Tarda primavera di pochi anni fa. Incontro genitori, insegnanti, cittadini presso una scuola dell’infanzia in zona Lambrate. La serata è dolce, c’è il clima lieve del dopocena. All’improvviso una donna, presente tra il pubblico, con un gesto rapido e istintivo, schiaccia un calabrone. Nel salone scende un silenzio tra l’imbarazzato e lo sgomento. Quella creatura non stava facendo nulla, se non lasciarsi attrarre dalla luce artificiale con cui noi esseri umani abbiamo ubriacato le città, fino a negarci lo spettacolo del cielo stellato. Il calabrone cede all’inganno, confondendo le nostre lampadine con quella del Sole, verso cui la Natura l’ha reso molto sensibile. Per quanto piccolo, quello sfortunato animale è diventato il protagonista della serata, che è ripresa ma non è stata più la stessa. Forse tutti ci stavamo chiedendo chi fosse stato a invadere lo spazio dell’altro, se noi oppure il calabrone. Una domanda che mi accompagnerà per il breve viaggio di ritorno.

I finalismi dei movimenti degli animali

Pochi giorni fa. In uno delle anse che si formano lungo il corso dell’Adda, una coppia di folaghe accudiva la discendenza, dividendosi il lavoro. Una delle due si dedicava alla ricerca di cibo nei paraggi, l’altra cercava di rinforzare il nido con il solo ausilio del becco, uno strumento di sorprendente duttilità. Pensavo a quelle persone prive di mani che dipingono, talvolta dei capolavori, con la bocca. Si trovavano, quegli uccelli con la tipica macchia bianca sulla testa, in prossimità della riva, potevo toccare con le mani il tronco sul quale erano riusciti a edificare il riparo per il loro cucciolo. Instancabili, non si fermano un istante, rimango lunghi minuti a osservare, rapito dalla loro devozione ai compiti assegnati dalla Natura. Questo è ciò che replicano gli animali, tutti i giorni, i finalismi dei loro movimenti sono dettati dalle missioni piccole e grandi che devono compiere, su silenziosa disposizione della loro padrona, la Natura.

La vicenda dell'orsa Jj4

A quel calabrone e quelle folaghe penso in queste ore, mentre seguo la vicenda dell’orsa Jj4, ma prima ancora dei genitori di Andrea Papi, ucciso dall’animale il 5 aprile scorso. La dignità e l’equilibrio di questi signori lasciano senza parole, anzi dovremmo fare a meno di pronunciarne perché quanto è accaduto a mamma e papà, la desolazione e il senso di irreparabilità che sperimentano dopo la morte del figlio, rende inutile, forse persino molesto, qualsiasi tentativo di aggiungere anche solo un sussurro a quella tragedia, in cui manca il cattivo. Malgrado la condizione estrema in cui si trovano, il dolore che li trafigge, chiedono che l’uccisore del figlio non venga travolto dalla sete di vendetta. C’è saggezza e nobiltà in queste persone di montagna, sentimenti che non tutti in questa emblematica vicenda mostrano possedere, a cominciare da chi sembra essersi invischiato in un fatto personale, ostinandosi dietro pensieri esenti da compassione. Ossessioni personali e ideologiche sospette, che non considerano le ragioni di una madre-orsa che cercava di proteggere la prole, come la natura le imponeva. Di fronte alla volontà di uccidere manifestata da alcuni esseri umani, Jj4 sembra una creatura superiore, mossa da finalità alte, da compiti stringenti, non certo da tarli irrisolti che cercano compenso dietro una presunta necessità collettive.

L'orsa si è comportata come doveva

Il calabrone, così le folaghe e l’orsa, rispondono alla Natura, è da lei che prendono disposizioni, abbattere un mammifero, i cui genitori erano stati portati in trentino nell’ambito di un progetto europeo di ripopolamento delle sue montagne, è un atto contrario alla ragionevole distribuzione delle responsabilità, un accanimento che sovverte le gerarchie riportandoci indietro di qualche tacca nel cammino evolutivo. Quella bestia non si spiegherà mai perché, non può capirlo, lei si è comportata come doveva, malgrado l’orrore provocato privando Andrea della sua giovane vita e precipitando i suoi affetti nella più cupa disperazione, dentro la quale, tuttavia, non perdono neppure un briciolo della loro lucida umanità. Siamo stati noi umani a fare questo pasticcio e dobbiamo avere l’onestà di ammetterlo, cercando di non aggiungere una nuova ingiustizia alla tragedia della famiglia Papi. Siamo noi che facciamo e disfiamo, noi grandi.

In questa storia il finale sarà pedagogicamente molto importante

Una donna mi racconta che in terza elementare la supplente le aveva dato un castigo perché si era alzata a prendere la gomma a prestito dalla vicina di banco, senza chiedere il permesso. La bambina di allora, però, si era solo attenuta alle regole stabilite dalla maestra titolare, assente per qualche giorno, che permetteva il libero movimento in classe. Somiglia, questo racconto, alla vicenda dell’orsa, cui abbiamo cambiato le regole mentre si stava disputando la partita, ecco perché, al pari di quella bambina, Jj4 non capirà mai. In questa storia il finale sarà pedagogicamente molto importante, tanti bambini e tanti ragazzi stanno guardando verso il Trentino. Mentre scrivo, accanto a me c’è un libro di Piergiorgio Cattani, trentino anch’esso. Grande e fugace amico, scomparso pochi mesi dopo la nostra conoscenza. Era un uomo sospeso, essendo malato da sempre di distrofia muscolare di Duchenne, eppure è stato una presenza insostituibile nella comunità e nella cultura trentina, tra i suoi molti incarichi quello di consigliere di amministrazione del Museo delle Scienze di Trento (Muse), figlio di una passione civile che lo portava a impegnarsi su diversi fronti, non solo come giornalista e scrittore. Nell’unica occasione in cui ci vedemmo in presenza, erano tempi di Covid, sedeva sull’inseparabile carrozzina motorizzata, accompagnato da un assistente, le sue braccia e le sue gambe. Prendemmo un aperitivo in un bar del centro, il ragazzo che lo seguiva gli portò il bicchiere con la cannuccia alle labbra, Piergiorgio condivise con allegria quel momento, era dotato di un senso dell’umorismo raro. Se n’è andato dopo una vita di indicibili sofferenze, che mai ne limitarono il genio ma soprattutto quell’umanità ignota a tanti.

Indizi della nostra intima essenza

Credo Piergiorgio manchi a moltissime persone, icona di un Trentino dotato di un senso quasi religioso dell’esistenza, dove il rispetto per tutto ciò che vive è sincero, profondo, tenace, un rispetto che fa apparire primitivo il linguaggio e il sentire di chi, incapace di andare oltre un’idea primordiale, territoriale e repressiva della convivenza con la Natura, non viene neppure sfiorato dal dubbio e procede senza fermate, rischiando di aprire una ferita morale pesante nell’intero Paese, perché questa vicenda si sta svolgendo su una scena pubblica, mediaticamente coperta quanto quella di Alfredino Rampi. Ci sono gli occhi di tutti, grandi e piccoli, su quella madre che difendeva i suoi piccoli a spese di un cucciolo d’uomo. Certo, dirà qualcuno, si tratta solo di un’orsa con tre cuccioli, di due folaghe con un pulcino, di un calabrone colpito a casa sua, eppure rappresentano assai più di quando dica il loro status, possiamo considerarli un test proiettivo, capace di cavare fuori da ciascuno di noi forti indizi della nostra intima essenza, rimettendo per l’ennesima volta sul tappeto la questione della vita che circonda quella degli esseri umani, vita altra, che sempre più spesso sembra in cattivissime mani.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani. È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda). Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia). È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

 

 

 



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