Sapere la verità sulle sostanze che la Solvay scarica in mare e che hanno trasformato nelle famigerate ‘spiagge bianche’ l’arenile di Rosignano, in Toscana, dove la multinazionale belga produce carbonato di sodio da oltre un secolo. È l’obiettivo di due esposti presentati alla procura di Livorno con cui si punta a dimostrare che quella distesa di sabbia bianca lunga cinque chilometri apparentemente idilliaca “in realtà è una discarica a cielo aperto di rifiuti chimici industriali”. In pratica gli scarichi dell’azienda contenenti “per lo più gesso e calcare, ma anche metalli pesanti bioaccumulabili quali mercurio, arsenico, cadmio, cromo e piombo”. Nel primo esposto si contesta il reato di inquinamento ambientale: lo firmano il deputato toscano del Movimento 5 Stelle, Francesco Berti, la consigliera regionale grillina Silvia Noferi e l’avvocato Vittorio Spallasso, già promotore di un’azione legale contro Solvay in Piemonte, finita con le condanne definitive a tre manager. Nel secondo esposto, che Berti firma insieme a Giuseppe Bivona, cofondatore del fondo internazionale di investimento Bluebell Capital Partners, si contestano le comunicazioni ufficiali della Solvay, dietro cui ci sarebbe un’operazione di greenwashing e il mancato rispetto delle Best Available Technique (BAT), emanate dall’Ue per garantire l’adozione delle migliori tecniche possibili per ridurre l’inquinamento derivante dai processi produttivi. Ma a 48 ore dalla presentazione delle denunce Solvay ha annunciato l’adozione di misure “per organizzare la sua attività relativa alla produzione di carbonato di sodio e derivati in una struttura legale separata, controllata dalla capogruppo”. In pratica un’altra società, pronta ad assumersi eventuali responsabilità degli effetti di un secolo di scarichi.
L’annuncio di Solvay – Per l’azienda l’obiettivo è rafforzare “la trasparenza dei risultati finanziari ed operativi e l’attribuzione di responsabilità, in linea con il mandato di ottimizzare ritorni e generazione di cassa, aumentando nel contempo la flessibilità di possibili future scelte strategiche”. Per Bivona, invece, l’annuncio è segno che “Solvay avverte la pressione di dover trovare una soluzione per l’impatto ambientale generato dalle proprie attività di produzione di carbonato e bicarbonato di sodio”. Una soluzione che non danneggi l’azienda principale, ancora di più sul mercato finanziario, dove la multinazionale è riuscita – nonostante Rosignano – a farsi attribuire ottimi voti dalle agenzie di rating. E si guarda alle mosse successive. “Una possibile uscita di Solvay dalla produzione della soda attraverso una vendita dell’attività – spiega a ilfattoquotidiano.it – trasferirebbe la responsabilità del problema ambientale da Solvay a un nuovo soggetto industriale, ma certo non lo risolverebbe. Ci aspettiamo, invece, che l’azienda si assuma la responsabilità di bonificare il danno ambientale e trasformare il ciclo produttivo per renderlo eco-sostenibile”.
Le performance green che non ci sono – E ciò che chiede anche il deputato Francesco Berti, secondo cui “è inconcepibile che l’azienda continui a vendersi sui mercati come rispettosa dell’ambiente, vantando performance che non corrispondono a verità, per lo meno qui a Rosignano – spiega a ilfattoquotidiano.it – dove negli ultimi 80 anni l’azienda ha sversato in mare 13 milioni di tonnellate di metalli pesanti”. Il parlamentare M5S ricorda, inoltre, che “dal 2007 la multinazionale ha ricevuto 104,5 milioni di euro di fondi pubblici per ridurre il proprio impatto ambientale, anche se ad oggi non si sono osservati miglioramenti”. E di tempo ne ha avuto, dato che Solvay è a Rosignano dal 1912: attorno al primo stabilimento è sorta una piccola città e nel 1923, Rosignano Solvay è diventata una frazione del Comune. Da un lato si è trasformata paradossalmente in una meta turistica, i ‘Caraibi livornesi’, dall’altro se negli Anni Quaranta i lavoratori erano oltre 3mila, ancora oggi lo stabilimento conta circa 460 dipendenti. “Un ricatto occupazionale”, lo definisce Berti, con cui si è permesso “che quest’area diventasse uno dei siti più inquinati del Mediterraneo, con più di 500 tonnellate di mercurio sversate in mare e altre 340 tonnellate di metalli pesanti finiti sulla spiaggia”.
Il prezzo del carbonato di sodio – Nel processo per la produzione del carbonato di sodio si utilizzano sale e calcare come materie prime, ma anche ammoniaca, quasi interamente rigenerata e riciclata. Secondo studi dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale questo processo ha generato residui chimici sotto forma di solidi sospesi che, diversamente da quanto avviene negli altri impianti di Solvay in Europa, a Rosignano vengono scaricati direttamente in mare. I metalli pesanti non vengono né introdotti né utilizzati deliberatamente. “Tuttavia – si legge nell’esposto di Berti e Bivona – si trovano naturalmente nelle principali materie prime (calcare, coke e salamoia) e non vengono trattenuti nel carbonato di sodio risultante, ma passano attraverso il processo, per essere infine rilasciati (principalmente con solidi sospesi) attraverso le acque reflue”. Nel 2003, Regione, Provincia di Livorno, ministero dell’Ambiente e Solvay hanno firmato un accordo: la società non avrebbe potuto riversare in mare più di 70mila tonnellate l’anno di residui (all’epoca il limite era di 200mila tonnellate). Poi, nel 2013, Solvay è rimasta coinvolta in un’indagine per scarichi abusivi e una procedura per annacquare i fanghi e diluire le concentrazioni. Tutto chiuso con un patteggiamento, accettato a condizione che Solvay realizzasse un piano di risanamento e messa in regola entro il 2015. Invece quell’anno sono stati rinegoziati i termini dell’accordo del 2003: la soglia massima dei solidi sospesi scaricabili in mare è stata portata a 250mila tonnellate annue. L’Arpat ha stimato che dal 2005 al 2013 “pur con ampie fluttuazioni” ne sono state scaricate oltre 120mila tonnellate all’anno, mentre dal 1912 sono finiti in mare 13 milioni di tonnellate di residuo chimico provenienti dall’impianto. “I solidi sospesi scaricati – si legge nell’esposto – sono aumentati nel tempo poiché Solvay ha aumentato la produzione da 620mila tonnellate nel 2010 a oltre un milione di tonnellate nel 2020”.
Cosa dice l’azienda – Sul proprio sito istituzionale, la Solvay conferma che il calcare contiene tracce di metalli pesanti “ma ‘bloccati’ allo stato solido nel calcare stesso”, quindi non potrebbero “essere assorbiti dagli organismi viventi, compresi pesci e umani”. L’azienda ricorda che opera “nel rispetto delle leggi” e che “enti locali e autorità pubbliche hanno costantemente confermato la qualità dell’acqua del mare di Rosignano”. Eppure la responsabile del dipartimento di Livorno dell’Arpat, Lucia Rocchi, nel corso di un’intervista a Report, ha spiegato che la valutazione della qualità di queste acque è di natura microbiologica (riguarda la presenza di batteri fecali e non l’inquinamento chimico). “Non possono nascondersi dietro le autorizzazioni – spiega il cofondatore di Bluebell – perché la Solvay conosce e adotta altrove le tecnologie per evitare tutto ciò”.
Se le soluzioni ci sono – Uno degli aspetti analizzati nell’esposto di Berti e Bivona è proprio questo: “La società non ha adottato a Rosignano gli accorgimenti tecnici adeguati – racconta Bivona – come bacini di decantazione o canali per sversare lontano dalla costa. Cosa che è stata fatta altrove”. Basti pensare ai bacini di decantazione utilizzati a Dombasle (Francia), Devnya (Bulgaria) e Bernburg (Germania). E la Best Available Technique emessa dalla Commissione Ue per la produzione di carbonato di sodio con il processo Solvay dice che “per quanto riguarda l’impatto delle acque reflue (contenenti solidi sospesi e metalli pesanti associati)” dove lo scarico finale viene effettuato nell’ambiente marino “occorre garantire la dispersione dei solidi evitando l’accumulo localizzato di solidi depositati”. Un altro elemento riguarda il fatto che la concentrazione di metalli pesanti viene diluita subito prima dell’ingresso a mare con 67 milioni di metri cubi di acqua (dato del 2011) “senza i quali – spiega Bivona – i valori sarebbero ben diversi”. Si arriva a calcolare, senza diluizione, una concentrazione di “circa dieci volte maggiore ed in alcuni casi ben al di sopra dei limiti di legge”. Un terzo aspetto riguarda il rating di sostenibilità ambientale che, sostengono, “dovrebbe essere rivisto al ribasso alla luce dell’impatto dello stabilimento di Rosignano”. Già, perché nel 2019, in base ai dati forniti dalla Solvay, una delle agenzie di rating più importanti, Msci, ha dato il punteggio massimo (AAA) all’azienda belga che ha ottenuto voti buoni (sebbene più bassi) anche da altre società. Tradotto: acquistare un titolo Solvay è considerato un investimento sostenibile.
La campagna del fondo – Così nel 2020 il fondo attivista Bluebell Capital Partners, guidato da Bivona e da altri due italiani, Marco Taricco e Francesco Trapani, ha deciso di dedicare al ‘caso’ della Solvay la sua prima campagna ambientalista ‘One Share ESG Campaign’. ESG sta per Environmental, Social and Corporate Governance, elementi utilizzati in finanza per valutare la sostenibilità degli investimenti. Come fondo attivista, Bluebell ha acquistato un’azione di Solvay per cercare di influenzare il comportamento dell’azienda. “Abbiamo chiesto di adottare le stesse soluzioni tecniche che già utilizzate negli altri impianti in Europa – spiega Bivona – di accantonare i fondi necessari per bonificare l’area e di legare i compensi dei manager a una serie di obiettivi per eliminare l’impatto ambientale dello stabilimento di Rosignano”.
L'articolo Due esposti contro la Solvay di Rosignano: “Verificare le vere performance ambientali”. E l’azienda apre una struttura legale separata proviene da Il Fatto Quotidiano.
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