Obiettivi non definiti sulla produzione di energia da rinnovabili, appesa alla riforma delle procedure autorizzative. Risorse e attenzione dedicate all’idrogeno che però pongono questioni mai risolte, come il peso delle esigenze di Eni e Snam che devono riconvertire la loro produzione di metano. Economia circolare che punta più sugli impianti che sulla riduzione dei rifiuti. Evidente carenza di risorse per la biodiversità. E dubbi sugli stanziamenti per il biometano. Mentre il trasporto locale “sostenibile” incassa lo stanziamento maggiore dopo quello per il superbonus, i fondi sono molti meno di quelli destinati all’Alta velocità. Per la missione ‘Rivoluzione verde e Transizione ecologica’ nel Piano nazionale di ripresa e resilienza del governo Draghi ci sono quasi 70 miliardi, come in quello messo a punto da Conte. Per alcuni settori ci sono risorse mai viste (ad esempio smart grid, comunità energetiche e impianti off-shore per le rinnovabili) ma, a parte l’assenza di dibattito e lo sbilanciamento delle somme in alcuni settori, ma per altri gli ambientalisti segnalano diversi rischi. Tra cui, secondo Greenpeace, quello che si apra la strada “all’uso massiccio di inceneritori”.
IL CONFRONTO TRA CONTE E DRAGHI – Il governo mette sul piatto 69,96 miliardi: 59,33 del Pnrr (57,5 nella bozza del 23 aprile), 9,3 del fondo complementare e 1,3 di React-Eu (da spendere entro il 2023). Conte aveva previsto, invece, una spesa nel Pnrr di 67,4 miliardi, a cui aggiungerne 2,3 di React-Eu. Totale: 69,8 miliardi (800 milioni in meno). Analizzando le quattro componenti, per ‘Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile’ ora ci sono 25,3 miliardi totali. ‘Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici’ nel cambio di governo hanno perso, insieme alla priorità, anche 7,29 miliardi: siamo a 15,2 miliardi, più 6,7 dal fondo complementare e 320 milioni dal React-Eu per un totale di 22,2 mentre a gennaio erano 29,5. Per entrambi i governi al terzo posto c’è la ‘Tutela del territorio e della risorsa idrica’ (15,3 miliardi totali, 340 milioni più del piano di Conte) e, al quarto, ‘Economia circolare e agricoltura sostenibile’ con 6,9 miliardi totali (30 milioni in meno rispetto a gennaio).
TRASPORTO LOCALE PIÙ SOSTENIBILE – Alla seconda componente, dunque, vanno più risorse e la quota maggiore è per il trasporto locale: 8,5 miliardi, di cui 3,6 per il trasporto rapido di massa (11 km di metro, 85 di tram, 120 di filovie e 15 di funivie) e 3,6 miliardi (più 1,4 dal fondo complementare) al rinnovo di flotte bus e treni. Con 750 milioni si realizzeranno 7.500 punti di ricarica elettrica rapida in autostrada e 13.755 in centri urbani. Entro il 2026 si acquisteranno 3.360 bus a basse emissioni e 53 nuovi treni che andranno a sostituirne altrettanti. Per Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia “sulla mobilità urbana il piano prevede una ‘cura del ferro’ che basterebbe probabilmente per la sola Roma, investimenti nella mobilità ferroviaria locale limitati che, tra l’altro, migliorerebbero ben poco la qualità dell’aria delle città”. Inevitabile il paragone con l’Alta Velocità (Missione 3): 8,5 miliardi solo per le Linee tra il Nord e l’Europa e 4,6 per i collegamenti verso il Sud, più le risorse dal fondo complementare.
ENERGIA RINNOVABILE – Sull’energia rinnovabile si puntano 5,9 miliardi: 2,2 per comunità energetiche e autoconsumo, 1,9 per il biometano, 1,1 per l’agro-voltaico e 600 milioni per impianti innovativi (incluso l’off-shore). Draghi ha detto che per raggiungere il 72% dell’elettricità globale da fonte rinnovabile nel 2030 (il target previsto), occorre installare circa 70 Gigawatt di potenza nei prossimi 10 anni. Nel Pnrr si spiega che l’obiettivo fissato dal Pniec (un incremento di 15 GW entro il 2025 rispetto al 2017) sarà rivisto al rialzo. Passo obbligato, dato che il Pniec è nato già inadeguato alle sfide europee. “Ma il Pnrr non identifica un obiettivo complessivo per le rinnovabili, né lo lega a una risorsa – spiega a ilfattoquotidiano.it Matteo Leonardi, direttore esecutivo del think tank ECCO – ma rimanda a una riforma per semplificare le procedure di autorizzazione per gli impianti, anche questa non connessa a una voce di budget”. Nero su bianco ci sono l’investimento per installare impianti agro-voltaici da 2 GW, la promozione per comunità energetiche e auto-consumo (altri 2 GW) e per gli impianti innovativi, off-shore incluso (200 MW) e, nella componente dedicata all’agricoltura, c’è l’investimento sull’Agrisolare (0,43 GW di potenza). “Non è chiaro se le riforme consentiranno una crescita di almeno 6 GW all’anno, in linea con gli obiettivi europei”, commenta Greenpeace.
BIOMETANO E SMART GRID – Lo stanziamento sul biometano (1,92 miliardi) per Legambiente è una buona notizia. Ma per Greenpeace, pur potendo contribuire alla decarbonizzazione, senza una politica agricola orientata a ridurre emissioni e capi allevati rischia di non mitigare gli impatti su ambiente e salute e “addirittura di stimolare richieste per nuove autorizzazioni, in aree già fortemente colpite dagli impatti del settore zootecnico intensivo”. Altri 4,1 miliardi di Pnrr vanno alle ‘Infrastrutture di rete’: 3,6 per le smart grid che consentono una gestione ‘intelligente’ della rete di distribuzione elettrica (più 180 milioni dal React-Eu) e 500 milioni per gli interventi sulla resilienza climatica delle reti, attraverso cui ridurre probabilità, durata ed entità di interruzioni di corrente legate a eventi estremi.
IDROGENO – All’idrogeno vanno 3,19 miliardi (Conte ne prevedeva 2): 2 miliardi per l’utilizzo in settori hard to abate come l’industria siderurgica, 530 milioni per la sperimentazione nel trasporto stradale e ferroviario, 500 milioni per la produzione in aree industriali dismesse e la creazione di ‘hydrogen valley’, oltre a 450 milioni destinati all’idrogeno tra quelli con cui si mira a ‘Sviluppare una leadership internazionale industriale’. Per produrre idrogeno nelle aree dismesse già collegate alla rete elettrica, in una prima fase verranno installati elettrolizzatori. Se l’area è già allacciata alla rete del gas, l’idrogeno sarà trasportato su condotte dedicate esistenti in miscela con gas metano. “L’idea è quella di produrre lì l’idrogeno da rete elettrica – spiega Matteo Leonardi – magari con supporto da rinnovabili in loco (ma non necessariamente e, magari, non su tutta la produzione di idrogeno) e poi usare la rete di distribuzione di gas, in miscela con il gas, per portarlo ai consumatori finali”. Anche se l’utilizzo di elettrolizzatori ha un impatto positivo, questo permette all’industria fossile di mantenere gli utenti finali attaccati alla rete di gas, diminuendo l’impatto di CO2, attraverso la miscela con l’idrogeno, ma continuando a vendere gas e usare le reti. In questo contesto ha un suo peso l’interesse di Eni e Snam che da tempo puntano sull’idrogeno blu, mentre Enel è più orientata a produrre idrogeno verde dall’elettrolisi dell’acqua. “Ma anche l’idrogeno verde deve essere pensato solo per i settori per cui l’elettrificazione non è possibile o molto onerosa, in cui servono le alte temperature, ad esempio quello dell’acciaio primario”, aggiunge Leonardi.
I NODI SUL CLIMA – La capogruppo alla Camera di FacciamoECO Rossella Muroni, pur sottolineando gli aspetti positivi, ha chiesto un incontro con Draghi manifestando dubbi sullo “sbilanciamento dei saldi idrogeno e Alta velocità”. Nel piano, poi, si prevede un aggiornamento del Pniec con un taglio delle emissioni di almeno il 51% entro il 2030 rispetto al 1990. “Più basso dell’obiettivo già inadeguato del 55% fissato in Uem commenta Greenpeace. Enrico Gagliano, co-portavoce dei No-Triv, sottolinea che nel piano “non si specifica l’impatto delle riforme e di tutti gli investimenti sulla riduzione delle emissioni”, se non in parte dei singoli investimenti già delineati. Anche sul capitolo dei sussidi alle fonti fossili (ogni anno 19 miliardi di Sad, ndr), “Draghi parla di una riforma fiscale ma nulla si anticipa su tempi e modalità”.
EFFICIENZA ENERGETICA E RIQUALIFICAZIONE DEGLI EDIFICI – La terza componente della Missione 2, la più penalizzata rispetto al piano di Conte, è tutta concentrata su Ecobonus e Sismabonus fino al 110%. Per questa misura si è passati dai 10,2 miliardi dell’ultima bozza ai 13,8 del piano definitivo più 4,7 dal fondo complementare e 1,7 per le aree colpite da sisma. Il Superbonus 110 si estende al 2023 e resta condizionato al miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio. Fanno discutere le risorse per edifici giudiziari (410 milioni per 48 edifici su cui fare interventi entro la metà del 2026) e scuole. Con 800 milioni si interviene in circa 195 scuole (“su 32mila nazionali” fa notare il think tank Ecco). Nel Pnrr, però, sono previsti 3,9 miliardi di ‘Piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica’ che, pur non vincolati all’efficienza, potrebbero però portare miglioramenti. Nella componente legata alla ‘Tutela del territorio e della risorsa idrica’, inoltre, ci sono 6 miliardi per interventi dei Comuni.
LA TUTELA DEL TERRITORIO – E questa vale 15,37 miliardi per quattro ambiti. Più della metà destinati a ‘dissesto idrogeologico e vulnerabilità del territorio’. Sono 8,49 miliardi: i già citati 6 miliardi per interventi di resilienza, valorizzazione ed efficienza energetica dei Comuni e altri 2,49 per gestire i rischi di alluvione e idrogeologico. Poi c’è il capitolo risorse idriche: 4,38 miliardi, 2 per infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura primaria, 600 milioni per fognatura e depurazione (tra i punti deboli del Paese), 900 per le perdite nelle reti di distribuzione e 880 per aumentare la resilienza dell’agrosistema rispetto a siccità e cambiamenti climatici, consentendo più disponibilità d’acqua. A qualità dell’aria e della biodiversità vanno 1,69 miliardi. “Lo 0,8% del piano” commenta il Wwf. Anche se ci sono diversi investimenti degni di nota, come la bonifica dei siti orfani (500 milioni), la tutela di fondali e habitat marini (400 milioni) e la rinaturazione dell’area del Po (360 milioni).
AGRICOLTURA SOSTENIBILE – La prima componente (economia circolare e agricoltura sostenibile) è quella con meno risorse: 6,97 miliardi totali. La quota maggiore per ‘Sviluppare una filiera agricola sostenibile’ (2,80 miliardi, più 1,2 del fondo complementare, per un totale di 4 miliardi). Ma in che senso sostenibile? Andranno al ‘Parco Agrisolare’ 1,5 miliardi, 800 milioni allo ‘Sviluppo della logistica per i settori agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo’ e 500 milioni a ‘Innovazione e meccanizzazione nel settore agricolo e alimentare’. Altri 1,20 miliardi di fondo complementare vanno ai contratti di filiera e distrettuali. “Mancano un riferimento preciso allo sviluppo dell’agricoltura ecologica e biologica – commenta Greenpeace – e un obiettivo di riduzione dei capi allevati, spostando le risorse della Pac su produzioni agroecologiche”.
ECONOMIA CIRCOLARE – All’economia circolare vanno 2,1 miliardi (e 500 milioni del React-Eu): 1,5 per realizzare nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernare quelli esistenti’, 600 milioni per i progetti ‘faro’. Sullo sfondo una strategia per l’economia circolare, il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti e una riforma per il supporto tecnico alle autorità locali. Il piano parla di “nuovi impianti di trattamento/riciclaggio di rifiuti organici, multimateriale, vetro, imballaggi in carta” e di “impianti innovativi per particolari flussi”. Greenpeace fa notare l’assenza “di misure per la riduzione della produzione di rifiuti e del ricorso all’usa e getta”, parlando di un percorso “che potrebbe aprire all’uso massiccio di inceneritori con rischi sanitari pericolosi”.
L'articolo Recovery plan, dai fondi per le comunità energetiche agli obiettivi (poco chiari) sulle rinnovabili: cosa c’è davvero per la transizione ecologica. I dubbi degli ambientalisti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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