Fin dal cominciamento della pandemia, sostenni – si ricorderà – che quanto stava accadendo, al di là della narrazione del pipistrello, chiedeva di essere letto e interpretato nel quadro della nuova Guerra Fredda tra Cina e Usa: guerra che domenica 24 maggio è stata apertamente ammessa, infine, dalla stessa Cina in via ufficiale. Insomma, su un piano stricto sensu geopolitico, possiamo dire che il Covid-19 – quale che sia la sua reale origine – giunge nel bel mezzo di una nuova Guerra Fredda, che solo ora è riconosciuta apertamente, ma che, invero, era in atto già da tempo.

A suffragare questa lettura sono, come sappiamo, i rapporti niente affatto distesi che si erano venuti a creare tra i due Paesi ben prima dell’emergenza Covid-19: la quale sempre più appare essere essa stessa un momento di quella “Guerra Fredda” più che una sua temporanea battuta d’arresto. Si pensi anche solo alla guerra per il “5G” e l’affaire Huawei. Non si trascuri, poi, che il 28 novembre 2019 Trump firma e promulga l’“Hong Kong Human Rights and Democracy Act”, per sostenere le protese anticinesi divampate a Hong Kong. La Cina reagisce senza esitazioni: lo fa convocando l’ambasciatore Usa ed esortandolo a non applicare la legge, dacché la questione Hong Kong è interna alla Cina e, dunque, di sua esclusiva competenza. Ancora, gli Usa accusano la Cina: il 17 febbraio un cacciatorpediniere cinese avrebbe puntato un laser su un aereo da ricognizione Poseidon P-8A americano nel Pacifico al fine di disturbarne le operazioni. L’episodio sarebbe avvenuto a 600 chilometri dall’isola di Guam, non distante dalle Filippine.

La Guerra Fredda si è manifestata senza posa nel corso dell’emergenza Covid-19, dichiarata “pandemia” dall’Oms l’11 marzo scorso. Lijian Zhao, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha apertamente, senza troppe perifrasi, attaccato gli Usa: “It might be US army who brought the epidemic to Wuhan”. Così scrisse testualmente sul suo profilo Twitter il 12 marzo.

La Cina, per il tramite di un esponente di spicco del suo governo, stava chiaramente indicando quelli che, dal suo punto di vista, erano i reali responsabili. Le accuse di Lijian Zhao meritano di essere analizzate più estesamente. Fanno leva sulla scarsa chiarezza della civiltà del dollaro sui propri casi di Covid-19: “A quando risale – chiedeva Lijian Zhao – il paziente zero negli Stati Uniti? Quante persone sono state infettate negli States? Come si chiamano gli ospedali dove sono ricoverate? Potrebbe essere stato l’esercito americano ad aver portato l’epidemia a Wuhan. Vogliamo trasparenza! Che siano resi pubblici i vostri dati! Gli Stati Uniti ci devono una spiegazione”.

È interessante, di questa accusa, il fatto che essa rovesci la narrazione, ponendo gli Usa nella posizione in cui essi avevano fino a quel momento cercato di porre la Cina: ossia nella posizione di chi deve dare conto al mondo intero delle proprie responsabilità.

In un secondo messaggio su Twitter, Lijian Zhao ha ricordato che Robert Redfield, portavoce e rappresentante del Parlamento Usa, ha ammesso apertamente l’esistenza di decessi per Covid-19 negli Usa. Ne dà notizia anche The Guardian, il 12 marzo. Il video a cui allude Lijian Zhao era stato pubblicato da “People’s Daily”: in esso Robert Redfield affermava che alcuni morti di influenza, negli Usa, era in realtà contagiati da Covid-19… Con le parole di Robert Redfield: “Some cases have actually diagnosed that way in the United States today”. Queste affermazioni, in effetti, aprono alla possibilità che il virus non sia “cinese” (come continua a ripetere Trump), ma atlantista.

Alla sbarra dell’imputato è ora, improvvisamente, la civiltà del dollaro. Quanti dei morti di influenza negli Usa – incalza Lijian Zhao – sono connessi al Covid-19? Perché gli Usa, così solerti nell’attaccare la Cina, hanno nascosto al mondo intero le proprie responsabilità?

Le catilinarie politiche di Lijian Zhao sono supportate dalle affermazioni dell’epidemiologo e pneumologo Zhong Nanshan, che nel 2003 scoprì il Coronavirus Sars, e che fu anche presidente della Chinese Medical Association (2005-2009). Pur senza puntare il dito contro gli Usa, Zhong Nanshan ha affermato, il 27 febbraio 2020, che il virus, rilevato la prima volta in Cina, “potrebbe non essere nato in Cina”. Queste, in estrema sintesi, alcune delle accuse mosse dalla Cina agli Usa. E gli Usa? Il Consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Robert O’Brien, ha quasi da subito accusato la Cina di non aver gestito nel modo giusto l’epidemia “mettendo a tacere i medici coinvolti o mettendoli in isolamento”. E, in effetti, Li Wenliang, il dottore che per primo aveva invano denunciato il Covid-19, è – come sappiamo – morto isolato e dimenticato. E vi sono stati, in Cina, altri episodi di repressione di dissidenti.

Peraltro, se la Cina è stato il primo Paese a essere colpito dal Covid-19, gli Usa non ne sono certo stati risparmiati. Ben presto, infatti, il virus si è diffuso incontenibilmente anche al di là dell’oceano, colpendo soprattutto, in maniera clamorosa, Nuova York. Mike Pompeo, segretario di Stato degli Stati Uniti (e già direttore della Cia dal 2017 al 2018), non ha mostrato alcuna esitazione nell’indicare la Cina come responsabile della pandemia del Covid-19. A seconda della potenza mondiale in questione, il virus diventa, così, ora un iscritto segreto del partito comunista cinese, ora una spia della Cia. Ad avviso di Jim Inhofe, uno dei senatori che ha proposto il “Covid-19 Accountability Act”, “il Partito comunista cinese deve essere ritenuto responsabile per il ruolo dannoso che ha avuto nella pandemia. Le sue menzogne sull’origine e sulla diffusione del virus sono costati al mondo vite e tempo prezioso”. Addirittura, il presidente Trump dovrebbe anche riferire se la Cina avrà chiuso i suoi “wet market”, i “mercati umidi” nei quali a Wuhan, secondo la versione egemonica, si sarebbe originata la pandemia.

Per rimanere in tema di Guerra Fredda virologica, Trump sarebbe autorizzato, in base a questa legge, a imporre sanzioni a Pechino, come ad esempio il congelamento di beni, il divieto di ingresso o la revoca dei visti. E potrebbe altresì limitare l’accesso delle società cinesi alle banche e ai mercati dei capitali statunitensi. Naturalmente, gli Usa vorrebbero svolgere indagini direttamente a Wuhan, nei laboratori cinesi, per il tramite di una fantomatica “comunità internazionale” che, chiaramente, coincide sempre con il punto di vista e con l’interesse della potenza atlantista.

Secondo quanto ha sottolineato Lindsey Graham, firmatario della proposta di legge, “la Cina si rifiuta di dare il consenso al fatto che la comunità internazionale vada a indagare nel laboratorio di Wuhan”. Ed è, in effetti, chiaro il perché di un tale rifiuto: sarebbe, per la Cina, una cessione di sovranità, un riconoscimento di subalternità alla monarchia a stelle e strisce. Il già precedentemente menzionato portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, ha confermato la contrarietà assoluta della Cina rispetto a simili proposte di interferenza nella sua vita politica: “è un tentativo – ha affermato – di incolpare la Cina per la diffusione del coronavirus. La Cina – ha spiegato Zhao Lijian – è sempre stata trasparente, collaborando con l’Organizzazione Mondiale della Sanità”.

Insomma, che all’origine vi sia un pipistrello o – secondo altri – un laboratorio, è chiaro che siamo al cospetto di una Guerra Fredda tra il blocco atlantista e quello cinese; una guerra che, a giudizio di chi sta scrivendo, trova nell’emergenza Covid-19 un proprio momento fondamentale.

L'articolo Guerra fredda Usa-Cina, e se il coronavirus fosse un prodotto stelle e strisce? proviene da Il Fatto Quotidiano.



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