L’alleanza Pd-M5S sta nascendo in funzione anti-Salvini e non sulla base di una idea di Italia condivisa di Paese. Per questo non sarà facile fare le scelte impopolari richieste dalla legge di Bilancio in autunno, a cominciare dai 23,7 miliardi da trovare per evitare l’aumento dell’Iva. Le scelte di questa fase preliminare sono cruciali per affrontare quei problemi nelle prossime settimane.
Il primo errore da evitare è scegliere un altro ministro dell’Economia come Giovanni Tria.
Intendiamoci: niente di personale, Tria non ha fatto danni. Ma è stato l’ennesimo ministro del Tesoro tecnico in un governo politico. Come Pier Carlo Padoan e Fabrizio Saccomanni prima di lui, ma anche come Giulio Tremonti ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi. Anche nell’esecutivo del “cambiamento” si è quindi ripetuto il solito canovaccio: i partiti vogliono spendere, il ministero del Tesoro si erge a guardiano dei conti, alla fine prevale la forza della politica su quella dei tecnici ma il tutto viene presentato come un onorevole compromesso che accontenta tutti.
Nel caso dei gialloverdi lo schema è stato spinto all’estremo: tutta le scelte cruciali di politica economica trasferite a palazzo Chigi, il portavoce del premier Giuseppe Conte che aizza i giornali contro i tecnici ministeriali, il ministro che si rifiuta di dare deleghe ai suoi due vice politici e così via.
L’ultima volta che non si è assistito a questo deprimente rimpallo di responsabilità è stato all’inizio del governo tecnico nel 2011, quando Mario Monti sommava le cariche di presidente del Consiglio e ministro del Tesoro, soluzione che evita lo scaricabarile politico e garantisce decisioni efficaci ma rende difficile presidiare la complessa macchina del ministero di via XX Settembre (che all’epoca era gestita da Vittorio Grilli, poi diventato ministro a sua volta).
Soltanto un ministro dell’Economia forte assicura che la politica economica sia integrata con la strategia complessiva del governo. Altrimenti il ministro più importante si trasforma in una sorta di vincolo burocratico all’azione dell’esecutivo, quasi un nemico da sconfiggere con sotterfugi e continue prove di forza.
Beppe Grillo ha suggerito che il governo sia fatto da personalità competenti e indipendenti, con i politici a fare da vice o da sottosegretari (aver visto in azione certi esponenti della Lega e soprattutto del M5S, magari pieni di buona volontà ma poco strutturati, deve avergli fatto rivalutare i ‘competenti’). Idea interessante ma complicata, che rischia di generare un tiro al bersaglio costante contro i tecnici.
All’Economia servirebbe un ministro politico, con la piena fiducia e stima di entrambe le componenti della nuova maggioranza, qualcuno la cui azione non sia sospettabile di rispondere a fantomatiche entità esterne (Bruxelles, i mercati, le solite congreghe di sottopotere romano…) e che abbia al contempo le caratteristiche per fare uno dei lavori più difficili in Italia. Pier Carlo Padoan, oggi deputato Pd, sarebbe la scelta ovvia: l’ha già fatto, ma è esponente di una stagione chiusa, quella del renzismo.
I leader con un qualche peso politico dentro Pd e M5S non hanno grande padronanza della materia: i Cinque Stelle non hanno alcun candidato interno al Movimento, il Pd non è messo molto meglio. Uno come Tommaso Nannicini, altro renziano sopravvissuto alla fine del renzismo, potrebbe essere utile al ministero del Lavoro, ma non ha il peso politico per gestire via XX Settembre.
Se si allarga lo sguardo fuori dai confini ristretti dei partiti, due candidati di valore ci sarebbero: Enrico Giovannini e Fabrizio Barca, tecnici ma non troppo, con idee precise che non sono certo compatibili con tutte le coalizioni.
L’ex presidente dell’Istat ed ex ministro del Lavoro del governo Letta in questi anni si è fatto interprete dell’agenda degli obiettivi di sviluppo dell’Onu, i millenium development goal: basterebbe seguire quelli, analizzati da Giovannini nel suo libro L’Utopia sostenibile e sostenuti dal lavoro della Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), per avere un perfetto programma di legislatura adatto sia a Pd che a M5S. Dall’ambiente all’energia al sociale, dati e proposte concrete, assai diverse dalle frasi da Bacio perugina che ripete Nicola Zingaretti.
Fabrizio Barca al ministero dell’Economia ci ha passato una lunga carriera, prima di fare il ministro per la Coesione territoriale con Monti e lanciare varie iniziative di politica tradizionale ma fuori dai partiti, l’ultima delle quali è il Forum diversità e disuguaglianze: una rete di associazioni che ha elaborato proposte coraggiose ma fattibili che, anch’esse, sarebbero una base seria per un governo di centrosinistra (riforma della tassa di successione, una dote a tutti i giovani maggiorenni, una nuova politica industriale per l’innovazione).
Giovannini e Barca sono due risorse preziose. Sarebbero ottimi ministri. Ma se devono essere arruolati soltanto per poi ricominciare con il solito tiro al bersaglio con il solo obiettivo di fare qualche punto in più di deficit, allora lasciateli dove sono. In questi anni hanno dimostrato che si può fare politica anche dalla società civile, senza candidarsi e senza compromessi, con la forza delle idee.
Una lezione che il Pd ma anche e soprattutto il M5S dovrebbero tenere ben presente.
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