindi 32,6 miliardi.

Ora, io mi cospargo il capo di cenere per non aver controllato e non essermi accorto dell’errore mentre scrivevo l’articolo (che ho notato grazie a utenti Twitter cui il numero sembrava un po’ basso). Ma come è possibile che un rapporto dell’Istat venga pubblicato e presentato senza che nessuno si accorga di uno svarione così gigantesco?

Dopo la mia segnalazione l’Istat ha corretto tutti i documenti on line. Ma come accade in questi casi, se trovi un errore così poi ti chiedi: potrò fidarmi del resto?

L'articolo Storia di un errore clamoroso dell’Istat (e mio) proviene da Il Fatto Quotidiano.



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