“Il capitano”, lo chiamano i suoi, “Trump delle caverne” lo definisce invece lui. Entrambi gli appellativi si riferiscono a Jair Bolsonaro, attuale presidente del Brasile, ma quello meno lusinghiero è pronunciato da Ricardo Antunes, uno dei più rinomati sociologi brasiliani, che ha da pochi giorni pubblicato in Italia un libro dal titolo Politica della caverna. La controrivoluzione di Bolsonaro (Castelvecchi 2019), tradotto da Antonino Infranca.

Il libro, che ha la forma di un pamphlet, è un affresco ricco e vivace dell’ascesa dell’ultradestra brasiliana al potere. Il ragionamento dell’autore si estende in sei densi paragrafi, ciascuno dei quali descrive con informazioni particolareggiate, argomentazioni convincenti, tono polemico e linguaggio fresco le fasi politiche ed economiche che hanno preparato il terreno alla vittoria di Bolsonaro nelle elezioni presidenziali del 2018.

Si parte dal 1964, anno in cui il Brasile subì “il più forte trauma politico della sua storia recente” (p. 11); fu l’anno del golpe militare, che instaurò nel paese una violenta dittatura (la quale amava autodefinirsi “rivoluzione”) che è durata fino al 1985. Antunes individua già in questi anni le caratteristiche essenziali dell’ideologia di fondo della destra brasiliana contemporanea nonché delle politiche promosse dal governo Bolsonaro. Non a caso, infatti, per definire l’attuale fase politica in Brasile egli si riporta alla definizione della dittatura brasiliana fornita del sociologo Florestan Fernandes: “controrivoluzione borghese preventiva”. Le caratteristiche essenziali della dittatura del 1964 – internazionalizzazione dell’economia, privatizzazione delle imprese pubbliche, cancellazione dei diritti dei lavoratori, stato militare di eccezione – sono presenti, secondo Antunes, anche nella fase attuale.

Prima di proporre però il parallelo storico, l’autore prende in rassegna tutti i governi, dal 1989 ad oggi. Lo fa anche perché tiene ad argomentare il sottotitolo del suo libro: se si parla di “controrivoluzione” si deve presumere che da qualche parte e in qualche modo ci sia stata una rivoluzione nel mezzo. Se si escludono il breve governo di Collor de Mello (1990-1992) – “una variante di semibonaparte civile senza qualifica” (p. 12) – caduto per via dell’impeachment del 1992, e il lungo periodo dei due governi di Fernando Henrique Cardoso (1994-2002), il Brasile è stato governato, dal 2002 al 2015, da esponenti del Partito dei Lavoratori (Pt): Luiz Inácio da Silva, detto Lula, e Dilma Rousseff. Antunes vuole spiegare come Lula e Dilma abbiano conquistato e perso l’appoggio degli elettori brasiliani e a quali trasformazioni è andato incontro il loro partito in questi anni.

Antunes non semplifica il ragionamento, non procede per slogan, la sua analisi è corrosiva e spietata. Per capire cosa è davvero successo con i governi della sinistra in Brasile – ci spiega – bisogna collocare storicamente gli eventi e tenere conto sia del contesto nazionale che internazionale. Così, esaminando le politiche di Collor de Mello e Cardoso, si apprende delle loro politiche neoliberiste, che hanno agevolato l’egemonia del capitale finanziario, la crescita dei profitti e guadagni del capitale, la privatizzazione delle imprese pubbliche e la totale deregolamentazione dei diritti dei lavoratori.

Antunes ha efficacemente definito questo periodo “desertificazione neoliberista” (p. 12). Ma, in seguito, osservando da vicino le politiche di Lula e Dilma, Antunes vede “continuità” e non “rottura” con i governi precedenti. Lo stesso Lula, del resto, ha serenamente ammesso che “mai le banche avevano guadagnato tanto quanto con il suo governo” (p. 14). Allora come si spiega la popolarità di Lula, in particolare quella del suo secondo governo (2007-2011), che Antunes non esita e definire “governo social-liberista”?

Secondo Antunes, il merito è da attribuire a una serie di fattori, in primis alla favorevole, seppur breve, congiuntura economica nazionale e internazionale, che ha portato il Brasile ad avere in quegli anni una crescita economica importante. Accanto a ciò, l’autore non manca di sottolineare la politica sociale del governo – che ha favorito le fasce poverissime del paese – espressa principalmente con il programma “Bolsa Familia”. Il Brasile di Lula è diventato certamente meno povero di prima, dice il sociologo, ma “i pilastri strutturali della miseria brasiliana non sono stati affrontati” (p. 14).

Infatti, questi pilastri si sono rafforzati con l’arrivo di Dilma al potere (2011-2015). Il suo ricettario economico non è stato diverso da quello di Lula, ma la crisi economica mondiale ha contribuito a far esplodere molte contraddizioni del sistema socio-economico in Brasile, portando gli strati popolari a scendere più volte in piazza nel 2013, per rivendicare migliori condizioni di vita ma anche per protestare contro l’endemica corruzione dei partiti. La corruzione, come spiega l’autore, è sempre stato un elemento presente nella politica, nei governi e nell’economia del Brasile, fenomeno dal quale non si è salvato neanche il Pt.

Una serie di scandali giudiziari (a partire da “Petrobras” del 2005 fino a “Lava Jato” 2015), che hanno coinvolto membri e ministri del Pt, hanno aumentato l’impopolarità di Dilma nel paese, fino ad arrivare all’impeachment del 2016. Il corto interregno di Michel Temer, appositamente scelto per accelerare la “devastazione del paese” (p. 21), – en passant è interessante rammentare che costui cercò, senza riuscirci, di eliminare la normativa che proibisce il lavoro schiavistico – ha inaugurato la fase della “controrivoluzione preventiva”, che sarà in seguito consolidata con l’elezione di Bolsonaro. A costui Antunes riserva la sua migliore penna sarcastica, descrivendolo come “grande azzardo”, “impreparato”, “Trump delle caverne”: “All’apparenza è il critico più radicale del sistema ma di fatto è la sua espressione reale, con tutta la sua rusticità e truculenza” (p. 25).

Nonostante si soffermi divertito sulla personalità pittoresca di Bolsonaro – ideologicamente influenzato dall’astrologo Olavo de Carvalho oltre che dalla “teologia della prosperità” della religione neopentacostale: Bolsonaro non esita a definire il nazismo “un movimento comunista” (sarà mica lui la fonte informativa del Parlamento europeo?), esprime convulsamente il suo odio contro le donne, la comunità Lgbtq, gli indios, la natura, ecc. – Antunes completa la sua acuta analisi individuando nel suo governo l’espressione di un “nuovo ciclo” della controrivoluzione che, a causa dell’acuirsi della crisi economica mondiale, rifiuta o non è in grado di proporre una qualsiasi forma di conciliazione di classe, come era stata sperimentata dai governi di sinistra.

Giunti a questo punto e intuendo una serie di similitudini tra la situazione in Brasile e quella in Italia, viene spontanea la domanda: ora come si esce da questa situazione? Ricardo Antunes fornisce una risposta articolata e molto interessante, ma per conoscerla invito a comprare il libro, oppure ad andare alla sua presentazione il 3 novembre prossimo al Macro Asilo di Roma, via Nizza 138, ore 11-13.

L'articolo Brasile, come siamo arrivati a Bolsonaro presidente (e come uscirne ora)? proviene da Il Fatto Quotidiano.



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