La pedofilia, le vittime

La sola parola “Pedofilia” mette i brividi, e sembra una di quelle cose orrende e lontane da noi anni luce, ma quanto davvero lontano? Le vittime vivono quasi sempre nel silenzio il loro dolore, fin quando diventa insopportabile. Nella Giornata Nazionale contro la pedofilia, raccontiamo la storia di una vittima, della madre di una vittima e di quattro pedofili attualmente detenuti nel carcere di Bollate.

 

La storia

Antonella (il nome è di fantasia) oggi è una donna, non è mai riuscita a costruirsi una famiglia, nonostante fosse il suo più grande desiderio. Quando aveva poco più di otto anni è stata abusata dal nonno, e più tardi nella pre adolescenza dal nuovo compagno della madre.

Abusi perpetrati fra le mura domestiche quindi, come succede almeno nella metà dei casi di abusi sessuali su minori.

Antonella ha tenuto nascosto il suo dramma anche dopo i ripetuti atti autolesionistici che hanno caratterizzato la sua adolescenza. Curata da un neurologo per tutt’altra patologia, solo a 27 anni è riuscita a raccontare ad un medico quello che le era successo. E’ iniziato così un lungo e doloroso percorso di  ricostruzione e rinascita.

Il suo racconto esplicito è un pugno nello stomaco di coloro che sorvolano sul tema pedofilia o non hanno mai avuto modo di approfondirlo. Antonella racconta con fredda lucidità il momento drammatico di quel primo abuso, un pomeriggio dopo pranzo, prima di fare il “riposino”. E ricorda quella manona davanti alla sua bocca per sputare, “un ricordo” dice “che mi porterò fino nella tomba”.

Qualche anno dopo la storia si ripete. Questa volta accanto alla sua camera da letto, dove lei dorme con il fratello che non si accorge di nulla. “Cercavo di svegliarlo” racconta Antonella “perché sentivo questi gesti di autoerotismo espliciti attraverso il muro, ma lui continuava a dormire. Poi, un giorno, quest’uomo ha chiesto anche a me di partecipare”.

Fare i conti con un abuso non è affare semplice, nemmeno dopo molti anni. Permangono le fragilità, l’incapacità di credere in se stessi, di sentirsi in grado di ricevere amore. Antonella lo spiega bene: “io non sono riuscita a farmi una famiglia, nonostante il grande desiderio che ho sempre avuto di avere dei figli. Questo dolore è una macchia nera sottopelle che ti porti addosso per sempre”.

In un passaggio della terapia, Antonella, ha sentito la necessità di “restituire quel sacchettino” a chi glielo aveva consegnato: “tremavo come una foglia”, racconta “ma sono riuscita a dirglielo al culmine di una lite: questa si chiama pedofilia ed è tua! Ma lui ha sempre negato”.

Ancora più doloroso il rapporto con quei famigliari che mettono in dubbio il fatto.

“C’è stato chi mi ha detto: “ma non è che te lo sei sognato?”, racconta Antonella, “queste persone è come se mi avessero pugnalato tre volte. Ma come puoi pensare che non sia vero? Il dolore per un gesto di pedofilia può avere molte sfaccettature, tra le più dolorose quella di mettere in dubbio la tua parola”.

Difficile parlare di perdono per chi ha subito abusi di questo tipo, anche dopo molti anni.

“Ad un certo punto capisci” conclude Antonella “che non puoi continuare a perpetrare il brutto su brutto e quindi cerchi di voltare pagina, ma perdonare… mah, di certo è impossibile perdonare intimamente”.



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