Un uomo, in palese ritardo, entra fragorosamente nell’auditorium dov’è in corso la presentazione del mio volume “Superconnessi”. Il portone, nella foga, gli è sfuggito di mano, andando a sbattere contro il muro. Si sente osservato e decide di rimanere in piedi, in fondo alla sala, in compagnia di altri cittadini che non sono riusciti a sistemarsi sulle poltroncine.

Finito il mio intervento, inizia il dibattito di rito. Lui è il primo a chiedere la parola.

Si scusa subito per l’irruzione, svelandone le premesse. Si accingeva a uscire di casa, ma il figlio tredicenne lo aveva fermato, chiedendogli di rimanere con lui per giocare insieme ai videogame. Una richiesta che arrivava per la prima volta. “Non voglio che tu vada ad ascoltare lo psicologo, perché poi non mi farai più usare gli oggetti digitali”, era stata la spiegazione sincera del ragazzo al genitore perplesso, che chiedeva lumi su quell’inatteso tentativo di cameratismo ludico.

In questa piccola vicenda sono imprigionati alcuni nodi della questione appena riaccesasi, da cui muove il dibattito sugli smartphone a scuola, destinatari di un provvedimento ministeriale “restrittivo”, ma discretamente inutile, dal momento che lascia le cose come stanno, con l’aggravante di caricare su scuola, dirigenti e insegnanti, la difficile decisione finale. Una circolare che aumenta solo la confusione. Ricorda la disquisizione su un antinfiammatorio che in Europa molti paesi vietano da anni per la sua pericolosità, mentre nel nostro ci si abbandona alla discrezionalità del medico, in imbarazzo davanti alle obiezioni sulle ragioni per le quali è in commercio, pure essendo tossico. A tutti pare logico pensare che se un farmaco è pericoloso lo si toglie di mezzo e la questione si chiude.

Dalla richiesta del figlio di prima, rivolta al padre, si desume che i ragazzi pensano agli adulti come nemici delle nuove tecnologie. Questi ultimi, a loro volta, sono all’angolo, consapevoli che, prima volta nella storia dell’educazione, i figli sono più competenti dei grandi. Da anni tentano goffamente di impiantare un processo agli oggetti digitali, ma sanno di essere parte del problema, voraci consumatori della medesima marmellata e fornitori, ai figli, di quegli oggetti che vorrebbero la scuola proibisse. Non oso pensare alla cascata di regali tecnologici sotto l’albero.

Dopo una strenua e inutile battaglia, non vedendo vie d’uscita, gli esasperati genitori si sono rassegnati, cercando però di convertire una chiarissima questione educativa in un’improbabile emergenza tecnologica, infine si sono consegnati alla doglianza e al borbottio, istigati da quegli esperti che cercano facile popolarità presso madri e padri, un mercato molto prospero, dimenticando di informarli che stavolta non possono scegliersi l’avversario né tantomeno l’arma, perché siamo già oltre la linea di confine e senza passaporto. Indietro non si torna.

 



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