Nello stesso giorno in cui la Giunta per le Immunità del Senato, riunita per discutere sulla richiesta di autorizzazione a procedere del tribunale dei ministri di Catania per processare il ministro dell’Interno che aveva vietato per 5 giorni lo sbarco dei 177 migranti a bordo della Diciotti, ha ricevuto la memoria firmata da Conte, Di Maio e Toninelli con cui il governo rivendica la condivisione della decisione, arriva anche lo sblocco del “caso” Sea-Watch.

Giuseppe Conte ha, infatti, annunciato lo sbarco dopo l’accordo raggiunto con 7 paesi europei, compreso il Lussemburgo, che si sono impegnati ad accogliere i 47 naufraghi imbarcati dalla ong tedesca con bandiera olandese finora rifiutati sia dalla Germania che dall’Olanda. E Salvini ha prontamente commentato “Missione compiuta” auspicando un’indagine sul comportamento della ong e aggiungendo che “sta lavorando ad un provvedimento che limiti la possibilità di entrare nelle acque territoriali italiane” anche se ha aggiunto che “non si tratterà di un blocco navale“.

Che piaccia o meno è difficile negare come l’ennesima prova di forza ingaggiata dal ministro dell’Interno, questa volta nei confronti della Sea-Watch, che al di là delle più nobili finalità dovrebbe comunque spiegare insieme a molte altre ong “la curiosa” circostanza di battere una bandiera che non corrisponde alla nazionalità, si stia risolvendo nuovamente a vantaggio della sua posizione intransigente o “disumana” a seconda dei punti di vista.

Così come parrebbe evidente, stando ai fatti e non ai pregiudizi, che la mediazione portata avanti dal presidente del Consiglio, “fantoccio azzimato” o “scudo umano tra Salvini e Di Maio” a seconda degli umori mediatici del giorno, sconfessi le grida di allarme sul pauroso discredito internazionale di cui sarebbe oggetto l’Italia a guida giallo-verde. Da ultimo Nicola Zingaretti, che già lo scorso maggio all’iniziativa “Rigenerazione Italia” aveva definito il presidente del Consiglio “l’avvocato delle paure“, in queste stesse ore per rilanciare l’ammucchiata del Pd, “rigenerato” con appendici al seguito, ha denunciato con enfasi “l’abisso di isolamento in cui siamo precipitati con il voto del 4 marzo”.

La richiesta del tribunale dei ministri di Catania di processare Salvini per il presunto sequestro dei 177 migranti tenuti a bordo della Diciotti per cinque giorni, partita da un’inchiesta del procuratore di Agrigento, oltre ad essere letteralmente senza precedenti in quanto impatta sulla condotta politica dell’indagato e con conseguenze penali rilevantissime, presenta pure una molteplicità di incognite: mancano, infatti, i dati rilevanti per la valutazione giuridica dei fatti durante l’ispezione del procuratore Luigi Patronaggio, come ha spiegato al Fatto del 30 gennaio Ubaldo Nannucci, ex procuratore capo a Firenze. E la sottolineatura di come la situazione sia “anomala” e del fatto che “sta succedendo qualcosa di eccezionale quando un tribunale della Repubblica chiede che il ministro dell’Interno venga processato per un reato che prevede la reclusione fino a quindici anni”, tanto più che non si tratta “di un episodio corruttivo o comunque legato a fatti che l’indagato nega o sono discutibili” non è mia ma di Luca Masera, professore associato di Diritto penale a Brescia che peraltro ritiene “la decisione presa dai giudici di Catania corretta per quanto dirompente“.

Personalmente avrei preferito che il tribunale avesse accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania perché in questo caso mi sembra prevalente il principio della separazione dei poteri che vieta alla magistratura penale di valutare la legittimità di atti politici esplicitamente rivendicati da rappresentanti dell’esecutivo. Naturalmente ora l’attenzione politico-mediatica è concentrata sulla querelle politica e cioè sulla situazione particolarmente “scomoda” del M5S dopo l’indietro tutta di Salvini che dalla spavalderia del “voglio proprio vedere come va a finire” e del “non mi servono aiutini” ha virato nell’arco di poche ore sulla richiesta netta rivolta al Parlamento di negare l’autorizzazione a procedere.

Il M5S viene dato con esultanza incontenibile per spacciato, qualsiasi decisione prenda, come è avvenuto da sempre. La strada in salita ed inesplorata del sì all’autorizzazione a procedere  e dell’autodenuncia di tutti i ministri del M5S potrebbe essere la scelta più coerente ed appropriata per una situazione “eccezionale” ed “anomala” ed una risposta adeguata alla “dirompente” decisione del tribunale dei ministri.

L'articolo Il caso Diciotti non ha gettato discredito sull’Italia e no, il M5S non è spacciato proviene da Il Fatto Quotidiano.



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