“Sono iniziati i maltrattamenti verbali. Usavo parole forti. Sei una stronza, sei una poco di buono, sei una bastarda, sei una figlia di puttana, non vali niente… Fin quando poi non riesci più a trattenere la gestione della rabbia e ho iniziato a metterle le mani addosso. E lì arrivi al fondo della bottiglia. Hai toccato il fondo della bottiglia nel senso che non puoi fare più niente. Sei dentro quel meccanismo lì. Per me non è facile parlarne, soprattutto adesso: ultimamente sento al telegiornale delle cose terribili, che mi toccano profondamente… perché io ci sono dentro a questa cosa qua, io so che cosa significa essere violento con una donna”. (BASTA - LACAMPAGNA DI SKY TG24 CONTRO I FEMMINICIDI)
L’uomo che parla è una persona detenuta nel carcere di Bollate, alle porte di Milano, per reati di maltrattamenti in famiglia e violenza. Lo chiameremo Stefano, è un nome di fantasia. Aveva una compagna, che picchiava ripetutamente, e aveva due figli, che ora non può più né vedere né sentire. Ma quella che vogliamo raccontarvi non è la sua storia, o non soltanto la sua. È il racconto di un percorso, nell’ambito della pena detentiva, che viene svolto dagli uomini autori di violenze contro le donne. Perché sì, non basta tutelare le donne. È sugli uomini che bisogna agire, è a loro che bisogna insegnare a dire basta alla violenza. Se ne occupa il CIPM, cooperativa sociale che dal 2005 lavora presso il carcere di Bollate con un’unità di trattamento intensificato rivolta ad autori di reati sessuali. Dal 2022, è nata una seconda unità rivolta agli autori di reati connessi alla violenza di genere.
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