ottobre 2018

Diciotto casi di bambini nati tra il 2000 e il 2014, senza braccia o con malformazioni agli arti superiori, di cui 8 in un raggio di soli 17 chilometri quadrati attorno al villaggio di Druillat, nel dipartimento dell’Ain. Il caso è stato svelato in Francia grazie alla denuncia dell’epidemiologa Emmanuelle Amar, direttrice del registro delle malformazioni congenite della regione Rodano-Alpi (Remera), che ha reso pubblico il tasso anomalo di malformazioni nella zona di Druillat: 7 neonati senza braccia o mani tra il 2009 e il 2014, una cifra 58 volte superiore al normale. Un dato, secondo Amar, non spiegabile attraverso fattori genetici né con l’uso di sostanze.

Dopo la divulgazione dei dati, l’Agenzia per la salute pubblica ha deciso di aprire una inchiesta nazionale: il ministro della Salute, Agnes Buzyn, ha comunicato che i risultati sono attesi entro il 31 gennaio. La scorsa settimana sono stati diffusi i risultati di indagini regionali condotte nelle tre zone interessate (la Bretagna, la Loira Atlantica e, appunto, il dipartimento dell’Ain), che, a sorpresa, hanno negato qualunque anomalia, pur riscontrando un eccesso non spiegato di malformazioni (agenesia trasversale degli arti superiori) in Bretagna e Loira. Alcuni scienziati intervistati da Le Monde, però, avevano criticato i risultati della ricerca, denunciando “errori grossolani” nel metodo con cui era stata condotta. Nel frattempo a Emmanuelle Amar e al suo team è stato comunicato il preavviso di licenziamento: ufficialmente il motivo è la mancanza di fondi per il prossimo anno, ma secondo l’epidemiologa si tratta di una vendetta per aver sollevato il caso. La procedura è stata poi sospesa lunedì 29 ottobre, dopo poco più di una settimana.

Ieri, martedì 30 ottobre, è stata invece diffusa la notizia dell’individuazione del diciottesimo caso, l’ottavo intorno a Druillat. Louis, sei anni, è nato senza le dita di una mano: grazie alla mediatizzazione della vicenda, la madre Axelle è venuta a conoscenza degli altri casi. “Nessuno me l’aveva mai detto, sono molto arrabbiata perché avremmo potuto saperlo prima”, ha detto all’emittente francese Rtl. “È importante che sappiano perché sono nati così in modo che possano crescere correttamente, hanno bisogno di sapere”, dice. Lunedì ha deciso di spiegare al suo bambino che altri bambini, non lontano da casa, sono nati con una malformazione. “Lo rende felice, si sente meno solo”, ha raccontato.

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Bagarre in Aula nel corso del voto sul decreto Genova. I tempi si sono allungati rispetto alle previsioni, con il M5s che ha attaccato il Pd di voler fare ostruzionismo. “Non siamo contro il decreto, ma contro lo scandalo di un condono edilizio a Ischia, nel collegio del ministro Di Maio“, ha replicato Ettore Rosato, invitando la maggioranza a eliminare il provvedimento. In caso di emendamento sospensivo sulle norme di Ischia, ha rivendicato il Pd, i lavori procederebbero poi in modo rapido. A replicare è stato il capogruppo pentastellato Francesco D’Uva: “Noi non pretendiamo che il decreto possa piacere alle opposizioni, ma diciamo che qui sono state dette cose non vere. Parlare di condono a Ischia non è corretto, non è corretto che sui fanghi aumentiamo l’inquinamento. Il decreto c’è, è atteso e il M5s non vuole più perdere tempo e lo vuole approvare. Perdere tempo non serve a nessuno”.

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di Roberto Sormani

E’ il turno di Marco Carta e come sempre si ripropone il dibattito interno alla comunità LGBT+, anche dentro Wake Up Italia. Io sono in minoranza e questo non lo prendo quasi mai molto bene, come ha scoperto chiunque opinasse sui miei folti capelli. La divisione, però, vale la pena di essere raccontata, se non altro per sollevare noi pover* LGBT+ dal peso dell’impressione che si dà di rappresentare sempre l’intero gruppo di appartenenza. Un po’ come quando ci si dice “Ma dai, sei gay? Non l’avrei mai detto!” e manca solo che aggiungano un sentito “Complimenti!”. O come quando si dice che noi gay facciamo tutti un sacco di sesso e siamo un po’ pervertiti (e invece credetemi: ci sono anche dei gay “noiosi”). O come quando ci si chiede “Ma voi come fate questo, e come fate quest’altro? E voi cosa ne pensate?”. Ma io non gestisco un istituto di sondaggi e non sono troppo informato sulla posizione dell’universo gay (figuriamoci poi LGBT+). Per dare la misura di quanto son messo male quanto a omosessualità generale: Marco Carta giuro di non averlo non solo mai ascoltato, ma nemmeno mai sentito per caso alla radio mentre mi radevo la folta chioma. Al più chiedetemi una mozione di minoranza.

C’è grossa divisione, dicevo, sul coming out di Marco Carta. Su un fronte c’è chi dice che sono fatti suoi e non doveva necessariamente fare coming out e chi, invece, dice che doveva farlo prima. Entrambi i campi presentano argomenti condivisibili. Da un lato si nota come il coming out possa essere ancora fonte di disagi, sia in casa sia in famiglia, e non si possa quindi obbligare un uomo gay ad affrontarli. Dall’altro, invece, si sostiene che un musicista è un role model per molte persone e con il suo silenzio sta rinunciando a un potere che potrebbe fare del gran bene alla società e a tanti ragazzi ancora invisibili.

Entrambe le posizioni hanno senso. Io stesso ho avuto un percorso molto accidentato nel mio coming out col mondo e certamente non è bello costringere una persona, anche se ricca e famosa, ad affrontare discriminazioni che non possiamo conoscere, solo per un obbligo morale nei confronti del gruppo di appartenenza. Non abbiamo ancora creato la pink police e non ci sono ancora certificazioni di omosessualità controllata e garantita. Anche uno dei miei idoli musicali, pur non avendo fatto ufficialmente coming out, ha scritto delle canzoni così intrise dell’esperienza del maschio gay nella provincia anni 90 da essere per me un enorme punto di riferimento a quindici anni. Però se si fosse dichiarato mi avrebbe dato forza. Rinunciare al potere che si può avere sulle masse per smuovere le coscienze e dare speranza a chi si sente solo è un peccato e, dunque, sarebbe meglio rinunciare solo se veramente necessario.

Insomma, a ciascuno la sua opinione. Su una cosa, però, dobbiamo capirci. Dobbiamo smetterla di fare finta che “Io non lo dico, ma non lo nascondo”. Vero: nel mondo ideale non ci sarà bisogno di dirlo. Se una ragazza non dice esplicitamente di essere eterosessuale, sarà assolutamente normale pensare che sia lesbica, o bisessuale, o non pensare niente affatto. Allo stesso tempo non ci sarà niente di male nel chiederle se sia lesbica o bisessuale, una volta che ci si è entrati in confidenza, ma guardiamoci negli occhi: quel mondo ideale non è ancora arrivato. Sembra anzi allontanarsi sempre di più se anche nel Regno Unito i reati omo-transfobici aumentano rapidamente. Se vado da uno che mi piace e gli chiedo “Per caso sei gay?” con buona probabilità quello non la prende bene. Siamo tutte e tutti vittime di eterosessualità presunta. Possiamo fingere che non sia così, ma in fondo lo sappiamo che fino a quando non lo diciamo a chiare lettere il mondo ci tratterà come se fossimo eterosessuali. Autoconvincerci del contrario può essere una strategia di sopravvivenza se siamo in situazioni di grossa difficoltà, per esempio se siamo figli di un Mario Adinolfi o qualche altro nemico dei gay. Né possiamo dirci, se siamo effeminati, che “tanto tutti lo sanno”. Per fortuna, ci sono molti eterosessuali effeminati.  E’ pieno di uomini famosi molto effeminati, eppure quanti di questi personaggi possiamo dire con certezza che siano gay? Zero.

Allora ha ragione Marco Carta. Il coming out è un atto di libertà e, in quanto tale, dev’essere libero, ma diciamo le cose come stanno: non dichiararsi, nel mondo in cui siamo, vuol dire nascondersi.

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Secondo un recente articolo pubblicato sul blog di Immobiliare.it, nonostante si debba attendere il prossimo 29 marzo perché la Brexit sia effettiva, si possono già misurare i primi effetti di questa nuova organizzazione sul mercato immobiliare locale.

L’andamento del settore, ad ora, sembra infatti smentire in parte le previsioni fatte dagli esperti: stando ai numeri ci si deve ricredere rispetto al fatto che la Brexit avrà effetto principalmente sugli immobili commerciali. Al contrario di quanto ha registrato il residenziale, il comparto commerciale si mantiene particolarmente competitivo e appetibile agli occhi dei compratori.

Grande interesse da parte degli investitori, soprattutto asiatici

I primi investitori nel Paese per ciò che riguarda gli immobili commerciali sono gli asiatici, tendenza che potrebbe essere legata al cambio favorevole o a interessi di business lungimiranti. Molto attivi in particolare i sudcoreani, che con l’acquisto della nuova sede londinese di Goldman Sachs per 1,35 miliardi di euro hanno portato a termine, lo scorso settembre, la seconda acquisizione più grande nella storia del Regno Unito.

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea non sembra dunque dare preoccupazioni a coloro che possiedono il budget necessario per investire, anche se gli Europei si rivelano più cauti rispetto agli orientali. Basti ricordare il caso del francese Amundi, che di recente ha liquidato tutti gli asset decidendo di non investire più in UK. In calo rispetto al passato anche le quote degli investimenti americani, a causa della crescita del mercato degli immobili commerciali britannico: i prezzi troppo alti non rispondono più alle logiche di business degli imprenditori statunitensi.

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Alla Milan GamesWeek in area Indie abbiamo incontrato Gerardo Verna, uno dei fondatori nel 2015 di Trinity Team Studio, che ha raccontato ai nostri microfoni il lavoro dietro la nascita di Slap & Beans, il videogioco che omaggia le celebri pellicole di Bud Spencer e Terence Hill.

Il gioco, sviluppato a stretto contatto con la famiglia Pedersoli, si presenta con uno stile retrò, una giocabilità coinvolgente, e può vantare la presenza delle più celebri colonne sonore dai film.

(video di Fabio Abati)

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“Sulla Tav aspettiamo la fine dell’analisi costi-benefici, è prematuro quantificare l’impatto dello stop all’Alta velocità Torino-Lione“. Così alla Camera il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, replicando a una domanda di Forza Italia nel corso del question time.
E ancora: “La sospensione della pubblicazione delle gare in attesa che venga completata l’analisi costi-benefici dell’opera è avvenuta sulla base di uno scambio di lettere tra i ministeri competenti di Italia e Francia. Al momento, il Ministero dell’Economia e delle finanze non dispone di elementi informativi in merito alla data di chiusura dell’analisi costi-benefici in corso”. Le parole di Tria hanno provocato la protesta dei deputati di Forza Italia, che hanno urlato “dateci la Tav” e hanno esposto cartelli con la scritta “Sì Tav: ladri di lavoro”.

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Addio alle cattedre Natta: il governo targato Lega-M5s ha deciso di cancellare definitivamente il più renziano (e contestato) dei provvedimenti per l’università. Sopprimerle, però, è stato quasi un atto di pietà: in realtà il decreto non aveva mai visto la luce, era stato rinnegato già dallo stesso Pd che aveva cominciato a svuotarlo di soldi, dirottando le risorse su altre necessità più urgenti e lasciando il fondo in sospeso. Ora il governo ha deciso di porre fine all’agonia.

La decisione è inserita nella bozza di legge di bilancio che dovrà essere approvata entro la fine dell’anno: tra le varie misure che riguardano il Ministero dell’Istruzione c’è anche “l’abrogazione delle cattedre Natta”. Si tratta di 500 super professori che, secondo un’intuizione non particolarmente felice dell’ex premier Matteo Renzi, avrebbero dovuto essere assunti dagli atenei senza concorso e noiose trafile burocratiche (e con il massimo stipendiale), su indicazione di una commissione speciale insediata a Palazzo Chigi. Premiare il merito bypassando l’unico strumento per antonomasia meritocratico (i concorsi): un modo davvero curioso di rinnovare l’università italiana. Infatti l’idea, partorita nella legge di bilancio 2016, viene immediatamente travolta da una serie di polemiche non appena si comincia a capire quale sarebbe stato il meccanismo di selezione, rigettata dallo stesso mondo accademico spaventato dall’invasione politica e dalla violazione della propria autonomia.

Siamo nell’autunno 2016 e lì comincia il calvario delle povere Cattedre Natta: il decreto attuativo che avrebbe dovuto tradurre in pratica l’idea renziana si perde fra i corridoi del Miur e di Palazzo Chigi, bloccato dalle proteste e dai tentativi di rimediarvi, complice anche il referendum costituzionale e il passaggio di testimone fra il governo Renzi e quello Gentiloni. Non se ne sa più nulla per mesi, poi a metà 2017 la ministra Valeria Fedeli annuncia che l’iter è pronto a ripartire. Falso allarme, altro silenzio imbarazzato di cui non si conoscono motivi né durata. Poi la svolta arriva per davvero, ma in negativo: la legge di bilancio 2018 utilizza gran parte delle risorse delle cattedre Natta per finanziare un bonus ai docenti universitari in rivolta per il blocco stipendiale. È evidente a tutti, infatti, che l’università italiana abbia problemi più urgenti della cooptazione di questi “super-professori”, visto che quelli “normali” hanno la carriera ferma da anni. Il provvedimento non risolve la grana in maniera strutturale, ma è comunque un contentino piuttosto costoso per le casse pubbliche: 2.000-2.500 euro a testa per un totale di circa 40-50 milioni all’anno. Soldi che, in mancanza di meglio, il governo decide di prelevare dal fondo delle cattedre.

Di fatto le cattedre Natta muoiono in quell’esatto momento: la loro dotazione era di 75 milioni a decorrere dal 2017, ma senza i 50 stornati per il bonus ai prof e qualche altro spicciolo già utilizzato per altri provvedimenti (8 milioni al diritto allo studio, 5 ai dottorati), rimanevano solo le briciole, insufficienti per qualsiasi piano almeno fino al 2020 quando non avrebbe avuto più alcun senso andare a ripescare una proposta vecchia e già bocciata in passato. Così adesso il governo ha deciso di metterci un punto una volta per tutte: le cattedre Natta non si faranno mai. Resteranno solo un ricordo improbabile dell’università italiana secondo Renzi.

Twitter: @lVendemiale

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“Sò fascisti, è vero, ma dovremmo imitare Casapound per il loro modo di stare in mezzo alla gente”. Questa la frase che ha scatenato una bufera nel Pd. A pronunciarla, martedì sera a Viterbo, il senatore Bruno Astorre, candidato alla segreteria del partito nel Lazio che proprio ai congressi di circolo della Tuscia ha preso il 62% di consensi. Le sue parole hanno creato scalpore tra i membri del partito, tanto che il senatore ha deciso di scrivere un post di chiarimento.

“Il mio ragionamento è stato evidentemente più ampio e articolato e la mia iperbole su Casapound era da incorniciare con virgolette enormi”, ha scritto sulla sua pagina Facebook. Il ragionamento iperbolico, come riporta Tusciaweb, proseguiva con una spiegazione dell’affermazione. “Come diceva Ugo Sposetti i diritti civili sono roba da Parioli, non del popolo. E non aveva tutti i torti. La gente ha anche bisogno di sicurezza. Un tema che non possiamo lasciare solo alla Lega di Matteo Salvini. La sicurezza in casa propria e per strada è un problema che le persone sentono. In politica, sicurezza e lavoro devono essere gli argomenti principali. Trump negli Stati Uniti c’ha vinto le elezioni”, ha detto Astorre, salvo poi correggere il tiro sui social.

“Considero Casapound un’organizzazione nazi-fascista, che andrebbe chiusa e messa al bando perché è una fabbrica di odi, dall’antisemitismo alla xenofobia, in un brodo di sottocultura che si muove sulle paure sociali e sui disagi”, ha proseguito sul post intitolato ‘Facciamo chiarezza’. “Il Pd, come è stato denunciato da più parti in questi anni, ha dato troppo l’impressione di andare col cachemire e meno con le scarpe impolverate a fianco delle persone“, ha concluso il senatore.

Le sue parole non hanno lasciato indifferenti i compagni di partito. “Considero sbagliate le dichiarazioni del senatore Bruno Astorre riportate dal quotidiano Tusciaweb. A forza di essere subalterni agli argomenti della destra si finisce a parlare bene di Casapound – ha dichiarato Claudio Mancini, candidato anche lui alla segreteria del Pd nel Lazio – Non a caso i paesi più arretrati sui diritti civili sono anche quelli con maggiori disuguaglianze sociali. L’Italia, su questi temi, non vuole tornare indietro”.

Della stessa opinionel’ex ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni. “Pensare che il Partito democratico possa avere qualcosa da imitare da Casapound per il modo di stare in mezzo alla gente, è fuori dalla realtà. Sfugge al senatore Astorre l’escalation di violenze, di minacce e di intimidazioni che a livello regionale e nazionale hanno caratterizzato questo movimento”, ha affermato l’ex deputato Pd. “A ottanta anni dalle leggi razziali banalizzare l’essere fascisti, con tutto quello che comporta, è grave. Lasciamo questi atteggiamenti a Salvini che vuole lucrare voti anche dall’estrema destra, noi siamo distinti e distanti. Le battaglie per i diritti civili hanno garantito il libero confronto e la libertà di espressione”, ha proseguito il politico, invitando poi il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, a intervenire. “Su questi temi mi colpisce il silenzio del presidente Zingaretti candidato alla segreteria nazionale del Pd, sponsor e sostenitore di Astorre. Il silenzio in questi casi, al di là dell’imbarazzo, non può esserci”, ha concluso.

Di idea diversa, invece, il sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, che ha ricordato di non decontestualizzare la frase. “Il riferimento non era certo alle idee e ai metodi di Casapound, ma alla militanza quotidiana e alla vicinanza con le persone. Questi figuri hanno occupato uno spazio che una parte della sinistra ha colpevolmente lasciato vuoto da ormai troppo tempo. È lo spazio delle piazze, dell’attivismo, accanto alle persone che vivono bisogni quotidiani e chiedono risposte concrete”.

L'articolo Pd, Bruno Astorre: “So’ fascisti ma Casapound da imitare”. Poi la spiegazione su Facebook: “La mia era un’iperbole” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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A capo dell’insurrezione contro il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio si uniscono Forza Italia e renziani. Si dice pronto a “una sommossa costituzionale” il deputato forzista Francesco Paolo Sisto, mentre le definisce “norme incostituzionali da Stato di polizia” il costituzionalista democratico Stefano Ceccanti. Tutti convinti che sulla prescrizione si sia già trovato “un equilibrio” e quindi che ora in pericolo ci sia la “ragionevole durata dei processi”. Ma se dai primi, autori della legge cosiddetta “ex Cirielli”, ce lo si aspetta, non dai secondi. Era il 2014 quando Matteo Renzi parlava di una “domanda di giustizia” dopo l’annullamento per prescrizione della condanna di Stephan Schmidheiny per il processo Eternit, e prometteva: “Cambieremo il sistema del processo e le regole del gioco della prescrizione”.

L’annuncio del ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, che inserirà un emendamento nel disegno di legge Anticorruzione per bloccare la prescrizione dopo il primo grado, ha scatenato invece le accuse degli stessi renziani. Di legge sulla prescrizione, il guardasigilli aveva parlato già ad agosto, spiegando che l’avrebbero ribattezzata “legge Viareggio“, come la tragedia che nel 2009 uccise 32 persone. E per la quale già in appello, il prossimo novembre, alcuni dirigenti ed ex dirigenti delle aziende legate a Ferrovie dello Stato vedranno prescritti molti reati. Tre anni fa, erano l’allora ministro Andrea Orlando, insieme a Ettore Rosato e David Ermini, a promettere ai familiari delle vittime un intervento sulla prescrizione. Si parlava proprio del blocco in caso di condanna dopo il primo grado o dopo l’appello. All’inizio la posizione del Pd era ancora più intransigente, simile a quella promossa ora da Bonafede, ma dopo rimandi e leggi intermedie, alla fine il tutto è finito annacquato nella riforma penale dello stesso Orlando. La legge approvata il 14 giugno 2017, ha sì allungato i tempo – sospendendo la prescrizione per 18 mesi dopo la condanna di primo grado e per altri 18 dopo la sentenza di secondo grado – ma le promesse di un blocco sono svanite nel nulla.

Ora i renziani si appellano alla Costituzione e alla “ragionevole durata dei processi”, esattamente come la senatrice forzista Anna Maria Bernini. “Capisco che è stata introdotta nel 1999, per cui forse il ministro Bonafede può non avere consultato una copia aggiornata. Qualcuno gliela fornisca e quindi soprassieda da una riforma improvvisa della prescrizione che in modo palesemente irragionevole va contro quel preciso vincolo”, dice infatti il deputato Pd Ceccanti. Quel non è possibile che le regole facciano saltare la domanda di giustizia” detto da Renzi? Dimenticato. Anche un altro fedelissimo, Cosimo Maria Ferri, con un passato in Magistratura Indipendente e un presente nella commissione Giustizia della Camera, oggi sbandiera l’inutilità di una norma del genere: “Ora la priorità deve essere quella di far funzionare la giustizia penale, di investire in risorse, in tecnologia , di assumere personale amministrativo e togato, e di far partire il processo penale telematico”, dice Ferri.

Il magistrato ricorda che “sul tema prescrizione i governi Renzi e Gentiloni sono già intervenuti”. “In questo modo – sostiene – si è trovato un equilibrio importante tra la ragionevole durata del processo, l’efficienza della risposta della giustizia penale, e le garanzie processuali delle parti”. “Grazie a queste riforme coordinate tra loro – continua Ferri – il reato di corruzione si prescrive oggi in più di 20 anni tenendo conto anche della sospensione dei termini dopo la sentenza di condanna di primo e di secondo grado”. La prescrizione, quindi, non è più considerata importante: “Concentriamoci per dare efficienza alla macchina della giustizia”, conclude Ferri. Mentre si dice persino “preoccupato e sconcertato” Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia.

Ancora più dei democratici, la pioggia di critiche arriva ovviamente da Forza Italia che si appella alla Lega per fermare Bonafede. “Ancora una volta il governo, su queste materie tristemente a trazione grillina, svolta pericolosamente verso una logica manettara e forcaiola”, attacca Mariastella Gelmini. “La Lega, almeno su questi temi, non si faccia sopraffare dal Movimento 5 stelle: dica qualcosa di centrodestra, dica qualcosa di garantista“, dice la capogruppo alla Camera. Toni catastrofici da Sisto: “Siamo di fronte alla fine delle garanzie processuali. Basta a questo modo di fare politica mortificando i diritti dei cittadini: autoritarismo e arroganza sono parenti stretti della tirannia“. Come anche da Enrico Costa. Per responsabile del Dipartimento Giustizia di Fi “la Lega fermi Bonafede sulla prescrizione o sarà complice dell’omicidio del processo penale“.

L’intervento più lungo è quello della Bernini, presidentessa dei senatori di Forza Italia, secondo cui “fermare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, viola uno dei principi fondanti della Costituzione sulla ragionevole durata del processo”. Poi l’attacco anche ai giudici: “Come se i tempi biblici della giustizia non dipendessero anche da una parte della magistratura, che invece con questo intervento ottiene un ulteriore potere incontrollato, senza dover rispondere di eventuali inefficienze. Significa consegnare la vita di un cittadino imputato alla mercé di una giustizia senza più limiti temporali per giudicarlo, a una sorta di girone infernale, a un tunnel da cui non sarà facile né semplice vedere la luce”, dice Bernini. Che poi promette: “Combatteremo con ogni strumento parlamentare e politico questa scelta inaccettabile e speriamo che gli amici della Lega respingano insieme con noi, senza alcun dubbio, il tentativo dei loro ‘contraenti’ di governo”.

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Maurizio Landini accetta la proposta di Susanna Camusso e si candida alla segreteria della Cgil lanciando subito una proposta unitaria a Cisl e Uil. L’ex leader della Fiom e già componente della segreteria del sindacato era stato indicato dalla Camusso sabato scorso, una pratica usuale per i segretari uscenti di via Nazionale. “Ho accettato e mi sono reso disponibile alla proposta. In vita mia non mi sono mai candidato a nulla. Tutti siamo al servizio dell’organizzazione”.

La scelta definitiva avverrà nel congresso del sindacato che si terrà dal 22 al 25 gennaio prossimi a Bari, ma l’elezione appare scontata, anche perché il documento ‘Lavoro è’ – messo a punto collegialmente ma in qualche modo espressione della maggioranza e della segretaria – ha ottenuto “quasi il 98% dei voti” nei congressi, ha aggiunto Landini nel suo intervento.

“L’unità c’è, non dobbiamo costruirla: mi sembrerebbe curioso che si parli di divisione della Cgil quando abbiamo un documento sul quale c’è la condivisione del 98% degli iscritti. La Cgil o è collettiva o non è“, ha spiegato Landini al termine del suo intervento alla Camera del lavoro di Milano dove ha sciolto la riserva per la segreteria generale che fino a qualche tempo fa sembrava dovesse essere appannaggio di Serena Sorrentino della Funzione Pubblica. Il riferimento di Landini è alla candidatura di Vincenzo Colla, ex segretario dell’Emilia-Romagna ed espressione della cosiddetta anima ‘riformista’ della Cgil, quella più vicina al Pd. Vicini al sindacalista piacentino sono considerati i pensionati dello Spi, Fillea, Filctem e i lavoratori di telecomunicazioni e trasporti.

Landini, nel corso del suo intervento, ha proposto anche di ricostruire un corpo sindacale unico con Cisl e Uil: con la fine dei partiti ‘tradizionali, ha spiegato, “non ci sono ragioni politiche o partitiche” per non ricostruire un organismo che vada oltre l’azione sindacale unitaria, verso una vera “unità sindacale”. “Prima del 1947 la Cgil era una cosa sola, poi sulla spinta dei partiti” nel 1948 e nel 1950 nacquero Cisl e Uil, ha ricordato Landini.

“Poi ci sono diversità di merito nell’azione sindacale, ma se si vuole riunificare il mondo del lavoro il problema dell’unità sindacale è un punto decisivo, senza nascondersi la necessità di un confronto di idee anche diverse”, aggiunge l’ex segretario della Fiom. “La crisi e la spinta tecnologica” orientata solo al profitto “hanno portato a una frammentazione senza precedenti del mondo del lavoro e dei lavoratori” mentre “le conquiste degli Anni ’60 e ’70 sono state ottenute con la maggiore unità del mondo del lavoro, con la maggiore unità delle organizzazioni sindacali”, ha concluso Landini.

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È Graziella Luparello il gup che presiede l’udienza preliminare per la richiesta di rinvio a giudizio dalla Procura di Caltanissetta per il caso Montante. Il presidente del Tribunale, Davide Marraffa, ha accolto la richiesta di ricusazione del gup Davide Salvucci presentata dall’avvocato Marco Giunta, legale degli imprenditori Andrea e Salvatore Calì, perché “in sede di indagini ha autorizzato la proroga di un’intercettazione di uno degli imputati”. L’udienza è in corso con il vaglio di altre eccezioni.

I termini di custodia cautelare per Antonello Montante scadono il 14 novembre: se entro quella data l’udienza non sarà conclusa l’ex presidente di Confindustria Sicilia, accusato di essere il capo di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, sarà scarcerato.

Montante è accusato di essere il capo di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, di essere il regista della rete di affari e spie che avrebbe messo in piedi per tutelare i suoi interessi e conoscere gli esiti delle inchieste a suo carico. L’inchiesta a suo carico è diventata in Sicilia un vero e proprio caso. Coinvolti nell’indagine ci sono infatti politici, investigatori, esponenti delle istituzioni e giornalisti. Anche la commissione Antimafia regionale ha aperto un’indagine sul sistema creato dall’ex numero uno degli imprenditori siciliani.

L'articolo Sicilia, caso Montante: nuovo gup per l’udienza preliminare dopo l’istanza di ricusazione proviene da Il Fatto Quotidiano.



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La mareggiata che ha colpito le coste liguri si è abbattuta anche su Arenzano. In questo video, i Bagni Maddalena vengono travolti da un’ondata violenta: il personale, già impegnato nella pulizia del locale dopo il maltempo, ha provato a opporre resistenza, ma la forza dell’acqua l’ha avuto vinta. Fortunatamente, nessuno è rimasto ferito, salvo alcune contusioni per la titolare dello stabilimento balneare. Nel 2014, i proprietari avevano dovuto fare i conti con una tromba d’aria.

Video Facebook/Silvia Damonte

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Appare sempre più evidente la contraddizione politica in cui si trovano il governo e la sua contorta maggioranza. L’asse M5S e Lega, al di là delle ostentazioni, è sempre più vicino ad una possibile rottura, che finora non è avvenuta forse più per responsabilità dei media che hanno spinto, con i loro attacchi furibondi, verso un consolidamento dell’alleanza. Ora che giungono al pettine importanti nodi, ovvero il decreto sicurezza punto di forza di Salvini e le decisioni intorno ai progetti infrastrutturali Tap e Tav, contro i quali è cresciuta la “cultura alternativa” dei M5S, le cose si fanno sempre più difficili.

I due soci al governo cercano di eludere questa considerazione scommettendo sugli altri provvedimenti che invece creano consenso e cementano il blocco ovvero reddito di cittadinanza, pensioni quota 100 e condono (o simil condono). Ma potrebbe non bastare se l’andamento della produzione industriale, della borsa e del rendimento dei titoli di Stato si mantiene sui livelli attuali.

È la scommessa a breve termine su cui puntano i falchi del Pd, ovvero Renzi & C., che vorrebbero una crisi di governo immediata per avere un ottimo motivo per far passare il congresso Pd definitivamente in cavalleria. Per riaprire i giochi dentro il partito, attualmente proteso, nonostante tentennamenti e inadeguatezze, verso un diverso assetto politico.

In questo quadro si colloca anche la furiosa guerra ad una più che probabile elezione di Maurizio Landini a segretario generale della Cgil. Una guerra che la destra democratica sta conducendo insieme ad alcune categorie sindacali, in primis i pensionati. L’operazione è finalizzata a cementare il blocco filorenziano che non può permettersi di perdere influenza nel maggior sindacato italiano, anche se dovesse costare la possibilità di ripresa di tutta la sinistra nel Paese.

Poco importa se una crisi di governo immediata non porterà certamente alle elezioni e magari consentirà alla maggioranza di sistemare con un rimpasto alcune delle questioni più controverse. Una situazione del genere potrebbe paradossalmente far comodo a Di Maio e Salvini: mancano ancora sette mesi alle elezioni europee e c’è teoricamente il tempo di riorganizzarsi per rafforzarsi.

Questi sono a parer mio i motivi veri per i quali non si decide la data di svolgimento del congresso del Pd e non si riesce ad uscire dal tunnel, dopo un anno e mezzo dalla storica sconfitta. Angela Merkel che è un vero leader, dopo alcune gravi sconfitte e consapevole di essere ormai giunta al termine della sua lunga parabola politica, ha annunciato il suo ritiro; così fece anche Martin Schulz per l’Spd, dopo la sconfitta al referendum interno sulla partecipazione alla “Grosse koalizion”.

Purtroppo questa non è l’Italia, è la Germania patria dell’idealismo kantiano ed hegeliano, del razionalismo weberiano nonché di quel signore con la barba, filosofo di Treviri che bisognerebbe tornare a studiare.

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Dopo alcuni giorni dall’incidente costato la vita al presidente del Leicester Vichai Srivaddhanaprabh, spunta un nuovo video che riprende il momento dello schianto. L’elicottero decolla da centrocampo e pochi attimi dopo inizia ad avvitarsi su sé stesso fino a precipitare sotto gli occhi dei collaboratori rimasti allo stadio. Intanto la società ha annunciato che in occasione della partita contro il Cardiff, i giocatori del Leicester scenderanno in campo con il lutto al braccio e prima della gara un minuto di silenzio sarà osservato su tutti i campi della Premier.

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“Mi hanno rovinato la vita sul niente perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese. Noi non abbiamo fatto niente perché con la ‘ndrangheta non c’entriamo niente. Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente”. Così Vincenzo Iaquinta fuori dal tribunale di Reggio Emilia dopo la condanna a 2 anni nel processo di ‘ndrangheta, Aemilia. Accanto a lui, il padre, condannato a 19 anni.

Video Facebook/Angelo Forgione

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Per quelle Regioni che non tagliano i vitalizi di presidenti e consiglieri regionali saranno ridotti dell’80% i trasferimenti, senza tuttavia toccare i fondi a Sanità, scuole per disabili e altri servizi essenziali. E’ questa la norma, a quanto si apprende da fonti del Movimento, che il M5s sta inserendo nella legge di bilancio che oggi arriva in Parlamento. Già nella bozza di ieri era previsto un taglio del 30 per cento sulle somme eccedenti che riguardano i servizi essenziali. Dopo il taglio dei vitalizi al Senato, era stato lo stesso Luigi Di Maio ad annunciare che si sarebbe proceduto con le Regioni.

L'articolo Manovra, 80 per cento di tagli alle Regioni se non tagliano i vitalizi proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Io candidato alla segreteria del Pd? L’11 settembre ero in questa trasmissione e avevo detto di no. Adesso, però, i sindaci del Pd mi hanno chiesto di candidarmi e ci sto riflettendo seriamente“. Così a L’Aria che Tira (La7) l’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, risponde alla conduttrice Myrta Merlino, che gli chiede sulla sua candidatura alla guida del Pd. Poco più di un mese fa, il politico aveva assicurato: “Non ci penso nemmeno”. Alla Leopolda si è dimostrato meno drastico: “Per il momento no”. Oggi Minniti puntualizza: “Devo valutare se questa cosa è utile al mio partito e al mio Paese. E, se è così, non posso sottrarmi. Se, invece, fosse un ulteriore elemento di personalizzazione del partito, allora preferirei di no. Credo che il mio partito non abbia bisogno di accentuare gli elementi di personalizzazione, che sono già particolarmente elevati. Quando scioglierò la riserva? Realisticamente la prossima settimana“. E aggiunge: “Io penso che un grande partito debba avere due cose insieme: la prima è una leadership forte e autorevole, che non può essere decisa da un congresso. L’altra cosa è che un leader da solo non ce la fa. Ha bisogno di un fortissimo e rinnovato gruppo dirigente“.

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Dopo le proteste degli animalisti che accusavano il programma di “sfruttare” il pappagallo verde, una nuova polemica si abbatte su Antonella Clerici e il suo Portobello iniziato sabato scorso su Rai 1. Questa volta è stata la vedova di Enzo Tortora, Francesca Scopelliti, ad attaccare la bionda conduttrice, “colpevole” di non aver ricordato nel modo giusto il grande conduttore televisivo, non spiegando la vera causa della sua morte.

“Sabato sera è partita una nuova edizione di ‘Portobello‘ con la conduzione di Antonella Clerici, alla quale è toccato dare il giusto riconoscimento ai meriti professionali di Enzo Tortora, ideatore e conduttore del fortunato programma – scrive la vedova in una lettera al quotidiano La Repubblica-. Peccato che abbia dimenticato di dire che quel bravo giornalista, quell’uomo perbene, è stato vittima di una vergognosa vicenda giudiziaria che lo ha portato alla morte nel 1988. A sentire il ‘commosso ricordo’ sembrava quasi che Enzo Tortora fosse morto di vecchiaia, dopo vari successi televisivi e non, come invece è, di malagiustizia dopo un clamoroso arresto e un vergognoso processo che lo ha voluto a tutti i costi colpevole“, dice Francesca Scopelliti.

“Certo, il processo in Appello e la Cassazione poi — prosegue — hanno riconosciuto la sua completa estraneità alle gravi accuse lanciate dalla procura napoletana, ma il male era stato fatto. A dispetto di chi lo voleva camorrista Enzo Tortora si è fatto leader di una nobile battaglia per la giustizia giusta e non si può pensare di rendergli memoria cancellando dalla memoria quella ultima parte della sua vita, quella sua battaglia per lo stato di diritto che è stato il suo ultimo e più importante impegno. La sua trasmissione più drammatica e più nobile”. Vedremo se sabato prossimo Antonella, la produzione e Rai1 diranno qualcosa a riguardo.

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Prima il ddl Anticorruzione e il decreto Sicurezza, poi la manovra. Mentre in Aula prosegue a oltranza l’esame del decreto Genova, la conferenza dei capigruppo a Montecitorio ha stabilito il calendario di novembre. E la manovra, che oggi ha ricevuto la bollinatura della Ragioneria dello Stato ed è stata inviata al Quirinale, sarà discussa solo a fine mese e comunque dopo il 13, data limite entro cui l’Ue aspetta una risposta.

Stando al calendario su cui i è deciso innanzitutto che il 5 novembre sarà discusso il provvedimento sulla proroga del termine per l’adozione di disposizioni integrative e correttive concernenti la disciplina processuale dei giudizi innanzi alla Corte dei conti. Il ddl Anticorruzione arriverà invece il 12 novembre. La legge di Bilancio approderà nell’Aula della Camera tra il 29 ed il 30 novembre. Nelle giornate del 21 e 22 novembre non ci saranno sedute d’Aula per consentire alle commissioni l’esame della Manovra. La conferenza dei capigruppo della Camera ha concesso la finestra di venerdì 23 novembre per l’arrivo in aula del decreto Sicurezza e immigrazione, ora al vaglio della commissione Affari costituzionali del Senato e, successivamente, dell’assemblea di Palazzo Madama. A Montecitorio, invece, i lavori proseguiranno anche nel corso del fine settimana.

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Cinquemiladuecento militari schierati alla frontiera e il colpo in canna della cancellazione dalla Costituzione dello ius soli: nell’imminenza del voto di midterm, il 6 novembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump digrigna i denti e batte il pugno sul fronte dell’immigrazione. Obiettivo: intercettare la carovana dei migranti in arrivo sul Rio Grande dall’America centrale – Honduras e Guatemala – via Messico, ma soprattutto i voti degli elettori americani ancora attratti dai suoi messaggi muscolari, populisti, nazionalisti, suprematisti.

Quanti ancora siano, lo si vedrà alle urne: martedì, gli americani rinnovano la Camera e un terzo del Senato, oltre a decine di governatori e di assemblee statali e locali.
Di sicuro, la mossa di Trump sullo ius soli, politicamente discutibile sul piano dei principi e giuridicamente discussa su quello della fattibilità, polarizza ulteriormente le posizioni degli elettori: i sostenitori del presidente ne saranno galvanizzati, gli oppositori vi troveranno uno stimolo in più per mobilitarsi contro il presidente.

L’idea di abolire lo ius soli non sposterà voti fra i due campi, ma acuirà le divisioni: è una specialità di Trump, il “divisore in capo” dell’Unione, l’”untore in capo” delle fake news che, da quando scese in campo, avvelenano il dibattito politico negli Stati Uniti. Lo ius soli è inserito nella Costituzione statunitense con un emendamento che risale al 1868, poco dopo la fine della Guerra civile: l’ipotesi che l’emendamento possa essere semplicemente abrogato con un decreto presidenziale è esclusa da giuristi ed esperti; e la procedura congressuale è lunga e richiede maggioranze che oggi non ci sono.

Ma un’interpretazione dell’emendamento non è mai stata definitivamente chiarita: se esso riguardi, o meno, quanti non sono in regola con la legge, gli irregolari. In tal caso, i figli degli immigrati senza documenti pagherebbero le colpe dei genitori. Un decreto del genere sarebbe sicuramente contestato nei tribunali federali e finirebbe alla Corte suprema. Dove, però, le scelte di Trump – ultima quella del giudice Kavanaugh – garantiscono una maggioranza conservatrice.

Nella scena finale di un film di Robert Young del 1978, una madre messicana, in preda alle doglie, beffa le guardie di frontiera statunitensi e riesce a fare nascere il suo bambino sul suolo Usa: è un’immagine del “sogno americano“. Ma la scena avalla una tesi degli abolizionisti: che lo ius soli attiri i clandestini con la promessa della cittadinanza, se non per sé per i propri figli.

La presidenza Trump e tutte le sue decisioni, pure spesso inattuate, sul fronte dell’immigrazione – il muro al confine con il Messico, la cacciata dei Dreamers, la separazione alla frontiera dei genitori dai figli, ora la fine dello ius soli – incrinano il “sogno americano” e sono picconate alla visione dell’America come terra di approdo, di libertà e di opportunità. Il voto di midterm dirà se l’Unione è d’accordo per trasformare il sogno in incubo.

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“Non voglio un processo pubblico“. È una delle poche frasi pronunciate da Igor il russo, al secolo Norbert Feher, durante l’udienza preliminare a Bologna del processo in cui è imputato di 11 reati, tra cui gli omicidi del barista Davide Fabbri e della guardia ambientale Valerio Verri e il tentato omicidio di un collega di quest’ultimo, Marco Ravaglia. Nell’aprile 2017, dopo i delitti, Feher era stato l’oggetto di un’imponente caccia all’uomo nelle province di Bologna e Ferrara, ma era stato arrestato soltanto lo scorso dicembre in Spagna, dove aveva ucciso altre tre persone.

Igor, collegato in video dal carcere di Saragozza, ha dato brevi risposte in italiano alle domande del giudice. I difensori del presunto killer, gli avvocati Cesare Pacitti e Gianluca Belluomini, hanno fatto richiesta di rito abbreviato condizionato allo svolgimento di una perizia psichiatrica. Gli avvocati puntano al riconoscimento della seminfermità mentale: a questo scopo hanno prodotto le consulenze tecniche firmate dallo psichiatra Vittorio Melega, che nei mesi scorsi ha visitato il detenuto in Spagna. Si sono costituiti parte civile i familiari delle vittime nonché l’associazione Legambiente, di cui Valerio Verri faceva parte. Il gup Alberto Ziroldi ha rinviato l’udienza al 28 novembre.

“Siamo qui perché ha ucciso nostro padre, un assassinio che si poteva evitare. Siamo qui per assistere ad un processo in tv perché lo Stato non è riuscito a prenderlo ed ha fatto altre vittime in Spagna. Allora il ministro Minniti ci fu comunque vicino. Oggi invece si è dimenticato di noi probabilmente perché Igor non ha la pelle nera“, ha scritto su Facebook Francesca Verri, figlia di Valerio.

Insieme al fratello Emanuele ha fatto sapere di aspettarsi “delle scuse” dalle istituzioni: “Minniti ci aveva fatto presente che potevamo contare su di lui per qualsiasi cosa. Noi a tutt’oggi non abbiamo ricevuto neanche un saluto. Noi rivolgiamo l’appello a tutti, abbiamo citato il ministro Minniti perché lui ci aveva fatto delle promesse, ci aveva incontrato, ci aveva posto delle sicurezze. Ma ci appelliamo alle istituzioni in generale“.

 

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Dagospia e Striscia la Notizia non hanno dubbi: Elisa Isoardi e Matteo Salvini sono in crisi. I gossip si inseguono da settimane senza che ci fossero però conferme o smentite da parte dei diretti interessati. Ma il settimanale Oggi ha contattato la conduttrice de La Prova del Cuoco per chiederle un commento a riguardo e la sua risposta è stata alquanto sibillina. In risposta infatti, Elisa Isoardi si è limitata a citare la sua canzone preferita, canticchiando: “La lontananza sai è come il vento….”. Parole che sembrerebbero quindi confermare la crisi con il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini.

L'articolo Elisa Isoardi e Matteo Salvini in crisi? Lei risponde così: “La lontananza sai è come il vento….” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Tutti conoscono Roomba, l’aspirapolvere prodotto da iRobot che pulisce i pavimenti in autonomia. Le versioni più recenti si possono programmare affinché il robot si accenda automaticamente quando non siete a casa. Il progresso tecnologico non è certo finito qui. iRobot pensa di poter fare di meglio consentendovi, per esempio, di decidere quale stanza della casa pulire, o di avviare il robot con un comando vocale.

Sono questi alcuni dei motivi alla base dell’accordo stretto con Google, che dovrebbe aiutare iRobot a sfruttare i dati ambientali generati dai suoi Roomba. I modelli di ultima generazione sono già in grado di creare mappe, usando una combinazione di immagini a bassa risoluzione e dati di odometria. Quest’ultima è la tecnica che stima la posizione di un veicolo misurando, tramite sensori, lo spazio percorso dalle ruote e l’angolo di sterzo.

Unendo le informazioni di tutta la base clienti, ed elaborandole nella maniera apposita, si potrebbero creare piani di pulizia personalizzati. Per esempio, si potrebbe chiedere a Roomba di pulire la cucina. Adesso per farlo dobbiamo trasportarlo “a mano” nella stanza specifica e chiudere la porta, perché il robot non sa distinguere la cucina dal salone. In futuro potrebbe farlo, e potremmo assegnargli questo compito sfruttando l’assistente vocale di Google, Google Assistant. Pensate insomma di dire al robot “OK Google, dì a Roomba di pulire la cucina”.

Non solo, secondo Google e iRobot, questi stessi dati potrebbero essere preziosi per lo sviluppo di altri dispositivi domestici intelligenti. Per esempio, una volta in possesso delle mappe, i dispositivi connessi all’assistente vocale di Google potrebbero individuare le lampadine intelligenti e conoscerne la posizione. L’obiettivo è sempre lo stesso: poter dire a Google Assistant: “OK Google, accendi le luci in cucina”.

In prospettiva, quella che finora abbiamo chiamato “casa intelligente” potrebbe diventare una “casa premurosa” in un futuro nemmeno troppo lontano. Una casa, insomma, che si adegui alle richieste dei clienti e che li coccoli.

Tutto sembra molto bello, ma come spesso accade c’è anche il rovescio della medaglia. La premessa per beneficiare di tutti questi servizi è cedere un pezzetto (l’ennesimo, N.d.R.) della nostra privacy. Perché dovremmo permettere al Roomba di spedire a Google le mappe della nostra casa. Quello che oggi è un prezioso collaboratore domestico, insomma, domani potrebbe diventare una spia.

Certo, Google non ha una reputazione paragonabile a quella attuale di Facebook quanto a fughe e violazioni di dati personali dei clienti, ma non è certo l’acqua santa. Solo poche settimane fa sono finiti a rischio i dati di 500mila clienti di Google Plus, che ha chiuso i battenti. E a quanto pare i dati dei clienti del sistema operativo Android finiscono (anche) nelle mani di aziende terze.

I responsabili di iRobot e Google assicurano che qualsiasi informazione condivisa da iRobot non finirà nel calderone delle lucrose attività di Google. La motivazione è che “questi dati non aiutano [a spingere] gli attuali prodotti Google”. Magari quelli di oggi no, ma quelli di domani? Come ci hanno insegnato le innumerevoli vicende del settore hi-tech, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Dato che dovreste essere voi ad acconsentire volontariamente alla condivisione delle mappe, pensateci bene prima di dare il vostro assenso.

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“Ho accettato e mi sono reso disponibile alla proposta” del segretario uscente della Cgil, Susanna Camusso, come suo successore alla guida del primo sindacato italiano. Lo afferma l’ex segretario della Fiom e componente della segretaria della Cgil, Maurizio Landini, al congresso della Camera del lavoro di Milano. “In vita mia non mi sono mai candidato a nulla perché sono della scuola che tutti siamo al servizio dell’organizzazione” ha aggiunto Landini, ricevendo un lungo applauso al termine dell’intervento.

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“Che non si condivida il linguaggio lo capisco, il post è molto forte. Ma il concetto è chiaro: come mai non si parla di stupri quando le bestie sono italiani? Perché se ne parla solo quando sono stranieri?”. Viola Carofalo, leader di Potere al Popolo, capisce la bufera che si è scatenata intorno al post di un’attivista, pubblicato sulla pagina Facebook del partito. Un messaggio scritto da Rosa Pascale, attivista della Rete Antirazzista Iblea, su Desirée Mariottini, la 16enne stuprata e uccisa in uno stabile immerso nel degrado nel quartiere di San Lorenzo. Per il suo omicidio sono stati fermati due senegalesi e un nigeriano.

Il post – “Grazie alla nazionalità dei suoi aguzzini Desirè – si legge nel post – può essere pianta, la massa può provare dolore per la sua morte e i colpevoli possono essere perseguiti”. E ancora: “Ci sono altri casi, ugualmente gravi, in cui la vittima è stata anche additata come colpevole di ciò che l’è accaduto e solo perché gli aguzzini erano italiani e ben integrati nel loro contesto sociale (penso al caso della bambina calabrese abusata da un branco di concittadini per anni e a cui il paese ha voltato le spalle, e di esempi ce ne sono tantissimi altri)”. Quindi, prosegue il messaggio, “tutta questa “fortuna” di Desirè è aberrante perché evidenzia che non ci sono diritti effettivamente riconosciuti per le donne, tutto dipende da chi ti fa del male”. E infine: “Passano i giorni e Desirè diventa sempre più innocente: era una tossica e adesso forse l’hanno drogata a sua insaputa, anzi neanche cercava droga ma era andata a riprendere un tablet che le avevano rubato (…) per essere riconosciute come vittime noi donne dobbiamo poter essere descritte come madonne. La fortuna di Desirè è la sciagura di tutte noi”.

Carofalo: “Il messaggio è chiaro” – Il messaggio è stato fortemente criticato anche sulla stessa pagina Facebook di Potere al popolo, oltre che da giornali e siti di destra. “Il messaggio era chiaro – continua Carofalo – chi ha un minimo grado di alfabetizzazione può capirlo. Anche se per alcuni, come per Mario Giordano che ieri sera su Rete4 ne ha parlato, è più facile strumentalizzarne il senso. Sta di fatto che si parla di branco solo quando è fatto di stranieri”. Sui toni del post, però, Carofalo, precisa di rispettare “chi pensa che di queste cose non si debba parlare per rispetto e perché è di cattivo gusto. È legittimo. Ma non si può certo dire che Potere al popolo giustifica quello che è successo a Desiréè. Questa è una fake news. Perché siamo gli unici a parlarne sempre e comunque di stupri, indipendentemente dal colore delle bestie”.

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L’aveva promesso in campagna elettorale con un video postato sui social. Eppure nella manovra Matteo Salvini manca una promessa elettorale: il taglio delle accise che pesano sul costo del carburante portando l’Italia ad avere “la benzina più cara d’Europa”. Oggi Salvini, intervenuto all’Assemblea degli armatori italiani a Roma, prova a giustificarsi: “Non sono al governo da solo”. Colpa dei 5 Stelle? “No – chiarisce il leader della Lega – ma se tu metti 10 miliardi sul reddito di cittadinanza – e prova a rinverdire la promessa elettorale – lo faremo nel corso del 2019, abbiamo cinque anni davanti”. Ma intanto il vicepresidente del Consiglio e Ministro dell’Interno sbaglia il costo attuale di un litro di benzina verde: “Un euro e quattro”.

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Barbara D’Urso ha raccontato per la prima volta al settimanale Oggi l’incidente che ha avuto durante le prove in ospedale per le riprese della serie “La dottoressa Gio” che le ha provocato una cicatrice che rimarrà per tutta la vita. “Una mattina, mentre ero in reparto, sono stata travolta completamente da un carrello d’acciaio enorme – rivela Barbarella -, alto 2 metri… Mi è stato strappato un grosso pezzo di tessuto dermico, e purtroppo malgrado gli antibiotici la zona si è infettata più volte e non si è rimarginata come speravo. Non è solo una questione banalmente estetica, dato che per chi fa il mio lavoro ovviamente un danno permanente non è da poco, ma mi fa malissimo indossare le scarpe col tacco e gli stivaletti, per non parlare dei lacci alla caviglia! Ogni volta che vado in onda devo farmi truccare la cicatrice, che è orribile…”.

Poi, la D’Urso tira le somme delle sue trasmissioni: “Il mio è comunque e sempre un bilancio di grande felicità e successo: il 19-20 per cento di share con punte del 22. Tutti dati dimostrabili, curve alla mano. Vede, la tv è un ring e io ne ho combattute tante di sfide…”. E non manca di lanciare una frecciatina alla rivale della domenica, Mara Venier: “Mara non ha ostacoli, io sì: ogni quarto d’ora vado in pubblicità, lei per un’ora la pubblicità non la dà. Lei va in diretta subito dopo il Tg1, che le lascia una platea enorme di pubblico, io no: ho quei punti di share da risalire uno per uno. E nonostante questo porto la curva di Canale 5 dal 10 al 22 per cento, facendola diventare prima rete. Questa non è una cattiveria, badi bene, è sotto gli occhi di tutti”.

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Avrebbe speso gran parte dei soldi incassati prospettando falsi investimenti nel settore dei pannelli fotovoltaici in Costa Rica e in Iran in scommesse e giochi, come puntate su partite di calcio e slot machine. Per Roberto Sanna, 51 anni, arrestato dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano per truffa e autoriciclaggio, il gip ha disposto gli arresti domiciliari. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Luigi Furno. Stando alle indagini, il presunto truffatore, già funzionario del comune di Milano e che aveva lavorato in passato nel settore delle energie rinnovabili, prospettò “entrature” ad alti livelli per riuscire a convincere le quattro vittime a consegnargli un totale di 267mila euro, gran parte spesi in scommesse, perché l’uomo soffre di ludopatia. Sarebbe anche riuscito a portare le vittime ad incontrare funzionari di ministeri esteri, organizzando viaggi a Panama e in Iran. Si tratta di una delle prime applicazioni dell’autoriciclaggio con reinvestimento di proventi illeciti in attività speculative, come le scommesse.

Sanna avrebbe fatto credere ai truffati che avrebbero avuto ingenti guadagni sul capitale investito, utilizzando e sottoponendo loro contratti falsificati. E avrebbe fabbricato false ricevute di bonifici per provare l’acquisto di pannelli solari e spese nei confronti di società ingegneristiche iraniane. In più, avrebbe anche presentato alle vittime il falso coinvolgimento nell’affare di società attive nel campo delle energie rinnovabili, facendo credere loro che i soldi investiti (affidati con bonifici su un suo conto corrente postale) sarebbero entrati ‘in pancia’ di una società panamense di cui loro sarebbero diventati soci. L’arrestato avrebbe usato, poi, i circa 300mila euro intascati per spese varie e per pagare in contanti o con carte ricaricabili giochi e scommesse per un totale di circa 100mila euro. Così i pm e il gip Alessandra Simion hanno potuto contestargli l’autoriciclaggio, una delle prime applicazioni della Procura di Milano di questo reato per condotte di reimpiego in attività speculative.

Nel suo “schema truffaldino“, con cui proponeva “fantomatici investimenti finalizzati alla costruzione di campi fotovoltaici in Costa Rica e Iran”, l’uomo avrebbe fatto cadere anche due genitori che portavano i loro figli nella stessa scuola frequentata dai figli dell’arrestato. Come si legge negli atti, l’uomo, difeso dal legale Claudia Mura, oltre a fabbricare anche falsi “grafici” di presentazione del progetto e biglietti da visita di funzionari del ministero dell’Energia iraniano, avrebbe fatto credere, tra il settembre 2016 e lo scorso agosto, di aver trovato anche un fondo coreano disposto a sborsare “25 milioni di euro” per finanziare il progetto. Nel marzo 2017, poi, Sanna andò con un “avvocato e consulente di aziende italiane e locali sul mercato iraniano”, rimasto anche lui vittima dei raggiri, ad incontrare funzionari del Ministero iraniano. Dopo ogni bonifico dei truffati, si legge ancora nell’ordinanza, “l’indagato prelevava contanti” e pagava scommesse. L’attitudine dell’arrestato al gioco d’azzardo, infatti, scrive il gip, “rappresenta un indubbio movente alla reiterazione di reati contro il patrimonio”.

Finora gli autori di truffe “hanno goduto di una certa impunità, anche perché tutti i truffatori sanno che per quel reato non si può applicare la misura cautelare nemmeno in casi gravissimi, ma mando un avviso ai truffatori, stiamo cercando di usare il più possibile dei reati che consentano, almeno nei casi più gravi, di agire con severità e arrestare” ha spiegato Fusco, capo del pool milanese di contrasto alle frodi ai consumatori e al cybercrime, nel corso della conferenza stampa. Le truffe, ha detto Fusco con a fianco il pm Luigi Furno, il comandante del Nucleo di polizia tributaria della Gdf milanese, Vito Giordano, e Arcangelo Trivisani, comandante del Gruppo Tutela mercato beni e servizi della Gdf, “sono i reati che più da vicino colpiscono i cittadini, da quelle da strada fino al caso Parmalat che fu una grande truffa e di cui mi sono occupato”. È un “fenomeno – ha concluso – dilagante e nocivo”.

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L’Austria non firmerà il patto Onu sui migranti a causa di timori sulla propria sovranità in materia di immigrazione e di un possibile annacquamento della distinzione tra immigrazione legale e illegale. Il Global Compact sulle migrazioni, che non è legalmente vincolante, dovrà essere approvato formalmente l’11-12 dicembre a Marrakech, ma il cancelliere dell’Ovp Sebastian Kurz e il vice cancelliere Heinz-Christian Strache, esponente del partito di estrema destra Fpo, hanno spiegato che l’Austria non firmerà il documento e non manderà un rappresentante in Marocco.

“Ci sono alcuni punti che noi vediamo in modo critico e dove temiamo un pericolo per la nostra sovranità nazionale“, ha spiegato Kurz. “Alcuni dei contenuti (del documento, ndr) sono diametralmente opposti alla nostra posizione”, ha aggiunto Strache commentando che la “migrazione non è e non può essere un diritto umano“: “Non è possibile che qualcuno riceva il diritto di migrazione a causa del clima e della povertà“.

La formazione di estrema destra faceva campagna da diverse settimane affinché Vienna boicottasse il testo, che è considerato il primo documento internazionale sulla gestione delle migrazioni. I Paesi dell’Onu, a eccezione degli Stati Uniti, hanno approvato il documento a luglio. Qualche giorno dopo anche l’Ungheria aveva annunciato il suo ritiro dall’accordo: il governo di Viktor Orban aveva denunciato il patto definendolo “pericoloso” perché “inciterà milioni di persone a mettersi in viaggio”. E anche la Polonia recentemente ha riferito della sua intenzione di respingere il testo.

Gli Usa si erano ritirati a fine 2017 dall’elaborazione del documento, affermando che includeva disposizioni contrarie alla politica sull’immigrazione di Donald Trump. Il patto dell’Onu promuove in particolare un rafforzamento della cooperazione internazionale per rispondere al fenomeno mondiale delle migrazioni. Elenca una serie di principi – come per esempio la difesa dei diritti umani e dei diritti dei bambini e il riconoscimento della sovranità nazionale – e include un catalogo di misure per aiutare i Paesi ad affrontare le migrazioni. Per esempio migliorare l’informazione, misure per una migliore integrazione dei migranti, scambio di competenze.

Grazie a questo ritiro “l’Austria potrà continuare a elaborare le sue leggi su tutte le questioni dell’immigrazione”, si legge ancora nella dichiarazione del governo. Al potere da quasi un anno, l’esecutivo Kurz ha inasprito le condizioni di accoglienza degli immigrati e i deputati dell’estrema destra fanno regolarmente commenti in cui stigmatizzano gli stranieri, in particolare quelli di religione musulmana.

La decisione è valsa a Vienna l’appoggio di diversi esponenti dell’estrema destra europea. “Congratulazioni a quelle nazioni che difendono la loro sovranità in materia di immigrazione. Il buon senso è di ritorno in Europa”, ha scritto la leader del Rassemblement National (ex Front National), Marine Le Pen.

Alternative fuer Deutschland, partito di estrema destra cresciuto negli ultimi anni in Germania, chiede che Berlino segua l’esempio dell’Austria. “E’ una decisione logica che va nell’interesse del popolo. Anche la Germania dovrebbe non firmare questo penoso lavoro”, ha dichiarato una dei due leader, Alice Weidel. Di questa opinione anche l’altro dirigente del partito ed eurodeputato Joerg Meuthen: “mentre il governo tedesco in un momento delicato come questo si confronta con la propria incapacità, l’Austria porta fatti per il bene del suo popolo”.

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La vicenda che la Procura di Milano considera la più grande tangente di sempre, pagata dall’Eni all’ex ministro del Petrolio nigeriano, viene raccontata in esclusiva dal giornalista che l’ha portata alla luce, Claudio Gatti, in libreria da oggi (15 euro, ed. Paper First). Parliamo del miliardo di dollari bonificato dall’Ente petrolifero italiano e finito su conti bancari offshore legati ad alti papaveri corrotti della classe politica nigeriana per l’acquisizione della licenza esplorativa del giacimento Opl 245 a largo delle coste del Paese africano. Un pagamento svelato proprio da Claudio Gatti.

Una brutta storia di malaffare che coinvolge i vertici dell’Eni, primi fra tutti l’attuale amministratore delegato Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni, entrambi sotto processo a Milano assieme a svariati altri dirigenti o ex dirigenti dell’Eni. Il libro contiene documenti che attestano le responsabilità etiche, manageriali e giudiziarie dei manager dell’Ente petrolifero. Gatti ricostruisce, inoltre, due altre inchieste giudiziarie su simili casi di corruzione internazionale riguardanti il gruppo di piazzale Mattei. In particolare, quella del versamento di 197 milioni di dollari al braccio destro dell’ex ministro del Petrolio algerino su cui il tribunale meneghino si è già espresso in primo grado.

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Se siete disperati perché la connessione di rete in casa vostra non copre uniformemente tutte le stanze, provate a dare un’occhiata a Huawei Wi-Fi Q2, una soluzione che offre buone prestazioni, semplicità d’uso e un prezzo molto interessante. L’abbiamo provato in una casa di grandi dimensioni e ha funzionato molto bene.

Il segreto del successo sta nel fatto che si tratta di un sistema Mesh, lo stesso alla base della soluzione concorrente Netgear Orbi Voice di cui vi abbiamo parlato di recente (e che potete valutare come alternativa). Le proposte di questo tipo si stanno moltiplicando perché in questo momento sono l’ideale proprio per risolvere i problemi di connessione in alcune aree della casa. In una rete Mesh, infatti, ciascun dispositivo collegato riceve, trasmette e amplifica il segnale, con il risultato che si riesce a coprire un’abitazione di grandi dimensioni senza problemi dovuti a ostacoli e disturbi. Il tutto a un prezzo di circa 250 euro per tre elementi, che è concorrenziale rispetto alle proposte di altre marche.

Ciascuno dei tre componenti compresi nel pacchetto di Huawei è alto poco meno di 20 centimetri ed è largo 112×75 mm. Sono quindi compatti e facili da posizionare dovunque in casa; l’unico vincolo è che vanno disposti nei pressi di una presa di corrente. Ciascuno offre tre porte Ethernet, a cui si possono collegare Smart TV, lettori Blu-ray o qualsiasi dispositivo richieda una connessione con i cavi alla rete domestica. La semplicità sta nel fatto che c’è un solo pulsante: non potete sbagliare. Il funzionamento è notificato dall’illuminazione rossa o blu alla base.

Ciascuno di questi router gestisce in modo autonomo reti a 2.4 GHz e/o a 5 GHz. Questo significa, per esempio, che se il vostro smartphone è compatibile con entrambi gli standard, si attiverà automaticamente l’impostazione migliore per potenza e velocità, senza richiedere il vostro intervento. In automatico avviene anche la gestione costante dei disturbi, per evitare che interferenze di qualsiasi tipo (elettrodomestici o le reti dei vicini, per esempio) deteriorino la qualità del segnale.

Se vi sembra tutto troppo facile, sappiate che c’è dell’altro. Per esempio, per l’installazione non avrete bisogno di copiare a mano codici alfanumerici lunghissimi: vi basta usare la fotocamera dello smartphone e inquadrare il codice QR posto sotto a ciascuno dei tre ripetitori. Facile!

Una volta posizionati i tre elementi, la nuova rete wireless ad alta velocità è pronta, e per usarla non dovrete far altro che collegarvi i dispositivi che avete in casa, tutto tramite l’applicazione Huawei Smart Home, disponibile sia per Android sia per iOS. Da qui potete personalizzare il nome della rete, impostare la password, eccetera. Se avete una rete preesistente, ovviamente dovete disconnetterla. Vi consigliamo di replicarne le impostazioni nella nuova rete, così che i dispositivi si possano collegare automaticamente, senza “accorgersi” che qualcosa è cambiato.

L’efficienza dell’applicazione mobile è tale che potete persino decidere quali dispositivi possono collegarsi in determinate fasce orarie. Per esempio, potete impedire che il tablet dei bambini si colleghi dopo le 9 di sera, o decidere che negli orari d’ufficio la rete debba restare spenta. Non si tratta di idee rivoluzionarie, esistono soluzioni analoghe con altri prodotti, ma la semplicità nelle impostazioni non è la stessa.

Nella nostra prova pratica siamo riusciti in pochi minuti a coprire tutte le aree della casa. La velocità di connessione non era identica in tutta l’abitazione: dove prima il segnale era ottimo è rimasto tale. Dove prima era assente è arrivato, con una velocità comunque sufficiente, per esempio, per guardare una serie TV di Netflix. Nel complesso ci riteniamo più che soddisfatti, anche per via del prezzo del Huawei Wi-Fi Q2: 250 euro, contro i 300 euro circa del Netgear Orbi e i 360 euro di Google Wi-Fi.

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