“Sono seriamente preoccupato dall’entità dell’inquinamento da Pfas (anche noti come prodotti chimici eterni perché persistono e non si degradano nell’ambiente) in alcune aree della Regione Veneto. Più di 300mila persone sono state colpite dalla contaminazione dell’acqua, compresa l’acqua potabile. I residenti hanno sofferto gravi problemi di salute, come infertilità, aborti e diverse forme di tumori”. Per la prima volta c’è un riconoscimento internazionale dell’emergenza da sostanze perfluoroachiliche che ha colpito tre province del Veneto: Vicenza, Padova e Verona. E per la prima volta viene cristallizzata una cifra imponente di cittadini coinvolti. A farlo è stato Marcos A. Orellana, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento ecocompatibile di sostanze e rifiuti pericolosi. Lo ha messo nero su bianco nella sintesi della relazione che nel settembre del prossimo anno presenterà alla 51esima Sessione del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu.
“La dimensione umana del problema – ha detto, ripercorrendo due settimane di ricognizione in Italia – ci è stata presentata da una delle madri che abbiamo incontrato: ‘Potete immaginare cosa significa per una madre rendersi conto di aver avvelenato i propri figli attraverso il latte materno?’”. Si tratta di una delle componenti del movimento No Pfas sorto per denunciare la situazione e chiedere politiche sanitarie, di prevenzione e di informazione più adeguate all’emergenza. Sono state loro a chiedere l’intervento delle Nazioni Unite, anche per sollevare il tema dei Pfas sottovalutato non solo in Italia, ma anche nel resto dell’Europa.
Il primo atto d’accusa è rivolto ai dirigenti dell’azienda chimica Miteni di Trissino (in provincia di Vicenza) considerata come la prima fonte dell’inquinamento da Pfas di acque superficiali e sotterranee, con effetti sulla catena alimentare. “Mentre i responsabili dell’azienda sembravano essere consapevoli dello scarico di rifiuti e dell’inquinamento conseguente, tuttavia non hanno offerto adeguate misure di protezione ai lavoratori, né hanno divulgato informazioni sulla gravità dell’inquinamento da Pfas”.
Il secondo punto riguarda la Regione Veneto. Risale al 2013 la prima segnalazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Dopo di allora le autorità regionali hanno installato filtri di carbone per purificare l’acqua potabile e segnalato il caso alla Procura di Vicenza. Inoltre hanno adottato misure di controllo nelle autorizzazioni alle aziende che usano Pfas, investendo anche “in un sistema di opere pubbliche per portare acqua non inquinata nella zona”. Eppure gli elementi di criticità, secondo Orellana, non mancano. “Le autorità non hanno informato i residenti delle aree colpite né hanno dato informazioni sull’inquinamento da Pfas e sui rischi sulla salute della popolazione. Alcuni residenti sono venuti a conoscenza del problema della contaminazione tossica nel 2016-2017, quando la Regione ha avviato un piano di sorveglianza sanitaria per la popolazione esposta ai Pfas nella critica zona rossa”. Un ritardo di anni, mentre la gente continuava a bere l’acqua dai rubinetti considerandola potabile. Rispondendo a un giornalista, sul caso del Veneto, Orellana ha ribadito: “Questa mancanza di informazioni continua ancora oggi, come la questione del controllo degli alimenti. Per questo riteniamo che ci siano state violazioni dei diritti umani”. Positivo il controllo sanitario sugli abitanti e su alcuni prodotti alimentari, “tuttavia questo monitoraggio è limitato alla zona più inquinata, il che solleva serie preoccupazioni per coloro che vivono nelle altre zone colpite circa il livello di inquinamento da Pfas nei loro organismi e la sicurezza dei prodotti alimentari che consumano”.
Orellana ha annunciato che seguirà il processo in corso a Vicenza contro 15 manager della Miteni e si augura che in caso di condanna l’Italia si adoperi per ottenere la confisca dei beni degli imputati, “per assicurare il risarcimento alle vittime e soddisfare il principio ‘chi inquina paga’”. Ma non c’è solo la Miteni. Nel mirino sono state messe anche le attività di piccole e medie imprese che in Veneto o in altre regioni utilizzano i Pfas nei loro processi produttivi e scaricano acque contaminate, ad esempio l’industria tessile e del cuoio. “Questo tipo di inquinamento coinvolge anche il principale bacino italiano, la valle del Po. Sono particolarmente preoccupato per la produzione di Pfas da parte della società Solvay, attualmente in corso a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, in Piemonte. Questa operazione potrebbe creare un disastro ambientale simile a quello sofferto dalle comunità colpite in Veneto”. La relazione si conclude con un invito all’Italia ad adottare misure per restringere l’uso di queste sostanze, mentre anche l’Unione Europea si sta preparando “ad affrontare le gravi minacce per la salute e l’ambiente poste dai Pfas”.
Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, che sta seguendo il caso del Veneto, ha commentato: “Ad ottobre le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione che sancisce come un diritto dell’umanità l’accesso all’ambiente, all’acqua e all’aria puliti. Ora le Nazioni Unite hanno preso visione anche in Veneto di queste violazioni, a cominciare dal diritto dei cittadini ad essere informati”.
L'articolo Pfas in Veneto, l’atto d’accusa del relatore Onu: “Imprese e politici tacquero i rischi a operai e cittadini. La Regione? Continua ancora oggi” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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