Una riapertura totale dell'Italia potrebbe portare entro giugno a un picco di 151mila persone ricoverate in terapia intensiva. Far ripartire tutto tranne le scuole provocherebbe invece 110mila posti occupati in rianimazione entro agosto. La sola riapertura del sistema scolastico causerebbe 7.600 contagiati in terapia intensiva. L’indice di contagio R0 si manterrebbe invece sotto la soglia di 1 - cioè ogni positivo al Covid-19 infetta meno di un’altra persona - aprendo solo edilizia, manifattura e commercio. Sono questi alcuni degli scenari ipotizzati dall’Istituto superiore di sanità e dal Comitato tecnico-scientifico per la fase 2 dell’emergenza coronavirus (GLI AGGIORNAMENTI - LO SPECIALE - GRAFICHE) contenuti in una relazione consegnata al governo. Si tratta di 92 possibili contesti (di cui la metà presuppone che il rischio di ammalarsi sia eterogeneo a seconda dell’età e l’altra metà replica gli stessi scenari supponendo che il rischio sia omogeneo) su cui l'esecutivo ha modulato le prime riaperture. La relazione dovrebbe essere approfondita dall’Iss nella prossima conferenza stampa prevista per giovedì 30 aprile (LE TAPPE DELL'EPIDEMIA - LE FOTO SIMBOLO - CALENDARIO DELLE RIAPERTURE).

Riapertura totale, lo scenario peggiore

Lo scenario peggiore è previsto a fronte di una riapertura generalizzata della società, incluse attività lavorative e scuole. In questo caso, secondo i modelli previsionali elaborati dall’Iss con il ministero della Salute, la Fondazione Bruno Kessler e l’Inail, l’indice di contagio R0 tornerebbe a posizionarsi sopra il valore 2 e le terapie intensive raggiungerebbero la saturazione in poco più di un mese, entro l’8 giugno. Numeri insostenibili per il Sistema sanitario nazionale, che complessivamente mette a disposizione circa 10mila posti letto in rianimazione. Anche tenendo a casa dal lavoro gli over 50 e limitando gli spostamenti degli over 60, il rapporto prevede che il tasso di contagio risalirebbe troppo.

Le scuole? Troppo pericolose

Un secondo scenario prevede invece la riapertura delle scuole ma senza una ripartenza dei settori produttivi e con un ridotto uso dei mezzi di trasporto pubblici. In questo caso l’aumento dei casi di contagio da coronavirus consentirebbe alle terapie intensive di reggere fino a ottobre, dopodiché collasserebbero. “Riaprire le scuole innescherebbe una nuova e rapida crescita dell’epidemia”, si legge nella relazione, motivo per cui il governo ha escluso di far ripartire gli istituti il 4 maggio e sembra anzi intenzionati a tenerli chiusi almeno fino a settembre (LO SPECIALE SCUOLA).

Sì al lavoro e no alle scuole: il sistema regge

Al contrario, secondo le previsioni in questione, nella maggior parte degli scenari di riapertura dei soli settori professionali, ma con le scuole chiuse, il numero atteso di terapie intensive occupate al picco risulterebbe inferiore alla disponibilità di posti letto a livello nazionale, “anche qualora la trasmissibilità superi la soglia epidemica”. 

Pochi rischi da edilizia, manifattura e commercio

Gli scenari compatibili con il mantenimento dell’indice di contagio sotto la soglia 1 sono invece quelli che considerano la riapertura dei settori Ateco legati a edilizia, manifattura e commercio, sempre se unita al rispetto di tutte le norme di sicurezza. È questa la strada che ha infatti percorso il governo. Le stime richiedono comunque un “approccio di massima cautela per verificare sul campo il reale impatto”, motivo per cui tra i suggerimenti della relazione tecnica c’è anche quello di “considerare una riapertura parziale delle attività lavorative, ad esempio al 50%”. Questo scenario - il numero 14 tra quelli ipotizzati - prevede che l’indice di riproduzione del virus resterà intorno allo 0,69 e che le terapie intensive registreranno un picco di 144 casi e un totale di 411 da qui alla fine dell’anno.

Le raccomandazioni dei tecnici

Oltre alla cautela e alla gradualità della riapertura, relativamente allo scenario adottato gli scienziati raccomandano anche attenzione nei comportamenti individuali: “L’utilizzo diffuso di misure di precauzione (mascherine, igiene delle mani, distanziamento sociale), il rafforzamento delle attività di tracciamento del contatto e l’ulteriore aumento di consapevolezza dei rischi epidemici nella popolazione - si legge nel documento - potrebbero congiuntamente ridurre in modo sufficiente i rischi di trasmissione” del coronavirus.

I dubbi sulle mascherine

Ciò su cui rimangono ancora dubbi è invece la necessità o meno di indossare le mascherine. Nella relazione si fa infatti riferimento a “incertezze sull’efficacia del loro uso per la popolazione generale” dal momento che su questo aspetto le evidenze scientifiche sono “limitate”. Nonostante ciò, sono comunque considerate una delle “variabili determinanti” per contenere il valore dell’indice di contagio.



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