L’istruzione è materia di contesa politica non soltanto in Italia, dove infuria la campagna elettorale. Qui da noi, qualche settimana fa Pietro Grasso aveva lanciato la proposta di abolizione delle tasse universitarie. Una proposta che a dire il vero è stata trattata superficialmente dai giornali, ridotta a slogan: Grasso più che prospettare una sorta di servizio universale, riproponeva infatti la progressività fiscale per far sì che i più deboli possano accedere all’università. Per quanto ampiamente ridimensionata rispetto ai lanci di agenzia, una proposta che ha avuto il merito di mettere l’accento sul rapporto tra istruzione e disuguaglianze.

In questi giorni, sta facendo invece discutere la faccenda dei Rav (Rapporto di Autovalutazione), le descrizioni che le scuole hanno inviato al Ministero e che in alcuni casi si sono dimostrate un bel condensato di classismo e razzismo, con licei pronti a vantarsi dell’assenza di allievi delle classi inferiori (tranne qualche figlio di portiere giocoforza presente in zone dove i palazzi di lusso necessitano dei servigi dei suoi genitori) o di stranieri. Ma, si diceva, anche altrove la questione del rapporto tra istruzione, formazione e diseguaglianze è all’ordine del giorno.

Proprio in questo periodo Theresa May sta cercando di affrontare la questione, consapevole che uno dei motori del successo di Corbyn tra i giovani è stato il proposito di abolire le tuition fees e agevolare le borse di studio per gli studenti universitari (una proposta ben più radicale di quella di LeU). Durante i governi conservatori, queste ultime sono state abolite e sostituite con dei ‘prestiti’ che fanno sì che uno studente che ne usufruisca si laurei ed acceda al mondo del lavoro con un debito tra 40 e 50.000 sterline. Un problema, quello della difficoltà di restituire gli student loans, che ha già afflitto moltissimi giovani negli Stati Uniti, soprattutto dopo l’inizio della crisi. Inoltre, sempre durante i governi Tory le tasse sono state aumentate fino a oltre 9.000 sterline annue per tutte le università.

La risposta di May, nel tentativo di inseguire su questo terreno il rosso absolute boy, è chiara, semplice e… sbagliata, secondo la stampa britannica che cita un motto di Henry L. Mencken. May proporrebbe infatti, assieme al suo nuovo education secretary Damian Hinds, non solo di ridurre l’ammontare generale delle tasse, ma soprattutto di differenziare il loro importo a seconda che ci si iscriva a un corso di humanities e scienze sociali oppure si frequenti un’università politecnica o comunque votata alle scienze ‘dure’. Il ragionamento è il seguente: chi frequenta corsi di inglese o filosofia difficilmente potrà restituire, o comunque farlo in tempi rapidi, il prestito contratto per pagare le tasse; coloro che invece faranno ingegneria, una volta laureati guadagneranno di più e saranno più agevolmente capaci di restituire quanto gli è stato prestato. È del tutto evidente quanto sia sbagliata, per l’appunto, questa linea: le famiglie meno abbienti manderanno i figli a studiare le vituperate ‘scienze’ umane, mentre chi potrà permetterselo farà una facoltà ‘tecnica’ che con più facilità gli consentirà di trovare lavoro.

La logica che sottende la proposta è che la humanities sono meno onerose di un laboratorio di chimica. Tuttavia, pare falso il collegamento tra facoltà ‘costose’ (nei termini della loro gestione) e maggiori guadagni e facoltà meno costose e guadagni esigui. Sembra infatti che gli studenti che guadagnano di più siano quelli che fanno economia al Birkbeck College o alla London School of Economics. Corsi di economia che non costano certo quanto un elaborato macchinario tecnologicamente avanzato. Ma anche università che si trovano accanto a quelle opportunità di lavoro, nella City, che sempre secondo la stampa britannica (e non è difficile concordare) sono maggiormente lucrative.

Dunque, secondo la proposta Tory, i poveri faranno i filosofi e i ricchi gli ingegneri. “Non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d’ottant’anni, fantastico com’un cane ch’ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla”, scriveva di sé Giordano Bruno nel Candelaio. Nel film di Giuliano Montaldo, quello sceneggiato con la consulenza di Nicola Badaloni, Bruno torna ubriaco per l’ennesima volta a casa del suo protettore Mocenigo a Venezia, e quando questi gli rimprovera di essere “troppo comodo”, Bruno risponde “La filosofia non è mai comoda”. Però uno ambirebbe a non ricevere troppe spellicciate. E a non pascersi solo di cipolle.

L'articolo I poveri faranno i filosofi, i ricchi gli ingegneri. Le tasse universitarie secondo la May proviene da Il Fatto Quotidiano.



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