di Roberto Iannuzzi*
Da circa due mesi a questa parte la storia si è fermata. A eccezione dell’epidemia di Coronavirus (il cosiddetto Covid-19) nulla sembra più accadere nel mondo. Almeno a giudicare da quanto ci propinano i mezzi di informazione. Le prime pagine dei giornali e interi telegiornali sono dedicati all’emergenza determinata dal virus. Questa copertura allarmistica e totalizzante è davvero giustificata? O forse ancora una volta stiamo distorcendo la realtà, sia quella di casa nostra che quella internazionale?
Proviamo a fare alcune riflessioni. In primo luogo, è tardivo affermare che non bisogna cedere al panico dopo che si è fatto di tutto perché la psicosi collettiva dilagasse. Riferiamoci tuttavia ad alcuni dati scientifici, che dovrebbero essere autorevoli, provenendo dall’Organizzazione mondiale della sanità. Secondo tali dati, più dell’80% dei contagiati dal virus manifesta sintomi lievi (o nulli) e guarisce. Non più del 20% sviluppa conseguenze serie. Infine, il Covid-19 ha un tasso di mortalità che si aggira intorno al 2% dei casi accertati (una percentuale probabilmente sovrastimata rispetto ai casi totali, proprio perché molti di coloro che hanno manifestato sintomatologie lievi sono finora sfuggiti ai controlli).
Naturalmente, ciò non significa che non vadano adottate misure sanitarie per contenere l’epidemia (e non è detto che sia possibile contenerla). Ma davvero nel mondo non sta accadendo nient’altro che meriti attenzione? Davvero il Covid-19 è la prima minaccia planetaria da cui dobbiamo guardarci, o forse ci sono pericoli più seri che la nostra informazione passa sotto silenzio?
Intanto varrà la pena osservare che, prima che il Coronavirus ci arrivasse in casa, l’allarmismo mediatico nostrano e occidentale era rivolto direttamente al gigante cinese. Come qualcuno ha osservato, il panico creato dal Covid-19 sta ulteriormente favorendo la frammentazione della globalizzazione e il divorzio Usa-Cina. Qualcosa che viene salutato con favore da chi a Washington ha puntato su questo divorzio fin dall’inizio della guerra commerciale scatenata da Donald Trump, proprio perché gli Stati Uniti, non riuscendo più a competere con la Cina in un contesto globalizzato, stanno cercando di sparigliare le carte.
Uno dei settori da tener d’occhio in questo scontro è certamente quello dei semiconduttori, uno dei pochi in cui Pechino è ancora indietro rispetto a Washington, e che potrebbe far scivolare Taiwan, fornitore sia degli americani che dei cinesi, nell’occhio del ciclone. E non dimentichiamoci che la stessa Europa sarà terreno di scontro fra i due colossi mondiali, soprattutto riguardo alla tecnologia 5G.
E al di là della competizione fra queste due superpotenze, spesso sottovalutata e distorta dai nostri media, non c’è nulla che meriterebbe l’attenzione dei giornalisti di casa nostra? Come ha rilevato il Bulletin of the Atomic Scientists lo scorso gennaio, l’umanità si trova attualmente di fronte a due minacce esistenziali simultanee: la guerra nucleare e il cambiamento climatico. Tali minacce sono ulteriormente aggravate proprio dal fatto che propaganda e distorsione dell’informazione impediscono alle nostre società di avere piena coscienza del pericolo, e di rispondere adeguatamente.
L’erosione dei trattati internazionali sul controllo degli armamenti, e le tensioni fra le grandi potenze, hanno posto le premesse per una corsa al riarmo nucleare, aggravato dallo sviluppo senza precedenti di tecnologie militari – come le armi ipersoniche – che aumentano le probabilità di un’escalation nucleare incontrollata.
Nel frattempo, la lotta ai cambiamenti climatici ha segnato nuove battute d’arresto, confermate da un nuovo record nelle emissioni di gas serra a livello globale registrato lo scorso anno. Le conseguenze dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) essere sotto gli occhi di tutti. Inondazioni e ondate di calore senza precedenti hanno colpito molte parti del pianeta, e in particolare l’India che potrebbe vedere estese aree del proprio territorio diventare inabitabili in un futuro non lontano. Incendi di proporzioni mai viste hanno ridotto in cenere superfici vastissime, dalla regione artica all’Australia.
Bene, se tutto ciò vi sembra nebuloso allarmismo, guardiamo allora alle porte di casa nostra. L’internazionalizzazione del conflitto libico, le tensioni nel Mediterraneo orientale, la guerra in Siria con la sua ultima recrudescenza nella provincia di Idlib, la contrapposizione Usa-Iran rappresentano altrettanti rischi di propagazione di crisi politiche, militari e migratorie. Ad esse possiamo aggiungere il Libano sull’orlo del collasso finanziario, che a sua volta ospita un milione e mezzo di profughi siriani.
Intanto in America, da noi abitualmente percepita come un “faro di democrazia”, l’intero establishment del partito democratico sembra impegnato in una strenua lotta, senza esclusione di colpi bassi, per fermare la scalata alla nomination di Bernie Sanders (candidato giudicato troppo “radicale”), anche a costo di rischiare la rielezione di Trump.
Lo scenario internazionale è senza dubbio inquietante. Meglio non pensarci e riempire i nostri telegiornali con il Coronavirus. Così andrà a finire che non sarà il virus a distruggerci, ma le nostre reazioni scomposte e fuori luogo.
* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017)
L'articolo Il Coronavirus non ci distruggerà. Le nostre reazioni scomposte forse sì proviene da Il Fatto Quotidiano.
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