Qualcuno dice di averlo visto in giro con un puma. Altri di averlo riconosciuto mentre comprava una Porsche in contanti. C’è addirittura chi giura di averlo notato al volante della sua Volvo, con il motore acceso mentre aspettava che due complici rapinassero un negozio di sport. Barry Bennell è stato molte cose nel corso della sua vita. Anche se Clement Goldstone, il giudice che lo ha condannato per violenze e molestie su minori, ha preferito definirlo “incarnazione del diavolo”, “male allo stato puro” e “molestatore di bambini su scala industriale”. Sì, perché Barry Bennell è stato soprattutto un pedofilo, un uomo che ha sfruttato la sua posizione di allenatore delle giovanili di Manchester City e Crewe Alexandra per abusare di centinaia di ragazzini. E ha potuto agire indisturbato per quasi vent’anni. Bastava pronunciare il suo nome per far restare senza fiato un’intera generazione di piccoli calciatori inglesi. Solo che questa volta è andata in maniera diversa. Perché dal 2016 in molti hanno iniziato a scandire il suo cognome. Senza più paura.
Il primo è stato Andy Woodward, ex difensore di Crewe Alexandra e Bury che da ragazzo ha subito per anni abusi e violenze da parte del suo allenatore. Woodward ha raccontato la sua storia al Guardian. E da quel momento decine e decine di vittime hanno deciso di farsi avanti. Ne è nata una nuova serie di processi contro violentatori seriali che si annidavano nel calcio giovanile inglese. Ma anche un’inchiesta indipendente che si è conclusa un paio di settimane fa. Con un risultato sconcertante: fra il 1970 e il 1995 la Football Association non è stata in grado di garantire la sicurezza dei suoi piccoli calciatori. Un’assenza che ha permesso a Barry Bennell di distruggere la vita di quei ragazzi che avrebbe dovuto trasformare nei futuri fuoriclasse del calcio britannico. Lui stesso ha ammesso di essere “un mostro”. E lo è diventato eludendo lo stereotipo che si era stampato nell’immaginario collettivo. Allora la parola pedofilo faceva pensare subito a un vecchio sporcaccione, a un freak che viveva ai margini della società. Lui invece era molto diverso. Indossava abiti firmati, girava su auto costose, coltivava un’autonarrazione da vincente. Tutti lo adoravano, tutti volevano stargli accanto. Perché lui riusciva a vedere il talento prima degli altri allenatori. Ed era in grado di realizzare i sogni degli aspiranti calciatori. Ma anche quelli dei loro genitori.
Bennell era una figura rassicurante, ma anche affascinante. La mamma di uno dei suoi giocatori lo ha descritto al Guardian come un uomo “perfettamente abbronzato, bello, con i capelli ricci che saltellavano”. Al resto ci hanno pensato i suoi modi così eccentrici. Pretendeva che gli altri lo chiamassero Bené, scandendo bene l’accento sull’ultima vocale. Perché anche Pelé si pronunciava in quel modo. E lui non voleva essere da meno. Agiva sempre nello stesso, identico, modo. Sceglieva i bambini più introversi, quelli più fragili, quelli più giovani. Li invitava a casa sua. Un appartamento che assomigliava più a una sala giochi che a un’abitazione. Dentro c’era tutto quello che un ragazzino poteva sognare. Tre slot machine, un tavolo da biliardo, tv giganti, console, cabinati di videogiochi, juke box, due cani dei Pirenei, una scimmietta ammaestrata, un cane alsaziano chiamato Zico, un puma. Spaventava i suoi piccoli ospiti con storie di fantasmi e con film dell’orrore. Poi gli diceva che sarebbero stati più al sicuro nella sua stanza. È lì che avvenivano le violenze. Di continuo.
Per convincerli a non parlare tirava fuori dei nunchaku. Esibiva la forza bruta contro qualche oggetto di poco conto. Ma a volte passava alle minacce psicologiche. Diceva che se avessero aperto bocca non sarebbero mai diventati dei calciatori professionisti. Perché lui non glielo avrebbe mai permesso. Ma non finisce qui. Perché Barry Bennell si era procurato un doppione delle chiavi di casa di Dario Gradi, il tecnico che gli aveva affidato il settore giovanile del Crewe Alexandra. E a sua insaputa aveva molestato un bambino nel suo appartamento. Le voci sul suo conto si sono moltiplicate. Ma nessuno ha mai avuto molta voglia di approfondirle, di capire dove la leggenda metropolitana si trasformava in realtà. Perché Bennell era anche un manipolatore. Riusciva a coprire una realtà che chi lo frequentava non riusciva a vedere. O forse non voleva vedere. Secondo il Guardian i genitori di alcuni dei ragazzi che giocavano nelle sue squadre sono andati in vacanza con lui. Addirittura un gruppo di mamme aveva deciso di pulire la sua casa per fargli “una sorpresa”.
Sul finire degli anni Ottanta qualcosa iniziava a trapelare. La sua figura era compromessa, anche se non era ancora mai stato condannato. Alcuni club di Manchester gli avevano vietato l’accesso ai loro campi. Era stato vicino a passare allo United. Tanto che aveva inviato delle lettere per convincere i suoi calciatori migliori a seguirlo. E per persuaderli aveva scritto “Ti amo”. Solo l’intervento di Alex Ferguson in persona aveva fatto saltate la trattativa. Nel 1992 aveva abbandonato il Crewe. Qualche anno più tardi Norman Rowlinson, storico presidente del club, lo definirà “un pifferaio magico con un’attrazione magnetica per i bambini”. Per Bennell era iniziata una nuova fase della sua carriera. Era diventato un collaboratore di Stoke City e Stone Dominoes. Proprio con quest’ultima società aveva organizzato una tournée negli Stati Uniti nel 1994. Niente di speciale, lo faceva praticamente tutti gli anni. Solo che quella volta la storia è andata in maniera diversa. La polizia lo ha arrestato per molestie a un ragazzino. Uno scandalo che non aveva sconvolto più di tanto i genitori dei piccoli calciatori. Secondo il Guardian, infatti, padri e madri dei “suoi” ragazzi avevano dato vita al fondo “Amici di Barry Bennell”, che ha raccolto i soldi necessari per pagare la sua cauzione di centomila dollari.
“I nonni di un ragazzo – scrive il quotidiano – gli hanno versato 6mila sterline, i risparmi di tutta una vita, poi hanno perso tutto quando Bennell ha infranto le condizioni ed è tornato dritto in prigione”. Sì perché nonostante gli fosse stato ordinato di tenersi lontano dai bambini, l’allenatore era stato sorpreso a filmare una squadra di undicenni. La prima condanna non era stata troppo pesante. Perché dopo aver ammesso la sua colpevolezza aveva ricevuto una pena di quattro anni. Nel 1998, però, era stato estradato in Inghilterra. E giudicato colpevole di 25 reati contro minori. Fanno altri nove anni di carcere. Ma dopo sei era già fuori. Si era trasferito a Milton Keynes. E si faceva chiamare Richard Jones. Per mettere insieme il pranzo con la cena riparava computer. Voleva che tutti si dimenticassero di lui. Tranne le vittime dei suoi abusi alle quali aveva chiesto l’amicizia sui social network. Ma nel 2011 era successo qualcosa di particolare.
Gary Speed, ex capitano del Galles e bandiera di Leeds e Newcastle, si era suicidato. Qualcuno si era ricordato di averlo visto a casa di Bennell anni prima, quando era ancora un bambino. Le voci si sono moltiplicate. E in molti hanno collegato la sua fine al suo passato. Bennell ha detto di non aver mai abusato di Gary Speed. Ma ha anche detto che anche se lo avesse fatto, non lo avrebbe mai ammesso. La famiglia dell’ex capitano del Galles – e i suoi avvocati – hanno affermato che il calciatore non è mai stato molestato da Bennell. L’allenatore torna sotto i riflettori. Nel 2015 viene ancora condannato: 2 anni per molestie a un dodicenne. Poi nel 2016 ecco la denuncia straziante di Woodward. Inizia un altro processo. Bennell non mostra neanche una goccia di pentimento. I giudici dicono che una cosa è piuttosto chiara: “A Barry Bennell sta a cuore solo una persona: Barry Bennell”. L’ex pifferaio magico si difende dalle accuse dicendo che due ragazzi non sono stati abusati da lui. Il motivo? Erano troppo grandi. Lui era un cacciatore di tredicenni. Frasi agghiaccianti. Parole che strozzano il respiro. Barry Bennell è stato nuovamente condannato. Ora sta scontando una condanna a 30 anni. È malato di cancro. E secondo il giudice Goldstone “morirà in prigione”. Il problema è che il dolore che ha causato ai suoi piccoli calciatori gli sopravvivrà. Cicatrici invisibili che non si rimargineranno. Mai più.
L'articolo Abusi sessuali sui giovani calciatori inglesi – Barry Bennell, storia dell’allenatore che a processo si è definito ‘cacciatore di tredicenni’ proviene da Il Fatto Quotidiano.
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