Si fa un gran parlare della cosiddetta web tax, la riforma del sistema di tassazione che dovrebbe impedire ai giganti del Web (Google, Amazon, Facebook e soci) di pagare tasse ridicole a fronte di guadagni milionari in Europa. L’ultima notizia riguarda un’alleanza tra i “big four” (Germania, Francia, Italia e Spagna) che vorrebbero imporre ai colossi di Internet un sistema di tassazione che gli faccia (finalmente) pagare imposte eque sui loro guadagni, impedendogli di dirottare gli utili nei paradisi fiscali.
La web tax, però, rischia di rimanere una favola buona per accattivarsi gli elettori o poco più. Mentre rilasciano roboanti dichiarazioni, infatti, i paesi dell’Unione Europea stanno portando avanti l’approvazione di un accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) che in sostanza impedirebbe di adottare la tassazione sui profitti dei big dell’Information Technology.
Il Ceta è già stato approvato dal Parlamento Europeo e al momento è in attesa dell’approvazione delle Camere in tutti i paesi dell’Unione. Il trattato prevede una serie di norme che dovrebbero favorire lo scambio di merci e servizi (anche telematici) tra la Ue e il paese nordamericano, ma non solo: istituisce anche una sorta di tribunale (tecnicamente un arbitrato) chiamato Ics che permette alle imprese dei due paesi di fare causa ai governi nel caso in cui promulghino delle leggi che danneggino i loro interessi.
Nel testo, in realtà, si parla più precisamente di “lesione della legittima aspettativa di profitto” e nel caso in cui si avvii una causa, le imprese che ritengono di essere danneggiate da una qualsiasi norma possono chiedere l’abrogazione della norma stessa o un risarcimento (miliardario) per i mancati profitti causati dalla legge. È qui che casca l’asino: perché una legge come quella che i “quattro grandi” stanno pensando finirebbe quasi sicuramente per essere oggetto di un ricorso all’Ics.
Con il Ceta in vigore, Google, Facebook, Microsoft o Amazon dovrebbero semplicemente avviare una causa (sfruttando la loro filiale in Canada) per chiedere il risarcimento del danno e i paesi europei che avessero introdotto la tassa si troverebbero nella scomoda posizione di dover scegliere tra l’annullare la legge o pagare come risarcimento i mancati utili delle aziende. Insomma: sarebbero i governi a pagare i mancati guadagni dei paperoni dell’IT che non potrebbero più eludere il fisco come fanno oggi.
La soluzione? Fermare il Ceta. In Italia il trattato di libero scambio deve essere discusso e votato in senato, dove è stato messo a calendario per le prossime settimane. Il problema è che la maggior parte dei senatori non sa nemmeno esattamente che cosa stia per votare e si appresta a dare il via libero a un accordo che, oltre a devastare un gran numero di leggi a tutela della salute e dei consumatori, permetterebbe alle società della new economy di continuare ad aggirare le norme fiscali per incassare utili record sulle spalle delle cittadine e dei cittadini europei.
Il Comitato Stop Ttip-Stop Ceta sta portando avanti da mesi una campagna per bloccare il trattato attraverso iniziative di pressione nei confronti dei parlamentari italiani ed europei, chiedendo di spiegare loro i rischi connessi all’approvazione del trattato con il Canada. Tutte le informazioni per partecipare alla campagna si possono trovare sul sito http://ift.tt/2c366vj.
L'articolo Perché la web tax è una bufala (o rischia di esserlo) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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