L’inchiesta
Concorso da vice-ispettore: la Polizia spara (strafalcioni)
La selezione – Gli incredibili elaborati degli agenti (molti poi promossi): da “estrema orazio” a “che l’ho impartisce”. E tanti copiano dal web
L’ingegner Cementir di Marco Travaglio
Dev’essere un problema di correttore ortografico automatico. Tipo il T9 degli iphone, che ti scrive “paura” se vuoi dire “scusa”, che ti fa dare fascisticamente del voi agli amici piazzando “vi” al posto del “ti”, che ti sostituisce “farei” con “ebrei” e addirittura “complimenti” con un misterioso “ampliodoti”. Per non parlare di “copia” che diventa […]
L’inchiesta di Firenze
“I giudizi a cacchio di cane”: così si valutavano i candidati
Le due incaricate di redigere i pareri sui concorrenti professori ammettono di “aver scelto le pubblicazioni a caso”. C’è chi ne fa due per la stessa persona: uno idoneo, l’altro no
L’intervista
“Troppo caos, così rischiano anche le norme anti-mafia”
Raffaele Cantone – I timori del presidente Anac: “L’estensione dei sequestri alla corruzione può far riaprire lo scontro su tutto”
Forza Italia – Pd
In galera per 2 tonnellate di droga: promosso consigliere comunale
Recanati – Preso mentre caricava l’“erba” nel furgone. Per il comune è ok
Politica
“Suburra”, dalla realtà in tv
Dopo il libro e il film, la serie. La lotta tra clan e poteri forti per il controllo del litorale romano ha ispirato negli anni autori e cineasti. Nel 2013 a inaugurare la saga che racconta anche gli affari attorno ad Ostia è stato Suburra, romanzo scritto per Einaudi da Giancarlo De Cataldo, giudice della […]
LeccaLecca
Ma quant’è bella lady franceschini
“Bella, giovane, bruna”. Un esempio di “impegno e grinta”. Maria Teresa Meli, giornalista del Corriere della Sera, dà fondo ad aggettivi e iperboli per descrivere su Io donna Michela Di Biase, capogruppo del Pd nel Comune di Roma, nonché moglie del ministro della Cultura Dario Franceschini. Meli trabocca di ammirazione, per questa dirigente dem che […]
Come Venezia – Ha 230mila abitanti
Ostia, al voto il litorale dei clan. Il primo test per la giunta Raggi
Il 5 novembre urne per il presidente del X Municipio, sciolto per infiltrazioni della malavita
Cronaca
Scontri e polemiche
Proteste al G7 di Torino: 8 agenti feriti e un fermato
Un manifestante fermato, tre identificati e otto feriti tra le forze dell’ordine. È il bollettino dell’ultima giornata di proteste contro il G7 del Lavoro, terminato ieri mattina all’interno della reggia di Venaria (Torino). All’esterno, nel pomeriggio, i militanti del “Reset G7”, antagonisti guidati dal centro sociale Askatasuna, No Tav e Cobas, sigle della sinistra radicale, […]
Economia
A partire da oggi
Lotto & C., sale la tassa sulle vincite: esclusi poker e slot
Ai fortunati vincitori dei tanti giochi legali che spopolano in Italia non farà certo piacere, ma nelle casse dello Stato entreranno oltre 320 milioni in più nei prossimi tre anni: da oggi, infatti, raddoppia la cosiddetta “tassa sulla fortuna”, come previsto dalla manovra-bis varata a giugno, e passerà dal 6 al 12% che si applica […]
Il commento
La carta che salva il giornalismo
Contro Google & C. – I gruppi editoriali hanno sbagliato tutto sul web e ora è tardi
L’inchiesta
Da Veneto Banca ai vigneti: gli affari d’oro di Bruno Vespa
Tre bicchieri – Dopo aver venduto le azioni dell’istituto veneto prima che sprofondassero, il conduttore Rai si butta sui vini di pregio
Mondo
Il commento
La favola di Davide e Golia che nasconde la bufala della libertà
L’invenzione della storia – Origini e scuse di un mito fondatore
La storia
Indipendentisti sì, ma tanto amici del Cremlino
Ingerenze – La Brexit, il Front in Francia e ora la Spagna. Mosca fa leva sulle fratture dell’Europa
Barcellona
Seggi difesi come barricate, la Catalogna vota la rivolta
Oggi il referendum – Le forze di sicurezza impongono l’ordine di Madrid sigillando le sedi elettorali, ma la popolazione occupa gli edifici. Timore di scontri
Cultura
L’incontro
“I nostri Pokemon sono nati dai banchi di scuola. E alla fine ci siamo riusciti”
Al Games Week a Milano – L’incontro con Shigeru Ohmori e Kazumasa Iwao, i due creatori dei giochi
L’intervista
“Oggi il passato è puro nulla… Mi occuperò del presente”
Marco Tullio Giordana – “Un film su Aldo Moro? I ragazzi, ma anche i trentenni, non sanno neanche chi era”
L’intervista
“Per strada mi pregano: ‘Mi dà della merdaccia?’ Con Villaggio mai a cena”
Anna Mazzamauro – “A volte il personaggio della signorina Silvani l’ho veramente detestato”
L'articolo In Edicola sul Fatto Quotidiano del 1 ottobre: “L’estrema orazio”, “l’ascriminante”, “l’ho esegue”: tutti ispettori di Polizia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Diverse persone sono rimaste ferite nello stadio di Amiens, nel nord della Francia, dov’era in corso una partita fra la squadra locale e il Lille, per il crollo di una balaustra, avvenuto in seguito all’esultanza dei tifosi per un gol al 16esimo minuto. Decine di tifosi sono caduti per alcuni metri: 18 persone sono rimaste ferite e almeno tre risultano in gravi condizioni. Lo scrivono i media francesi.
Lo stadio Licorne, che ha una capacità di 12.000 posti, è stato sgomberato dopo l’incidente. La partita tra Amiens e Lilla non riprenderà per ragioni di sicurezza. Lo ha annunciato ai microfoni di Bein Sport un delegato della Ligue de Football professionnel.
L'articolo Amiens, crolla balaustra allo stadio nel nord della Francia: 18 feriti e partita sospesa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L'allarme dell'Iss: a Roma peggiorati tutti gli indicatori di salute Secondo l'Istituto superiore di sanità la metropoli è l'unica, tra le 28 capitali dell'Ue, ad avere una performance negativa. Il ministro Lorenzin attacca: “Città in declino, piena di droga”. Taverna (M5S): ma prima i romani abitavano in Svizzera? Parole chiave: iss salute roma virginia_raggi beatrice_lorenzin paola_taverna
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Il Pd non voterà l’emendamento M5s alla legge elettorale che impedirebbe ai condannati, e quindi a Silvio Berlusconi, di svolgere il ruolo di capo politico. A dirlo è il capogruppo dem al Senato Luigi Zanda: “Sono da sempre contrario”, ha dichiarato, “a norme rivolte in modo punitivo a un singolo, ad personam, a maggior ragione quando si tratta di un avversario politico”. La polemica era nata nelle scorse ore dopo la proposta grillina che aveva scatenato le polemiche degli azzurri: “Stalinisti”, avevano attaccato i parlamentari di Forza Italia.
Ora esulta il capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta: “Siamo soddisfatti della presa di posizione di Zanda in merito all’emendamento cosiddetto “anti-Berlusconi” del Movimento 5 Stelle. Fa piacere leggere una dichiarazione del presidente dei senatori del Partito democratico che si dice contrario a ‘norme rivolte in modo punitivo a un singolò. E’ un atto tardivo ma comunque apprezzabile, anche ricordando l’atteggiamento del Pd nei giorni dell’estromissione di Berlusconi dal Parlamento. Meglio tardi che mai”.
L'articolo Legge elettorale, il dem Zanda: “Contrario alla norma M5s anti-Berlusconi: è ad personam” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Un’auto guidata da un uomo risultato positivo all’alcol test ha travolto e ucciso Mauro Dodi, comandante della polizia municipale di Medesano, mentre era impegnato nel controllo della velocità con l’autovelox. I carabinieri di Salsomaggiore hanno arrestato l’autista con l’accusa di omicidio stradale. Dodi era in servizio sabato sera su via Repubblica a Felegara, nel Parmense. Aveva da poco fermato una macchina per contestargli un’infrazione. Quando l’auto stava ripartendo, ne è arrivata un’altra, alla quale è stato intimato l’alt. Secondo la ricostruzione dell’incidente, l’auto invece di rallentare ha tamponato quella che stava ripartendo: c’è stata una carambola che ha colpito il comandante della polizia, morto poco dopo all’ospedale Maggiore di Parma.
Un post sulla pagina Facebook del Comune di Medesano ricorda il capo della polizia. “Questa notte – si legge nella nota del sindaco e dell’amministrazione comunale – il nostro comandante Mauro Dodi ci è stato tragicamente portato via mentre svolgeva il suo amato lavoro. Abbiamo perso un grande professionista che aveva fatto della dedizione al lavoro e del rispetto per gli altri i principi della sua vita professionale. Abbiamo perso soprattutto un brav’uomo. Sentite condoglianze alla moglie – conclude il post – ai figli, ai parenti, ai colleghi ed agli amici che hanno avuto la fortuna di incontrarlo”.
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Da Roma a Bologna, manifestazioni contro la violenza sulle donne. FOTO La mobilitazione è stata indetta dalla Cgil in oltre 100 città italiane con lo slogan “Riprendiamoci la libertà”. Dal palco principale, nella Capitale, il segretario Susanna Camusso ha chiesto di fermare la “violenza delle parole” contro le vittime di abusi |
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La Corea del Nord dà del “vecchio psicopatico” al presidente Usa Donald Trump: la nuova offesa è contenuta nella richiesta di fermare “la politica ostile verso Pyongyang”, a fronte della minaccia di trasformare l’America in “un mare di fiamme”, fatta da un portavoce del Korea Asia-Pacific Peace Committee (competente di relazioni esterne e propaganda di Pyongyang) che ha condannato il tycoon per “l’ordine esecutivo sulle sanzioni contro la Corea del Nord”, in risposta al test nucleare del 3 settembre.
Proprio oggi il segretario di Stato americano Rex Tillerson in visita a Pechino, ha fatto sapere di essere in contatto con Pyongyang. Gli Stati Uniti stanno verificando se la Corea de Nord abbia o meno intenzione di avviare negoziati per l’abbandono delle ambizioni nucleari, ha detto Tillerson, per il quale è inaccettabile “lo scenario di un Paese con il nucleare”. “Stiamo verificando, abbiamo canali di comunicazione aperti con Pyongyang”, ha detto il segretario di Stato, secondo la Yonhap, dopo aver incontrato il presidente Xi Jinping, il consigliere di Stato Yang Jiechi e il ministro degli Esteri Wang Yi. “Non siamo al buio, in un blackout. Abbiamo un paio, tre canali aperti con Pyongyang”, ha aggiunto Tillerson. Il presidente Donald Trump ha ripetutamente ventilato pesanti conseguenze contro lo Stato eremita, con la sua “totale distruzione” se costretto a difendere gli Usa o i suoi alleati.
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Roma “è in declino“, “è piena di droga“. Sono peggiorati “tutti gli indicatori di salute“, è la maglia nera “tra le 28 capitali Ue”. Virginia Raggi non è mai stata nominata, ma le parole di Walter Ricciardi e Beatrice Lorenzin non sono state certo un piacere alla sindaca di Roma. Sulla Capitale è stato tracciato un quadro desolante, prima nel discorso del presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e a ruota in quello del ministro alla Salute, nel corso del convegno Crescita Vs Crisi.
Roma “è l’unica tra le 28 capitali dell’Ue che ha peggiorato i suoi indicatori di salute negli ultimi anni”, ha detto Ricciardi. “Tutti gli indicatori, da quello più solido che è l’aspettativa di vita e la mortalità infantile a quello per patologie tumorali, fanno riscontrare un peggioramento della situazione dei cittadini romani rispetto al resto di Italia”, ha spiegato il presidente dell’Iss. “Se hai una patologia neoplastica e vivi in una regione del nord hai un trattamento e quindi un’aspettativa di vita maggiore rispetto a quella romana. I cittadini che rinunciano per motivi economici alle cure al nord – ha aggiunto – sono molti di meno rispetto al sud. E il sud Italia comincia a Roma”. Ricciardi ha parlato anche della “prevalenza del diabete che si attesta tra il 6 e il 7% della popolazione romana, mentre normalmente la media italiana è il 5%“. “I romani si lamentano anche dell’accessibilità ai servizi, delle liste d’attesa. La gente quando utilizza i servizi italiani è soddisfatta, nel caso di Roma questa soddisfazione si colloca ai livelli più bassi del Paese”, ha concluso.
A rincarare la dose ci ha pensato poi il ministro Lorenzin. Roma è una città “che ha sofferto molto in questi anni, ha avuto un grande declino prima di tutto sociale e di legalità. Abbiamo avuto Mafia Capitale, una cosa pesantissima. E poi un declino vero delle fasce della popolazione più deboli. Ultimamente – ha aggiunto – quello che vediamo ci pone quasi al di fuori di quello a cui eravamo abituati: tanta povertà, tanti bambini poveri, tanti anziani poveri, tante donne sole“. Non solo, perché “l’impressione” del ministro alla Salute “Roma è piena di droga. Rivediamo le siringhe per strada, rivediamo i tossici per strada, gli spacciatori di eroina. Siamo pieni di cocaina“. “Si fa finta di non vedere come se il problema non ci fosse più, in realtà aggredisce tutti i ceti sociali e tutte le età, insieme all’alcol”, ha spiegato Lorenzin. “E gli spacciatori lavorano soprattutto sui giovani“, ha poi concluso.
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Nella giornata conclusiva del G7 dei ministri del lavoro a Torino, il corteo dei manifestanti anti-G7 ha marciato verso la Reggia per protestare contro il summit. Davanti all’ingresso della Reggia, gli attivisti hanno provato a sfondare le barriere della polizia con dei carrelli carichi di brioche giganti. La polizia in assetto antisommossa ha risposto con una carica per allontanarli. Intanto nella Reggia si è concluso il summit dei ministri del Lavoro con l’impegno ad ‘adottare un approccio inclusivo al mercato del lavoro, con particolare attenzione ai più deboli della nostre società, per assicurare che nessuno sia lasciato indietro’. Il documento del G7 guarda soprattutto ai ‘gruppi sociali particolarmente esposti alla perdita di un impiego e alla riduzione dei salari’, come disabili, donne, giovani, lavoratori maturi o meno qualificati.
L'articolo G7 a Torino, manifestanti provano a sfondare le barriere alla Reggia di Venaria: le cariche della polizia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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di Viviana Langher *
Quella della signora cui è stato diagnosticato un malessere psicologico al posto del cancro di cui invece soffriva è una storia triste e brutta. Quanto sconforto, mentre ripetutamente cerca aiuto perché non si sente bene, e invece viene rimandata a casa, forse è “esaurita” o “depressa”.
Provo pena però anche per i medici che sono incappati in questo errore madornale. I medici si trovano oggi al minimo storico della loro popolarità: c’è un pensiero comune sciatto che li priva di prestigio, di potere, li sospetta di scarsa competenza, iperspecializzati e incapaci di vedere una persona nella sua interezza, insensibili, quando non assoggettati alle lobby farmaceutiche, e via così. Se sono solidale con la signora che ha subìto un pessimo servizio, voglio anche ricordare che il medico fa un lavoro difficilissimo, analizza complesse configurazioni di informazioni, prende decisioni colme di responsabilità: riducendo la questione alla sua ultima essenza, ha per le mani salute e malattia, gioia e dolore, vita e morte di una persona. Non è facile, pensiamoci.
La domanda che il paziente rivolge al medico è sempre complessa. Il paziente, laico di scienza medica, è a suo modo esperto del proprio corpo. Racconta il corpo ed i segnali che manda con un suo lessico che il medico deve sforzarsi di decifrare. Il paziente riporta a volte un dolore preciso, uno stato febbrile quantificabile, una disfunzione evidente. Altre volte prova a descrivere qualcosa per cui non trova parole esatte, è vago, usa metafore: descrive uno stomaco “pesante come il piombo”, un dolore “lancinante come una coltellata”, sente “una spina in gola”. Il medico deve destreggiarsi in questo lessico poetico, immaginifico, o al contrario coartato, minimalista (“non mi sento bene, non so dirle esattamente come”) e trarne tutte le informazioni possibili affinché lui possa comporle in un quadro che gli consenta di fare un’ipotesi chiara, riconducibile a categorie di lettura inequivocabili. Deve saper andare dritto al punto, se non al primo tentativo, deve riuscirci al secondo. Perché è preso tra due fuochi: davanti a lui c’è l’urgenza di salute del paziente, ma dietro di lui c’è un sistema che gli impone di essere efficiente, di non prescrivere troppi approfondimenti diagnostici, perché c’è un costo economico reale e significativo a coprire le sue incertezze, ed è tempo di necessario taglio alla spesa.
Il paziente del XXI secolo è informato. Precisiamo: la sua conoscenza è mediocre, approssimativa, spesso una sommatoria di “sentito dire”; quanto basta però ad esser spesso in prima battuta diffidente di ciò che il medico afferma. È dubbioso, francamente inquisitorio, si affida meno allo sguardo ed al responso del medico, può entrarci in contrapposizione; ed è tuttavia esigente, perché lui stesso sente la fragilità della sua conoscenza e la complessità della domanda che fa al medico; e ha bisogno del medico, perché in lui ripone, in ultima analisi, la speranza di guarigione; ma lo fa con molta paura, perché il suo corpo malato gli evoca profonde angosce di morte.
I medici sono investiti da queste domande cariche di emozioni, e se attribuiscono al paziente, magari impropriamente, un problema psicologico è perché esprimono la loro fragilità, ed il senso di impotenza che li spinge a dare un nome proprio a ciò che più li inquieta perché non è neanche illusoriamente sotto il loro dominio. Quando il medico individua la malattia di cui il paziente soffre, considera le emozioni del paziente come una fisiologica reazione a quella malattia. Ma quando il medico non vi riesce, può trovarsi nella posizione scomoda di sentirsi lui incerto e dubbioso e, come medico, impotente. La forte pressione sociale sul suo mandato gli impone di dare una risposta al paziente, gli impedisce di dire “non lo so”. Se rimanda al paziente una diagnosi psicologica, raramente lo fa per tracotanza; piuttosto è il suo tentativo, certamente inopportuno, di trovare una risposta rassicurante alla sua stessa incertezza.
Una persona che sente il proprio corpo malato, inquieto, sofferente, avrà sicuramente un tono emotivo alterato, depresso, rabbioso, o ansioso e per forza porta la sua emozionalità nello studio del medico; se il medico la sente come un elemento di disturbo deve avere in mente che può non sentirsi solo, in questa difficoltà, ed affidarsi a sua volta alla consulenza di un professionista diverso, uno psicologo, che fonda la sua specifica azione professionale sulla presa in carico delle emozioni dell’altro. Chiedere aiuto a qualcun altro non è un segno di capitolazione, ma dimostrazione della saggezza di pacificarsi con la propria conoscenza imperfetta.
* Psicologa e Consigliera Ordine Psicologi Lazio
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Un italiano di 33 anni, Andrea Parmeggiani, di Molinella (Bologna), è stato trovato morto in Thailandia nei giorni scorsi. Fonti della Farnesina confermano il decesso del connazionale, avvenuto il 27 settembre. L’ambasciata d’Italia a Bangkok si è da subito messa in contatto con la famiglia per prestare loro ogni possibile assistenza. Le stesse fonti specificano che l’ambasciata, in stretto raccordo con la Farnesina, sta seguendo il caso con la massima attenzione e continuerà a tenersi in stretto contatto con le autorità locali e con i familiari della vittima. A dare la notizia della morte anche Golinelli, la macelleria-gastronomia di Molinella dove l’uomo lavorava.
L'articolo Thailandia, trovato morto 33enne della provincia di Bologna. Sconosciute le cause del decesso proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La guerra della mozzarella tra Campania e Puglia è passata dalle polemiche alle carte bollate: dalle parole ai fatti. La Regione guidata da Vincenzo De Luca ha infatti presentato una “formale opposizione” al ministero delle Politiche Agricole per bloccare l’iter del riconoscimento del marchio dop alla mozzarella pugliese di Gioia del Colle. Una mossa che ha provocato la reazione di Bari, con l’assessore regionale all’Agricoltura della giunta Emiliano a denunciare l’ostruzionismo della Campania, sottolineando di aver rispettato nei minimi dettagli la procedura per l’ottenimento della denominazione d’origine protetta per il latticino tipico della Murgia. Un botta e risposta che, oltre ad avere ripercussioni in campo alimentare, potrebbe riservare sorprese anche a livello politico, considerando che sia De Luca che Emiliano sono i due più importanti esponenti del Partito democratico nel Sud Italia.
LE PUNTATE PRECEDENTI – La questione del contendere è sempre la stessa: la Campania non ha minimamente gradito la proposta di riconoscimento della denominazione di origine protetta ‘Mozzarella di Gioia del Colle’, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 28 agosto. Sin da subito De Luca e il suo entourage hanno detto a chiare lettere che avrebbero fatto di tutto per impedire che un’altra mozzarella italiana potesse fregiarsi del marchio dop. Alle promesse sono seguite le polemiche e gli sfottò, in puro stile De Luca, con il governatore che – durante l’inaugurazione del centro che produrrà la pizza surgelata della Buitoni a Benevento – ha ricordato agli amici pugliesi che “non possono andare oltre la burrata”. Michele Emiliano ha risposto a stretto giro, sottolineando che le mozzarelle pugliesi sono “assolutamente all’altezza di quelle campane”. Schermaglie. Che sono diventati fatti quando la Campania due giorni fa ha presentato “formale opposizione” per l’annullamento del comunicato del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali circa la proposta di riconoscimento del marchio dop alla mozzarella pugliese.
LE CARTE BOLLATE DELLA REGIONE CAMPANIA – Le motivazioni di De Luca sono ormai chiare: “Con questa delibera – ha spiegato il governatore – diamo seguito a quanto annunciato nelle scorse settimane. I prodotti caseari pugliesi sono prelibati – ha aggiunto De Luca – ma, nel rispetto della tipicità delle produzioni locali e manifestando pieno interesse per la valorizzazione anche delle risorse di tutti i territori, l’unica mozzarella Dop è e deve restare solo la nostra, realizzata esclusivamente con latte di bufala”. Tradotto: non ci sarà altra mozzarella dop al di fuori di quella campana. Chiaro e tondo. Secondo De Luca, inoltre, il marchio dop al prodotto caseario di Gioia del Colle “presenta elementi di parziale omonimia con la denominazione ‘Mozzarella di Bufala Campana’. Da evidenziare, poi – si legge nella nota diramata da Napoli – che non sussiste una differenziazione sufficiente tra le condizioni d’impiego e di presentazione locali e tradizionali del nome parzialmente omonimo proposto e quelle del nome già iscritto, che garantisca la necessità di assicurare un trattamento equitativo ai produttori interessati alle due denominazioni e a far sì che i consumatori non siano indotti in errore. Infine – è la conclusione – la denominazione proposta non consente di distinguere l’origine del latte utilizzato (latte bovino), proveniente da specie diversa da quello impiegato per la Mozzarella di bufala campana Dop”.
LA RISPOSTA DELLA PUGLIA – È seguita la replica di certo non conciliante della Regione Puglia, che accusa i vicini di palese ostruzionismo. “L’opposizione presentata dalla Regione Campania ritarda di fatto l’ottenimento di un importante strumento di tutela del territorio e valorizzazione dei prodotti tipici di eccellenza che vanno preservati dagli innumerevoli tentativi di imitazione”, ha detto l’assessore regionale all’Agricoltura, Leonardo Di Gioa, che ha sottolineato come l’iniziativa di De Luca “rischia di spostare nel tempo gli effetti delle politiche regionali di tutela e valorizzazione dei prodotti di qualità. La Puglia – ha continuato Di Gioia – non ha fatto altro che seguire puntualmente la procedura prevista dall’iter ministeriale in applicazione della normativa europea”. Il regolamento comunitario sostiene che la denominazione di origine “è un nome che identifica un prodotto originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente – ha sottolineato il componente della Giunta Emiliano – a un particolare ambiente geografico e ai suoi intrinseci fattori naturali e umani e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata”.
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“Non è che sono venuto qui con le tartarughine. Non vengo qui a fare il missionario o a legittimarvi. Se un movimento partecipa alle elezioni, è la democrazia a legittimarlo. Se si pronuncia con chiarezza contro il ricorso alla violenza e il razzismo”. Così il direttore del TgLa7 Enrico Mentana ha spiegato il perché della sua partecipazione al confronto con il vicepresidente di CasaPound Italia, Simone Di Stefano, organizzato venerdì 29 settembre nella sede del movimento, a Roma, in via Napoleone III. Il giornalista ha parlato davanti a una sala piena. Tanti quelli arrivati ad ascoltare il dibattito, al centro nei giorni scorsi di parecchie critiche e polemiche. Basti pensare che venerdì mattina, a poche ore dall’appuntamento, è apparso sotto la sede de La7 uno striscione di insulti contro il direttore del tg, firmato da quelli che si sono definiti “Partigiani nella metropoli”. “Sono venuto qui – ha aggiunto Mentana – perché siamo in democrazia e il vero errore sarebbe non confrontarsi. Questo perché voi state dicendo chiaramente che la violenza non è non sarà il vostro metodo politico, a differenza di altri”.
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Si fa un gran parlare della cosiddetta web tax, la riforma del sistema di tassazione che dovrebbe impedire ai giganti del Web (Google, Amazon, Facebook e soci) di pagare tasse ridicole a fronte di guadagni milionari in Europa. L’ultima notizia riguarda un’alleanza tra i “big four” (Germania, Francia, Italia e Spagna) che vorrebbero imporre ai colossi di Internet un sistema di tassazione che gli faccia (finalmente) pagare imposte eque sui loro guadagni, impedendogli di dirottare gli utili nei paradisi fiscali.
La web tax, però, rischia di rimanere una favola buona per accattivarsi gli elettori o poco più. Mentre rilasciano roboanti dichiarazioni, infatti, i paesi dell’Unione Europea stanno portando avanti l’approvazione di un accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) che in sostanza impedirebbe di adottare la tassazione sui profitti dei big dell’Information Technology.
Il Ceta è già stato approvato dal Parlamento Europeo e al momento è in attesa dell’approvazione delle Camere in tutti i paesi dell’Unione. Il trattato prevede una serie di norme che dovrebbero favorire lo scambio di merci e servizi (anche telematici) tra la Ue e il paese nordamericano, ma non solo: istituisce anche una sorta di tribunale (tecnicamente un arbitrato) chiamato Ics che permette alle imprese dei due paesi di fare causa ai governi nel caso in cui promulghino delle leggi che danneggino i loro interessi.
Nel testo, in realtà, si parla più precisamente di “lesione della legittima aspettativa di profitto” e nel caso in cui si avvii una causa, le imprese che ritengono di essere danneggiate da una qualsiasi norma possono chiedere l’abrogazione della norma stessa o un risarcimento (miliardario) per i mancati profitti causati dalla legge. È qui che casca l’asino: perché una legge come quella che i “quattro grandi” stanno pensando finirebbe quasi sicuramente per essere oggetto di un ricorso all’Ics.
Con il Ceta in vigore, Google, Facebook, Microsoft o Amazon dovrebbero semplicemente avviare una causa (sfruttando la loro filiale in Canada) per chiedere il risarcimento del danno e i paesi europei che avessero introdotto la tassa si troverebbero nella scomoda posizione di dover scegliere tra l’annullare la legge o pagare come risarcimento i mancati utili delle aziende. Insomma: sarebbero i governi a pagare i mancati guadagni dei paperoni dell’IT che non potrebbero più eludere il fisco come fanno oggi.
La soluzione? Fermare il Ceta. In Italia il trattato di libero scambio deve essere discusso e votato in senato, dove è stato messo a calendario per le prossime settimane. Il problema è che la maggior parte dei senatori non sa nemmeno esattamente che cosa stia per votare e si appresta a dare il via libero a un accordo che, oltre a devastare un gran numero di leggi a tutela della salute e dei consumatori, permetterebbe alle società della new economy di continuare ad aggirare le norme fiscali per incassare utili record sulle spalle delle cittadine e dei cittadini europei.
Il Comitato Stop Ttip-Stop Ceta sta portando avanti da mesi una campagna per bloccare il trattato attraverso iniziative di pressione nei confronti dei parlamentari italiani ed europei, chiedendo di spiegare loro i rischi connessi all’approvazione del trattato con il Canada. Tutte le informazioni per partecipare alla campagna si possono trovare sul sito http://ift.tt/2c366vj.
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Il sindaco banchiere ha deciso. Ad Asti, tra le due cariche, Maurizio Rasero ha deciso di tenere quella di primo cittadino e abbandonare la poltrona da vicepresidente della Cassa di risparmio. Lo ha annunciato lui stesso venerdì 29 settembre con una conferenza stampa a tre mesi dalla sua elezione: “Ho sempre detto già dalla campagna elettorale che lo avrei fatto”. In realtà nel corso della campagna elettorale Rasero, candidato di Forza Italia, non aveva mai affermato con chiarezza l’intenzione di lasciare il suo ruolo nell’istituto di credito cittadino: “Non sono cariche incompatibili”, dichiarava a inizio giugno a Il Fatto quotidiano.
Il M5s di Asti, che da tempo conduce una campagna contro i conflitti di interessi tra la politica e la banca cittadina, prende atto della sua decisione che arriva “con grave ritardo”: “Tale azione di trasparenza sarebbe dovuta avvenire spontaneamente, se non prima, almeno contestualmente all’insediamento in municipio”. Nell’attesa gli esponenti del Movimento avevano incontrato il prefetto e stavano preparando un’azione civile affinché il tribunale si pronunciasse sull’incompatibilità delle cariche, come avvenuto con il predecessore di Rasero, il dem Fabrizio Brignolo. Il quel caso il politico Pd era sindaco di Asti e anche presidente della Provincia, il cui servizio di tesoreria era affidato alla Cassa di risparmio di Asti, di cui Brignolo era consigliere. Per il tribunale era una violazione del Testo unico degli enti locali, ragione per cui era stato fatto decadere dalla poltrona della Provincia. Pochi mesi dopo, prima che il tribunale decidesse su un’altra azione promossa dai consiglieri grillini con l’avvocato Alberto Pasta, il primo cittadino Pd si era dimesso dal cda. Nei confronti di Rasero, invece, sono state intraprese anche altre strade, come le segnalazioni inviate all’Anac, le denunce all’organismo di vigilanza della Cassa di risparmio e quelle del deputato Paolo Niccolò Romano all’Organo ispettivo della Banca d’Italia per via della presunta violazione del codice etico della banca.
Da quanto ha detto ieri il sindaco Rasero nel corso della conferenza, lui ha presentato la lettera di dimissioni dal cda della Cassa di risparmio il 27 luglio, più di due mesi fa: “C’erano degli adempimenti che sia io sia la banca dovevamo rispettare”, ha spiegato alle pagine locali de La Stampa. Poi ha aggiunto: “Chiariamo che non esiste una questione di legittimità: avrei tranquillamente potuto continuare a fare le due cose”. Adesso, dopo le dimissioni, riprenderà a percepire lo stipendio da primo cittadino a cui aveva rinunciato nei primissimi mesi, quando ancora era vicepresidente della banca. Per il M5s di Asti questa è una vittoria “per tutti i cittadini che ora finalmente non avranno più un Sindaco pagato da una banca”.
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Corea del Nord, Kim Jong-un battezza una nuova verdura “ricca di proteine” per la festa del raccolto
Inizia la festa del raccolto in Corea del Nord, una delle ricorrenze più importanti per le due Coree. Per l’occasione il leader Kim Jong-un ha fatto visita a una fattoria gestita dall’unità militare 110 e le immagini sono state diffuse dal settore propaganda. Il dittatore di Pyongyang, scrive il Corriere, ha poi voluto battezzare personalmente “una nuova verdura – Tanbakcho – che sarebbe ricca di proteine“. Intanto le forze militari sudcoreane sono in stato di massima allerta nel timore di nuove possibili provocazioni da parte di Pyongyang. “Stiamo monitorando con attenzione qualsiasi movimento delle forze militari nordcoreane – ha detto un alto ufficiale di Seul, citato dall’agenzia di stampa Yonhap – sulla base dell’ipotesi che il Nord possa destabilizzare le condizioni nella penisola coreana con una grande provocazione durante Chuseok, che è una delle principali feste tradizionali” per i due Paesi. “Dal momento che la Corea del Nord può condurre provocazioni un qualsiasi momento – ha continuato l’ufficiale – siano costantemente in allerta e pronti a rispondere immediatamente”.
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Ha preso il via da largo Toscana, alla periferia settentrionale di Torino, il “corteo unitario” contro il G7. L’obiettivo dei manifestanti è raggiungere la Reggia di Venaria, che dista alcuni chilometri. I partecipanti sono diverse centinaia. Vi sono attivisti dei centri sociali torinesi Askatasuna e Gabrio, sindacati di base, No Tav (che aprono la sfilata con uno striscione), militanti di Rifondazione comunista, Sinistra anticapitalista, Soccorso rosso e Carc.
Intanto sono state indagate per resistenza a pubblico ufficiale, e poi rilasciate, le tre ragazze fermate ieri sera dopo l’attacco alle forze dell’ordine durante le proteste anti G7. Intorno alle 23, i contestatori del summit, scesi in strada per un corteo notturno nelle vie del centro, hanno lanciato petardi e fuochi d’artificio ad altezza d’uomo contro la polizia. Poi sono fuggiti in piazza Castello, creando scompiglio alla ‘Notte dei ricercatori’ che si stava svolgendo nella piazza torinese. Nessuna carica e nessun lancio di lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine.
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G7 Torino, nuovo corteo di protesta contro il vertice. FOTO Dopo le tensioni e gli scontri di venerdì , alcune centinaia di persone si sono radunate in vista di una manifestazione contro il summit che si tiene alla Reggia Venaria. Il presidio ha attraversato diversi quartieri. Ingenti le misure di sicurezza Parole chiave: fotogallery cronaca torino g7 g7_torino corteo manifestazione
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Per la terza volta nell’ultimo anno in Italia viene presentato uno studio epidemiologico sull’impatto degli inquinanti di alcune industrie senza che ne restino tracce importanti nel dibattito politico né sui giornali. È accaduto lo scorso novembre quando la Regione Puglia ha presentato il report sull’Ilva di Taranto, quello che dimostrava come ci fossero – ed è lecito pensare ci siano ancora – aumenti di malattie respiratorie tra i bambini e un incremento fuori scala dei tumori nei quartieri più vicini allo stabilimento siderurgico. Eppure il team guidato dall’epidemiologo Francesco Forastiere indicava senza esitazioni “una connessione diretta tra aumento della mortalità per tumore e per malattie cardiovascolari, respiratorie e i picchi di innalzamento della produzione della fabbrica, anche in epoca molto recente e successiva alle contestazioni” della magistratura.
Il problema è riemerso lo scorso giugno a Brindisi, sull’altra sponda della Puglia, dove insistono un grosso polo petrolchimico gestito da società del gruppo Eni e la centrale a carbone dell’Enel, quella sequestrata – per altre vicende – due giorni fa. Lo stesso team di lavoro, sempre su incarico della Regione Puglia, ha stilato un rapporto preciso: negli scorsi anni c’è stato un “raddoppio delle leucemie” e si è registrato un “60 per cento in più di infarti per emissioni industriali”. Lo studio metteva in luce come la situazione fosse migliorata dal 2012 grazie alla chiusura di un’altra centrale a carbone, quella di Edipower. Così mentre il parroco di uno dei quartieri più colpiti ha rotto il silenzio durante il funerale di un dipendente di una delle aziende sotto accusa (“Dobbiamo parlare di inquinamento che troppi danni fa alla nostra comunità”, ha detto ad agosto don Cosimo Zecca), quel dato scientifico confinato al passato è stato utilizzato come grimaldello da alcuni sindaci della provincia per archiviare la pratica. Una mossa pilatesca.
Adesso è il momento di Viggiano e Grumento Nova, i due comuni lucani più vicini al Centro Oli dell’Eni, dove avviene la prima raffinazione del greggio estratto in Val d’Agri. Dati limpidi, purtroppo, e nessuna reazione politica, nonostante un anno e mezzo fa anche l’Istituto superiore di sanità avesse delineato un quadro a tinte fosche. Dopo oltre una settimana di silenzio, il “più in alto in grado” a parlare è stato il governatore regionale Marcello Pittella. Per dire, sostanzialmente, che forse sì-forse no e quindi meglio che approfondiscano i ministeri dell’Ambiente e della Salute. Dopo quattro-anni-quattro di lavoro da parte di 29 (ven-ti-no-ve) ricercatori italiani.
La questione Taranto era stata frettolosamente archiviata, riguardo a Brindisi e ai paesi lucani, invece, tutto è rimasto confinato alla stampa locale o ai dorsi regionali dei giornali nazionali. Sul sito del Fatto Quotidiano abbia dato ampio spazio in tutti e tre i casi, anche con inchieste e reportage prima che arrivassero i dati a sostanziare gli allarmi lanciati dalle popolazioni.
Chi continua a rimanere cieco – o semplicemente si gira dall’altra parte – quando gli studiosi di epidemiologia soffiano via la propaganda di parte e restano i dati, inoppugnabili, dei danni causati (anche da) quelle emissioni è la politica. Qualche sporadica interrogazione di parlamentari eletti in quei territori, qualche dichiarazione a denti stretti contro le grosse aziende che gestiscono gli impianti e via, tutti pronti a dimenticare.
Un giochino splendido. Così, quando interviene la magistratura, spesso si parla di strumentalizzazioni e di politica trascinata ad hoc nelle inchieste (leggi il caso Guidi). Quando invece si alza forte la voce di studiosi che impiegano anni per mappare quei territori ed escludere i fattori confondenti spesso usati per minare la credibilità dei report – chi ha dimenticato quando i tarantini divennero tabagisti e alcolisti di massa? – ai nostri prodi non resta che tergiversare o il silenzio. Lo stesso nel quale decine e decine di persone continuano ad ammalarsi e morire in quelle città abbandonate a se stesse, nonostante le evidenze scientifiche suggeriscano che è arrivato il momento di iniziare a muoversi. Non sono più le nubi nere dell’inquinamento ad avanzare. È la politica a rimanere immobile.
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Ci hanno lavorato 29 ricercatori e tecnici di tre istituti del Cnr, del Dipartimento di biologia dell’università di Bari e del Dipartimento del Servizio sanitario della Regione Lazio. È lo studio più importante mai realizzato sul Centro Oli di Viggiano dell’Eni, quello finito al centro dell’indagine della procura di Potenza assieme a Tempa Rossa e che arrivò a sfiorare le stanze del governo. Quattro anni di analisi di cartelle cliniche, questionari, esami sulla popolazione e, fino ad oggi, a oltre una settimana dalla presentazione, non un rigo su un quotidiano o un telegiornale nazionale, se si esclude il Tg regionale della Rai (il Manifesto e due brevi articoli sul dorso regionale campano di Repubblica). Nonostante le conclusioni alle quali è giunto il team di ricerca, dopo aver mappato e scandagliato i comuni di Viggiano e Grumento Nova, i due più vicini all’impianto di prima raffinazione del Cane a sei zampe in Basilicata, siano limpide: “Dalla Valutazione d’impatto sanitario emerge che nei due comuni la mortalità e i ricoveri ospedalieri tra il 2000 e il 2014 sono superiori alla media regionale e dei 20 comuni della Concessione Val d’Agri, sebbene la popolazione studiata sia di piccole dimensioni”. Non solo, perché secondo i ricercatori, “uno studio microgeografico ha consentito di stabilire una associazione di rischio fra l’aumento di mortalità e/o ricoveri per malattie del sistema circolatorio, in particolare ischemiche, per malattie dell’apparato respiratorio e l’esposizione alle emissioni del Centro Oli, in particolare nelle donne”. Solo venerdì, dopo una settimana di silenzio, il presidente della Regione, Marcello Pittella, ha dato una scossa annunciando di voler inviare i risultati ai ministeri dell’Ambiente e della Salute, specificando: “Non minimizzo, non drammatizzo: prendo atto“.
La smentita preventiva – Gli unici a saltare immediatamente sulla sedia sono stati proprio gli uomini dell’Eni, che hanno convocato una conferenza stampa preventiva per provare a smontare i dati pur non avendo a disposizione lo studio integrale. Proprio così: la prima presentazione ufficiale era in programma venerdì 22 settembre a Viggiano, ma già mercoledì 20 i vertici della multinazionale del petrolio avevano espresso i propri dubbi in sette punti su ciò che, secondo i consulenti, non torna nelle 563 pagine di rapporto stilato dal team coordinato dal professor Fabrizio Bianchi dell’Istituto di fisiologia clinica del Centro nazionale per le ricerche, incaricato dai due comuni ormai quattro anni fa di svolgere lo studio, arrivato a conclusione tra mille difficoltà e paletti, posti anche dall’amministrazione regionale, come aveva raccontato ilfattoquotidiano.it nei giorni successivi all’indagine della procura di Potenza.
I dati all’interno dei due comuni – Nei numeri forniti dai ricercatori, ce ne sono alcuni particolarmente rilevanti perché mettono in correlazione l’esposizione degli abitanti di Viggiano e Grumento Nova agli inquinanti dell’impianto di raffinazione del petrolio. “All’aumentare dell’esposizione alle emissioni del Centro Oli aumenta il rischio di morte e/o di ricovero” per alcune patologie, sentenzia il team di ricerca. “Dalle analisi di mortalità – è scritto nella sintesi del rapporto – si osserva un eccesso statisticamente significativo per le malattie del sistema circolatorio”. Un dato riscontrato sia nelle donne, con un “+63% nella classe di esposizione più alta rispetto alla più bassa”, sia se si considerano anche gli uomini (+41% complessivo). Eccessi di rischio statisticamente significativi emergono anche dalle analisi dei ricoveri: per le malattie del sistema circolatorio nelle donne, scrivono gli studiosi, l’aumento è del 41 per cento nella classe di maggiore esposizione rispetto a quella meno esposta all’interno dei due comuni, mentre per le malattie ischemiche e per le malattie respiratorie, sempre nelle donne, il rischio sale rispettivamente dell’80 e del 48 per cento.
Il rapporto con il resto della Basilicata – Se si considera come parametro di riferimento tutta la popolazione lucana o quella dei 20 comuni interessati dalle estrazioni petrolifere, la questione non cambia. Tra il 2000 e il 2014, rispetto alla Basilicata, la mortalità aumenta del 14% per “malattie del sistema circolatorio” e dell’11 per cento per “tutte le cause”. Mentre il paragone con gli altri Comuni della Val d’Agri mostra un +15% di aumento di mortalità per tutte le cause e un incremento del 32% nelle donne per malattie del sistema circolatorio. I risultati, sintetizza lo studio, “confermano quanto emerge dalla letteratura scientifica che riporta prove sufficienti per attribuire un ruolo causale a inquinanti atmosferici tra cui quelli presi in considerazione”.
Cosa fa il centro Oli e la risposta di Eni – Il Centro Oli è in attività dal 1996 e serve per separare la miscela di idrocarburi, gas naturali e acque di strato estratte dai pozzi petroliferi che si trovano nelle aree circostanti. L’impianto, insomma, effettua un primo trattamento del petrolio che poi viene raffinato a Taranto, dove arriva attraverso un oleodotto attivo dal 2001. Lo stabilimento dell’Eni è finito nuovamente al centro delle cronache per una sospensione delle attività legata ai sospetti di inquinamento del suolo e delle acque, che questo studio – tra l’altro – smentisce. Ma mette dei punti fermi sotto il profilo sanitario analizzando i composti organici volatili e altre sostanze emesse dai camini del Centro Oli. E su questi Eni ha deciso di rispondere lo scorso 20 settembre, quando ancora il team non aveva presentato ufficialmente l’intero rapporto esprimendo sette “perplessità” tecniche alle quale il coordinatore ha controreplicato, punto per punto, sul proprio sito.
Lo studio sulle funzionalità respiratorie – I tre centri del Cnr e gli altri enti coinvolti nella Valutazione d’impatto sanitario non si sono limitati ad analizzare dati e cartelle cliniche, ma hanno anche svolto attivamente analisi. Una parte dello studio si è soffermata sulle funzionalità respiratorie della popolazione residente a Viggiano e Grumento Nova. Dopo aver sottoposto a screening un campione di 200 abitanti, la conclusione è chiara anche se, ha spiegato Bianchi davanti alla Terza commissione regionale, “non stabiliamo un nesso causa-effetto” per questo tipo di malanni. “L’analisi dei dati ha mostrato che per la maggior parte dei sintomi considerati – si legge nel rapporto – emerge un rischio più elevato nell’area prossimale al Centro Olio”. In particolare, il sottogruppo che vive vicino all’impianto “è significativamente più soggetto a tosse al di fuori dei comuni raffreddori per alcuni periodi dell’anno” con un aumento del rischio del 149% e a “sintomatologie allergiche respiratorie associate a sintomatologia a carico degli occhi rispetto al gruppo che vive più lontano” con una differenza dell’aumento del rischio pari al 153 per cento. “Da noi – dice Bianchi a ilfattoquotidiano.it – non sentirete mai la parola allarme, ma certamente questi dati sono preoccupanti e meritano approfondimenti”. La palla, ora, passa alla giunta regionale: “Alcuni degli inquinanti che abbiamo utilizzato nel nostro studio – aggiunge il coordinatore del progetto – non hanno limiti normati. Se la Regione Veneto si sta muovendo sui Pfas, la Basilicata potrebbe seguire l’esempio”.
Pittella: “Valutino i ministeri” – Ma il presidente Pittella che da un lato si dice “pronto a tutto”, anche a ordinare la chiusura del Centro Oli, chiede prima che siano i ministeri a vagliare e approfondire le conclusioni dello studio epidemiologico e ne annuncia uno più ampio su tutta la Val d’Agri: “Siamo chiamati a rispondere con rigore sul piano scientifico – ha detto dopo una settimana – e saremo inflessibili e severissimi su tale aspetto”. Dal canto suo, Bianchi si dice sereno: “Ho la serenità di chi ha utilizzato il disegno di studio epidemiologico più evoluto tra quelli oggi disponibili, dati ambientali e sanitari di buona qualità – spiega il coordinatore del progetto – Abbiamo messo in campo metodi e strumenti di analisi accreditati a livello internazionale, conclusioni e raccomandazioni strettamente basati sui risultati conseguiti”.
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L’incidente è accaduto in Sudafrica alla star del rugby, l’irlandese Scott Baldwin. L’uomo ha infilato la mano nella gabbia, tentando di accarezzare il leone, ma l’animale gli ha azzannato la mano. La scena è stata ripresa in diretta con un telefonino.
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Omicidio Noemi, pm chiede perizia per il fidanzato Il procuratore ha depositato una richiesta di incidente probatorio: si vuole verificare la capacità di intendere e volere del giovane, reo confesso. Il ragazzo è accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione, crudeltà e futili motivi Parole chiave: omicidio_noemi noemi_durini perizia noemi
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È stato accusato di aver finanziato e guidato tutte le guerre, i colpi di Stato e le rivoluzioni degli ultimi 25 anni, di essere stato tra i principali artefici della caduta dell’Unione Sovietica, di aver messo in ginocchio intere economie grazie alle sue speculazioni finanziarie e di continuare, ancora oggi, a destabilizzare i governi a lui avversi attraverso la sua fitta rete di organizzazioni e agenti. George Soros, nato György Schwartz da una famiglia di ebrei ungheresi e naturalizzato americano, per molti è solo un imprenditore, filantropo e speculatore finanziario, per altri, soprattutto quelli legati all’ala conservatrice americana o ai partiti nazionalisti europei, è l’uomo che, rimanendo nell’ombra, muove i fili di ogni grande evento mondiale. E questa sua avversione per i governi nazionalisti potrebbe essere la principale causa che ha portato all’approvazione dell’ultima legge ungherese sull’Istruzione che rischia di far chiudere la sua Central European University (Ceu) e alla campagna mediatica lanciata contro di lui dal governo de Premier, Viktor Orbán.
L’ambiguità dell’uomo d’affari di origini ungheresi, la sua attività da lobbista e l’enorme disponibilità economica, stimata da Forbes in 25,2 miliardi di dollari e che lo inserisce nella lista dei 30 uomini più ricchi del mondo, sono sotto gli occhi di tutti. Sta di fatto che, di tutte le accuse che gli sono state mosse, solo poche hanno trovato riscontri nelle aule di tribunale (è stato condannato nel 2006 per insider trading da un tribunale francese), mentre altre sono venute alla luce solo grazie a dichiarazioni dello stesso Soros durante qualche intervista. I suoi detrattori si chiedono da dove provenga tutta la fortuna che ha accumulato, nonostante sia stato protagonista di gigantesche speculazioni finanziarie, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “colui che ha messo in ginocchio la Banca d’Inghilterra” a causa di un’operazione che portò alla svalutazione della Sterlina. Oggi, 87enne, presiede fondi d’investimento come il Quantum Fund e la Open Society Foundations (Osf), una fondazione che si occupa di finanziare progetti sociali per lo sviluppo e la salvaguardia dei diritti umani, tra i quali Human Rights Watch e Amnesty International.
La fuga dal nazismo, le speculazioni finanziarie e i soldi ai movimenti anticomunisti
Il cognome Soros nasce dall’esigenza di mascherare le origini ebraiche della famiglia durante l’occupazione nazista dell’Ungheria. E proprio in quegli anni, il 14enne György è riuscito a ottenere un documento falso nel quale risultava che il suo padrino si occupava della confisca dei terreni di proprietà delle famiglie ebree. György lo accompagnava e alle accuse di essere stato un piccolo Kapo risponderà molti anni dopo, nel 1998, ai microfoni di 60 Minutes, celebre talk-show americano: “Ero solo un bambino, non capivo quello che stava succedendo, per questo non mi sento in colpa […] Non facevo niente, accompagnavo e basta”.
La fuga dal Paese natale arriva però pochi anni dopo, nell’Ungheria sovietica del 1947, evento che influenzerà le idee politiche del magnate, da sempre anticomunista e convinto liberale e democratico. La meta è l’Inghilterra ed è lì che Soros entra nel mondo della finanza, fino a fondare, nel 1969, il suo fondo d’investimento Quantum Fund. Con la crescita delle ricchezze personali e il coinvolgimento con gli alti livelli della finanza mondiale, iniziano le prime voci sulle operazioni segrete attribuite al miliardario. E la prima vittima sarebbe proprio il suo nemico storico: l’Unione Sovietica.
Dall’inizio degli anni ‘80, riporta la stampa internazionale, Soros avrebbe finanziato con milioni di dollari le organizzazioni democratiche dell’ex blocco sovietico, così da minare le basi di una già fragile Urss e favorire l’ascesa dei movimenti anticomunisti. È così che i soldi del miliardario americano sarebbero finiti nella casse di Solidarność, in Polonia, finanziato in funzione anticomunista anche dal Vaticano, e di Charta 77 in Cecoslovacchia. I finanziamenti sono continuati anche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, negli anni 2000, per questo il magnate è considerato un nemico dal Presidente russo, Vladimir Putin, che ha fatto dichiarare come “indesiderate” alcune ong da lui finanziate, a lui direttamente collegate o con le quali ha collaborato: Amnesty International, Media Development Investment Fund, International Republican Institute (Iri) e, ovviamente, la Open Society Foundation. Soros viene accusato, si legge in un articolo del New York Times del 2004, di aver finanziato i movimenti anticomunisti durante la Rivoluzione delle Rose del 2003, in Georgia, e la successiva presidenza di Mikheil Saak’ashvili.
Parallelamente, Soros aumentava la propria ricchezza e la propria notorietà continuando a imporsi nel mondo della finanza mondiale. Fino a finire sulla bocca di tutto il mondo per essere stato il principale architetto del Mercoledì Nero del 16 settembre 1992, quando con un’operazione di speculazione finanziaria provocò il crollo della Sterlina inglese e della Lira italiana, tanto da costringerle a uscire dal Sistema Monetario Europeo (Sme) e portando nelle casse del magnate oltre 1 miliardo di dollari.
Le mail hackerate: “Regista di tutti gli eventi mondiali degli ultimi 25 anni”
Da sempre sostenitore delle amministrazioni democratiche americane, per le quali ha stanziato milioni di dollari di finanziamenti, Soros è invece fortemente critico nei confronti dei rappresentanti repubblicani, che spesso ricambiano, soprattutto dell’ex Presidente George W. Bush e dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump.
Più volte il fronte repubblicano lo ha accusato di ordire complotti per destabilizzare governi e Paesi contrari alla sua visione politica, o semplicemente per trarne un vantaggio economico e favorire le proprie speculazioni finanziarie. Ma queste voci hanno occupato le prime pagine dei giornali quando, nell’agosto del 2016, vengono diffuse da Dc Leaks le mail hackerate della Open Society Foundations. Il gruppo di pirati informatici scrive nel proprio comunicato che “George Soros guida più di 50 fondazioni sia globali che regionali. È considerato l’architetto di ogni rivoluzione e colpo di Stato di tutto il mondo negli ultimi 25 anni”. Dalle mail emergerebbero la sua azione per favorire e orientare i flussi migratori mondiali, i finanziamenti in favore di candidati democratici americani come Hillary Clinton, l’influenza economica sui movimenti pro-Ue, l’ingerenza sulle proteste di Maidan in Ucraina e il finanziamento del gruppo femminista e anti-Putin Pussy Riot.
Soros-Orban, amici-nemici
La cosiddetta “Legge Soros” approvata dal Parlamento ungherese e la campagna contro il miliardario iniziata a luglio sono quindi solo le ultime pagine della lotta tra il magnate americano e i governi nazionalisti e filorussi europei. L’eventuale, e probabile, chiusura dell’università finanziata dall’imprenditore ebreo fa parte del progetto politico del governo di Viktor Orbán di eliminare o allontanare il più possibile le opposizioni interne all’esecutivo. Progetto nel quale si collocano anche le leggi restrittive nei confronti dei media, nel 2011, e i piani per estromettere proprio le ong di Soros, considerate le responsabili del flusso di immigrati arrivati nel Paese nel 2015. “Il clima che si respirava nell’università era di libertà accademica assoluta – racconta a Ilfattoquotidiano.it Betty Ferrari, ex studentessa e ricercatrice della Ceu – dove tutte le opinioni erano ben accette. E ho conosciuto molti studenti e docenti che non erano sicuramente dei pericolosi sovversivi come li vede il governo ungherese. A livello di ricerca accademica è però un’università che si occupa di diritti umani, di diseguaglianze, di diritto costituzionale, che è critica del nazionalismo. Ѐ un posto dove si offrono generose borse di studio a studenti di origine rom, che così possono accedere a un’istruzione che non potrebbero altrimenti permettersi, o dove si offrono gratuitamente corsi per i rifugiati arrivati in Ungheria”. Un principio di accesso all’istruzione che ha permesso allo stesso Orbán di usufruire di una borsa di studio a Oxford finanziata dal miliardario statunitense nel 1989, quando ancora i due non erano nemici. Come non lo erano quando l’attuale premier ungherese militava nell’anticomunista e liberale Alleanza dei Giovani Democratici, embrione di Fidesz e anch’essa finanziata da George Soros.
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Il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda ha telefonato alla sindaca di Roma per il tavolo sul rilancio economico della Capitale. Ma Virginia Raggi non risponde. “Ho chiamato tre giorni fa il sindaco, non mi ha risposto e ancora aspetto di essere richiamato. Capisco che è piuttosto impegnata su altre cose, ma delle due l’una: se entro lunedì non ho ancora una conferma della data per l’incontro, io l’incontro lo sconvoco il tavolo. Parlare di Roma senza il sindaco mi pare naif. Che devo fare mandare un telegramma?”. Calenda poi, proseguendo il suo intervento al convegno Crescita vs Crisi in corso all’hotel Parco dei Principi, ha aggiunto: “È chiaro che un tavolo non basta per risolvere i problemi della città. Abbiamo girato il nostro materiale al sindaco e alla Regione – ha detto – e ora aspettiamo. Non è un lavoro per dire se lavora bene o male, i problemi di Roma non vengono da cinque minuti fa, e non tutti sono politici. Non c’è l’intento di attribuire le responsabilità. L’obiettivo – ha aggiunto Calenda – era mettersi tutti a un tavolo, ma questo ha generato solo una ‘cagnara politica’ che ti fa passare la voglia”. Poi ha concluso: “Non penso però che in qualche forza politica romana ci sia la tentazione di dire ‘non facciamo niente, aspettiamo che passi il cadavere’. La troverei una cosa fessa, perché il cadavere è quello di Roma”.
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“O si autoriformano oppure quando saremo al governo ci pensiamo noi”. Luigi Di Maio, neo-candidato premier del Movimento 5 stelle, intervenendo al Festival del Lavoro a Torino ha ribadito la posizione dei grillini sui rappresentanti dei lavoratori. “Se il Paese vuole essere competitivo le organizzazioni sindacali devono cambiare radicalmente”, ha detto. “Dobbiamo dare possibilità alle associazioni giovanili di contare nei tavoli contrattazione, serve più ricambio nelle organizzazioni sindacali. O i sindacati si autoriformano o con quando saremo al governo faremo noi la riforma. Un sindacalista che prende la pensione d’oro o finanziamenti da tutte le parti ha poca credibilità per rappresentare un giovane di trent’anni”.
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Manifesti con la faccia sghignazzante di George Soros e la scritta “Non lasciategli l’ultima risata”, il lancio di una “consultazione pubblica” riguardante il cosiddetto “Piano Soros” sui migranti e, adesso, la sua ufficializzazione attraverso la distribuzione di milioni di volantini e questionari. Dopo il nuovo ordinamento sull’Istruzione varato dal Parlamento di Budapest ad aprile che mira alla chiusura della Central European University (Ceu) fondata nel 1991 da Soros, il partito di governo Fidesz continua la sua campagna contro il magnate ebreo americano di origini ungheresi, considerato dal Premier Viktor Orbán il nemico pubblico numero uno. Una strategia, quella del partito nazionalista, che deve essere letta anche in funzione delle prossime elezioni politiche nella primavera 2018.
Già a luglio il partito di governo aveva lanciato la nuova campagna anti-Soros, che si sovrappone a quella anti-immigrazione, facendo affiggere centinaia di gigantografie con la faccia del magnate americano con la scritta “Non lasciategli l’ultima risata”. In quell’occasione, i vertici del partito avevano annunciato l’inizio della campagna che sarebbe culminata con la consultazione pubblica sul cosiddetto “Piano Soros” che starebbe orientando le politiche di Bruxelles sull’immigrazione. La ricostruzione dei membri di Fidesz descrive il miliardario di origini ebraiche come uno dei principali sponsor dei flussi migratori diretti in Europa da Africa, Asia e Medio Oriente. I piani di Soros consisterebbero nel permettere ad almeno un milione di migranti all’anno di entrare in Europa e vivere grazie alle sovvenzioni statali e comunitarie. L’obiettivo finale sarebbe quello di una sostituzione etnica degli europei con una popolazione composta per la maggior parte da immigrati. Il tutto con il supporto dell’élite politica europea che, sostiene il partito di governo, trarrebbe benefici economici dall’appoggio alla formazione de “L’impero Soros”.
La campagna di luglio era stata interrotta il 15 del mese, in concomitanza con la prima visita ufficiale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Anche se il portavoce del governo, Zoltan Kovacs, dichiarò a Reuters che si trattava solo di una coincidenza, non è da escludere che lo stop alla campagna sia stato un modo per togliere dall’imbarazzo il Premier Netanyahu che a causa delle tesi complottiste su Soros dovrà poi risolvere qualche grattacapo interno: il 9 settembre, il figlio Yair ha postato su Facebook un’immagine in cui si insinuava che il magnate americano e altre forze oscure stessero controllando il mondo. Il post, pubblicato dopo la notizia di rinvio a giudizio della moglie del Primo Ministro, Sara Netanyahu, con l’accusa di peculato, è stato additato subito come antisemita. Yair lo ha subito rimosso dal profilo Facebook, ma non abbastanza velocemente da impedire a David Duke, ex Gran Maestro del Ku Klux Klan, di condividerlo.
A metà luglio, però, lo stesso Kovacs aveva annunciato che in circa sei settimane sarebbe partita la consultazione pubblica. E così è stato. Oggi, in Ungheria sono tornati a circolare milioni di volantini che chiedono ai cittadini se sono pronti a cedere alle imposizioni di Bruxelles riguardo ai ricollocamenti dei migranti da Italia e Grecia. “La Commissione Europea non ammette di stare realizzando il Piano Soros – ha dichiarato recentemente il vicepresidente di Fidesz, Lajos Kosa – Ma tutte le loro azioni si muovono in quella direzione”. Accuse che Michael Vachon, portavoce del miliardario, ha definito “fantasia”: “La posizione di Soros – aveva spiegato a luglio – è quella di richiedere un maggiore supporto da parte della comunità internazionale nei confronti di quei Paesi in via di sviluppo che, oggi, stanno accogliendo l’89% dei rifugiati. Inoltre, si chiede all’Europa di accettare centinaia di migliaia di migranti, i cui profili sono già stati interamente esaminati, attraverso un programma di ricollocamento”.
Orbán è da sempre uno dei più forti oppositori del programma di accoglienza dei migranti nell’Unione Europea e anche grazie a questo tema è riuscito a mantenere la guida dell’esecutivo, attraverso la riscoperta di un forte nazionalismo magiaro che si è concretizzato in una riforma costituzionale che limita l’operato dei tribunali e punta a un accentramento del potere in mano all’esecutivo, leggi restrittive nei confronti dei media e, ovviamente, nelle politiche anti-immigrazione, iniziate accogliendo nel luglio 2015 la proposta dei leader della destra ultranazionalista di Jobbik di costruire la rete di protezione al confine tra Serbia e Ungheria. Oggi, con le prossime elezioni di primavera e la volontà di ottenere un terzo mandato, il leader di Fidesz rispolvera la retorica nazionalista e isolazionista che tanto successo gli ha regalato. E il nemico pubblico numero uno, Geroge Soros, non può che tornare nel mirino.
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Il tempo di avere paura e sono già in terra. Il terreno è umido, le foglie cadute hanno l’odore dell’assenza del sole tra le frasche. Ho piante alte sulla testa, sembrano ancora più alte di quanto lo siano realmente. Fitte sulle estremità e più rade alla radice, tanto che il mio corpo non ne schiaccia nemmeno una. Come ci fosse lo spazio necessario, come se fosse terra di nessuno, pronta, fatta a posta, predisposta. Intorno niente. Solo loro.
Solo un’immagine mi arriva come un meteorite sulla testa, fracassa il cranio e lo riempie di una vita intera. Mezza vita in realtà. Ma quando si è giovani si pensa esista solo quella. Una vita intera in un’unica impressione. Scivola via e si perde, consapevole d’esser finita in un istante. A rischio pratico, ma non solo. Se me la cavo, è finita ugualmente. Ma non c’è il tempo di pensare. È un’impressione appunto. Un quadro animato che ripercorre ogni momento felice e infelice, ogni progetto futuro, ogni idea di te nei giorni a venire. Da quell’istante in poi non sarà più la stessa cosa. È finita. Le gambe aperte, la schiena schiacciata sotto un peso che non è solo corporeo ma di prepotenza. Di sottomissione. I pugni chiusi ma inermi. La voce non esce. “Perché non hai urlato?”, Non mi avrebbe sentito nessuno. “Perché non hai chiesto aiuto?”, L’ho fatto, ma senza fiato. La voce è fioca, perde d’intensità e potenza. Perde la partita. Perde il respiro che permette di ricominciare.
“Ti prego” “Ti prego” “Ti prego” “Ti prego”
Ci sono momenti nella vita in cui ti affidi all’umanità dell’altro, in cui disperatamente ti affidi alla possibilità che esista un angolino di coscienza e ragione in qualunque essere umano che nasce, vive e poi muore. L’esistenza necessita per forza di umanità e pietà. Pietà. Abbi pietà di me. Della mia preghiera. Del mio sguardo. Non può accadermi questo. Non può finire così. Eppure il tempo non passa. Istanti, secondi interminabili, fermi. Siamo fuori dal tempo e dal mondo.
Porto una grossa cintura in vita. Anni Sessanta, di quelle larghe e bianche, era di mia madre. Solitamente la stringo stretta perché sono magra, e i pantaloni li porto larghi. Così io cedo e lei invece resiste. È il caso, il destino. È certamente la mia salvezza. Ho un telefono tra le mani e lui è giovane. Più giovane di me. Forse si spaventa, forse non è in grado di farlo davvero. Non so. Forse torna umano. Forse prova pietà. Forse ascolta la mia preghiera, si accorge del mio sguardo. Corro tanto, corro veloce. Mi guardo le spalle, la testa girata, e inciampo. Corro senza sapere dove andare. Vedo una strada là in fondo, riconosco una casa in lontananza. Nel cortile, dietro un’alta rete verde, tre bambini giocano con il pallone. Uno pedala impacciato su un triciclo. Come si fa ad arrivare su quella strada? I bambini sono ancora umani. Mi indicano la direzione e riprendono a giocare. Ce l’ho fatta, ma è stato il caso. Non è merito mio. Non è una battaglia vinta. Non si vince contro la violenza. La violenza si previene, si denuncia, si racconta, ma non si vince mentre agisce. Non dico niente. A nessuno. Mi lavo più volte ma non va via. Sono una donna fortunata, penso. Poteva andare peggio. Non ne voglio più sapere. Dimentico. Poi invece non accade.
Te la sei cercata. Solo a te poteva accadere. Eri consenziente. Te ne fossi stata a casa… Ti sei messa da sola nei guai. A me non poteva accadere. Se un uomo arriva a questi punti evidentemente lo hai provocato. E tu perché eri lì? Cosa ci facevi?
Ecco la violenza perpetrata, oltre quella fisica.
No alla violenza sulle donne.
No alla depenalizzazione del reato di stalking.
No alla narrativa con cui stupri e omicidi diventano un processo alle vittime.
La violenza sulle donne è una sconfitta per tutti. Riprendiamoci la libertà.
Firma l’appello e oggi, 30 settembre, scendi in una delle 100 piazze d’Italia
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Iniziativa di alcuni genitori per difendere il voto sull’indipendenza della Catalogna. “Visti gli ultimi fatti – spiega uno dei genitori promotori dell’iniziativa – la comunità scolastica ha deciso di prendere posizione e difendere i valori democratici. Crediamo che i nostri bambini debbano imparare cosa sono il dialogo, la partecipazione e la libertà”. Centinaia di catalani, anche intere famiglie, hanno passato la notte nei seggi elettorali del referendum di domani in diversi centri civici e scuole per impedire che vengano chiusi dalla polizia. La polizia catalana ha chiesto agli occupanti di liberare i locali entro domani alle 6 del mattino ma non è intervenuta per allontanarli, secondo i media catalani. L’occupazione dei seggi dovrebbe prolungarsi la prossima notte.
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