Il CASD è il Centro ascolto e soccorso donna collegato al pronto soccorso dell’ospedale San Carlo di Milano. Nasce nel 2015 dalla fusione del Centro di ascolto per le donne migranti e del Soccorso Rosa che aiutava le vittime di maltrattamento. Si trova all’interno dei locali adiacenti al pronto soccorso dove vengono intercettati i casi di violenza sia fisica che psicologica che economica. Le donne vengono prese in carico e aiutate anche quando ad accompagnarle sono proprio gli uomini maltrattanti. A identificare questi casi, che nella maggior parte dei casi, non dichiarano la violenza, sono infermieri e medici di emergenza urgenza. Abbiamo incontrato la dottoressa Maria Grazia Vantadori che è la referente del CASD che ci ha raccontato alcune delle storie che negli ultimi anni possono esemplificare quelle di tante donne arrivate in urgenza in pronto soccorso. I nomi che useremo per identificarle sono di fantasia.
La storia di Lucia, accoltellata alla schiena e percossa dal partner
Era una sera autunnale quando Lucia è arrivata in Pronto soccorso da sola. Ha dichiarato di essere stata percossa dal partner. Al triage la hanno indirizzata in chirurgia con il codice arancione, quello dedicato alla donne vittime di violenza per fare in modo che vengano assistite velocemente e non si allontanino dai locali del Ps. La dottoressa Vantadori le ha chiesto di spogliarsi per valutare le lesioni, e per capire se ci sono lividi di colori diversi che possano indicare vecchi maltrattamenti. Lucia non aveva indicato le lesioni il dorso ma solo quelle sul volto ben visibili. Lucia aveva sulla schiena una ferita da taglio, non profonda ma evidente. Alla domanda della dottoressa su come se la fosse procurata, la risposta è stata sorprendente: “ma è una coltellatina, il coltello era piccolo”. “E’ come se questa donna non avesse capito che quell’atto era ugualmente grave. E’ come se volesse giustificare il compagno, e non volesse aggravare la sua posizione. Non voleva metterlo nei guai. Ed è una cosa che capita molto spesso. Che una donna, costretta a rivolgersi ai medici per essere soccorsa, minimizzi l’accaduto, se non addirittura lo nasconda. Come è successo nel caso di Frida.
La storia di Frida, aggredita dal fidanzato poco prima del matrimonio
Frida arriva in Pronto Soccorso in ambulanza. Ha lesioni importanti al volto e fratture multiple. Deve essere operata d’urgenza. A chiamare l’ambulanza e i carabinieri è stato il fidanzato che ha denunciato una aggressione a scopo di rapina. Quando la ragazza, poco più che ventenne, ha fornito una versione dei fatti incompatibile con le lesioni è scattato l’allarme dei medici. Alla dottoressa Vantadori durante il colloquio ha negato di essere stata aggredita dal compagno, e ha dichiarato che a prenderla a pugni era stato un rapinatore. Le lesioni però non coincidevano minimamente con fratture di questo tipo. La dottoressa non ha dubbi: i colpi sono stati molto più violenti, a infierire è stato qualcuno che la ha presa a calci. “La ragazza mi ha chiesto uno specchio per vedere il suo volto, racconta Maria Grazia Vantadori, era piena di sangue. La ho fatta lavare con un disinfettante. Quando si è vista è scoppiata a piangere ma ci ha chiesto subito di vedere il fidanzato. Abbiamo cercato di impedirglielo ma invano perché la ha rintracciata al telefono. I genitori della ragazza erano disperati. Erano consapevoli da tempo delle percosse ma non erano riusciti a convincere la figlia ad allontanarsi e a denunciare. Ad oggi non so se si sono sposati o meno ma la cosa che mi ha turbata di più è che la ragazza era spavalda nella difesa del suo aggressore.”
La storia di Vera, aggredita dal marito davanti al figlio di 8 anni
Vera arriva in pronto soccorso con il figlio di 8 anni. Il marito, racconta, la ha aggredita davanti al bambino, le ha messo le mani al collo ma non aveva lesioni evidenti. Vera era molto provata, spaventata e stanca. Una volta dimessa, tramite il CASD, è andata dai carabinieri per sporgere denuncia. Aveva una prognosi di 20 giorni ma in assenza di lesioni eclatanti, gli uomi dell’arma non sapevano bene come procedere. “Ero preoccupata perché so bene che quando i segni non sono evidenti, non sempre le donne vengono credute. Capita spesso che in sede di denuncia, già quando parlano con noi che consegniamo il referto, vengono espresse perplessità. Il giorno successivo, però, leggendo un giornale ho scoperto che è stato un disegno fatto dal figlio in sala di attesa a fare si che la mamma venisse creduta. Era un cuore sorridente per ringraziare i carabinieri che li stavano salvando”.
Le donne vittime di violenza psicologica ed economica
Un caso a parte sono quelle donne che non subiscono violenze fisiche, ma subiscono violenze psicologiche e economiche. Sono forme di violenza molto subdole, difficili da riconoscere e da dichiarare. In questi casi la pura di non essere capite e credute è ancora maggiore. Non ci sono i segni fisici, non ci sono testimoni diretti. E così le donne ancora più difficilmente ne parlano. Eppure è accaduto di recente che un uomo è stato condannato in primo grado per la sola violenza psicologica. “Ho accolto di recente una donna, racconta la dottoressa Vantadori, arrivata in pronto soccorso molto agitata, in uno stato di ansia profonda. Era sola, chiedeva aiuto. Dopo una prima visita è emerso che la donna veniva minacciata quotidianamente dal convivente. L’uomo sapeva bene quando lei fosse affezionata ai suoi animali domestici e ai suoi libri. Minacciava di uccidere il cane e le distruggeva i libri quando litigavano. Sembra assurdo, ma la vita di questa donna era diventata un inferno e per di più aveva paura che nessuno le credesse pur essendo vittima di torture psicologiche quotidiane. Di casi così ce ne sono tanti e la salute mentale di queste donne viene compromessa. Una ragazza che aveva anche lesioni fisiche, ha rifiutato il ricovero perché non voleva lasciare il cane a casa con l’uomo.”
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