La Commissione Difesa della Camera dei deputati ha approvato, non sorprendentemente, un testo base che nega di fatto la libertà sindacale ai cittadini con le stellette.
Con una semplice ricerca ho ritrovato la lungimirante proposta di legge dei Radicali che dieci anni fa, nell’aprile 2010, prevedeva l’estensione tout court al personale delle Forze armate della disciplina sui diritti sindacali dei poliziotti contenuta nelle legge 1° aprile 1981, n. 121. L’iniziativa legislativa, ispirata dall’esigenza di modernizzazione degli apparati militari, venne bellamente ignorata e quindi naufragò.
La sensibilità dei Radicali per i diritti dei lavoratori in divisa risale agli anni Settanta e la stessa riforma della Polizia di Stato del 1981 fu in qualche misura il prodotto delle loro battaglie. A causa delle solite resistenze conservatrici, la libertà sindacale dei poliziotti risultò alla fine particolarmente limitata e condizionata da vecchie concezioni che favorivano il sindacato autonomo e il corporativismo.
Cosicché la legge n. 121/81 passò col voto contrario dei Radicali, che criticarono soprattutto l’assenza di volontà di una riforma globale del comparto sicurezza e di un progetto di accorpamento delle diverse polizie che avrebbe risolto il problema del coordinamento. Alla Camera dei deputati, l’on. Maria Adelaide Aglietta, a nome del gruppo radicale, rimarcò la delusione per una normativa che tradiva gran parte delle istanze di democratizzazione: “Le speranze che dieci anni fa hanno visto nascere il movimento democratico dei poliziotti ancora una volta si infrangono contro l’incapacità di questa classe politica. […] Questa riforma, quindi, esprime la volontà di immobilismo e la preoccupazione di mantenere intatti quei meccanismi che possano consentire solo a chi ha il potere di continuare a gestire per fini di parte la Polizia di Stato”.
Tornando ai nostri giorni, a due anni dalla sentenza dei giudici costituzionale che ha cancellato il divieto di sindacalizzazione, la normativa sui diritti sindacali dei poliziotti, approvata allora tra le proteste dei radicali e certo non avanzatissima, potrebbe ben essere estesa ai militari (come proposto nel 2010) o, se questo apparisse azzardato, almeno alle forze di polizia a ordinamento militare (ai carabinieri e ai finanzieri).
Il testo della Commissione Difesa è invece un inaccettabile compromesso al ribasso – del resto le commissioni sono da sempre luoghi dell’inciucio – tra le destre gongolanti e i progressisti del M5S e del Pd. Se il Parlamento approvasse la normativa così com’è, avremmo dei sindacati solo di nome, senza potere contrattuale, del tutto isolati dalle altre organizzazioni sindacali. In sintesi: inutili corporazioni.
Mentre scompare, nella proposta di legge, l’autorizzazione ministeriale per la costituzione delle “associazioni professionali a carattere sindacale” (sic!), perché palesemente incostituzionale, resta al contrario la bizzarra giurisdizione del giudice amministrativo per le condotte antisindacali (arisic!).
Eppure sul punto si era espresso chiaramente Luigi Di Maio: “Noi vogliamo che un militare che vede violato un proprio diritto deve andare di fronte al giudice del lavoro ordinario, come abbiamo sempre chiesto”.
Eravamo nel luglio 2019, ma oggi i parlamentari 5 stelle hanno evidentemente cambiato idea. Certo non si è fatta attendere la reazione dei neonati sindacati militari, che non nascondono la loro delusione. Il Sindacato dei Militari di Comellini chiede finanche al Presidente Mattarella di intervenire, per evitare l’ennesimo tradimento della Carta costituzionale. Attendiamo fiduciosi.
L'articolo Sindacati militari, la proposta di legge è un compromesso al ribasso. Che delusione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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