È apparsa recentemente la notizia di un’indagine svolta dal Center for the Governance of Change dell’università IE di Madrid (un’università privata in area economico-finanziaria e giuridica), che ha investigato l’atteggiamento dei cittadini europei nei confronti dei cambiamenti tecnologici e come pensano i loro governanti debbano gestire queste trasformazioni. Il rilevamento, condotto su 2.576 cittadini di otto nazioni europee, ha riscontrato che tre cittadini su quattro ritengono che, se non adeguatamente controllate, le nuove tecnologie causeranno più danni che benefici nel prossimo decennio. E si aspettano quindi che i governi approvino leggi per evitare che la crescente automazione sia causa di perdita di posti di lavoro. In aggiunta, sette cittadini europei su dieci sono preoccupati che in futuro le persone spendano più tempo socializzando online invece che di persona e ritengono che il sistema educativo non li prepari adeguatamente alle sfide delle nuove tecnologie.

Viene inoltre riportata una certa disillusione verso l’attuale classe politica, tant’è che un cittadino europeo su quattro dichiara che preferirebbe essere governato da un’intelligenza artificiale invece che da politici in carne ed ossa. Quest’ultimo elemento in sé mi fa un po’ rabbrividire: l’idea che qualcuno pensi che le macchine siano meglio degli esseri umani indica quanto poco le persone in generale siano non dico educate, ma almeno informate su cosa sia l’informatica, la disciplina scientifica che è dietro la trasformazione digitale e cosa sia realistico aspettarsi dai sistemi di intelligenza artificiale, uno dei settori dell’informatica in cui in questo momento è concentrata l’attenzione di tutti.

Ed è ancora più rabbrividente il fatto che i laureati siano più favorevoli a questa soluzione rispetto a chi una laurea non ce l’ha. A mio avviso questo può essere spiegato dai recenti risultati della psicologia sociale sulla relazione inversa tra livello culturale e capacità di valutare in modo oggettivo temi politicamente controversi. Tale ricerca ha infatti evidenziato che, mentre persone culturalmente più preparate sono meglio in grado di valutare fatti oggettivi presentati in maniera neutra (per esempio il risultato di un trattamento dermatologico), quando invece le stesse evidenze sperimentali sono presentate in un contesto caratterizzato da un punto di vista politico-sociale (per esempio il risultato di una politica di controllo delle armi private) allora lo stesso gruppo di persone valuta la situazione in maniera peggiore di chi è meno preparato culturalmente.

Da scienziato, ho poi delle perplessità su come sono stati riportati i risultati di questa specifica domanda. È stata infatti formulata come “Che ne pensi di consentire a un’intelligenza artificiale di prendere importanti decisioni su come governare il Paese?” (How do you feel about letting an artificial intelligence make important decisions about the running of the country?) ma si riportano in modo aggregato le risposte: “in qualche modo favorevole” (somewhat in favor) e “completamente favorevole” (totally in favor), senza fornirne i valori separati e senza sapere quali siano le altre possibili risposte e con quale frequenza media siano state scelte. Siamo tutti d’accordo, penso, che tra “in qualche modo” e “completamente” c’è una bella differenza.

Ho infine una riflessione importante relativa al pensiero critico e all’educazione ai media, temi che dovrebbero far parte dello studio dell’educazione civica recentemente reintrodotta nelle scuole e che sarà discussa in questi giorni alla Camera. Se si riflette con calma prestando attenzione al punto di vista complementare, si nota infatti che il dato riportato implica che tre cittadini europei su quattro si oppongono a quest’idea di essere governati da “macchine intelligenti”. Al contrario, il comunicato stampa e il lancio della notizia si sono concentrati su quel cittadino su quattro che vuole essere governato dalle macchine, come a voler suggerire – a pensar male si fa peccato, ma… – che invece di una democrazia a suffragio universale che elegge “politici incapaci” siano meglio asettiche “macchine intelligenti” che non sbagliano mai. Mi sembra un’osservazione rilevante sul piano politico e mediatico. Cui prodest?Quis custodiet ipsos custodes?, si studiava un tempo al liceo.

Il dialogo con i lettori interessati proseguirà, trascorso il tempo qui disponibile per i commenti, su questo blog interdisciplinare.

L'articolo Intelligenza artificiale in politica, l’idea di farsi governare dalle macchine mi fa rabbrividire proviene da Il Fatto Quotidiano.



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