Il 31 dicembre a scuola non significa nulla, non finisce l’anno, non finisce il quadrimestre, è un giorno di pausa didattica, un giorno di passaggio. Eppure l’idea che questo 31 dicembre si porti via il 2020 un’idea di fine la dà.
Che tenerezza che mi fa la me stessa dello scorso anno, quella che a dicembre aveva come massima preoccupazione dare a tutti il secondo voto di storia prima delle vacanze di Natale. Quella che si portava a casa per le vacanze tutti i pacchi di verifiche da correggere e che si divertiva a leggere sui giornali le solite polemiche sulla scuola. A dicembre in genere si parlava di scuola soltanto per l’immortale diatriba sui compiti delle vacanze (darli? non darli? darne troppi? non darne affatto?) con conseguente dibattito tra sostenitori della teoria che “a scuola oggi non si fa più niente” e fautori del “questi ragazzi hanno diritto a riposarsi”.
Si scatenavano infuocati commenti sotto alla pubblicazione di lettere aperte di insegnanti alternativi che affidavano agli studenti il compito di “non dare per scontato il tempo trascorso in famiglia” e di “riscoprire la gioia di stare in casa”. Penso di sapere esattamente a quale uso destinerebbero quelle lettere i nostri studenti, oggi, riducendole in tanti rettangoli e arrotolandole intorno ad un’anima di cartone.
Quasi rimpiango le solite polemiche strumentali di fine anno, quelle sulle recite di Natale e sui presepi scolastici, con i paladini della difesa delle tradizioni vestiti da pastorelli da una parte e i difensori della scuola laica dall’altra, con immancabile scontro sull’annoso problema dei crocifissi. Invece dei crocifissi ci hanno mandato il gel igienizzante e quanto ai Santi, penso che bastino ampiamente quelli che tiriamo giù a ogni lezione quando salta la connessione.
Si sospendevano le lezioni con la certezza di rivedersi subito dopo la Befana, si fissavano le verifiche di gennaio e si aveva l’impressione che il quadrimestre sfuggisse di mano. Adesso invece è tutto molto incerto: si torna il 7 ma forse l’11, ma di certo un po’ al 75, quando non al 50, scaglionati tra le 8 e le 10, con ore da 60 o da 45. Quando all’ultimo Collegio Docenti abbiamo iniziato a snocciolare tutti questi numeri a un certo punto qualcuno ha aperto il microfono e urlato “ambo!”. Eroe.
Ci è cambiata la vita davanti e ci è cambiata la scuola tra le dita, ché la scuola si evolve, si trasforma, si adatta come poche altre cose perché non può permettersi di fermarsi e non può prendersi il lusso di mollare. La scuola si è trasferita altrove, all’aperto, nelle camerette, nelle aule vuote; ci ha costretti a reinventarci, imparare, trovare soluzioni, a volte efficaci, altre palesemente inadeguate. Ci ha messo alla prova perché gli esami non finiscono mai e ci ha sbattuto in faccia tutto quello che non funziona, ha esacerbato le differenze, ingigantito le difficoltà, messo in luce le incongruenze.
Di sicuro abbiamo capito una cosa: che, come le persone, la scuola non è un’isola, è parte di tutto, è un anello essenziale che – se trascurato – trascina con sé nel baratro tutto il resto. Chissà come sarà la scuola che verrà: la vorremmo aperta, sicura, rinnovata. La troveremo come la troviamo sempre, piena di contraddizioni. Ma anche piena di ragazzi, speriamo. Speriamo in molte cose: invece che la solita riforma quest’anno potrebbe arrivare il vaccino.
Certo, bisogna documentarsi prima, ci mancherebbe, mica ci facciamo iniettare la qualunque. Ho letto ad esempio che la signora Brigliadori è fieramente contraria all’inoculamento del vaccino perché sostiene che dentro ci sia Satana. Ma se si tratta solo di questo, allora sono più serena.
E direi che noi docenti possiamo stare tranquilli, abbiamo risorse occulte: del resto chiunque si sia occupato dell’assistenza mensa in un cortile di un istituto che comprenda elementari e medie, sorvegliando dodicenni scatenati, o chiunque abbia fatto supplenza l’ultima ora in una classe di 25 adolescenti in preda dell’eccitazione natalizia, difficilmente si lascia intimorire da bazzecole tipo una pandemia mondiale o da Satana in persona.
Vorrei vederlo, Satana, a fare la didattica digitale integrata. Non durerebbe una settimana. Amen.
L'articolo Chissà come sarà la scuola che verrà: di sicuro una cosa l’abbiamo capita proviene da Il Fatto Quotidiano.
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