Arrivano dall’alberghiero (“con esperienze nel giardinaggio”) i gemelli romani Damiano e Fabio D’Innocenzo ma si esprimono con una consapevolezza da laurea umanistica in tasca. E neppure il fatto di essere stati selezionati alla Berlinale (concorso della sezione Panorama) con il loro esordio, La Terra dell’Abbastanza, li ha destabilizzati più di tanto. “La storia del nostro film arriva da esperienze che ci hanno formato, ma abbiamo tentato di ridurla a tematiche archetipiche senza troppe sovrastrutture. Riteniamo il cinema sia una materia per tutti, e che chiunque anche dei 28enni come noi possano affrontare temi ultimi, fondativi insomma”. Damiano e Fabio parlano all’unisono e ugualmente scrivono (hanno già una breve carriera di sceneggiatori alle spalle) e dirigono. Il loro film racconta la vicenda di due ragazzi della periferia romana appena maggiorenni – Mirko e Manolo interpretati con grande bravura rispettivamente da Matteo Olivetti e Andrea Carpenzano (un veterano in confronto agli altri essendo stato, fra le varie cose, il protagonista di Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni) – che si trovano loro malgrado coinvolti nella “mala” metropolitana a causa di un incidente notturno in cui travolgono un passante malcapitato.
Una storia criminale e famigliare a tinte fosche, forte e drammatica, nutrita di un racconto secco, scomodo e intriso di colpi di scena: insomma, una piacevole sorpresa nel panorama spesso mediocre di certa italica produzione. E, come si diceva, i due fratelli hanno le idee molto chiare rispetto al cinema che sono intenzionati a realizzare: “Non sarà mai comodo perché abbiamo un grande rispetto per il pubblico”. Si capisce che la settima arte è il loro pane quotidiano da tempo, amano uno stuolo di registi e autori diversissimi fra loro (Pasolini, Lynch, Cassavetes, Castellitto, Kitano, Alice Rohrwacher…) e si definiscono dei “groopie” di Matteo Garrone. “Ieri abbiamo incontrato qui Jonas Carpignano (in giuria dell’opera prima per la Berlinale, ndr) e ci ha abbracciati dicendoci che abbiamo fatto un film bellissimo. Poiché lo troviamo straordinario ci ha lusingati in maniera inesprimibile!” esclamano con sguardo candido. Ma sono “dipendenti” anche dalle altre arti, dal teatro alla fotografia. Dal punto di vista della “divisione dei compiti”, i gemelli D’Innocenzo non sono programmatici, lavorando con (troppa?!) unione d’intenti quasi fossero animati da un pensiero totalmente sovrapposto: stessi gusti, stessi pensieri, stesse idee creative e realizzative. Saranno forse questi misteri del procedere “da gemelli” – non sono gli unici nel panorama italiano, con i torinesi Gianluca e Massimiliano De Serio a precederli – ma solo il tempo mostrerà di cosa saranno capaci questi determinatissimi ragazzi. Pur godendosi “il momento” alla Berlinale, con già diversi apprezzamenti dalla critica, Damiano e Fabio già pensano al futuro: “Abbiamo già scritto due film, un western e una fiaba dark. Dobbiamo capire in che ordine farli”.
L'articolo Festival di Berlino 2018, i registi gemelli romani dall’alberghiero al concorso: “Il nostro cinema non sarà mai comodo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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