gennaio 2018

Se l’Italia è messa peggio della Grecia, il prelievo forzoso è un tema attuale? “La questione non esiste”. E se lo dice Giuliano Amato c’è da crederci. Fu il suo governo del resto che nella notte fra il 9 e il 10 luglio 2010 mise le mani nei conti correnti degli italiani prelevando forzosamente il 6 per mille su tutti i depositi bancari. Un decreto legge urgente che gli italiani ricordano molto bene. Il motivo? La lira era sotto attacco speculativo e l’obiettivo era evitare che la moneta uscisse dal Sistema monetario europeo (Sme). Altri tempi, certo. Ma di sicuro non più facili di quelli attuali tracciati nei giorni scorsi da Amato nel corso di un incontro romano organizzato dallo studio legale Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners per presentare il volume The World in 2018 di Nomisma curato da Andrea Goldstein e Julia K. Culver.

Nonostante il recupero della crescita in Europa, “mai gli esperti sono stati più guardinghi sul futuro”, ha spiegato Amato che ha evidenziato almeno quattro motivi di preoccupazione per il futuro del Vecchio Continente. Il primo è il fatto che gli strumenti utilizzati tradizionalmente per l’analisi del ciclo economico potrebbero non essere in grado di intercettare eventuali shock. Il secondo va dalle turbolenze politiche fino al rischio di guerre, il terzo è l’innovazione che se in futuro creerà posti di lavoro, “nell’immediato li distrugge”. Ed il quarto è il “discontent”, quel sentimento che logora chi non riesce ad ottenere benefici dall’economia. “Ci sono persone che quando arrivano a lavorare si accorgono che il loro stipendio non è sufficiente a vivere e quindi sono scontenti”, ha spiegato l’ex premier. Almeno però, secondo Amato, in Europa c’è ormai la consapevolezza che non si possono risanare i debiti senza tener conto dell’impatto su economia e imprese perché “è sbagliato”.

Certo per il futuro dell’Italia sarà centrale il nuovo governo. Ma come sarà composto? “Una volta quando si giocava al Totocalcio, nelle partite complesse si mettevano le tre opzioni 1, 2 e X. Per l’Italia le tre opzioni non bastano. Ce ne sono quattro”, commenta Amato richiamando l’ipotesi di un governo del presidente alla ricerca di maggioranze parlamentari o di un esecutivo di centrodestra alla continua soluzione dei contrasti interni. O magari di un’intesa trasversale Forza Italia e Pd o infine un governo a 5 Stelle. “Tutto dipende dalle forze dei partiti non populisti e dal fatto che trovino al loro interno la forza di fare quello che devono. Se no, nella migliore delle ipotesi, capiterà come in Grecia dove il più credibile è stato Syriza che era il meno credibile”. E se intanto in primavera salissero i tassi d’interesse? “Come se la potrebbero cavare i Paesi con un debito sopra il 100%? Quali divari si verrebbero a creare?”, si è domandato legittimamente Amato. Difficile dirlo, perché di certo non basterebbe un prelievo una tantum ad invertire la rotta.

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E’ in corso un involontario esperimento di psicologia sociale, iniziato con un presunto scandalo in studi tossicologici sull’uomo. La storia comincia con una segnalazione del New York Times, ripresa ampiamente dalla stampa tedesca, secondo la quale nel 2014 era stato condotto un test contraffatto su alcune scimmie, finalizzato a valutare la tossicità dei gas di scarico. Lo scandalo stava nel fatto che la ditta produttrice dell’auto (Volkswagen, membro del consorzio EUGT) aveva utilizzato un’automobile truccata per produrre minori emissioni di scarico: le automobili effettivamente vendute al pubblico ne producevano in maggiori quantità. L’effettiva truffa industriale, rimbalzando tra un giornale e l’altro però passa in secondo piano: il pubblico si indigna di più per la sorte delle scimmie.

Poiché lo scandalo vende bene, i giornali indagano, e scoprono che nel 2016 il consorzio EUGT (oggi disciolto) formato a scopo di studio dalle più grandi case automobilistiche tedesche aveva finanziato uno studio sull’uomo finalizzato a valutare le soglie di tossicità di un gas contenuto negli scarichi delle auto, il diossido di azoto (NO2, anidride nitroso-nitrica). Lo studio, svolto presso l’Università di Aachen e pubblicato nel 2016, era stato approvato dal Comitato Etico ed i partecipanti avevano firmato un consenso informato. Come in tutti gli studi finalizzati a misurare le soglie di tossicità, la concentrazione del tossico nell’aria inspirata dai soggetti era bassa: lo scopo di questi studi è stabilire quali livelli di tossico siano tollerabili prima dell’apparizione dei sintomi. Ovviamente nessuno dei soggetti aveva lamentato danni.

A questo punto la notizia diventa una bomba: esperimenti sull’uomo, condotti coi gas, dai tedeschi! Angela Merkel si indigna e promette indagini; lo stesso fa il portavoce della commissione Ue, Margaritis Schinas, che auspica che “una azione urgente”. Nessuna delle due capisce un’acca di ricerca nella tossicologia e il coordinatore scientifico del disciolto consorzio EUGT, Helmut Greim, professore emerito di tossicologia, nel difendere gli esperimenti nota che chi parla “dovrebbe prima informarsi”. Ma naturalmente sia Angela Merkel che Margaritis Schinas si saranno informate benissimo con i rispettivi consulenti, non tanto sulle metodiche della ricerca tossicologica quanto sull’opportunità di esprimersi nel modo che garantisce loro di non perdere voti, e semmai di acquistarne. Lo stesso tipo di informazione, finalizzata a non perdere clienti, sarà stata cercata e ottenuta dall’amministratore delegato di Volkswagen, Matthias Mueller, che ha licenziato (immagino con una buonuscita più che adeguata) il “responsabile”, Thomas Steg.

Come stanno realmente le cose, al di là del polverone, potrebbe essere facilmente accertato da chiunque, anche digiuno di tossicologia (come il sottoscritto). Ovviamente non è credibile che l’Università di Aachen svolga studi sull’uomo senza rispettare le regole etiche, come non è credibile che studi non etici siano approvati dai revisori della rivista e pubblicati. La rivista sulla quale è stato pubblicato lo studio sui venticinque soggetti umani si chiama International Archives of Occupational and Environmental Health ed è pubblicata da Springer, un editore molto serio. Se uno va sul sito web scopre che viene pubblicato un fascicolo al mese e che nello stesso volume (89) e fascicolo (6) in cui appare lo studio incriminato ce n’è anche un altro, condotto in modo simile su 26 donne, volontarie, a cui era stata somministrata ammoniaca. Volendone cercare, ovviamente, ci sono moltissimi studi simili sulla stessa e su altre riviste: il metodo è infatti comune. Pochissimi altri studi di tossicologia, però, si prestano a montare uno scandalo: non hanno dietro i colossi dell’industria automobilistica, quindi mancano sia il colpevole occulto che gli interessi economici. Chi si indigna per uno studio finalizzato a scoprire le soglie di tossicità dell’ammoniaca usata nelle pulizie domestiche?

Un bello scandalo è utile a molti: i giornali vendono copie, i politici acquistano visibilità e la stesse case produttrici di automobili colgono l’occasione per dissociarsi dagli studi che commissionano. I ricercatori che hanno materialmente condotto lo studio restano presi nella trappola, ma di fatto non rischiano quasi nulla, a parte la pubblicità negativa: infatti il magistrato che indagherà richiederà perizie di specialisti sullo studio incriminato e queste dimostreranno che c’erano sia il parere del Comitato Etico che il consenso informato dei partecipanti, i quali potevano in qualunque momento ritirarsi dall’esperimento. La conclusione giudiziaria sarà un non luogo a procedere. Nessun danno a nessuno dunque? Non proprio: molti ricercatori si sono stancati di questo gioco al massacro nel quale vengono indicati come “i colpevoli” e riducono le loro attività di ricerca e docenza al minimo contrattuale (che è poco). Meno studi, sugli animali e sull’uomo significano ovviamente meno farmaci, meno vaccini, meno valutazioni precauzionali tossicologiche; e significano maggiore forza alle posizioni di quelli che “io non sono contrario, ma servono studi certi”.

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Noi con l’Italia tenta l’aggancio della soglia di sbarramento del 3 per cento, molto vicina, ma per il momento ha più di un problema con le proprie liste di candidati in Lombardia, una delle Regioni in cui è più forte quella che è stata chiamata la “quarta gamba” del centrodestra. La Corte d’Appello di Milano ha infatti contestato le candidature in 17 collegi uninominali. Mancano dei documenti, come la dichiarazione di accettazione della candidatura da parte dei rispettivi candidati di coalizione. Documenti che, secondo i rappresentanti del centrodestra, sarebbero però stati depositati dalla Lega per Lombardia 1, e da Forza Italia per Lombardia 4, in quanto i quattro partiti si erano divisi, per motivi organizzativi, la presentazione delle candidature comuni. Nelle prossime ore sarà depositato il ricorso di Noi con l’Italia, che dovrà essere vagliato dalla Cassazione.

Tra le 15 candidature in Lombardia 1 contestate ci sono anche i nomi della leader del movimento animalista Michela Vittoria Brambilla, degli assessori lombardi Massimo Garavaglia (Lega) e di Valentina Aprea (Forza Italia) e l’avvocato Cristina Rossello, che ha assistito Silvio Berlusconi nella fase iniziale della causa di separazione da Veronica Lario. Gli altri candidati “a rischio” sono Andrea Crippa, Paola Frassinetti, Andrea Mandelli, Jari Colla, Luca Squeri, Guido Della Frera, Alessandro Morelli, Igor Iezzi, Laura Molteni, Federica Zanella e Graziano Musella.

Stop, per il momento, anche alle candidature del Partito Repubblicano-Ala e di Grande nord nelle circoscrizioni lombarde per il Senato. Le due liste sono state dichiarate inammissibili con Democrazia cristiana, Siamo, Italia agli italiani, Destre unite, Partito comunista e Valore umano. In tutto sono 22 le liste che hanno formalizzato la richiesta di candidatura al Senato. “Faccio un appello al presidente Mattarella, che riguarda non solo noi, affinché vigili – dichiara Marco Reguzzoni, ex leghista e ora leader di Grande Nord – In uno Stato democratico la democrazia deve essere compiuta, non possiamo impedire alla gente almeno di partecipare alla competizione elettorale”.

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Florian Philippot è stato il direttore della campagna presidenziale di Marine Le Pen, uno degli uomini più importanti del Front NationalDa quattro mesi ha fondato il suo partito, “Les Patriotes”, che, in occasione di una conferenza alla Fondazione Feltrinelli di Milano, ha definito “non identitario, non nazionalista e profondamente repubblicano” anche se, in testa ha un forte controllo dell’immigrazione e l’obiettivo della “Frexit” e raccoglie molte delle istanze dei movimenti di estrema destra che in tutta Europa stanno prendendo piede.

“Destra e sinistra stanno scomparendo” ha spiegato ” i vecchi schieramenti alimentano l’astensionismo. Il vero dibattito è tra chi crede nella propria patria e chi non ci crede più”.

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La leggi sul fine vita entra in vigore anche in pratica: da oggi, mercoledì 31 gennaio, è possibile consegnare negli uffici comunali le disposizioni anticipate di trattamento (Dat), ovvero il cosiddetto testamento biologico. La norma prevede la creazione dei registri comunali dove ogni persona può depositare la dichiarazione sulle terapie sanitarie che intende o non intende ricevere nel caso non sia più in grado di prendere decisioni o esprimere chiaramente la propria opinione. Se alcuni comuni, come Napoli o Padova, si sono già dotati da tempo di un servizio dedicato, in altre città la situazione è ancora poco chiara: “Dalla grande quantità di domande e segnalazioni che ci pervengono – denuncia all’Ansa Marco Cappato – possiamo affermare che il grado di conoscenza di questa legge da parte degli uffici comunali ma anche dei medici è ancora molto basso“.

COME FARE PER CONSEGNARE LE DAT
Tutti i cittadini maggiorenni possono redigere il biotestamento. Dopo aver compilato un campo in cui siano contenuti i dati anagrafici del firmatario, viene la parte del consenso a essere informati sulle proprie condizioni di salute e a informarne altre persone, tra le quali si possono indicare persone fidate o familiari. Poi ci sono le direttive specifiche, la parte più importante e complessa del documento per il quale è preferibile essere aiutati da un medico, perché prevedono le varie casistiche che potranno occorrere e cosa fare in caso di terapie che non si vogliono ricevere. Importante è anche l’indicazione di un fiduciario, perché anche i parenti non sono automaticamente investiti dell’autorità di prendere decisioni se non specificato. L’accettazione della nomina avviene attraverso la sottoscrizione delle Dat o con atto successivo che sarà allegato al testamento biologico.

Il documento può essere compilato a mano o si può scaricare un modulo (tra cui quello presente sul sito dell’associazione Coscioni). In caso non sia possibile redarre un documento scritto, si può fare biotestamento attraverso una videoregistrazione o utilizzare un dispositivo che permetta alle persone con disabilità di comunicare. Le Dat si possono rinnovare, modificare o revocare in ogni momento. Non vanno pagati bolli o tasse sul documento. Le disposizioni vanno poi autenticate: si possono presentare a un funzionario pubblico designato o a un qualsiasi pubblico ufficiale, come un notaio, oppure si può procedere con  una “scrittura privata autenticata”, facendo autenticare la firma. Bisogna conservare una copia per se stessi e l’altra invece va consegnata all’ufficio dello stato civile del comune di residenza che provvede all’annotazione in un apposito registro, se istituito. Oppure nelle strutture sanitarie, qualora la Regione di residenza ne regolamenti la raccolta o in ultima alternativa da una persona di fiducia.

LA SITUAZIONE
Lo sportello del Comune di Milano dove è possibile consegnare il testamento biologico è in funzione dalla mattina di mercoledì 31 gennaio: si trova nella sede dell’anagrafe in via Larga, è aperto dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12. Come nel capoluogo lombardo, anche Padova è già pronta ad accogliere le Dat, che possono essere consegnate personalmente al Servizio dello Stato civile. “Siamo tra i primi comuni ad attivarci per questo servizio”, ha detto l’assessora ai servizi demografici Francesca Benciolini. E in effetti, se alcune città si sono attivate per tempo o, come nel caso di Napoli, già disponevano di un registro per il testamento biologico, in altre la situazione non è così virtuosa.

“La ministra della Salute – Beatrice Lorenzin – invece di inseguire l’obiettivo impossibile di una imposizione di coscienza non prevista dalla legge, dovrebbe innanzitutto mettere in atto un piano di informazione sistematica e capillare dei medici al servizio dei cittadini e dei loro diritti”, afferma Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni. “Siamo stati contatti anche da consiglieri comunali, in cerca di informazioni su modalità di attivazione del registro comunale”, denuncia sempre Cappato. “È ancora una legge molto lenta a diventare pratica e attuabile. È una norma che ha bisogno di tanta chiarezza, tanta informazione. L’ho vissuto sulla mia pelle: il malato ancora non è al centro”, dice anche Sandra Gesualdi – figlia di Michele, politico, malato di Sla, impegnato sul biotestamento, morto il 18 gennaio scorso – parlando con i giornalisti a margine della presentazione dei candidati toscani di Liberi e uguali, per cui correrà alla Camera nell’uninominale in Toscana.

Cappato ha annunciato che “in totale, finora sono stati 14mila i testamenti biologici redatti e depositati con il modulo dell’associazione Coscioni”. “Chiediamo alle istituzioni ad ogni livello – si legge in una nota dell’associazione pubblicata martedì – di informare correttamente i cittadini sui loro nuovi diritti, alle Regioni di inserire le Disposizioni anticipate di trattamento nella tessera sanitaria e ci prepariamo a presentare denunce penali contro eventuali provvedimenti di questo o dei futuri Governi che mirassero a introdurre inesistenti possibilità di imposizione di coscienza da parte delle strutture sanitarie private sulla pelle dei cittadini malati”.

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“Credo ragionevolmente di poter ambire alla poltrona di presidente del Consiglio. Nessuno mi prende sul serio ma nessuno mi prendeva sul serio anche quando a 29 anni mi sono trovata a presiedere la Camera alla mia prima legislatura nelle vesti di vicepresidente”. Sono le parole pronunciate a L’Aria che Tira (La7) da Giorgia Meloni, leader e candidata di Fratelli d’Italia alla presidenza del Consiglio. “Sto lavorando perché Fdi possa essere il primo partito della coalizione” – continua – “I dati dicono che Fdi è il partito che sta crescendo di più nella coalizione”. Poi si pronuncia su una eventualità affinità col M5s, che smentisce: “Sul tema dell’immigrazione non c’è alcuna vicinanza tra noi e i 5 Stelle. Loro sembrano quei flaconi del vuoto a rendere: la mattina entrano nell’euro e la sera escono. Dicono tutto e il contrario di tutto”

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“Per affetto uso una metafora da Prodi. Lui ha detto che ha succhiato l’osso nel referendum, adesso ho l’impressione che ne succhi un altro ma prima o poi, secondo me, bisogna dir basta perché se no si rischia di lasciare alla deriva le nostre idee e valori che so che son comuni”. Così Pierluigi Bersani, a Bologna per presentare i candidati locali della lista “Liberi e Uguali”, ha commentato l’esternazione di ieri di Prodi, secondo cui la formazione di Pietro Grasso nata alla sinistra del Pd “non sarebbe per l’unità di centro sinistra”. “Quanto poi alle inclusioni e alle esclusioni faccio notare a Prodi che tutti quelli che parlavano del Pd nel centro sinistra sono stati spianati – ha continuato – Adesso qua nel cuore dell’Emilia abbiamo la Lorenzin e Casini”. E sulla candidatura di Casini si è espresso anche l’ex governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani, candidato al Senato per Liberi e Uguali e suo avversario politico nel collegio dove è candidato all’uninominale: “Conosco da anni Casini, lo stimo, lo rispetto, ma, come tutti sanno, le radici non sono acqua: né per lui, né per me. Per me non sarà mai una lotta contro qualcuno”. E sulla convergenza tra Pd e Forza Italia, “c’è già se si guarda a ieri a quello che è successo in commissione banche – conclude Bersani – Ci sono stati quattro assenti di Forza Italia che sono usciti per far passare il documento di Casini, se no non passava”

L'articolo Elezioni, Bersani a Prodi: “Ho affetto, ma succhia un altro osso…”. E sul Pd: “Intesa con Foza Italia? C’è già” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Luigi Di Maio le chiama “eccellenze” e sono la più grande novità del nuovo Movimento 5 stelle. Ma non tutti sono d’accordo. Perché tra i tanti nomi che i grillini hanno candidato andandoli a pescare tra gli esterni, ci sono anche molti che in passato hanno militato (chi più e chi meno) con altri partiti. A parlare per tutti c’è stato il caso di Rinaldo Veri, già eliminato, che non solo era consigliere comunale a Ortona ma pure si era candidato sindaco con una lista civica supportata dal Pd; poi è stato il turno di Nicola Cecchi che correrà nel collegio di Firenze e che era un ex tesserato Pd e ha fatto campagna per il Sì al referendum: nessuna di queste attività è vietata dalle nuove regole, per cui per ora rimane in sella. Sono solo alcuni dei malumori che i grillini si trascinano dietro in questi primi giorni di campagna elettorale. Fa discutere la selezione, ma anche l’interpretazione delle regole. Ad esempio in Lombardia, molti attivisti ancora non digeriscono il fatto che il consigliere regionale uscente Stefano Buffagni sia stato messo in seconda posizione nel suo collegio dietro Paola Carinelli, non residente della zona. C’è stato un mail bombing, ma le cose non sono cambiate.

Il discrimine da tenere in mente è che, per chi si è autocandidato alle parlamentarie, l’unica regola era quella di non essersi candidato contro il Movimento dopo la sua fondazione (ottobre 2009). Norma però che non conta per i nomi voluti personalmente da Luigi Di Maio per i collegi uninominali che sono stati selezionati tra gli esterni e che quindi, salvo aver ricoperto incarichi, non avevano particolari limiti. Tra i casi che stanno montando nelle ultime ore, balza agli occhi quello di Francesco Mollame, candidato a Marsala con il M5s nel collegio uninominale al Senato: nel 2008 Mollame si era candidato sindaco a Partinico con l’Mpa di Raffaele Lombardo. “Ma chi ha scelto questo nome? I referenti di Di Maio, Corrao e Cancelleri, avranno controllato prima di evitare figuracce giusto?”, ha scritto in un post l’ex grillino Riccardo Nuti, imputato nel processo sulle presunte firme false raccolte dal Movimento per le amministrative di Palermo nel 2012. Sempre in Sicilia un altro caso che mal viene digerito dalla ‘base’ riguarda Gaspare Marinello, il cui nome compare nel listino dell’uninominale di Agrigento per il Senato: Marinello è stato candidato con il Pdl alle amministrative a Sciacca nel 2009. In corsa in Sicilia anche Vittoria Casa, candidata con il M5s nel collegio uninominale a Bagheria ma ex assessore, già segretaria Pd e coordinatrice dei Dem.

Critiche anche per la candidatura di Paolo Lattanzio, ex area Pd, candidato a Bari nel collegio uninominale. E’ in corsa in Calabria invece, sempre all’uninominale al Senato, Silvia Vono, ex assessore nel 2014 nella giunta di Ernesto Alecci, eletto a Soverato con una civica di centrosinistra. Vono è stata anche presidente del circolo Idv locale. A Torino fa discutere poi la candidatura di Paolo Turati, candidato nel collegio uninominale della Camera, in passato vicino anche a Forza Italia. Polemiche anche sul nome di Leonardo Franci, candidato del Movimento 5 Stelle all’uninominale della Camera per il collegio di Siena, per la sua presunta tessera con la Lega e le sue passate candidature alle amministrative nel valdarno aretino a sostegno del centrodestra.

Capitolo a parte merita il caso Buffagni. Il consigliere regionale uscente è anche uno degli uomini più fidati di Di Maio e Casaleggio al Nord. A lui è stato chiesto di correre per il Parlamento e a lui di gestire buona parte della campagna elettorale con gli imprenditori. Buffagni risulta candidato all’uninominale a Sesto San Giovanni, ma è pure secondo nel collegio 2 della circoscrizione Lombardia 1 (dove è residente). Al primo posto è stata messa la deputata Paola Carinelli, anche se non è residente in zona. Il motivo? Un’interpretazione del regolamento secondo cui i primi tre più votati alle parlamentarie nelle grandi città dovevano essere messi come capolista nei singoli collegi. Una decisione che ha provocato molte polemiche a livello globale perché membri degli organi di garanzia, cioè coloro che devono vigilare sulla buona applicazione delle norme, sono sia Carinelli che il suo compagno Vito Crimi (capolista del collegio 2). Per chiedere un intervento dello staff nei giorni scorsi si sono mossi addirittura gli attivisti con un mail bombing di alcune ore, ma niente è cambiato e le liste sono state consegnate così. “Io ho la schiena dritta”, ha scritto Buffagni sulla sua pagina Facebook, “la testa dura, il cuore saldo e posso continuare a guardarmi allo specchio senza vergogna. Contento di essere sempre lo stesso lottatore e sognatore. Io non sono un paracadutato come quelli del Pd“. Gli hanno risposto in tanti: “Che vergogna, e non ditemi che sono state rispettate le regole perché questa è una storia schifosa che se avessero fatto nel Pd li avremmo uccisi di critiche”, ha scritto Massimiliano.

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Molti followers di Flavio Briatore sono insorti contro di lui giudicandolo come irresponsabile, dopo che ha postato un video su Instagram che mostra lui e il figlio Nathan, 7 anni, impegnati in una gara di velocità a bordo di due quad. Il video è stato girato su una spiaggia del Kenya e mostra chiaramente che i due non portano il casco.

Le prime polemiche hanno alterano l’imprenditore che ha risposto ai commenti: “Eravamo su una spiaggia deserta.. ma voi che vita vivete sempre a fare i perfettini, questo sì questo no sempre a sentenziare… io mi diverto alla faccia vostra“. Successivamente, però, al culmine delle critiche ricevute, tutte riguardanti il pericolo fatto correre al figlio, Briatore ha cambiato i toni: “Avete ragione, da ora in poi metterò il casco a mio figlio”.

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“Non ho taroccato nessuna informativa su Tiziano Renzi. Ma chi lo avvertì che aveva il telefono sotto controllo?”. È la domanda posta dal maggiore Gianpaolo Scafarto ai cronisti che gli chiedevano un commento alla fine dell’interrogatorio di garanzia legato al provvedimento di interdittiva con il quale è stato sospeso dal servizio per un anno. “In questa vicenda restano ancora tante domande”, dice il carabiniere che insieme ai colleghi del Noe era titolare dell’indagine sul caso Consip, nella quale il padre dell’ex presidente del Consiglio è indagato per traffico di influenze.

Quali sarebbero queste domande legate all’indagine? Una, sostiene Scafarto, è quella relativa “alla chiamata che il 7 dicembre 2016, Roberto Bargilli, autista del camper di Matteo Renzi, fece all’imprenditore Carlo Russo invitandolo per conto di Tiziano Renzi a non chiamare più ‘il babbo’. Per questo motivo il militare si chiede: “Chi ha avvertito Renzi senior che aveva il telefono sotto controllo?”. Le captazioni della procura di Napoli sul telefono del padre del segretario del Pd sono iniziate il 5 dicembre. La telefonata di Bargilli, quindi, arriva 48 ore dopo l’inizio delle intercettazioni telefoniche.

Secondo le dichiarazioni dell’ex ad di Consip Luigi Marroni, che ha recentemente consegnato uno scambio di mail con Tiziano Renzi ai magistrati romani, in precedenza c’erano state altre quattro fughe di notizie veicolate dall’allora sottosegretario Luca Lotti, dal manager di Publiacque Firenze Filippo Vannoni, dal comandante toscano dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia e dal comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette. Sono le quattro persone dalle quali l’ex numero uno della centrale acquisti della pubblica amministrazione sostiene di aver saputo delle cimici nel suo ufficio.

Ad essere a conoscenza delle intercettazioni a carico di Renzi senior, secondo Scafarto, erano in tre: “Il sottoscritto, il pm Henry John Woodcock e un maresciallo e io posso dire di non avere rivelato alcun segreto. Noi non ne parlammo con nessuno: chi ha dato quella informazione? Io aspetto una risposta”, dice il militare, che è sotto inchiesta per depistaggio, falso e rivelazione del segreto d’ufficio proprio in relazione al caso Consip. In un atto d’indagine, il carabiniere ha attribuito la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” ad Alfredo Romeo, l’imprenditore ora in carcere percorruzione. In realtà a pronunciare quella frase (senza che si riferisse a Tiziano Renzi) era stato l’ex parlamentare Italo Bocchino, anche questi indagato per traffico di influenze. Scafarto, dichiarandosi “provato” dalla vicenda, ribadisce di non aver “mai taroccato” alcuna informativa. “Anzi – specifica- ricordo una volta di aver corretto quanto verbalizzato da un mio collaboratore che attribuì erroneamente a Marco Carrai (vicino alla famiglia Renzi, ndr) una conversazione riconducibile invece ad altro soggetto”.

Il 19 dicembre scorso la procura di Roma ha chiesto al giudice per le indagini preliminari Gaspare Sturzo altri sei mesi di tempo per indagare sui filoni principali dell’inchiesta. La richiesta riguarda 12 persone finite sotto inchiesta: il ministro Luca Lotti, il generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchial’imprenditore Carlo Russoil comandante dell’Arma Tullio del Settel’imprenditore Alfredo RomeoItalo Bocchino, l’ex ad di Consip Domenico CasalinoFrancesco Licci, Silvio GizziTiziano Renzi, il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni l’ex presidente di Consip Luigi Ferrara.

Nel motivare la richiesta di proroga, gli inquirenti affermano che per quanto attiene il filone sulla fuga di notizie sono “tuttora in corso le attività istruttorie volte a ricostruire la catena di comunicazione all’interno della struttura gerarchica dell’Arma, così come i contatti  tra le persone che legittimamente erano a conoscenza dell’indagine e gli indagati”.

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Cuneo, gli industriali ai giovani: «Se volete lavorare non studiate troppo». Parole chiare, dirette, senza troppe perifrasi. Parole nelle quali si condensa, in fondo, l’eterno problema del rapporto tra potere e sapere. Il messaggio è forte e chiaro: se siete colti, formati e pensanti siete un problema, cari giovani. È proprio così. Nulla è più fastidioso e insopportabile, per chi comanda, di un sottoposto che sappia pensare con la sua testa e, dunque, valutare da sé, con occhio vigile e mente libera, senza accettare in silenzio e con irriflessa passività il comando ricevuto. Lo sappiamo, nihil novi.

Da sempre il potere odia il sapere: mira a contenerlo, a limitarlo, ad amministrarlo, di modo che esso possa essergli funzionale e, comunque, mai si attivi per metterne in discussione l’assetto. Il potere odia il sapere e, in ogni caso, preferisce l’ignoranza. Che è troppo spesso sinonimo di passività e disponibilità a obbedire cadavericamente, senza battere ciglio. Ora tutti si fingono increduli per la frase, certo un po’ brusca, ma se non altro schietta e diretta, degli industriali di Cuneo. E magari a fingersi increduli sono gli stessi che da anni, a colpi di “buona scuola” et similia, hanno attivamente operato per condurci nel baratro della società analfabetizzata e a ignoranza sempre più diffusa. Dove quel che conta – vi dice qualcosa la “alternanza scuola-lavoro”? – non è lo studio, ma il lavoro immediato e quelli che il sommo poeta chiamava “i sùbiti guadagni”.

Insomma, giovani. Sappiatelo: se studiate, siete pericolosi per il potere. E dunque, a maggior ragione: studiate con zelo e vera passione, non v’è nulla di più rivoluzionario!

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Treno esce da binari a Roma Termini: nessun ferito ma disagi e ritardi

L’incidente è avvenuto durante la manovra di trasferimento verso il deposito di un Frecciabianca senza passeggeri. Le cause sono in corso di accertamento, mentre nella stazione il traffico ferroviario ha subito modifiche e rallentamenti



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Legati dall’appartenenza allo stesso territorio (e pure allo stesso processo), volevano entrambi tornare a Roma. Il leghista Massimo Garavaglia, ex braccio destro di Roberto Maroni, ce l’ha fatta; il ‘berlusconiano’ Mario Mantovani, ex vicegovernatore della Lombardia, invece no. E non l’ha presa bene, abbandonando gli ‘azzurri’ dopo oltre vent’anni e preparando il trasloco in Fratelli d’Italia, dove porta in dote la figlia Lucrezia, candidata in extremis alla Camera con il partito di Giorgia Meloni. Ma tanti altri casi, in provincia di Milano, fanno discutere: nella Lega, in Forza Italia, nel Movimento 5 Stelle, in Liberi e Uguali e persino in CasaPound.

Cominciamo da Garavaglia, che è sotto processo a Milano per turbativa d’asta. La vicenda riguarda una gara da 11 milioni di euro indetta da Regione Lombardia, di cui il leghista è assessore al Bilancio, per il trasporto degli ammalati dializzati. Secondo la Procura, nel 2014, Garavaglia si è attivato per fermare illecitamente l’assegnazione del servizio, perché le Croci dell’Altomilanese, territorio nel quale l’assessore regionale vive e fa politica, erano stato escluse. Un sms del politico leghista all’allora vicegovernatore e assessore alla Sanità, Mario Mantovani, avrebbe innescato l’intervento del capo dell’Asl e il conseguente annullamento di una gara regolare. Ma Garavaglia ha pure un altro fronte giudiziario aperto, raccontato da ilfattoquotidiano.it in esclusiva nel luglio 2015: è indagato per una falsa testimonianza che avrebbe reso al processo sui rapporti tra la politica lombarda e la ‘ndrangheta, che portò alla condanna a 13 anni e 6 mesi di carcere dell’ex assessore della giunta Formigoni, Domenico Zambetti, per voto di scambio con la mafia. Garavaglia, in quell’occasione, fu chiamato a riferire circa una causa tra un comune del Milanese e il Consorzio Cav.To.Mi., la società che costruì una tratta lungo l’asse Milano-Torino del treno ad alta velocità. In sintesi, l’ex braccio destro di Maroni sarebbe intervenuto su un amministratore locale per convincerlo a non procedere contro il Consorzio, a sua volta accusato di aver provocato un danno da 400mila euro per escavazioni non autorizzate. Da 5 marzo Garavaglia, che due settimane fa avrebbe confidato ai colleghi di giunta di essere preoccupato per il processo in corso, potrà guardare ai suoi guai giudiziari con più serenità, dal momento che Matteo Salvini lo ha piazzato nel collegio ‘blindato’ di Legnano.

Diverso il caso di Mantovani, imputato assieme a Garavaglia per turbativa d’asta, ma anche per corruzione, concussione e abuso d’ufficio, nonché indagato a Monza per corruzione nell’inchiesta brianzola sui legami tra amministratori locali e imprenditori in odor di ‘ndrangheta e indagato, di nuovo a Milano, per peculato e false fatture in un’indagine sul denaro (anche pubblico) sottratto dal politico di Forza Italia alle Onlus e alle cooperative sociali a lui riconducibili mediante una serie di affitti fittizi. Nonostante Mantovani fosse un fedelissimo di Berlusconi, Forza Italia l’ha escluso dalle liste. E lui – che in un video qualche giorno fa aveva giurato fedeltà a Silvio: “Deciderà Berlusconi e noi ci adegueremo” – non ha gradito: “Questo partito non merita più il nostro impegno e il nostro cuore”. Per poi rivolgersi su Facebook ai suoi elettori: “Messi alla porta da Forza Italia e dovendo sostenere un nuovo leader nel centrodestra, chi indichereste tra Meloni, Parisi, Salvini e Lupi?”.

Finale scontato, il giorno dopo: “Prendo atto – scrive oggi Mantovani – delle vostre indicazioni per Giorgia Meloni. Avvierò subito i contatti opportuni”. In realtà, questa sorta di consultazione on line ha il volto di una grande finzione, perché l’ex delfino di Silvio, già ieri, aveva deciso di traslocare in Fratelli d’Italia. Non a caso le liste del partito di Meloni erano state riaperte per inserire nel listino della circoscrizione Lombardia 1 Lucrezia Mantovani: la figlia 32enne del politico pluri indagato, benché priva di qualsivoglia esperienza politica, è in ottima posizione, al secondo posto dietro Carlo Fidanza. Per essere eletta, però, FdI deve arrivare attorno al 6-7 per cento nell’Altomilanese. Opzione possibile, se Mantovani trasferirà una fetta importante dei suoi elettori (che sono tanti): nel 2013 alle Regionali fu il primo degli eletti con 15 mila preferenze) da Forza Italia a Fratelli d’Italia. Le operazioni sono già in corso.

Altre polemiche scuotono i partiti in provincia di Milano, dove due sindaci appena eletti sono pronti a dimettersi per una poltrona più importante. Corre per un posto al Senato con Liberi e Uguali il primo cittadino di Canegrate, Roberto Colombo. È in carica da appena 16 mesi. Stessa situazione per Christian Garavaglia (Forza Italia), sindaco di Turbigo, già noto alle cronache per le sue simpatie nei confronti dell’estrema destra e per le sue antipatie nei confronti della libertà di stampa: arrivò al punto di chiedere al prefetto di bloccare la pubblicazione di un giornale. Eletto nel 2016, è pronto a rimandare il suo comune al voto pur di volare al Pirellone: è in attesa della conferma della sua candidatura.

In casa Lega, invece, si registra più di un malumore per il cumulo di poltrone di Silvia Scurati, pupilla dell’ex assessore regionale Davide Boni: è consigliere comunale a Bareggio, è vicesindaco a Corsico e ora si prepara a correre per un posto in Regione. Identici mal di pancia anche in CasaPound, dove il leader dell’Altomilanese, Stefano Casari, ha preteso e ottenuto di essere l’unico candidato, sia alla Camera sia al Pirellone. Da ultimo, lo strano caso del ‘grillino’ Francesco Ippolito, di Bareggio, agita le acque nel Movimento 5 Stelle: candidato alle ‘parlametarie’ per il Senato ed escluso dal voto on line, i militanti si sono ritrovati il suo nome nel collegio uninominale della Camera, dove sfiderà, tra gli altri, l’animalista Michela Vittoria Brambilla. Capire come ciò sia stato possibile è un mistero.

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Addio alle “ombrelline”. La Formula 1 farà a meno delle ragazze ombrello a partire dal 2018: “Nell’ultimo anno abbiamo notato molte aree dello spettacolo che hanno bisogno di essere aggiornate e adeguate a quella che è la nostra visione dello sport”, hanno fatto sapere dalla Liberty Media che proprio da un anno è diventata proprietaria della Formula 1. Cambiamenti in vista, dunque, a cominciare dalle ombrelline: “Il loro utilizzo – continua ancora Sean Bratches, il managing director della F1 – è stato per decenni un elemento di base della F1. Oggi, invece, sentiamo chiaramente che questa pratica non è più consona con i valori del nostro marchio, ed è chiaramente in disaccordo con le regole di base della società moderna. Non pensiamo dunque che questa pratica sia più appropriata e nemmeno più tanto rilevante per la Formula 1 e per i suoi fan. Sia quelli nuovi, sia quelli vecchi, in tutto  il mondo”.  Un cambiamento che non passerà certamente inosservato. Dal 2018 la griglia di partenza avrà come protagonisti “performer, vip e invitati” selezionati dai vari organizzatori.

 

 

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Seguo il Movimento 5 Stelle da molti anni. Ho fatto diversi incontri con esponenti di rilievo sia regionali che nazionali. Sono stato aiutato in diverse battaglie sulla sanità regionale e nazionale. Mi pareva, essendo convinto che solo da dentro si possono cambiare le cose dopo 15 anni di lotte in solitario, giunto il momento di chiedere, senza necessità di iscriversi, di poter partecipare alle elezioni politiche nell’uninominale per le mie competenze in sanità.

Nessuno mi ha risposto. Evidentemente nessuno ha pensato che le mie idee fossero rilevanti.

Così devo convincermi che non interessano a nessuno le mie idee su un nuovo tipo di controllo sanitario sui pazienti e non sulle cartelle cliniche, da cui è partita la mia lotta per una nuova sanità dalla parte dei cittadini e non delle aziende sanitarie. Devo convincermi che non interessano a nessuno le mie idee sul controllo soggettivo dei dati sanitari non lasciati in mano ad enti pubblici o, peggio, privati. Devo convincermi che non interessano a nessuno il controllo sugli appalti di strumentario sanitario tali per cui i soldi pubblici vengono “utilizzati” per interesse privato. Devo convincermi che la mia lotta per il caso Avastin-Lucentis, per far risparmiare un milione di euro al giorno di soldi pubblici, sia stata inutile se è vero come è vero che ad oggi non si è risolta perché il ministro della Salute, che si ricandida, non ha voluto risolverla. Devo convincermi che il rinvio a giudizio per diffamazione per i miei articoli su un frate francescano, che avrebbe dovuto salvaguardare la salute di persone deboli dove io ho prestato la mia opera gratuita, che spiegavano le cose per cui lui è stato rinviato a giudizio per appropriazione indebita, non sia onorevole.

Devo convincermi che queste, e tutte le altre idee, che potete trovare nei miei 300 post che questo giornale ha avuto la bontà di autorizzare alla pubblicazione, non abbiano nessun interesse per i politici. Ai politici interessano persone che si dimostrano pronti a cambiare casacca e modo di pensare al solo fine personale senza badare al bene comune. Queste persone, come altre, vengono valutate “supercompetenti”.

Nonostante ciò continuo a credere che questo Movimento possa avere, in alcune persone che ci credono fermamente e liberamente, la possibilità di cambiare il modo di dare salute. Per questo andrò a votare e dico a tutti di farlo. Ognuno scelga ed esprima il proprio voto come crede ma lo faccia.

Io in Regione Lombardia voterò Vincenzo Gulisano per quello che è e per quello che dice. Ascoltatelo. Parla dei controlli sanitari, come io ho studiato e pubblicato e come credo possano essere di aiuto per ridurre la medicina difensiva e l’abuso della professione medica.

A me non l’hanno permesso. Fatelo voi per favore.

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“Quello che è successo ad altre colleghe come me si chiama in un solo modo: VIOLENZA” è la denuncia indignata che Cristiana affida il 26 gennaio alla sua pagina Facebook raccontando di una perquisizione subita nei bagni del padiglione dove si stava svolgendo il concorso per entrare in magistratura. Tra i commenti al suo post anche quello di una donna che riferisce che l’estate scorsa è accaduta la stessa cosa. Mi domando che diamine sta accadendo a questo Paese? Che cosa sta passando sulla pelle delle donne? A volte si ha l’impressione che quanto più si smascheri il sistema di violenza simbolica, psicologica, fisica contro le donne quanto più quel sistema reagisce come fosse un mostro che ha molte teste. O forse tutto ciò accade a causa della decomposizione di una società che sta annichilendo la propria stessa civiltà, contaminata fin nelle fondamenta da una barbarie che ha fatto crollare il limite tra il lecito e illecito. O semplicemente accade che le donne hanno deciso di non tacere più.

Ho sentito Cristiana al telefono questa mattina, è un’attivista dell’associazione A.R.Pa che a Massa ha aperto il Centro antiviolenza Duna, forse ci siamo viste o incrociate a qualche convegno e condividiamo un percorso comune. Sappiamo che non ci sono luoghi immuni da violenza. Mi racconta: “La commissione dopo due ore (prima è vietato alzarsi) ci ha dato il permesso di andare in bagno a scaglioni. Ero in fila, davanti a me dieci ragazze e dietro altre. È arrivato un poliziotto della polizia penitenziaria che ci ha chiesto di andare nei bagni fuori ma alcune ragazze si sono rifiutate. Avevano già fatto venti minuti di fila e fuori faceva freddo”. A quel punto il poliziotto risponde “Vi faccio passare dei guai” e “Allora ti lascio cintura e pistola e lo fai te il mio lavoro” e arrivano due poliziotte che esordiscono dicendo “Non vogliono andare fuori che hanno freddo? Lasciatele stare qui che le riscaldiamo noi!”

Comincia così la perquisizione e Cristiana capisce che qualcosa non va quando vede uscire una ragazza dal bagno piangendo. “Mi dicono di mettermi nell’angolo del corridoio, vicino ai lavandini, chi si lava le mani può vedermi anche se le due agenti mi fanno da paravento. Mi fanno tirare su maglia e canottiera, davanti e dietro. Mi fanno slacciare il reggiseno. Poi giù i pantaloni, mi chiedono di girarmi e di tirare giù le mutande. Esito e a quel punto mi dicono: “Dottoressa, avanti! Si cali le mutande. Ancora più giù, faccia quasi per togliersele e si giri. Che ha? Il ciclo che non se le vuole tirare giù?” Mi sono rifiutata, rivestita e tornata al mio posto.

In Cristiana scatta qualcosa. Sa che nei concorsi è ammessa l’eventualità di perquisizioni per normali controlli ma quelle modalità le dicono altro: “Ho capito che c’era qualcosa che non andava perché mi sono sentita a disagio, stavo male e quando il corpo segnala malessere lo si deve ascoltare”.

L’associazione A.R.Pa in un comunicato stampa ha denunciato un abuso di potere, sostenuta dalla Rete Tosca: “Succedeva tanti secoli fa in un paese lontano, dove le donne erano considerate meno di zero, dove vigeva un regime antidemocratico, una dittatura militare, un paese dove la violenza e l’abuso di potere non erano reati perseguibili. Era l’anno 2018 del lontano paese del sud italico, nell’antica Roma”.
Le donne del Centro antiviolenza A.R.Pa si chiedono perché alle candidate non è stato richiesto di togliersi le scarpe e perché la perquisizione è stata fatta in mezzo a un corridoio e non in locali idonei. Cristiana ha qualcosa da dire anche sul comportamento della stampa italiana, alcune testate hanno preso le foto dal suo profilo Fb senza chiederle il permesso poi smentisce Repubblica.it che, citando fonti ministeriali ha scritto che copiava, le avevano trovato dei bigliettini addosso. “Non è vero assolutamente. Non mi hanno trovato nulla addosso, non sono stata espulsa dal concorso, né ho fatto avanti e indietro dal banco al bagno anche perché non sarebbe possibile, è vietato. Ho il verbale della commissione e posso dimostrare che questa cosa è falsa”. Sul caso è intervenuto anche Fabio Roia, presidente di sezione presso il Tribunale di Milano, che sul Corriere della Sera commenta: “Se le cose sono andate così – e non c’è motivo di dubitare di una ragazza seria che fa parte di un centro antiviolenza – deve intervenire la Procura. Esporre le parti intime per un concorso è disgustoso e spropositato”.

Cristiana mi saluta dicendo che farà un esposto al Consiglio superiore della magistratura e alla Procura. L’augurio è che le altre donne del concorso si uniscano a lei perché, come racconta Italo Calvino, il drago dalle sette teste lo si può sconfiggere. Insieme.

@nadiesdaa

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Un Frecciabianca è uscito dal binario durante il trasferimento verso il deposito alla Stazione Termini di Roma. Il treno in manovra era vuoto quando un carrello del vagone è uscito dalle guide per cause che devono ancora essere accertate. L’incidente è avvenuto intorno alle 10:30 di mercoledì mattina e ha provocato modifiche e rallentamenti fino a 30 minuti sulle linee Roma-Civitavecchia e Roma-Cassino. Il collegamento Leonardo Express Roma Termini-Fiumicino Aeroporto è garantito invece con corse ogni 30 minuti.

I treni che transitano lungo la direttrice coinvolta dall’uscita dell’asse del Frecciabianca, che riguarda i binari 19, 20, 21, sono stati riprogrammati per arginare i disagi per viaggiatori e pendolari coinvolti. Al momento i treni diretti a Civitavecchia partono e arrivano da Ostiense. I treni per Pisa e Grosseto, invece, partono ogni ora, mentre quelli diretti a Cassino registrano ritardi pari a circa mezz’ora. I tecnici sono ancora al lavoro per liberare il binario e procedere quindi al rientro del treno in deposito dove saranno analizzate meglio le cause che hanno portato all’uscita del carrello di un vagone dal binario.

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È morto Azeglio Vicini, il ct azzurro di Italia ’90. “Notti magiche inseguendo un gol”. Il mondiale italiano, quello dell’inno di Mameli cantato a squarciagola dagli ottantamila dell’Olimpico, dei gol improvvisi di Totò Schillaci, delle serpentine di Roberto Baggio, il mondiale di Walter Zenga che esce male su Caniggia in semifinale, aveva un taciturno e sanguigno romagnolo in panca. Avrebbe dovuto compiere 85 anni tra un paio di mesi l’Azeglio, nato sotto un altro cielo azzurro, quello di Cesena e dell’amata Cesenatico. Un mito assoluto: Valentino Mazzola del grande Torino, visto al Dall’Ara di Bologna quando il futuro ct era ancora un ragazzino. Poi la carriera normale, normalissima, da calciatore di provincia fin dai primi anni cinquanta. Rifiuta la Spal e accetta i 4 milioni di lire del Vicenza (dal 1953 al 1956, otto reti in 54 partite), poi arrivano i 90 milioni della Sampdoria dove segnò sei gol e divenne idolo della curva blucerchiata confessando di essere antigenoano. Infine il Brescia dal ’63 al ’66.

Lì Vicini ha appeso le scarpette al chiodo e si è seduto per un anno in panchina ad allenare le rondinelle. Nemmeno il tempo di un amen ed entra nel giro giusto del settore tecnico della Nazionale. Osserva quotidianamente Valcareggi prima, e Bearzot poi al lavoro a Coverciano. Di quest’ultimo diventa vice e da lì annusa il titolo mondiale azzurro di Spagna ’82. Poi dal 1976 al 1986 gli viene affidata l’Under 21. Vicini consolida una posizione di tecnico severo e testardo che però finiti gli allenamenti ama raccontare barzellette. Poche diavolerie da stregone dagli schemi impossibili. Calcio semplice e gruppo di giocatori tosti da accompagnare e far crescere nel tempo. Zenga, Donadoni, Maldini, Riccardo Ferri. E ancora: Franco Baresi e Beppe Bergomi dalla gestione della prima squadra di Bearzot diventano l’ossatura per la nazionale maggiore che Vicini comincia a plasmare nell’ottobre 1986 dopo il deludente Mondiale in Messico.

L’attesa per Italia 90 è immensa. Vicini ci arriva con una squadra di campioncini e l’ipotesi di un calcio bello e concreto. Inutile dire che azzecca parecchie mosse tattiche e un paio di cambi in corsa che fanno centro. Schillaci impallina l’Austria di testa la sera della prima il 9 giugno 1990. Il paese si scioglie e inizia a tifare come non ha mai fatto. “Dopo ogni partita che abbiamo giocato nella capitale, lungo tutto il percorso che facevamo in pullman viaggiavamo in mezzo a due ali di folla che ci applaudivano. Una cosa mai vista, considerato che arrivavamo in albergo dopo l’una di notte”, spiegò Vicini in un’intervista. Così arrivano le altre due vittorie nel gironcino iniziale con Stati Uniti e Cecoslovacchia. Tre partite, tre vittorie, quattro gol fatti, zero subiti. La striscia positiva continua: agli ottavi 2 a 0 all’Uruguay, nei quarti 1 a 0 all’Irlanda. Zenga non prende mai gol e in attacco oltre a Schillaci segnano tutti. Poi arriva la serata di Napoli e della semifinale con l’Argentina. Maradona fa l’occhiolino ai napoletani che alla fine sembrano più amare El Pibe de Oro dell’undici di don Azeglio (sgarro che Dieguito pagherà con i fischi dell’Olimpico in finale a Roma una settimana dopo).

L’Italia perfetta, l’Italia magica e sognatrice si ferma in quell’anticipo di testa del biondo attaccante argentino che beffa Zenga. Poi i rigori. Gli errori di Donadoni e Serena. Infine la finale per il terzo posto, vinta a Bari. “Assieme a tutti i tifosi italiani siamo fieri ed orgogliosi di questa squadra. 13 punti su 14 disponibili, senza aver mai ricevuto regali. Siamo rimasti amareggiati e soprattutto un po’ beffati”, spiegò Vicini ancora sudato e senza voce ai microfoni di Galeazzi dal prato del San Nicola. E così come aveva costruito nel tempo, in quindici anni di duro lavoro, la Nazionale che doveva vincere i Mondiali tra le mura di casa, Vicini dice addio agli azzurri. Non riesce a far qualificare la squadra agli Europei del ’92 e senza troppo clamore se ne va, lasciando la panchina ad un altro romagnolo. Un altro calcio è possibile. Quello “totale” di Arrigo Sacchi. Ma l’Italia si ferma egualmente ai stramaledetti rigori. Questa volta in finale, a USA ’94. Vicini chiude la carriera prima in panchina al Cesena in serie B da marzo a giugno del 1993, proprio con i colori della maglia che vestì al suo esordio per nemmeno 300mila lire di ingaggio; e chiude definitivamente a 60 anni la carriera di mister per un mesetto scarso all’Udinese in serie A nel settembre del 1993. Ritiratosi a Brescia, dove viveva dal 1963 con la moglie e i tre figli, Vicini non ha mai impartito lezioni a nessun suo successore. Poca cagnara in tv, qualche apparizione puramente nostalgica. Là dove altri hanno straparlato Vicini ci ha messo la passione cocciuta di una carriera di gran classe. Arrivare terzi a un  mondiale e vincerlo lo stesso. Che meraviglia l’Azeglio.

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Treno deragliato a Milano, indagate altre quattro persone

Nel registro dell’inchiesta milanese sul disastro ferroviario dello scorso 25 gennaio sono stati iscritti alcuni dipendenti di Rfi appartenenti all'unità di manutenzione. A loro carico le accuse di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e disastro colposo ferroviario



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Due anni fa di questi giorni Giulio Regeni era tra le mani dei suoi aguzzini, che lo stavano torturando prima di ucciderlo e gettarlo il 3 febbraio 2016 lungo la superstrada che collega il Cairo e Alessandria. Oggi è il giorno di un’inaugurazione simbolica, ma di acclarata efficacia per la propaganda di governo egiziana. La visita del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi agli impianti del giacimento gasiero di Zohr per cerimonia di avvio della produzione è stato un rafforzamento della sua immagine, un momento patriottico trasmesso integralmente in diretta televisiva. E conferma quello che i media di stato egiziani ormai sostengono dal 14 settembre (giorno del rientro del nostro ambasciatore al Cairo): le tensioni diplomatiche tra Italia ed Egitto provocate dalla morte del ricercatore di Fiumicello sono terminate.

I giornalisti di regime, partiti all’alba dal Cairo con un convoglio governativo, hanno avuto un compito semplice. La presenza di Claudio De Scalzi, amministratore delegato Eni (l’azienda italiana che ha scoperto il maxi giacimento e che ora detiene il 60% della concessione) e dell’ambasciatore italiano Giampaolo Cantini hanno confermato agli spettatori egiziani che tra Roma e il Cairo i rapporti sono tornati a funzionare a gonfie vele. “Non smetteremo di cercare i criminali che hanno fatto questo” per consegnarli “all’autorità giudiziaria”, ha detto il presidente egiziano parlando di Giulio Regeni e sostenendo che il crimine è stato commesso “per rovinare i rapporti con l’Italia” e “per danneggiare l’Egitto”. “Non smetteremo mai”, ha detto ancora il generale  riferendosi alla ricerca dei “criminali che hanno fatto questo”. Una ricerca che viene condotta anche “per la famiglia“, ha detto il presidente, esprimendo le proprie “condoglianze”.

L’avvio del primo mese sperimentale della produzione del giacimento di Zohr era stata annunciata lo scoro 16 dicembre. Il giorno prima gli inquirenti egiziani avevano consegnato agli avvocati egiziani di Regeni e alla procura di Roma il faldone di mille pagine contenente interrogatori e documenti sulla morte del ricercatore di Fiumicello.

Ma la cerimonia ufficiale è avvenuta solo oggi dopo un avvio che diversi esperti hanno ritenuto “lampo” per il tipo di giacimento in questione. Negli ultimi 3 anni, infatti, i lavori per iniziare l’estrazione non si sono mai fermati nonostante il ritiro ad aprile 2016 dell’allora ambasciatore Maurizio Massari (deciso dopo i depistaggi del governo egiziano sulla morte di Giulio Regeni il cui corpo era stato trovato con evidenti segni di tortura nella periferia del Cairo appena due mesi prima).

Lo aveva confermato in una nota rilasciata lo scorso 20 dicembre anche il gruppo del cane a sei zampe. “Eni ha avviato in meno di due anni e mezzo, un tempo record per questa tipologia di giacimento, la produzione del super-giant a gas di Zohr”, scriveva. “Zohr è uno dei sette progetti record di Eni caratterizzati da sviluppo e messa in produzione in tempi rapidi ed è la testimonianza del successo del Dual Exploration Model di Eni, adottato dalla società dal 2013″.

Il connubio tra l’azienda italiana e il governo egiziano è storico ed è andato avanti con cospicui investimenti (la previsione per i prossimi cinque anni è di circa 10 miliardi di dollari) nonostante l’instabilità delle casse egiziane che dopo la rivoluzione del 2011 ha accumulato circa 3,6 miliardi di dollari di debiti con le compagnie petrolifere presenti nel Paese. Ma nonostante le sofferenze e i mancati pagamenti da parte delle casse del Cairo, gli sforzi di Eni sono stati ripagati nell’agosto del 2015.

Zohr, infatti, è la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto nel Mar Mediterraneo. Si trova nel blocco di Shorouk, nell’offshore dell’Egitto a circa 190 chilometri a nord di Port Said e ha un potenziale di oltre 850 miliardi di metri cubi di gas in posto (circa 5,5 miliardi di barili di olio equivalente). Secondo il ministro del petrolio egiziano Tarek el-Molla la produzione dovrebbe salire a 2,7 miliardi cubi al giorno entro la fine del 2019 trasformando l’Egitto in un hub gasiero regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa.

Una risorsa senza precedenti in grado di sconvolgere gli assetti regionali energetici, come affermato anche recentemente dal Financial Times. “Con questo nuovo giacimento il mercato egiziano è in cambiamento”, ha scritto il prestigioso giornale economico. “L’autosufficienza energetica potrebbe essere raggiunta in meno di 18 mesi e il paese, ancora una volta, potrebbe diventare un esportatore e costruire la sua reputazione come uno dei più importanti hub commerciali nella regione posizionandosi anche come mediatori tra i mercati occidentali e mediorientali”.

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“Mi auguro che durante questo mese di campagna elettorale qualcuno torni a parlare di omofobia e di stepchild adoption, al momento non vedo una grande attenzione su questi temi. Io non ho chiesto candidature e non me ne hanno proposte. Però sono molto giovane quindi non escludo di poter tornare un giorno a fare politica attiva” Cosi, Vladimir Luxuria a margine della presentazione del progetto “questa casa non è un albergo” presso il Rainbow center di Napoli.

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Prodi dice che è il Pd la forza che include nel centrosinistra? Non so dove ha vissuto il professore, ma dovrebbe aver visto che gli elettori si sono allontanati da quel partito dopo la buona scuola, dopo il Jobs Act, dopo il boicottaggio del referendum delle trivelle e tanto altro ancora. Non sorprendono più di tanto certe parole: LeU nasce come qualcosa di nuovo che vuole superare anche le logiche dell’Ulivo“. Così Stefano Fassina, esponente di Liberi e Uguali ha commentato le dichiarazioni dell’ex premier, che in un’intervista ha criticato Leu docendo di voler votare Pd

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Il cadavere di una donna trovato in due valigie nel Maceratese

Il corpo, fatto a pezzi, sarebbe di una giovane. I bagagli sono stati scoperti in un fosso nelle campagne di Pollenza, non lontano dal cancello di una villetta. Carabinieri in cerca di indizi in tutta la zona

Parole chiave: maceratese pollenza


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Giuliana De Sio e Fabio Canino sono solo alcuni dei nomi del mondo dell’arte che hanno deciso di sostenere la compagnia teatrale Carmentalia e la campagna di raccolta fondi che gli attori stanno portando avanti.  La compagnia porterà in scena, in prima nazionale, lo spettacolo “Incognito” del brillante commediografo inglese Nick Payne, e sta ricercando i fondi necessari alla produzione dello spettacolo che consentirà l’adeguata retribuzione a tutti i componenti dello staff, composto da regista, attori, scenografo, costumista, light designer e musicista. Non è una novità per il mondo dello spettacolo assistere ad una progressiva riduzione dei finanziamenti statali e Carmentalia, oltre a contattare produttori per il progetto, ha deciso di raccogliere il budget necessario attraverso un crowdfunding: una raccolta fondi online.

Carmentalia crede di poter “proporre qualcosa di nuovo che possa generare valore, interesse e vendibilità proprio a partire dalle sue forze. L’esperienza vissuta a contatto con la realtà lavorativa e salariale del mondo dell’arte ha portato i membri della compagnia ad impegnarsi affinché il valore del lavoro dei propri collaboratori venga riconosciuto prima di tutto su un piano economico”. Il debutto dello spettacolo “Incognito” si terrà al Teatro della Cometa di Roma dal 4 al 22 Aprile 2018. Il protagonista della piece teatrale è il cervello, un’indagine profonda e introspettiva di come la nostra mente costruisca continuamente delle narrazioni per stabilizzarci, per definirci, per non farci perdere il controllo. Tre storie che si intrecciano nella ricerca comune dell’identità dell’individuo. Incognito è un’esplorazione di ciò che significa essere umani.

L'articolo “Garantiamo la giusta retribuzione a chi lavora nel teatro”. Carmentalia lancia la raccolta fondi: anche Canino e De Sio tra i sostenitori proviene da Il Fatto Quotidiano.



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La minisindaca M5S a un passo dalla sfiducia nella roccaforte di Roberta Lombardi. Proprio adesso che c’e’ la corsa alla Regione. Rischia di creare non pochi problemi la profonda crisi di maggioranza nel Municipio III Montesacro di Roma. Il parlamentino nelle prossime ore potrebbe vedere capitolare la presidente Roberta Capoccioni, donna di fiducia della candidata pentastellata alle elezioni regionali del Lazio, oltre che del presidente dell’Assemblea Capitolina, Marcello De Vito. Sarebbe un bis per il MoVimento romano, dopo le dimissioni dell’anno passato di Paolo Pace nel Municipio VIII Garbatella. La mozione di sfiducia è pronta da una settimana ed è stata firmata dai consiglieri d’opposizione e da quattro fuoriusciti della maggioranza. All’appello, tuttavia, manca una tredicesima firma: quella di Cristiano Bonelli – ex presidente del Pdl fra il 2008 e il 2013 ed eletto con la Lista Marchini – che sta “riflettendo e ascoltando il territorio”. Bonelli, vicino al senatore uscente Andrea Augello (non ricandidato da Forza Italia) e all’aspirante consigliera regionale azzurra, Roberta Angelilli, scioglierà la riserva solo nella giornata di giovedì.

CAPOCCIONI APPESA A UN FILO, EX DI ALEMANNO TENTENNA

Dopo il primo strappo registrato nel settembre scorso con il passaggio in Fratelli d’Italia della consigliera grillina Donatella Geretto, a dicembre hanno salutato anche Francesca Burri, Donatella Di Giacinti e Valerio Scamarcia, transitati nel Misto insieme a Bonelli che nel frattempo aveva abbandonato il desaparecido Marchini. Il casus belli si è materializzato a causa di una manovra “poco ortodossa” della minisindaca, che durante un consiglio municipale ha “sequestrato” un emendamento al Bilancio firmato da maggioranza e opposizione per portarlo in Commissariato, scatenando la rabbia del presidente d’Aula, Mario Novelli. Poco dopo Novelli si è dimesso dal suo ruolo (ma non dal movimento). Nelle settimane a venire, i consiglieri hanno prima eletto un nuovo presidente, il meloniano Vincenzo Di Giamberardino, e hanno poi lavorato per costruire la mozione di sfiducia. “Non dovendo rispondere a nessuno – spiega Bonelli, contattato da IlFattoQuotidiano.it – mi sono sentito libero di parlare con i miei elettori. Ho creato gruppi su whatsapp e messenger, sto incontrando cittadini e ascoltando pareri. Deciderò da solo. Sto ricevendo pressioni da tutti, maggioranza e opposizione. Qualcuno dice che voglio una poltrona da assessore o una candidatura? Vedremo dopo a mia scelta se le loro ipotesi si verificheranno”.

SFIDUCIA IN PIENA CAMPAGNA ELETTORALE

Nei giorni scorsi Roberta Capoccioni ha minacciato, con un post su Facebook, di denunciare i consiglieri che hanno firmato la mozione di sfiducia. Tredicesima firma a parte, però, il pallino è nelle mani dell’opposizione. “Aspettiamo con serenità la decisione di Cristiano – spiega Francesco Filini di Fratelli d’Italia – una volta completata la sottoscrizione, la conferenza dei capigruppo dove il M5S ormai è minoranza chiederà al presidente di convocare la seduta del Consiglio municipale alla prima data utile, ovvero al decimo giorno trascorso dalla data di protocollo sulla mozione. A quel punto, il Campidoglio sarà costretto a indire nuove elezioni in primavera, mandando a voto il nostro municipio insieme all’VIII Garbatella”. Sempre che Bonelli non decida, in extremis, per un clamoroso appoggio esterno ai pentastellati. “Per come hanno trattato Andrea (Augello, ndr), Forza Italia e il centrodestra se lo meriterebbero”, afferma l’ex minisindaco alemanniano.

L'articolo Roma, la minisindaca M5S a un passo dalla sfiducia nel municipio III. In piena campagna elettorale per la Regione proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Emilia, Tizian: "Avvocati dei clan in osservatorio sulla stampa"

Il giornalista de l’Espresso, che vive sotto scorta per le minacce della 'Nrangheta, commenta a Sky TG24, l'iniziativa della Camera penale di Modena di istituire un Osservatorio sull’informazione giudiziaria.



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