Al sacrificio di tutti i picialuori”. Inizia con questa dedica il volume intitolato "Bitume". Raccontato in 348 pagine l’omonimo progetto che mette in dialogo archeologia industriale, creatività e arte pubblica, storia civica e memoria di un luogo, sperimentazione estetica e auspicabili progetti di tutela.

Il valore della rigenerazione attraverso l'arte

Il libro, edito dopo tre anni di lavoro dalla Fondazione Federico II con la collaborazione di Vincenzo Cascone, si è reso necessario per accendere nuovamente i riflettori sul valore della rigenerazione attraverso l’arte di un sito, ovvero la fabbrica di contrada Tabuna a Ragusa, trasformata nel 2020 dalle opere di 31 artisti provenienti da ogni parte del mondo: da Caracas a Berlino, da Madrid ad Atene, da Mosca a Ragusa.

Il passato produttivo della città di Ragusa

L’ormai ex fabbrica di materiale bituminoso, 147 mila metri quadri, racconta il passato produttivo della città di Ragusa, la ricchezza e la fatica dei picialuori che estraevano la pietra pece, materiale fossile utilizzato per la costruzione dei palazzi nobiliari e delle chiese barocche, ma anche come idrocarburo e soprattutto come asfalto, con cui sono state costruite le strade della Sicilia e di tante capitali europee. "Bitume" ripercorre questo tragitto, rileggendo duecento anni di storia attraverso lo sguardo di alcuni fra gli artisti più rappresentativi del panorama internazionale del muralismo contemporaneo, protagonisti di una ricerca artistica tra i capannoni e i container dismessi dell’industria.

Il fotorealismo

Tra questi l’australiano Guido van Helten, la cui cifra stilistica è il fotorealismo applicato a una ricerca del paesaggio umano del luogo in cui l’opera viene realizzata. Celebre in tutto il mondo per gli interventi su siti industriali fra cui vale la pena ricordare Chernobyl, la diga di Wellington in Australia e i giganteschi lavori sui silos dei siti industriali negli USA. Nella ex fabbrica di Ragusa, van Helten ha realizzato un gigantesco ritratto di Carmelo Bentivoglio, soprannominato Meno Leffa (nel dialetto siciliano la leffa è la scheggia di legno che entra sotto pelle), che lì ha lavorato per 38 anni come falegname. Era una figura di “fiducia” dei lavoratori. L’opera è stata realizzata su un silo che segna il passaggio dalla zona nera dello stabilimento, indirizzata alla lavorazione del bitume, a quella bianca dove veniva prodotta la calce idrata.

 



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