“La mafia aveva degli esplosivi stoccati a bordo del Moby Prince“. Trent’anni dopo la strage del 10 aprile 1991, in cui morirono 140 persone, c’è ancora, nasconde ancora aspetti inediti, per non dire indicibili. L’ultimo esce fuori da un fascicolo rimasto “fantasma” attraverso i decenni: è riemerso dall’archivio di una delle associazioni dei familiari delle vittime, ma non è mai stato messo a disposizione della commissione d’inchiesta del Senato da parte del tribunale di Livorno. Il presunto coinvolgimento della malavita organizzata nell’incidente avvenuto a poche miglia dal lungomare di Livorno è il centro di una conversazione avvenuta nel novembre 1994 tra Franco Lazzarini (all’epoca presidente di uno dei diversi comitati dei familiari), un avvocato di Viareggio e un allora tenente della Capitaneria di Porto. Una conversazione registrata su un nastro e fatta trascrivere dal pm che aveva appena chiuso l’inchiesta sul disastro navale di Livorno, Luigi De Franco.
Un colloquio a tre tutto da verificare, da capire, da pesare. Nella registrazione l’avvocato viareggino attesta di aver ricevuto la proposta di un “malavitoso” disposto per “2 miliardi di lire” a raccontare una verità a lui nota sulla strage, di cui il legale ha anticipato gli elementi principali ai presenti. Il malavitoso avrebbe riferito la presenza di “molto esplosivo a bordo” del Moby Prince “nascosto da uno della nave” e appartenente alla mafia “con ogni probabilità parte di altri quantitativi”. L’avvocato indica più volte la sua paura di “giocare con la nostra incolumità personale” e cita la possibilità di fare “arrestare” questa fonte. Un colloquio da verificare, appunto: la trascrizione con tali notizie di reato fu trasmessa dal pm De Franco al giudice per le indagini preliminari Roberto Urgese, responsabile della valutazione su archiviazione o richiesta di nuove indagini o rinvio a giudizio degli indagati. Ma né Urgese chiese supplementi di indagini mandando a processo quattro figure legate ai mancati soccorsi (e poi assolte) né la Procura compì ulteriori approfondimenti di quelle informazioni.
La presenza di esplosivo mafioso all’interno dei traghetti non è un aspetto nuovo. Per esempio ne parla il pentito Maurizio Avola in merito alla stagione stragista condotta da Cosa Nostra e ‘Ndrangheta nei primi anni Novanta. Secondo le sue testimonianze rese nel 1995 era intenzione della mafia, per esempio, realizzare attentati a bordo dei traghetti. Tra questi anche quelli della compagnia della famiglia dei Morace, storici co-fondatori di Navarma (antenata di Moby Lines) con Achille Onorato poi rimasta a tutela delle questioni legali del gruppo, e successivamente proprietari di compagnie di navigazione anche in Sicilia.
La vicenda dell’esplosivo nel Moby Prince è sempre stata ricondotta alle tracce di sostanze detonanti rinvenute dalla polizia scientifica nel locale eliche di prua del traghetto. Il locale fu teatro di una indiscutibile esplosione, ricondotta dalla commissione ministeriale del 1991-1992 ad una deflagrazione da gas, secondo la perizia della Mariperman, cioè la commissione permanente per gli esperimenti del materiale da guerra della Marina Militare. Secondo i tecnici di Mariperman le tracce di esplosivo erano residui di quantitativi non esplosi ma andati a fuoco. Nessuno tuttavia indagò mai sul perché, a prescindere, in quel traghetto si fossero trovati degli esplosivi non autorizzati. A quanto pare neanche dopo l’offerta di un malavitoso (sia pure da verificare per intero) di testimoniare la provenienza di quegli esplosivi.
Il fascicolo fantasma rinvenuto solo nei giorni scorsi è quasi integralmente dedicato alla questione “esplosione” a bordo del traghetto. A sostenere la tesi fu soprattutto l’armatore del Moby Prince, Vincenzo Onorato. Anzi Onorato affermò di aver dato 50 milioni a Franco Lazzarini, ex presidente di un comitato dei familiari delle vittime, per aiutarlo a continuare le indagini sul disastro. “Lazzarini – disse l’armatore – mi disse di aver saputo, da fonte certa, che un aereo privato proveniente dalla Corsica avrebbe scaricato il proprio carico di esplosivo sulla Moby. Lazzarini non aveva più soldi e così glieli prestammo noi”. E Onorato ripeté le sue convinzioni anche davanti ai pm, identificando nella concorrente Corsica Ferries il mandante del presunto attentato.
Vale la pena ricordare che la Navarma, la società del Moby Prince, beneficiò di una plusvalenza sul traghetto proprio in forza di un quadro assicurativo emerso grazie al lavoro della commissione d’inchiesta del Senato. L’azienda controllata da Onorato e dalla madre dopo l’incidente incassò un risarcimento del danno a valore di polizza, 20 miliardi, e non di perizia: il valore fu tre volte quello del traghetto. Una delle due polizze assicurative proteggeva il traghetto da “rischi guerra”, includendo nella definizione anche atti terroristici, come appunto l’esplosione di polvere nera o qualsiasi altra sostanza detonante. E nelle copie delle due polizze trasmesse nel 1992 alla Procura di Livorno dal legale della compagnia Carlo Borghi, del foro di Livorno, solo quella “rischi guerra” è firmata.
Quanto all’esplosione nel locale eliche di prua “la commissione d’inchiesta ha solo ribadito un fatto già noto – precisa a ilfattoquotidiano.it Gabriele Bardazza, consulente tecnico dei fratelli Chessa, i figli del comandante del traghetto morto a bordo insieme alla moglie – cioè che non è stata causata da un ordigno militare ovvero ad alto potenziale. Ma nulla dice circa una possibile esplosione causata da un ordigno a basso potenziale come la polvere nera. Il dubbio rimane e per toglierselo basterebbe seguire l’indicazione del maggiore Paride Minervini, esperto esplosivista nominato dalla Commissione d’inchiesta, che nel dicembre 2017 suggeriva nella sua relazione di eseguire opportune analisi di laboratorio sui reperti rinvenuti e conservati nell’archivio del tribunale a Livorno”.
Nella foto in alto: lo squarcio provocato sul ponte di manovra del Moby Prince dall’esplosione avvenuta nel locale eliche di prua.
L'articolo “Esplosivi della mafia a bordo del Moby Prince, c’è un affiliato disposto a parlare”. Ma la magistratura non ha mai indagato proviene da Il Fatto Quotidiano.
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