Questo stop forzato è l’occasione per rivedere qualche bel classico di mare e avventura. Ieri sera mi sono goduto “In the heart of the sea. Le origini di Moby Dick” con uno splendido Chris Hemsworth come protagonista e la regia di Ron Howard.
Il film narra di come Herman Melville trovò l’ispirazione per il suo Moby Dick, un testo mai tanto attuale come in questo momento nel quale la “natura” si ribella all’uomo che vuole dominarla. Non importa che a farlo sia un enorme capodoglio bianco o un piccolissimo virus con la corona! Proprio su questo tema c’è un bel dialogo su cui vale la pena riflettere tra i due protagonisti del film il capitano George Pollard e il suo primo ufficiale Owen Chase.
Il film si ispira al bel volume di Nathaniel Philbrik “Nel cuore dell’oceano. La vera storia della baleniera Essex” edito qualche anno fa per i tipi della Garzanti che ho letto qualche tempo fa mentre facevo ricerche su alcuni episodi di cannibalismo nella storia della navigazione. Il più noto è certamente il caso della fregata francese “Meduse” (che ispirò il famoso quadro di Gericault “La zattera della Medusa”), ma ve ne sono molti altri tra cui, appunto, quello della “Essex”, affondata da un capodoglio nel novembre del 1820.
Una storia che fece clamore all’epoca (non era mai accaduto che un cetaceo riuscisse a distruggere una baleniera, nda). Le vicende della Essex fecero poi il giro del mondo proprio perché fonte d’ispirazione per Melville, il quale nel film si fa raccontare quanto avvenne da uno dei sopravvissuti della tragedia, il mozzo Thomas Nickerson.
Le similitudini tra la “balena bianca” descritta in Moby Dick e l’enorme cetaceo che attaccò l’Essex sono tante, così come le modalità dell’accaduto. Si trattava anche nella realtà di un maschio gigantesco il quale vistosi attaccato puntò direttamente la baleniera colpendola a prua, poi si immerse nuovamente per riemergere pochi secondi più tardi e sfondare la chiglia. Riaffiorò, quindi, a poppa fermandosi quasi intontito e in quel momento i balenieri a bordo delle lance non ebbero la prontezza di arpionarlo, così appena si riprese terminò il lavoro e dopo essersi allontanato per circa mezzo miglio ripiombò sulla Essex dandogli un colpo mortale.
I marinai rimasero sulle lance, fecero appena in tempo a prendere qualche provvista (furono imbarcati sulle tre lance 270 chili di gallette, alcune botti di acqua, due maialini e tre tartarughe imbarcate alle Galapagos) prima che la baleniera venisse inghiottita dall’oceano e poi cominciò la loro vera odissea.
“A mezzogiorno il capitano Pollard fece il punto – scrive Philbrik – Erano quasi sulla linea dell’equatore a 119 gradi di longitudine ovest. Praticamente non esiste zona al mondo più distante dalla terraferma. E le lance, fatte per essere mosse a remi, furono fortunosamente riattate per andare a vela, alzando con un paio di tavole anche l’esiguo bordo libero. Venti persone stipate su tre lance lunghe poco più di sette metri, non pontate e fatte per navigare a remi”. Due lance furono recuperate tre mesi dopo al largo del Cile, dopo una navigazione di 4.500 miglia. A differenza del celebre romanzo di Melville dove Achab segue Moby Dick nei flutti il capitano della Essex Pollard riesce miracolosamente a salvarsi, prenderà il comando di un’altra nave che finirà sugli scogli. Dopo l’ennesima disavventura non riprenderà più il mare divenendo guardiano di un faro.
Nathaniel Philbrik, che è uno storico della navigazione e ha avuto accesso a documenti originali, descrive giorno per giorno l’agonia dei marinai basandosi sulle testimonianze dei sopravvissuti e confrontandole i racconti del primo ufficiale Owen Chase – che scrisse un diario – e del mozzo Thomas Nickerson che aveva 15 anni quando si imbarcò. Questo prezioso manoscritto fu recuperato solo nel 1980. Dopo mesi in mezzo all’oceano i naufraghi tirarono a sorte per chi dovesse essere ucciso e mangiato dagli altri, ma non vogliamo anticipare nulla, vale davvero la pena di leggere il libro di Philbrik o guardare il film.
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