ottobre 2021

Secondo un'indagine di Cittadinanzattiva, ci sono diverse modalità per accedere alla vaccinazione. Dalla chiamata diretta ai medici di famiglia, dal servizio tramite Cup e farmacia alle prenotazioni online, fino ai casi in cui non serve la prenotazione e basta presentarsi all’hub vaccinale. La Campania estende la vaccinazione di richiamo anche a personale scolastico e forze dell'ordine



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"Se sarà necessario, lo si farà senza timore", ha dichiarato il ministro della Salute. Oltre 4mila i nuovi casi. Protesta shock a Novara, coi no-pass vestiti da prigionieri lager: insorgono le comunita' ebraiche. Ridurre da 300 a 100 giorni il tempo per sviluppare nuovi vaccini, farmaci e test in caso di nuove pandemie: l'obiettivo del G20 è sostenere la scienza per abbreviare il ciclo che porti a cure e diagnostica. Intanto l'Australia riapre i confini dopo 600 giorni



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Nino Di Matteo

“È il momento più buio per noi toghe. E la legge Cartabia vìola la Carta”

“I nemici sono tanti: non solo mafiosi, ma anche nelle istituzioni”

Ma mi faccia il piacere

Sovranità limitata. “Il pressing Usa su Giorgetti: ‘Draghi rimanga a Palazzo Chigi’” (Stampa, 25.10). Hanno già deciso anche chi mandare al Quirinale o ci lasciano ancora nell’incertezza? Autopompe. “Draghi e Biden: la democrazia funziona” (Stampa, 30.10). Oste, è buono il vino? I soliti sospetti/1. “Miccichè: ‘A cena con Renzi, sarà presto nel centrodestra’” (Repubblica-cronaca Palermo, […]

Il summit

Mantra-bis di Mario: “Whatever it takes”. Ma non è un bel clima

Saluti e baci – Risultato certo: torna il bilateralismo Usa-Usa. Show della monetina – Nelle conclusioni del G20 promesse senza garanzie: “annacquata” la data-simbolo del 2050

Covid-19

Le dosi sbagliate a migliaia di anziani: troppo vaccino

L’inchiesta di Report – Dopo il via libera alla terza iniezione, agli over 80 è stato somministrato un dosaggio intero di Moderna, invece della metà

La Cop26

La ripresa? Greggio e carbone. La guerra sul clima è già persa

Strategia debole – Nei piani post-Covid, la spesa per le rinnovabili è solo un terzo di quanto serve contro il surriscaldamento

Portogallo, vento di crisi

Il premier Costa affondato dalla faida della sinistra

Bilancio bocciato – Per soddisfare il Partito comunista, il capo del governo aveva proposto l’aumento del salario minimo a 750 euro, asili nido gratuiti e pensioni più alte. Ma il Pcp ha giudicato queste iniziative troppo “timide”

L’intervista capovolta

“Acchiappare i voti con il proporzionale: 10 regole infallibili”

Aldo Patriciello – Il “sismologo” delle clientele

Barry Eichengreen

“Il Covid ha riabilitato il debito pubblico: ora i governi sono più forti”

Lo storico dell’economia dell’Università di Berkeley: “Nel 2010 una svolta prematura verso l’austerità. Ma il passivo ha aiutato i Paesi nella crisi finanziaria e sanitaria”

Pietre&Popolo

Caravaggio per i milionari. E la politica sta a guardare

Non solo Michelangelo Merisi – Pure l’Aurora del Guercino è sul mercato. Il dipinto è ciò che resta di Villa Ludovisi (la più bella di Roma, cioè del mondo)

Il leader 5S

Conte fa la mossa: “Draghi al Colle? Io non lo escludo”

In tv: “Ma niente voto anticipato”

Notizie che meritano

La sai l’ultima?

Ippopotami umani, green pass di regime, rapinatori seriali, milionari surrogati, escursioni radicali, pubblicità geniali e morti cretine

Il rapporto

Miliardi ai deforestatori: Intesa e Unicredit in lista

Global Witness – Chi finanzia i colossi poco “green”

I casi

Arriva il Pnrr e mette in crisi soprattutto i governi di sinistra

Spagna e Portogallo – Sanchez in difficoltà sulla riforma del lavoro che la Ue non vuole, ma lui ha promesso ai suoi alleati. Costa è appena caduto in Parlamento sulla legge di Bilancio

Finanza poco etica

Risparmio. Reti “porta a porta” e fondi comuni uccidono i clienti di costi: parola di Mediobanca

Belli gli investimenti Esg? Sono l’ultima moda, con Esg che significa “environmental, social e corporate governance”, ovvero nel rispetto dei valori ambientali, sociali e di una corretta amministrazione aziendale. Belli soprattutto per chi l’anno scorso è riuscito a raschiare via la bellezza del 6,3% dal patrimonio di un fondo comune, come Azimut con Equity Global […]

Altri luoghi

Canada. Non si fermano le esportazioni di armi ai sauditi

Il pacifico e tranquillo Canada – sempre attento al politically correct e ai diritti umani – si sta rivelando uno dei maggiori fornitori di armi per i conflitti in corso in Medio Oriente. Se una mano cancella ordini e forniture, l’altra prosegue imperterrita. Il Canada sta violando il diritto internazionale rifiutando di porre fine alla […]

Bielorussia, ieri e oggi

Il rivoluzionario errante, esule alle Hawaii nel nome di Marx

Nikolaj Sudzilovskij, medico, viaggiatore e politico marxista, aiutò i ribelli in 4 continenti, inseguito dalla polizia russa. Oggi, nella patria di Lukashenko, poco è cambiato

I luoghi più curiosi

Alberi, radure, bambole: “Lo famo strano”, il rito

Una bizzarra “guida” ai posti nel mondo in cui si prega: dalla messa delle moto ai fazzoletti sul tronco druidico: la fede ha bisogno di materia

L'articolo In Edicola sul Fatto Quotidiano del 1 Novembre: Nino Di Matteo: “Per noi l’ora più buia: la legge Cartabia viola la Costituzione” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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È il quindicesimo sabato consecutivo di protesta a Milano contro il Green pass e, per la prima volta, i manifestanti avevano concordato con la Questura il percorso del corteo, per cercare di mitigare i disagi al traffico cittadino e alle attività commerciali. Più di 4 mila persone si ritrovano così in piazza Fontana e inizia la marcia per le vie del centro. È il sindaco Beppe Sala (che già negli scorsi giorni era stato vittima di minacce nei gruppi Telegram) uno dei principali protagonisti dei cori e degli insulti dei manifestanti.

Fuori il centro cittadino al corteo si aggiungono, tra grida di gioia e abbracci, una decina di persone colpite da daspo per le precedenti proteste: hanno atteso che la manifestazione arrivasse fuori dalla zona a loro inibita per mettersi alla testa della marcia di protesta. Ma passano poche ore e, all’altezza di piazzale Clotilde, centinaia di manifestanti si staccano dal corteo e sfondano il cordone di forze dell’ordine in assetto antisommossa uscendo dal percorso prestabilito.

Sono lunghi minuti di tensione e caos. I “No Green pass” improvvisano nuovi itinerari tra le auto in coda, mentre polizia e carabinieri si limitano a bloccare le vie di accesso agli obiettivi sensibili e istituzionali. Solo dopo più di mezz’ora i due cortei si ricongiungono (nei pressi di porta Garibaldi) per proseguire insieme nel percorso prestabilito. Davanti la sede della Rai per circa un’ora i cori, “giornalista terrorista” e “venduti”, sono tutti diretti contro organi di stampa e giornalisti. Qui, secondo quanto prestabilito, il corteo si sarebbe dovuto sciogliere, ma l’accordo viene nuovamente disatteso. Un gruppo corposo di manifestanti, urlando “bloccheremo la città”, si dirige verso Brera per concludere la marcia in piazza Duomo. Proprio qui, prima dell’inizio del corteo, si è tenuto il sit-in “No paura day”: c’era tanta attesa per la presenza del leader dei portuali di Trieste, Stefano Puzzer, che però nella piazza milanese non è mai arrivato.

L'articolo Milano, il quindicesimo sabato di protesta contro il Green Pass tra tensioni e insulti a Beppe Sala: il corteo devia dal percorso concordato proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Nella nuova puntata di “Fratelli di Crozza” – in onda tutti i venerdì in prima serata sul NOVE in streaming su Discovery+Crozza/ Calenda rivendica le sue posizioni politiche e non solo: Perché io nelle mie convinzioni sono serio determinato… ma soprattutto NON moderato. Io quando vedo un cartello “moderare la velocità” do tutto gas e impenno su due ruote pure se sto in macchina. Tu cartello dici “moderato” a me? Ma io l’autovelox lo stacco… e me ce faccio un selfie”

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di Giovanni Casciaro

In Libia continuano con ferocia i crimini nei confronti delle persone migranti: “Atti di omicidio, riduzione in schiavitù, tortura, detenzione, stupro, persecuzione e altri atti disumani”. Tutti abusi praticati ed esibiti in modo da umiliare e sottomettere i prigionieri. Queste sono le violazioni dei diritti umani denunciate nel recente rapporto della missione d’inchiesta indipendente dell’Onu in Libia. E, per protestare contro questa inaccettabile condizione, da settimane migliaia di rifugiati sono accampati davanti alla sede di Tripoli dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Nel rapporto si afferma che i migranti sono detenuti per periodi indefiniti, senza la possibilità di opporsi legalmente alla detenzione, per cui “l’unico mezzo di fuga praticabile è pagare ingenti somme di denaro alle guardie o impegnarsi in lavori forzati o in favori sessuali”. Quindi, condizioni disumane imposte per provocare sofferenza e desiderio di utilizzare qualsiasi mezzo per la fuga. Alcuni migranti hanno ripetuto fino a dieci volte la drammatica esperienza: pagare le guardie, scappare, tentare la traversata, essere intercettati dalla guardia costiera libica, ritornare alla detenzione in condizioni dure e violente. Il tutto sotto il controllo delle autorità libiche, delle milizie e/o delle reti criminali.

Su queste vicende, la missione d’inchiesta Onu intravede il verificarsi di crimini contro i diritti umani e la necessità di stabilire non solo le responsabilità libiche, ma anche quelle a carico di Stati terzi e di tutti coloro che ne sono coinvolti, direttamente o indirettamente. Il finanziamento e il supporto italiano alla guardia costiera libica è una palese forma di corresponsabilità.

Inoltre, sono molteplici le prove, video e comunicazioni radio, che documentano la complicità dell’Unione Europea, con alla guida l’Italia e Malta, nei respingimenti per riportare i rifugiati verso l’inferno libico. Una vera vergogna per tutti quei cittadini europei che credono veramente nei diritti umani, nel rispetto della vita e della dignità delle persone.

Intanto il leader della Lega Matteo Salvini si difende dall’accusa di aver effettuato, da ministro degli Interni, sequestri di persona nei confronti dei migranti, affermando di aver difeso i confini italiani. Non dice però che non fu la difesa da un agguerrito esercito straniero, ma da povere e inoffensive persone scappate dalle prigioni libiche e scampate alla morte nel Mediterraneo. E che dire della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, anche lei come Salvini strumentalmente convinta devota, che continua a proporre blocchi navali. Chiede queste azioni militari per catturare o per affondare le barche dei migranti?

È incredibile come forze che rivendicano le radici cristiane dell’Europa propongano muri, respingimenti, blocchi, azioni di polizia, odio e repulsione verso i poveri migranti. Vi è invece l’urgenza di proposte politiche serie che affrontino il complesso problema delle emigrazioni forzose in modo strutturale, incidendo sulle sue cause: la povertà nei cosiddetti “Paesi poveri”, la crisi ambientale e climatica, le emergenze sanitarie, i conflitti. Tutti problemi correlati a un modello economico mondiale ingiusto e insostenibile.

In questo contesto risulta veramente meritevole l’azione delle Ong che continuano a prestare opera di salvataggio in mare, a fare quanto gli Stati europei dovrebbero fare. Mentre in tutta Italia sono numerose le associazioni, laiche e religiose, che, con una rete informale di aiuto ai migranti, attivano la raccolta e distribuzione di cibo e abiti, la possibilità di un rifugio, aiuti per valicare le frontiere limitando il pericolo di morire. Pertanto, anche con il rischio di essere processate e subire condanne, sono tante le persone, come Mimmo Lucano, che si prodigano a portare aiuto e vicinanza umana ai migranti, salvando così anche il nostro senso di umanità. Queste persone meritano tutto il nostro sostegno.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!

L'articolo Libia, un’inchiesta Onu denuncia crimini contro i diritti umani: servono proposte politiche serie proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Ha lasciato un posto a tempo indeterminato nella sanità pubblica, accettando l’offerta di un dottorato di ricerca in Belgio, e si è trasferita a Bruxelles. “Ma mi sono ritrovata a fare ciò che facevo in Italia”, dice al ilfattoquotidiano.it Chiara Senti, ventinovenne di Castell’Arquato (Piacenza), una laurea a Brescia in Biotecnologie mediche. “Ho scoperto troppo tardi che ero finita lì solamente perché c’era da coprire un posto da laboratorista. Se l’avessi saputo prima…”. Se l’avesse saputo prima, Chiara non avrebbe mai lasciato l’Italia. E così, due anni dopo, ha scelto di tornare. Perché non è tutto rosa e fiori quello offre l’estero, anzi. “Non hanno manifestato interesse per il mio progetto in campo oncologico – confida Chiara -. Per due anni, per via della cattiva gestione del mio progetto, il lavoro assegnatomi è stato fare il tecnico di laboratorio per seguire progettualità di altre aziende o di interesse dei miei referenti a scapito del mio”, mentre lei era lì per un dottorato in scienze biomediche e farmaceutiche. “Non mi è stato nemmeno assegnato il supervisor che deve avere ogni dottorando, in quanto studente”. E sì che due anni fa non aveva esitato a partire: “Ero fiduciosa che, con un curriculum come il mio, non mi mancasse alcuna competenza”: biotecnologo medico, sette anni di lavoro nell’ambito oncologico a gestire i progetti di ricerca clinica e preclinica, diventando una figura di riferimento per medici sulle consulenze di genomica.

Nonostante l’esperienza lavorativa nel più importante centro di ricerca del Belgio sia stata deludente, Chiara non la rinnega. Non solo per l’aspetto retributivo (“i dottorandi in Belgio sono tra i più pagati in Europa, nulla di paragonabile con l’Italia”), ma soprattutto per l’arricchimento professionale e personale avuto nel corso del biennio: “Ho imparato due lingue e avuto modo di scoprire abilità lavorative che non pensavo di avere. Mi è dispiaciuto tanto non aver concluso il dottorato, ma questa esperienza mi ha dato l’occasione di ottenere una posizione di rilievo in Italia che non ho potuto rifiutare. D’altronde – ammette Chiara – anche alla mia età non si può perdere troppo tempo”. Verrà ora assunta da una società di Torino che non chiede l’esperienza ma guarda il curriculum e le darà la possibilità di formarsi direttamente in azienda. “Imparerò da zero una professione in una realtà che terrà conto del mio background scientifico applicato alla ricerca. Mi occuperò di sottoporre le sperimentazioni cliniche nei campi di oncologia, cardiologia e chirurgia alle autorità italiane ed europee come ministero della Salute, Aifa e Ema, e sarò una figura di riferimento per aziende farmaceutiche e ospedali coinvolti nei progetti al fine di testare nuovi farmaci o dispositivi medici. C’è tanto da imparare, confida la biologa, ma “trovo questo nuovo lavoro molto stimolante e di grande responsabilità”. Si parla tanto di meritocrazia. Sul tema Chiara è esplicita: “Si è portati a pensare che l’Italia non sia meritocratica e invece i Paesi esteri, per esempio del Nord Europa, lo siano. Non è così: l’unica differenza sono le maggiori risorse che fuori dall’Italia vengono dedicate alla ricerca”. Due anni in Belgio, in tutto. Il primo particolarmente difficile sul piano sociale: “Sono arrivata un mese prima della pandemia, sono rimasta sola e per lunghi periodi non sono potuta rientrare in Italia. Stavo cominciando ora a crearmi un po’ di vita sociale. Mi dispiacerà tanto non vivere il Belgio senza restrizioni”.

L'articolo “Per lavorare in Belgio ho lasciato un posto a tempo indeterminato. Ma dopo due anni sono tornata. Ecco perché” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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di Chiara Illiano

Da qualche giorno ormai sui social e attraverso i media non si fa altro che parlare del fenomeno Squid Game, una serie tv sud coreana che in pochi giorni ha raggiunto il record di visualizzazioni sulla piattaforma che la ospita. Nel contempo – visti i contenuti della serie e le ripercussioni sul mondo social – i genitori, gli insegnanti ed i professionisti in generale si interrogano sull’impatto “educativo” della serie sui minori di 14 anni.

Numerosi episodi in tutto il globo, infatti, riportano adolescenti e bambini impegnati a emulare i giochi e gli atteggiamenti propri della serie tv, fino ad arrivare a mettere in atto vere e proprie sfide violente e atti di bullismo.

L’enorme successo della serie, non solo tra i ragazzi ma anche tra gli adulti, va ricercato all’interno di temi ed immagini visive create ad hoc per generare interesse: i giochi da bambini, le ambientazioni della nostra infanzia, le divise – i numeri – la differenza tra vincenti e perdenti (tutti rimandi alla società attuale)… fino ad arrivare ai simboli presenti sul controller di un noto brand, conosciutissimi dalla comunità dei gamer.

Ma quando ci troviamo di fronte ad un pubblico di bambini e adolescenti la preoccupazione di genitori ed educatori è ovviamente lecita. Siamo all’interno di una fase di sviluppo in cui, infatti, il rischio di emulazione è alto. La maggior parte degli apprendimenti avviene per imitazione e il loro cervello è ancora in fase di sviluppo: la razionalità e il senso critico non sono ancora completamente sviluppati, la percezione del rischio è bassa e le emozioni che derivano dalla visione di scene di volenza non possono essere ancora correttamente elaborate. Ed è qui che deve intervenire un adulto di riferimento.

Non si può evitare qualcosa che è già accaduto o che coinvolge un numero così grande di persone, non si possono evitare gli argomenti, fare finta che non esistano, perché i ragazzi/bambini andranno a cercare le risposte altrove e, molto probabilmente, non saranno quelle che vorremmo avessero. Squid Game (così come altre serie, altri giochi, altri fenomeni mediatici) è ormai sulla bocca di tutti: i ragazzi ne parlano nelle scuole, tra di loro, sentono che la tv ne discute etc…

E allora hanno bisogno di un adulto che gli parli, che sia in grado di spiegare, che sia per loro quel filtro che a livello cognitivo ancora non hanno e che gli permetta di rielaborare i contenuti ed integrarli; quel filtro che possa fargli distinguere tra realtà e finzione (intesa anche come creazione di un prodotto destinato alla vendita e ad avere successo in un determinato pubblico), tra “buono e cattivo”, tra “giusto e sbagliato” al fine di non giungere a una disorganizzazione emotiva e di pensiero ma a una visione congrua della realtà e delle conseguenze delle proprie azioni. Soprattutto considerando anche che, all’interno della serie Squid Game, vengono trattati rilevanti temi sociali che, se veicolati correttamente, potrebbero essere una fonte educativa di primario interesse per la crescita psicologica e relazionale dei nostri ragazzi: la solitudine, l’amicizia, l’affermazione di sé a discapito degli altri, il superamento dei limiti individuali verso un benessere personale ma anche collettivo, fino ad arrivare alle disuguaglianze sociali ed alla violenza del più forte sul più debole.

Per fare tutto questo è indispensabile l’intervento dei genitori che siano da guida per indicare la strada da percorrere e per trasmettere quei valori indispensabili in una società civile; ma anche la creazione e realizzazione nelle scuole di interventi di alfabetizzazione emotiva e digitale in grado di generare un’azione preventiva ed efficace. Il fatto che i nostri ragazzi sappiano usare i dispositivi tecnologici non significa che siano in grado di comprenderne i benefici e, soprattutto, i rischi; oppure che siano consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni sull’altro. Come diceva Maria Montessori: “Il bambino è sensibile a un punto estremo, impressionabile in modo tale che l’adulto dovrebbe sorvegliare tutti gli atti e le parole, perché esse gli rimangono scolpite nella mente.”

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"Sto valutando se è possibile" emanare "un'ordinanza di divieto di assembramento", ha annunciato il sindaco Roberto Dipiazza. Preoccupano i dati sui contagi, dopo le manifestazioni no Green pass dell'ultimo periodo. "Il focolaio più significativo" in città è collegato proprio ai cortei, ricorda il vicepresidente del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi



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In psichiatria esistono patologie che fanno riferimento alla tendenza dell’individuo a immaginare complotti in cui gli altri si coalizzano contro di lui. La “paranoia” è una psicosi (malattia con disconnessione dalla realtà) in cui prevale il delirio (convinzione errata) persecutorio. Una paziente riteneva che durante la notte qualcuno, non ben identificato, le versasse del veleno in bocca mentre dormiva. Era terrorizzata e cercava in tutti i modi di rimanere sveglia per poi, quando crollava, alzarsi terrorizzata per cercare di vomitare.

Un malessere meno intenso è il “Disturbo paranoide di personalità” in cui la persona è diffidente e sospettosa verso gli altri. Un paziente bancario cambiava spesso luogo di lavoro perché arrivava allo scontro in ogni filiale. Dopo alcuni mesi di permanenza nel nuovo ambito lavorativo cominciava a immaginare che tutti si stessero adoperando per farlo cadere in errore. Come una classica profezia che si avvera la sua sospettosità verso gli altri provocava una avversione nei suoi confronti per cui arrivava allo scontro.

In questi ultimi mesi pare che una fetta della popolazione italiana sia entrata in un vissuto emotivo in cui il complottismo (c’è una regia occulta per controllare la società e limitare le libertà fondamentali) e alcuni aspetti paranoidei (iniettano veleni che decimeranno la popolazione o provocheranno seri danni) hanno preso il sopravvento. Non è chiaro quanti siano coloro che vivono l’idea di un complotto, in quanto una maggioranza silenziosa di non vaccinati, per paura o altre problematiche, non rumoreggia e non appare nelle piazze. Si può però presumere che uno o due milioni di persone siano entrati in un vissuto emotivo in cui si sentono schiacciati, controllati, derisi e minacciati.

Si sta producendo una escalation (aumento reciproco fra due persone o gruppi) di diffidenza e rabbia. Più i no vax esprimono la loro rabbia perché si sentono discriminati (come gli ebrei) più i sì vax divengono realmente, almeno a parole, aggressivi. Si sta anche in questo caso avverando la profezia (mi sento attaccato per cui esprimo rabbia, la rabbia provoca negli altri una risposta di attacco). Dobbiamo fermare questa deriva perché il rischio di questa escalation è la ricerca della prova di forza con la possibilità che ci scappino dei morti.

I punti da affrontare sono:

1. Accettare le opinioni degli altri. Anche chi esprime un’idea errata ha delle ragioni emotive per farlo. Forse ha avuto brutte esperienze in campo medico, forse sta attraversando un periodo difficile per problemi economici o familiari. Si tratta di un livello emotivo per cui è inutile voler convincere con ragionamenti che inevitabilmente si situano ad un livello diverso: quello razionale.

2. Provare empatia per chi è terrorizzato. Come conseguenza dell’accettazione dell’opinione diversa dovremmo capire come reagiremmo noi se un regime dispotico dittatoriale ci costringesse a fare un’iniezione che riteniamo letale. Entrare in sintonia su questo livello è utile per comprendere anche l’esasperazione e il rischio di degenerazione verso lo scontro.

3. Mantenere una posizione ferma. Per tranquillizzare le persone meglio una situazione certa, pur sgradevole, che un continuo cambiamento di opinione e regole. Visto che si è deciso di procedere con le regole del green pass si vada avanti senza tentennamenti. Pensare all’obbligo o viceversa a togliere subito il green pass è sbagliato.

4. Offrire speranza: il green pass e gli obblighi sono temporanei. Appena l’evoluzione della malattia lo permetterà verranno tolti. Possiamo sperare che dalla primavera all’estate prossima torneremo a una vita normale.

5. Non fare di tutta l’erba un fascio. Non tutti i sette milioni di non vaccinati la pensano alla stessa maniera. Esistono situazioni variegate. Un mio paziente vaccinato non ha vaccinato la mamma di 95 anni perché ritiene che lei allettata abbia più rischi che benefici. Altro esempio una ragazza al terzo mese di gravidanza. Insomma non esistono solo gli arrabbiati che manifestano ma un variegato numero di persone disorientate, perplesse e impaurite.

6. Lasciare una via di fuga. Se metto nell’angolo un gattino impaurito rischio di farlo diventare, per disperazione, molto aggressivo. La possibilità di lavorare sottoponendosi a tre tamponi settimanali è una via di fuga, onerosa sia in termini di tempo che di denaro, ma accettabile.

7. Ultimo e più importante punto: chiedere l’aiuto dei no vax. Le persone non vaccinate non devono essere bollate come nemiche ma si deve chiedere la loro solidarietà per mettere in sicurezza le persone fragili. Il motivo per cui si chiede loro il sacrificio di fare tamponi ripetuti non è vessatorio ma serve a cercare di aiutare eventuali colleghi di lavoro o vicini al ristorante che potrebbero trasmettere la malattia a familiari con altre patologie. È chiaro che le precauzioni non sono infallibili, i vaccini non proteggono al 100%, le regole sono a volte strane (in metropolitana no, al cinema sì) ma la finalità è quella di aiutare un milione circa di persone fragili (per età e malattie) che altrimenti con una circolazione libera (all’inglese) potrebbero subire seri danni.

Finisco affermando che non siamo in una guerra fra sì o no vax ma in una lotta insieme per la sopravvivenza.

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Da pochi giorni sono in libreria due testi di Paolo Flores d’Arcais, Controversia sull’essere (Rosenberg & Sellier), scritto con Maurizio Ferraris, e Contro Habermas (Aragno). Due libri diversi, con un dato comune: l’illuminismo coerente e combattivo di Flores d’Arcais.

Il primo è un carteggio tra filosofi. “Ceci n’est pas un dialogue” precisano gli autori, “del dialogo filosofico non ha la compostezza spesso un po’ finta che ci è stata trasmessa da Platone”. Il libro tratta di scienza, etica, politica, religione, senza diplomazia: “confronto non significa accomodante accordo – leggiamo – bensì scontro argomentativo, polemos (guerra!) a sostegno di tesi opposte o diverse”. Il carteggio spinge Ferraris a risolvere due problemi: collegare il nuovo realismo con la ricerca filosofica di ontologia sociale; “unificare realismo e ontologia sociale in un sistema”. Per Flores, invece, gli anni del carteggio mostrano che la sua filosofia radicalizza il primato della prassi sulla teoria, mentre lavora a un sistema di filosofia del finito, e a testi di etica.

Ma quali argomenti troverà il lettore nelle dieci lettere/saggi che compongono Controversia sull’essere? In verità, tutti i temi cruciali della filosofia: a) Il ruolo della scienza (Caro Maurizio…il tuo realismo indulge nell’accusa infamante di ‘scientismo’, poiché stigmatizza come reprobo chi vede nella scienza l’unica sfera legittima dell’oggettività”); b) la possibilità di fondare un’etica (Caro Paolo… la dicotomia fatto/valore è contraddittoria… chi ha detto ‘non ci sono fatti, solo interpretazioni’, ha anche sostenuto che i veri filosofi non si limitano a constatare i fatti, ma creano nuovi valori”); c) il rischio del nichilismo; d) l’“esplosione” della biologia darwiniana (“La morale di Homo sapiens”, quinta lettera); e) la rivoluzione del web. Eccetera. Un confronto avvincente che costringerà il lettore a dubitare delle sue convinzioni e appassionarsi alla controversia.

Contro Habermas - D'ArcaisL’illuminismo rigoroso ed esigente è presente anche nel testo su Habermas: il suo errore – scrive Flores – è credere che la democrazia debba rinunciare “al muro di separazione tra politica e fede”; che si debba “mandare in soffitta la laicità”. Secondo il filosofo tedesco, infatti, è un bene che le religioni ritrovino un ruolo pubblico, “pena l’incapacità della democrazia di affrontare la sfida di convivenze pluraliste”. In verità Flores aveva già scritto libri, espliciti fin dal titolo, contro questa tesi – La democrazia ha bisogno di Dio? Falso! (Laterza) e Controversia su Dio (Ponte alle Grazie) il confronto/scontro con Ratzinger – ma nel testo odierno, con pagine del filosofo francofortese indirizzate al Nostro, il tema è approfondito (cfr. i paragr. 5 e 6: “Habermas: una risposta a Flores d’Arcais”; e “Flores d’Arcais: l’insostenibile distinzione di Habermas”). Il direttore di MicroMega ritiene che l’autore di Etica del discorso abbia rinunciato alla democrazia radicale, e vede la radice di questo cedimento alle “tentazioni della fede” nell’illusione del suo cognitivismo morale.

La verità è che Flores, sia quando scrive di filosofia morale (L’individuo libertario, Einaudi), sia quando si occupa di politica (e spesso le due cose sono tenute insieme in una prospettiva etica: cfr. Questione di vita e di morte, Einaudi) ha una coerenza logica e una lucidità che svelano le fallacie di molti intellettuali: penso all’attacco, puntuale, contro Agamben sul Coronavirus (ne ho parlato in “Filosofi che perdono il senso della realtà”, ilfattoquotidiano.it, 23-3-20); ma in verità penso a tutti i saggi pubblicati nella sua rivista e ai testi politici apparsi sul Fatto Quotidiano. Posizioni radicali e mai scontate. Mai subalterne a nessun potere. Ricordo due numeri monografici di MicroMega che mettevano a nudo il Caimano per la sua familiarità con corruzione e illegalità. Oggi Flores non cambia idea, e non abbraccia la follia di B. al Quirinale, come fanno tanti “progressisti” senza vergogna. E’ testimone coerente, alla Camus, del nostro tempo. Difensore di libertà, giustizia, democrazia radicale. Un filosofo dai grandi ideali intrisi di etica e materialismo esistenziale. Come mostrano i libri di cui ho detto. Ogni persona di cultura dovrebbe leggerli.

Post scriptum. Indico due passaggi, a mio avviso fondamentali, attraverso cui entrare nella filosofia di Paolo Flores d’Arcais:

1) La democrazia: “Perché si abbia effettivamente ‘una testa, un voto’ (…) devono essere vigenti i suoi presupposti. Una testa un voto è incompatibile con una pallottola un voto (mafie), una mazzetta un voto (corruzione), una menzogna un voto (media asserviti), una benedizione un voto (ruolo pubblico delle religioni), col peso del denaro nelle decisioni pubbliche… La democrazia ha un futuro solo se saprà diventare la democrazia presa sul serio (…) eguaglianza sostanziale di quasi comunismo”. Con una precisazione: cosa s’intende per quasi comunismo? “Nulla a che fare – scrive Flores – con le filosofie di ‘neocomunismo’… Il comunismo come abrogazione della proprietà privata dei mezzi di produzione è stato realizzato, e ha prodotto società di nuova (e peggiore) oppressione”. Il quasi comunismo ha a che fare col riformismo rivoluzionario della democrazia radicale (Controversia sull’essere, p.246).

2) La filosofia: “Mentre considero infelice una filosofia animata da volontà di potenza, non ho nulla contro la filosofia come sistema, anzi. Dipende dai contenuti (…) Il mio vorrebbe essere un sistema che assuma la finitezza della condizione umana (…) Non so se riuscirò mai a scriverlo, ho centinaia di pagine di appunti (…) momento cruciale di tale sistema è il riconoscimento che (…) l’attività esistenziale prioritaria è la prassi, l’azione etico-politica per (…) accrescere ogni giorno giustizia-e-libertà fin dove arriva la nostra sfera d’influenza” (Controversia, p.240). “Non so se riuscirò a scrivere” il mio sistema – dice Flores -, in verità da trent’anni lo sta scrivendo su MicroMega. Si tratta solo di metterlo in ordine. Controversia sull’essere, e Contro Habermas – i libri di cui ho detto – sono due tasselli, importanti, di un mosaico di cui è sempre più chiara la sostanza, la coerenza, la lucidità e il valore etico-politico.

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Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla nostra inevitabile, fragile e umana verità. I cimiteri contengono un numero indefinito di progetti di cambiamento imperituro del tipo programma agricolo del ‘Rinascimento’ detto le tre Enne: i Nigerini che (si) Nutrono dei Nigerini, che va avanti da vari anni e ancora sono promesse carestie per milioni di persone.

Vedeste come finiscono i piani di sviluppo autocentrato e gli imperi dalle nostre parti. Lasciate passare un po’ di tempo e la sabbia tutto coprirà col suo manto dorato che si illumina d’immenso al cadere del giorno. Palazzi, crocevia, semafori, cavalcavia, mercati e negozi che sembravano eterni sono spazzati via dal vento e dal tempo che, almeno qui, si misura ancora con la sabbia. Ci sono, riconosciamolo, lodevoli e disperati tentativi di programmazione, promozione e gestione di strategie di crescita economica. Esse durano quanto basta per illudere gli incauti donatori che ancora credono alle scadenze delle tabelle e degli algoritmi dell’occidente.

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla materialità storica che contraddistingue e accompagna la nostra fugace esistenza. Da questo punto di vista è onestamente rivoluzionaria perché riporta alla verità delle parole e delle cose che la ‘dematerializzazione’ impone dappertutto. Si dematerializzano i soldi, i corpi, i centri di potere e le religioni che dovrebbero sparire perché inutili paradisi d’altre epoche.

La sabbia contesta, impolvera, fragilizza e fa naufragare questi tentativi che altrove sembrano coronati da successo. La nostra sabbia è carnale perché evidenzia ciò di cui siamo fatti e ciò a cui torneremo, un giorno qualunque. Qui amiamo ancora le mitiche monete sonanti, la carta moneta che porta le impronte del lavoro, dello scambio, del baratto, del sudore e della fatica. Una banconota che passa di mano in mano e si sporca e si stropiccia nelle tasche del muratore, del contadino o della donna che vive nella strada. Da noi i corpi sono ancora di carne e si stancano, soffrono, muoiono per mancanza di cibo, malattie e attenzione. Sono corpi che hanno un peso e una storia che non appare sbiadita come succede nelle finzioni televisive. I centri di potere, così come le industrie di estrazione e trasformazione, si delocalizzano e si allontanano dagli sguardi indagatori dei pochi democratici che restano.

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla nostra umana nudità sempre in bilico tra mendicanza e cecità. Ci aiuta a non barare con la vita perché costringe a cogliere l’essenziale della nostra identità di polvere che il vento trasporta altrove. Non ama le distanziazioni, né sociali né politiche, perché si fa prossimo di tutti, a cominciare dai poveri che della sabbia sono i più grandi sostenitori. Loro e la sabbia hanno in comune il trovarsi in basso, calpestati e spesso neppure presi in considerazione come marginali.

La sabbia ha in orrore l’astrazione, la presa in ostaggio delle parole da parte dei potenti e l’allontanamento dalla stoltezza della pura materiale spiritualità della cose. Non si lascia illudere da chi promette un futuro radioso che mai si avvicina al presente di un volto da carezzare o labbra da ricordare. La sabbia accoglie cospiratori che, come lei, sanno nascondere e custodire il seme dell’unica ribellione che meriti questo nome. Hanno imparato a chiamarla libertà.

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Partiamo dal presupposto che anche a noi insegnanti piacerebbe sapere come sarà il prossimo esame di maturità. Così, giusto per regolarci. Perché sarà pure il futuro misterioso e oscuro, però un paio di opzioni potrebbero almeno prospettarcele, quanto meno per sapere cosa rispondere ai maturandi ansiosi.

Più che ansiosi, in verità, gli studenti sembrano piuttosto decisi. Dopo due anni di tesina, colloquio e stretta di mano (anzi no, toccatina di gomito), non sembrano scalpitare all’idea di tornare indietro al tema scritto. Ma neanche per idea. È la nuova polemica che impazza più furibonda di quella sui banchi. Da una parte insegnanti dipinti come reperti storici, polverosi nostalgici gentiliani che invocano il ritorno degli scritti, dall’altra i giovani tecnologici traumatizzati dalla dad che rivendicano il valore delle valutazioni in itinere. Che dicono essere il tema (sempre con il tema se la prendono, mai che alla seconda prova venga riservata tanta acrimonia) una cinica lotteria dei rigori, un vetusto esercizio di stile, un anacronistico sfoggio di ars retorica che non trova applicazione nella vita reale.

Per essere onesti, ce lo siamo chiesto tutti, ai nostri tempi, lottando con il foglio bianco. Quando mai ci capiterà di dover scrivere qualcosa? Di dover argomentare? Di dover scegliere con cura le parole, selezionare le informazioni, addirittura (estremo retaggio del tempo che fu) di fare una scaletta dei punti da trattare? Quando mai ci capiterà più di dover scrivere per portare avanti un’idea, per fare nascere una riflessione, forse anche per chiarire qualcosa a noi stessi, prima che agli altri?

Resto anch’io con il fiato sospeso, aspettando di sapere. Ma intanto sorrido. Perché per chiedere con forza e vis polemica l’abolizione del tema di maturità gli studenti hanno scritto una lettera. Hanno portato avanti un punto di vista, hanno argomentato. Per iscritto. Insomma hanno fatto un tema. E tu guarda com’è subdolo il tema di maturità, che pure per essere abolito finisce con il costringere gli studenti a scriverne uno.

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Gianetti Ruote, storica fabbrica di ruote d’acciaio attiva in provincia di Monza e Brianza: 152 lavoratori licenziati con una mail. Timken, bresciana, settore automotive: a luglio comunica lo stop dell’attività. Gkn, multinazionale britannica: chiude lo stabilimento di Campi Bisenzio e annuncia che lascerà a casa tutti i 422 dipendenti (procedura poi revocata dal tribunale del Lavoro). Riello: addio all’Abruzzo per delocalizzare in Polonia. Sono solo alcuni dei casi recenti di “ristrutturazioni” sulla pelle dei lavoratori, spesso senza reale fondamento economico. Mentre il decreto anti delocalizzazioni annunciato in agosto resta ostaggio delle divisioni interne al governo, una potenziale soluzione forse può venire “dal basso”. Si chiama Workers Buyout (Wbo): i dipendenti di un’azienda in crisi rilevano un ramo fallito dell’attività in cui lavorano e ne diventano i gestori, dando origine a una cooperativa. Lo fanno investendo la Naspi, cioè l’indennità di disoccupazione: grazie alla legge Marcora del 1985 possono chiedere che venga erogata tutta in una volta invece che ogni mese per il periodo spettante a ciascun lavoratore in base all’anzianità.

Negli ultimi dieci anni Cooperazione Finanza Impresa, società partecipata da Mise, Invitalia e dai fondi mutualistici dell’universo cooperativo, ha finanziato 85 esperienze di questo genere, per un totale di 2.238 addetti. Solo 13 hanno chiuso, le altre resistono. E sono sopravvissute anche alla pandemia. Secondo il Forum Disuguaglianze Diversità, che riunisce otto organizzazioni di cittadinanza attiva, in molti casi potrebbero diventare la strada maestra per evitare di disperdere il patrimonio di un’azienda che intende chiudere e i posti di lavoro. Le ultime due leggi di Bilancio hanno dato una spinta in questa direzione perché stabiliscono la non imponibilità della Naspi e del Tfr chiesti dai lavoratori per rilevare un’azienda in crisi. E la prima manovra del governo Draghi riconosce alle cooperative di lavoratori, per massimo 24 mesi, l’esonero dal versamento del 100% dei contributi (con l’esclusione di quelli dovuti all’Inail) fino a 6.000 euro su base annua. Un’ulteriore manifestazione di fiducia nei confronti di queste imprese: “L’abbiamo voluto come parte integrante della riforma degli ammortizzatori sociali”, ha spiegato il ministro del Lavoro Andrea Orlando.

LE STORIE – Wbo Italcables Società Cooperativa esiste dall’aprile del 2015. Nasce quando gli attuali 51 soci – ed ex dipendenti di Italcables spa – decidono di rilevare lo stabilimento industriale in liquidazione a Caivano, specializzato nella produzione di cavi di acciaio per il cemento armato. L’idea parte dagli operai stessi quando nel 2013 si ferma la produzione e l’azienda rischia il fallimento. Creano la cooperativa e comprano l’azienda grazie alla Naspi: si salvano così. Poi c’è ScreenSud, a Napoli, composta da ex lavoratori della Lafer, un’azienda specializzata nella produzione di reti in acciaio. Nel 2012 è andata in liquidazione. Con il sostegno di Cooperazione Finanza Impresa, Coopfond e il FondoSviluppo – i fondi mutualistici di Legacoop e Confcooperative – rilevano la fabbrica fallita e creano una cooperativa costituita da dodici lavoratori. Nel 2015 acquistano i macchinari, si trasferiscono in un nuovo stabile e ripartono. Rimaflow invece prende origine da Maflow, storica fabbrica nel settore automotive di Trezzano Sul Naviglio nel Milanese che nel 2009 va in insolvenza e viene posta sotto commissariamento. Dopo un anno e mezzo passa a una proprietà polacca e 240 dipendenti rimangono in Cigs. Nel 2012 prende corpo fra gli operai l’idea di avviare una cooperativa e nel 2013 diventa ufficiale. Gli ex dipendenti si occupano di distribuzione e realizzazione di prodotti alimentari. In sede operano inoltre alcune di botteghe artigiane attive fra gli altri nel campo della falegnameria, carpenteria metallica, tappezzeria. Più recente il caso di Ceramiche Noi, società cooperativa nata dalle ceneri di Ceramisia con sede a Città di Castello, non lontano da Perugia. Dopo che i vertici decidono di delocalizzare la produzione in Armenia, il personale resta senza lavoro. Marco Brozzi, all’epoca direttore, sceglie la strada del Wbo dopo un confronto con Legacoop Umbria. Investono 180mila euro fra Tfr e Naspi e avviano una cooperativa. Nel 2020, a un anno dall’apertura, inaugurano il loro primo punto vendita. In due anni raddoppiano il numero dei lavoratori, passati da 11 a 22: è stato inoltre comunicato ai dipendenti il passaggio del contratto da tempo determinato a indeterminato.

IL PERCORSO – Ma a quali condizioni un’esperienza del genere ha chance di successo? “Non tutte le crisi aziendali si prestano alla trasformazione in Wbo. La dimensione ideale è quella delle piccole medie imprese con non più di 250 addetti e 50 milioni di euro di fatturato”, spiega Alessandro Viola, responsabile istruttoria e sviluppo di Cfi, Cooperazione Finanza Impresa, investitore istituzionale in capitale di rischio che dal 1986 sostiene le cooperative di lavoro e sociali. Oltre a finanziare i progetti, aiuta i lavoratori nella valutazione dei potenziali rischi e benefici. “Vanno considerati alcuni fattori. Prima di tutto, capire il perché del fallimento dell’impresa stessa”, prosegue Viola. “Se non ha retto per problemi legati alla gestione della proprietà o per fattori straordinari c’è una maggiore possibilità che il Wbo abbia successo. Se invece si registra una crisi di mercato o di prodotto significa che la partenza sarà in salita”. Fondamentali alcuni fattori: discontinuità con la precedente proprietà e management, almeno una leadership all’interno del gruppo, una forte motivazione dei lavoratori coinvolti. Una eventuale mancanza di competenze può essere colmata con personale esterno e percorsi formativi. C’è poi da verificare la ragionevolezza del piano industriale, attraverso il quale annullare o mitigare le cause responsabili della precedente crisi.

Il rischio di insuccesso ovviamente c’è, ma “in verità i casi sono pochi, considerando che il wbo è pur sempre una start up. Negli ultimi 10 anni solo 13 su 85. A volte è mancato il cambio di mentalità, da operai a imprenditori. È cruciale investire tempo nel percorso cooperativo e nella dimensione del gruppo che collabora e condivide”, prosegue Viola. Detto questo, i 72 wbo ancora operativi sviluppano un fatturato consolidato superiore a 300 milioni di euro, con un rilevante impatto occupazionale ed un significativo ritorno per lo Stato, sia economico, sia sociale”. E ora, in fase post pandemica? “Il numero di wbo realizzati nel primo semestre 2021 è in crescita rispetto al 2020, ce lo aspettavamo. Progetti che probabilmente beneficeranno del contesto di crescita macro economica ipotizzato nei prossimi anni”.

LE TRE LINEE D’INTERVENTO – Secondo Forum Disuguaglianze Diversità, il fenomeno dei Wbo è un’occasione di crescita senza pari per i lavoratori, perché “trasforma gli operai in imprenditori. Un carico di responsabilità in più, ma anche maggiori opportunità”. Ci sono però ancora alcuni ostacoli che frenano il meccanismo. Forum DD, in collaborazione con Cfi e Legacoop, sta lavorando per cercare di sciogliere i nodi dove possibile. Già nel 2019 aveva proposto di intervenire incentivando la formazione manageriale degli operai e agevolandoli da un punto di vista fiscale. “Siamo attivi su tre linee”, spiegano. “Prima di tutto, vogliamo siano attuate le norme a favore dei Wbo inserite nella Legge di Bilancio 2020 – 2021. È previsto infatti che Naspi e Tfr non siano più soggette all’Irpef“. La seconda area di intervento riguarda la messa a sistema delle politiche attive del lavoro: “E qui rientra il capitolo formazione dei dipendenti che si imbarcano nell’esperienza di Wbo, e si ritrovano a dover mettere in pratica da subito competenze manageriali e gestionali”. La terza, infine, è la comunicazione: “Il racconto di questo fenomeno, che costituisce una soluzione spesso poco conosciuta. È giusto che il pubblico e i soggetti implicati nel mondo del lavoro la conoscano”. In quest’ultimo senso qualcosa è già stato fatto: la Legge di Bilancio 2020 prevede che il Cfi partecipi ai tavoli di crisi: possono anticipare l’opzione Workers Buyout come potenziale metodo di intervento, informando gli operai stessi della presenza di questa opportunità. Anche questa possibilità era fra le proposte avanzate da Forum DD due anni fa.

I NUMERI – Legacoop ha tracciato la storia del fenomeno fin dall’inizio. Dall’entrata in vigore della Legge Marcora (27 febbraio 1985) sono state identificate 323 imprese recuperate dai lavoratori in forma cooperativa, coinvolgendo 10.408 dipendenti. Circa il 75% delle operazioni di recupero condotte a partire dal 2003 (anno di entrata in vigore della riforma della Legge Marcora, datata 2001) sono tuttora attive. Circa il 70% dei Wbo si sono originati tra le regioni del Centro e del Nord-Est del Paese, con una netta prevalenza delle regioni centrali (46%). Solamente l’11% complessivo è invece distribuito tra il Sud e le Isole. La grande maggioranza delle imprese recuperate, si legge nel report Legacoop, sono attive nell’industria manifatturiera (il 79,6%). Molto presenti anche i servizi, in particolare la logistica e i trasporti, oltre che quelli legati all’industria cinematografica, di informazione e comunicazione. Le operazioni di recupero delle imprese da parte dei lavoratori, ad oggi, contano su un capitale sociale di 63 milioni e un patrimonio netto di 113 milioni. Sviluppano nel complesso 490 milioni di euro generando un utile di 1,7 milioni di euro.

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Post sulla Decima Mas, amici che si danno l’un l’altro del “camerata”, una croce celtica, vicinanza a CasaPound. A scorrere il profilo Facebook dell’assessore alle Politiche sociali di Voghera Federico Taverna saltano fuori nuovi elementi che contribuiscono a ricomporre lo sfondo politico-culturale su cui si muoveva con pistola in tasca l’assessore alla Sicurezza, il leghista Massimo Adriatici. Finché il 20 luglio da quella pistola è partito il colpo che ha ucciso in piazza il 39enne marocchino Youns El Boussettaoui. Uno sparo anticipato dai messaggi di altri assessori nella chat di giunta, dove settimane prima la sindaca Paola Garlaschelli chiedeva quasi compiaciuta se un marocchino fosse “annegato” e dava della “mongola” a una consigliera comunale di opposizione suscitando le risate di Taverna, la vicesindaco Simona Virglio definiva “mine vaganti” i City Angels che assistono i senzatetto in città e l’assessore Giancarlo Gabba ipotizzava di “scioglierli” oltre che di “cominciare a sparare” per evitare assembramenti di stranieri.

Vampate di linguaggio incontrollato che in chat arrivano all’unisono, indipendentemente dal partito di appartenenza di quel centrodestra che guida il capoluogo dell’Oltrepò pavese: Garlaschelli è una commercialista voluta come sindaca dalla deputata della Lega Elena Lucchini, come della Lega è Gabba, medico di famiglia con un passato da simpatizzante dell’Msi, mentre la vicesindaca Virgilio è di Forza Italia. E ora, ecco l’assessore di Fratelli d’Italia Taverna, tra i 13 dipendenti assunti nella municipalizzata Asm a seguito del concorso finito di recente sotto inchiesta, anche se sulla sua selezione le indagini non hanno rilevato nulla di illecito. Diversi post sul suo profilo Facebook richiamano una simbologia e un linguaggio di matrice fascista. Alcuni recenti, come gli auguri fatti da un amico al “camerata” Taverna. Altri datati, come una foto del 2009 di un gruppo di ragazzi dietro lo striscione di Azione Giovani, movimento giovanile legato ad Alleanza Nazionale, con le braccia a fare saluti romani. In mezzo l’apprezzamento per i tatuaggi di Ivan Bogdanov, il “terribile” ultrà serbo responsabile dei disordini che nel 2010 portarono alla sospensione della partita Italia-Serbia a Genova: all’indomani del suo arresto Taverna posta una foto in cui Ivan guida la curva con braccio e mano tesa. E ancora: altri auguri di compleanno ai “camerati”, post sulla Decima Mas, la flottiglia della marina della Repubblica Sociale Italiana venerata dai nostalgici del Fascismo; sui fatti di via Acca Larentia, dove nel 1978 davanti alla sede romana del Msi furono uccisi due attivisti del Fronte della Gioventù, ricordati nel post di Taverna sotto una croce celtica; il post per Sergio Ramelli, esponente del Fronte della Gioventù ucciso a Milano nel 1975 per opera di militanti di estrema sinistra e ricordato ancora oggi con raduni annuali di gruppi di estrema destra e neofascisti che lo onorano col rito del “Presente!”.

Taverna non nasconde poi la sua vicinanza a CasaPound. In una foto recuperata da ilfattoquotidiano.it indossa una maglietta del movimento di estrema destra. “Era una maglietta il cui ricavato andava per una raccolta fondi per un terremoto nel Centro Italia”, dice lui via whatsapp, unico modo per fargli qualche domanda visto che non vuole parlare al telefono. I legami con CasaPound passano anche per la partecipazione ad eventi comuni, come la commemorazione organizzata a Voghera il 10 ottobre scorso in memoria di Marta Crosetto, studentessa istriana vittima delle Foibe, dove Taverna ha affiancato Lorenzo Cafarchio, responsabile di CasaPound per la provincia di Pavia e autore della casa editrice Altaforte. O le raccolte di alimentari per le famiglie vogheresi in difficoltà organizzate da CasaPound: a novembre è passato per un saluto anche Taverna, da poco assessore alle Politiche sociali. L’estrema destra la incrocia anche tra gli ultras della squadra di calcio della Vogherese, oggi in eccellenza, che Taverna tifa dalla curva sin da quando aveva 14 anni.

Del resto che sia stato eletto anche con i voti di CasaPound, a Voghera non è un segreto per nessuno. “Io che simpatizzo per CasaPound, senza esserne iscritto, ho votato per lui. È una persona che stimo, onesto e con voglia di fare”, dice Giovanni Bottazzi, ex militante dell’Msi ed ex legionario. Bottazzi gestisce una libreria in centro: una libreria “dialettica” la definisce, visto che tra gli scaffali zeppi di libri usati c’è una sezione sia sul fascismo che una sul comunismo. Bottazzi è anche presidente del circolo culturale Salvatore Frisina, crocevia di idee e opinioni ben connotate: tra gli eventi, due anni fa la conferenza “L’era delle streghe. Da Bibbiano al Mee Too: l’ideologia gender all’attacco della famiglia”, oratori Taverna e Cafarchio, insieme al vicedirettore de La Verità Francesco Borgonovo.

Il libraio dice di non aver mai votato Alleanza Nazionale e di non riconoscersi in Fratelli d’Italia, ma in quello che sta più a destra, come Forza Nuova e CasaPound: “Sono un loro camerata. Camerata è più di amico, significa solidarizzare con loro. Quelli di CasaPound sono ragazzi meritevolissimi perché fanno opere sociali come la raccolta alimentare”. Della libreria di Bottazzi, Taverna è un cliente, così come lo è Gabba, l’assessore che in chat parlava di spari sugli stranieri e di cancellare i City Angels. “Due persone di assoluta onestà, democraticità e non violenza”, sostiene Bottazzi. Li definirebbe fascisti? “Non possono essere considerati camerati – risponde – non sono fascisti”. E allora perché le parole violente di Gabba in chat, la simbologia fascista di Taverna sui social? Bottazzi dice di non essere rimasto al passo coi tempi: “Di chat e Internet non so nulla”.

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Ogni quattro anni, con le estati olimpiche a riempire giornali ed esultanze, spunta qualche atleta che dal semi anonimato passa alla gloria. Questione di minuti: di prestazioni più o meno perfette che valgono le medaglie ai Giochi e l’ingresso nella ristretta categoria degli sportivi che ce l’hanno fatta. Di solito succede nelle discipline minori, definite così a causa dell’insopportabile vizio di pesare l’importanza di uno sport in base al seguito di pubblico. Ma tant’è. Non è questo il punto. Fatto sta che da essere nessuno, diventi un Dio. Per qualche giorno. E approfitti della ribalta mediatica. E ripensi a tutti i sacrifici fatti. E partono i ringraziamenti. Fateci caso: il primo grazie di solito è per “il mio maestro, quello che ha creduto in me e mi ha spinto a continuare nonostante le difficoltà”. Ecco: i primi maestri, quelli che insegnano sport, che crescono uomini e donne per farli diventare campioni. Vogliamo raccontarli così: capire il loro modo di intendere la competizione, scoprire i loro metodi, conoscere i loro aneddoti, sapere da chi hanno imparato. Ci saranno maestri noti e meno noti, espressione di discipline con grande o poco seguito. Unico comune denominatore: loro sono lo sport che insegnano e che hanno contribuito a migliorare. (Pi.Gi.Ci.)

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“Nella spiaggia di Mondello la mia famiglia aveva la capanna accanto a quella dell’allenatore della Juventus Čestmír Vycpálek. Con mio padre Carlo, che è stato un calciatore di Serie D, e altri due amici giocava sempre a scopone scientifico sotto l’ombrellone. In quelle estati la spiaggia era frequentata anche da Zeman, nipote del mister. Lo ricordo pacato e con la battuta sempre pronta, proprio come lo zio. Nel 2013 sono andato a trovare Zdeněk a Trigoria, si ricordava ogni particolare di quei giorni, mi ha detto che si vedeva che ero più portato per la pallanuoto che non per il calcio”.

Perché Alessandro Campagna, detto Sandro, oggi commissario tecnico della Nazionale italiana di pallanuoto, fino ad una certa ha fatto entrambi gli sport. Poi cosa è successo?
“Nel 1979 a sedici anni e mezzo esordisco in Serie A di pallanuoto. L’allenatore dell’Ortigia Romolo Parodi mi fa entrare sul 3-0 in una partita che dovevamo vincere contro Cagliari. Quando uscii eravamo sul 3-3. Alla fine vincemmo, ma si prese un gran rischio, dimostrando che bisogna sempre avere coraggio. Una lezione che avrei capito una volta diventato allenatore. Allora giocavo anche a calcio, nella pallanuoto stavo a metà strada tra le giovanili e la prima squadra e quella partita mi ha indirizzato la carriera verso lo sport della mia vita. Parodi è stato il mio primo maestro, è stato decisivo”.

Il presidente del Circolo Canottieri Ortigia era Concetto Lo Bello, l’arbitro di calcio più famoso al suo tempo.
“Un uomo lungimirante e di grande professionalità, anche come politico ha lasciato un ricordo bello a Siracusa. Non credeva nello sport professionistico, ma in quello amatoriale. Ci scontrammo pure, a livello ideologico. Io avevo capito che la pallanuoto stava andando in un’altra direzione. Decisi così di andarmene, lui non voleva. Non giocai per qualche settimane, poi dopo l’accordo raggiunto con Roma tornai e salvai la squadra dalla retrocessione. Quando andai a trovarlo in punto di morte, in ospedale mi disse parole dolci e mi fece un bel regalo per il mio matrimonio”.

Nel 1982 arriva l’esordio in Nazionale.
“Grazie al ct Gianni Lonzi. Ma il salto di qualità dal punto di vista tattico lo faccio nel Settebello con Fritz Dennerlein, quello che considero il mio secondo maestro. Allenatore della Canottieri Napoli, per battere la Recco dei Pizzo, Lavoratori e Cevasco si era inventato la zona e infatti la sua squadra negli anni Settanta vince tre scudetti. Fritz è l’Arrigo Sacchi della pallanuoto”.

Nella sua biografia “L’imperatore delle piscine”, scritta con Franco Esposito per Absolutely Free, la prefazione è firmata Ratko Rudić. un altro suo maestro?
“Sì. Fu il primo a introdurre in Italia l’idea di staff e di una preparazione fisica. La palestra la si usava già a metà anni Ottanta, ma con lui diventò un cardine. Puntava allo sviluppo della forza fisica e mentale. Venne incontro ai noi atleti, che ci adattammo ad un modo diverso di giocare. Da pallanuotista è stato bello averlo come allenatore, ti dava sicurezze e la sensazione di avere tutto sotto controllo. Sono stato anche il suo vice e dopo due anni mi ha permesso di allenare le giovanili azzurre, con le quali sono andato a medaglia due volte”.

Si sentiva allenatore anche da giocatore?
“Avevo leadership e una naturale visione di gioco. Senza rendermene conto c’era già la volontà di fare l’allenatore, oltre ad una curiosità innata e a studi Isef. Soprattutto ho avuto la fortuna di avere grandi maestri”.

Il soprannome Settebello è stato utilizzato per la prima volta nel 1948 alle Olimpiadi di Londra e da allora da tutti è chiamato in questo modo. Può spiegare cos’è il Settebello?
“La nazionale è importante in tutti gli sport di squadra, nella pallanuoto ancora di più. Da 80 anni tutti si aspettano qualcosa dal Settebello, questo è un carico di responsabilità per chi ne fa parte. Solo l’Italia e l’Ungheria hanno resistito così tanto tempo all’apice. Anche Croazia e Serbia, se si considera pure il periodo della Jugoslavia unita. Tutte queste ancora più di Russia, Germania e Usa. La popolarità della pallanuoto deve tutto al Settebello, perché il campionato italiano ha dei limiti evidenti. È questo che spiego ai nuovi arrivati in nazionale o nel momento delle grandi sconfitte come ai mondiali di Roma. Noi dobbiamo sempre far innamorare i ragazzini perché continui questa splendida tradizione”.

La finale olimpica di Barcellona nel 1992 con la Spagna è stata una partita epica?
“In vantaggio, raggiunti, superati di nuovo, ancora raggiunti, alla fine abbiamo vinto. Fu una guerra in acqua, con arbitraggio e pubblico contro. Ma ha tenuto la forza mentale di una squadra molto unita, composta da grandi talenti in ogni ruolo”.

Come le riuscì quell’assist in finale?
“Nonostante la stanchezza seppi leggere bene il gioco. Ferretti aveva subito il fallo, ma dalla sua posizione non riusciva a vedere il pallone. Il rischio era che l’arbitro invertisse la punizione, con un giocatore della Spagna era già pronto al contropiede. Con la coda dell’occhio vidi Gandolfi, passai la palla di polso e lui fece un gol stupendo”.

Già in semifinale con la Russia era stato decisivo.
“Ero un rigorista al pari di Fiorillo e Porzio, ma in quel momento Rudić indicò il mio numero. Non ebbi nessuna paura, ero sicuro di fare gol”.

Qualche anno prima c’era stato un altro incontro drammatico a Madrid, finale mondiale con la Jugoslavia.
“All’ottavo tempo supplementare feci una leggerezza che ci costò la partita. Simulai un fallo e venimmo castigati”.

Il 1984 è il suo annus horribilis. Venne coinvolto in una sparatoria appena fuori dalla piscina di Siracusa che rischiò di mettere fine alla sua carriera. Poi seguirono altri due infortuni gravi.
“Quando uscii dalla sala operatoria, chiesi subito quanto tempo mancasse per poter lasciare l’ospedale. Non bisogna mai mollare, i dolori e le sconfitte sono fonte di ispirazione. Ripresi a giocare solo nel 1985, l’anno successivo venni eletto miglior giocatore al mondo”.

Negli anni duemila allenò la Nazionale greca. Che ricordi ha?
“Un ambiente non semplice. Andai solo, senza nessun familiare né componenti del mio staff. Attraverso queste esperienze si cresce molto professionalmente. Portai in Grecia la mia mentalità vincente, non erano abituati. Arrivammo quarti alle Olimpiadi di Atene nel 2004 e terzi nel mondiale del 2005, battendo proprio la Croazia di Rudić”.

La pallanuoto italiana oggi che periodo sta vivendo?
“È il momento di tirare le somme dopo la pandemia, per capire quanti giovani e quante società hanno proseguito l’attività. Io sono fiducioso, il gruppo federale è qualificato, nei club rimane tanta passione. Non ci dobbiamo abbattere per il settimo posto alle Olimpiadi, nel dna del Settebello c’è la ricerca dell’eccellenza”.

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A pochi giorni dalla presentazione della candidatura alle Presidenziali egiziane del 2018, Mohamed Anwar al-Sadat, omonimo e nipote dell’ex presidente assassinato il 6 ottobre di 40 anni fa durante la parata per onorare la guerra del Kippur al Cairo, rilasciò questa dichiarazione per giustificare il suo ritiro dalla competizione: “Ci sono state gravi intrusioni nella preparazione della campagna elettorale. Ho criticato la gestione del potere messa in atto dai Fratelli Musulmani (a uccidere suo nonno fu proprio una falange della Fratellanza, ndr), ma adesso l’Egitto con al-Sisi è ben lontano dall’essere uno Stato di diritto”. Ora, quasi quattro anni dopo, parlando a Ilfattoquotidiano.it, al-Sadat mostra un piglio diverso: “Ci sono nodi vitali da risolvere ancora, ma il Paese sta facendo una serie di passi in avanti importanti, sotto il profilo economico, infrastrutturale, sui diritti umani e nella lotta al terrorismo. Insistere col muro contro muro nei confronti del governo non porterebbe a nulla, meglio puntare sul dialogo, un approccio diverso rispetto al passato. Questa è la mia idea politica oggi, in un momento in cui l’Egitto è un Paese che si va stabilizzando. Il vero motivo del ritiro dalle Presidenziali del 2018? Un buon politico deve sapere quando è il momento adatto per fare un passo indietro o in avanti”. Si è fatto cauto e saggio il fondatore e presidente del partito per la Riforma e lo Sviluppo, forte di 15 seggi in Parlamento, e attuale vertice della Commissione Parlamentare egiziana per i Diritti Umani. Al-Sadat, 66 anni, un nonno ‘ingombrante’ ed esperienza politica da vendere, non scappa davanti alle domande affrontate, tuttavia seguendo una linea diversa. Compreso un argomento molto caro all’Italia e agli italiani.

Presidente Sadat, il processo istruito dalle autorità giudiziarie italiane sulla morte di Giulio Regeni è stato interrotto sul nascere e rischia di non arrivare ad alcun risultato, se l’aspettava?
“Ho seguito con molta attenzione le fasi di preparazione del processo, non mi sento però di criticare la scelta della Procura egiziana. I responsabili di quel crimine orrendo vanno messi alla sbarra, ma il problema resta sempre uno: chi?”.

Secondo lei i quattro rinviati a giudizio dall’Italia sono innocenti?
“Non lo so e non spetta a me dirlo, ma seguendo anche le indagini credo che il loro coinvolgimento non sia così evidente. Notificare i provvedimenti a comparire per i 4 imputati del processo italiano non è così automatico”.

Come se lo spiega?
“Nei primi anni dell’indagine è stata fatta molta confusione, abbiamo ascoltato tante storie sul ragazzo italiano. Chi ha detto che lavorava per i servizi britannici, secondo altri era un criminale e via discorrendo. Voci infondate, Giulio era uno studente e un bravo ragazzo”.

Compresa la famosa ‘banda’ sterminata dalla Nsa in quanto considerata, a tutt’oggi, la responsabile dell’omicidio di Regeni dagli 007 del Cairo?
Quella è una ipotesi che non sta in piedi, una bufala colossale. L’unico fatto accertato è che lui è morto purtroppo. Detto questo resto molto fiducioso”.

Per quale motivo?
“Sono convinto che il nuovo corso distensivo messo in atto dal governo, iniziato con la revoca dello stato di emergenza una settimana fa, porterà novità importanti per la soluzione del giallo. Aspettiamo qualche mese”.

Cosa si sente di dire alla famiglia di Regeni?
“Chiedere scusa per non aver ancora accertato i responsabili e riaffermare il loro diritto a chiedere giustizia e verità. Purtroppo la storia egiziana è costellata da episodi irrisolti, stavolta speriamo in un esito diverso”.

Giulio Regeni non c’è più, mentre Patrick Zaki sta lottando contro una carcerazione lunga, durissima e per l’opinione pubblica italiana ingiusta. Secondo lei le accuse nei suoi confronti, addirittura quelle per terrorismo, reggono?
“Non spetta a me dire se gli addebiti nei suoi confronti siano giusti o no. Di una cosa sono abbastanza certo, a Patrick va consentito di tornare alla sua vita e ai suoi studi”.

Lei ritiene che il 7 dicembre si possa arrivare a un’assoluzione?
“Penso che quel giorno sarà decisivo e sarà un giorno felice. Teniamo le dita incrociate e speriamo che Patrick possa trascorrere il Natale assieme la sua famiglia. Con loro e con la fidanzata di Patrick sono in frequente contatto, sarebbe una gioia vederli insieme”.

A proposito di carceri e detenzioni da incubo, il presidente al-Sisi presto inaugurerà un nuovo ed enorme penitenziario nell’area di Wadi al-Natrun seguendo i modelli americani: lo ritiene un provvedimento sensato?
“Forse non è una priorità, ma proprio io nei primi anni duemila chiedevo condizioni migliori per i detenuti e chi, come me, si occupava di diritti umani era fortemente preoccupato già allora. Il governo oltre a Wadi al-Natrun ha in progetto altri tre penitenziari nuovi di zecca e di abbattere i più vecchi e malandati, tra cui il complesso di Tora”.

E il progetto della nuova capitale amministrativa, sempre una buona idea?
“Non ero favorevole all’inizio, però effettivamente ha creato tanto lavoro. Non c’è solo la Nuova Capitale, è in corso uno sviluppo nelle aree rurali, abbattendo gli slums nei vari governatorati. Insomma ridare dignità abitativa e sociale a un’ampia fascia di popolazione”.

In chiusura, tornando al tema dei diritti umani, il 1° novembre partono i processi a detenuti per reati di coscienza e attivisti come Alaa Abdel Fattah, Mohamed al-Bakr e Mohamed ‘Oxigen’. Il 2 toccherà a Hossam Baghat. Cosa si aspetta?
“Sono grandi amici e persone straordinarie, li porto nel mio cuore, ma come loro ce ne sono a centinaia nelle stesse condizioni. Il prossimo step che il governo dovrà applicare è fermare le rotazioni dei casi in attesa di giudizio e le detenzioni rinnovate. Stanno giungendo segnali nuovi dallo Stato, ci vuole ancora tempo, ma il trend è favorevole. Basta fare la guerra, non siamo più nel 2013, ora c’è un governo serio, affidabile che sono convinto opererà per il bene di tutti. Nessuno nega o dimentica le violenze di quegli anni, la censura contro i mezzi di informazione, tanti sono ancora i punti oscuri e i problemi da risolvere. Dico solo di essere pazienti e puntare a una strategia condivisa diretta verso la pace e la prosperità. Ripeto, diamo tempo alcuni mesi e vediamo cosa accadrà in Egitto”.

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Oltre agli insegnanti d’asilo e dell’infanzia dal 2022 anche i maestri e i collaboratori scolastici della primaria, rientreranno tra i lavoratori usuranti. Grazie alla nuova Legge di bilancio e alle modifiche apportate alla normativa sull’Ape sociale potranno beneficiare dell’anticipo pensionistico e lasciare prima del tempo il lavoro. Una novità sostanziale per gli insegnati del primo ciclo che ora, una volta raggiunti i 63 anni di età con 30-36 anni di contributi, a seconda dei casi, potranno lasciare la cattedra. A loro (come a tutti gli altri lavoratori usuranti) verrà corrisposto un assegno ponte sino al raggiungimento dei requisiti per la pensione piena (67 anni). L’anticipo pensionistico al massimo arriva a 1.500 euro lordi al mese (circa 1.150 netti) per 12 mensilità all’anno.

La nuova lista di lavori usuranti passa da 15 a 57 attività arrivando a comprendere circa mezzo milione di lavoratori. Rispetto alle 15 attività previste finora, la nuova lista di lavori usuranti dovrebbe comprendere, tra gli altri anche benzinai, macellai, panettieri, saldatori, falegnami, magazzinieri, tassisti, conduttori di autobus e tranvieri, commessi, cassieri, operatori sanitari qualificati, portantini, forestali e verniciatori industriali. Lo stesso strumento potrà continuare ad essere utilizzato da operai dell’industria estrattiva, agricoli, pescatori, lavoratori del settore siderurgico, conduttori di mezzi pesanti e tutti gli altri lavoratori già previsti dall’elenco originario delle mansioni gravosi. Sempre con l’Ape sociale, ma con una contribuzione di almeno 30 anni, potranno continuare a chiedere di anticipare la pensione i soggetti con invalidità civile superiore o uguale al 74%, i caregiver che assistono in familiari in particolari situazione di difficoltà e i lavoratori disoccupati che abbiano di fatto esaurito gli strumenti di sostegno.

Una soddisfazione per i sindacati della scuola che da tempo stavano portando avanti questa battaglia a favore dei docenti della scuola primaria che non devono mai perdere un solo istante l’attenzione in classe di fronte a oltre venti allievi con bisogni educativi diversi e con esigenze differenti. Restano fuori dal provvedimento i docenti delle secondarie e il personale Ata. Un’esclusione che non è piaciuta a Marcello Pacifico, presidente dell’Anief: “In realtà, il lavoro all’interno di un istituto scolastico è tutto usurante. Vi sono delle dimostrazioni scientifiche che non fanno differenze sostanziali tra gli strascichi psicologici e fisici che comporta l’opera professionale in un istituto scolastico. A questo proposito, sono anni che chiediamo, anche per trasparenza amministrativa e pubblica, che i dati sulle malattie professionali vengano resi pubblici: ci dobbiamo accontentare di quelli svolti all’estero, dove è emerso che tutti i lavoratori della scuola, a partire dai docenti, sono vittime del burnout. È un dato provato, che ci ha convinto a chiedere nel nuovo contratto di lavoro la diaria da rischio biologico assegnata ad altre professionalità, come quelle mediche”.

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I Karakaz sono quattro ragazzi tra i 21 e i 29 anni, arrivano da Milano, Bassano del Grappa, Ala (Trento) e Ventimiglia. Michele, il frontman, ha un atteggiamento ombroso ma sul palco tira fuori la sua anima rock. Ieri nel primo Live di X Factor 2021 (su Sky e NOW, sempre disponibile on demand), dove sono in gara nel roster di Hell Raton, hanno dato uno scossone rock con la loro “Useless”, il loro primo pezzo originale con cui erano già apparsi alle Audition.

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