Se vogliamo evitare scorciatoie sull’insopportabile incidente di Roma, dobbiamo partire da alcune elementari considerazioni, prima di finire nella sgradevole e affollata strettoia dove non ci sono responsabili e nemmeno lezioni da imparare.

Per capire cosa è successo in quella minuscola ma tragica guerra stradale, in cui si è persa per sempre, oltre alla vita del piccolo bimbo di Roma, anche una parte cospicua di due giovani genitori, occorrerebbe stabilire in che contesto si è formato l’investitore, perché quell’irragionevole e prepotente, nelle proporzioni, bisogno di essere captato dal mondo è stato coltivato da qualche parte. Quell’incapacità di ragionare sulle conseguenze delle proprie azioni, dice che il tratto caratteristico della nostra specie, la compassione, non c’è più in certe persone, che esiste solo il loro corpo e ciò che contiene, un organismo assetato di approvazione anche a costo della vita, propria e altrui. Eppure, ecco dove la psicologia si ostina a sbandare facendosi filosofia e sociologia, ma noi possiamo parlare solo e soltanto dell’investitore e di chi lo ha introdotto nel mondo, allargare il giudizio è un errore metodologico nonché un atto di grave disonestà.

A nessuno può essere consentito di rappresentare una generazione intera, neppure al ragazzo di 20 anni che ieri, mentre insieme a un mio amico giardiniere cercavo vanamente di caricare sul furgone un tavolo pesantissimo, si è fermato offrendoci un soccorso rivelatosi decisivo. Glielo aveva chiesto solo la sua coscienza, formata in modo prosociale, quindi capace di compartecipare emotivamente. Anche in questo caso, il suo gesto parla solo di lui e dei suoi educatori, esattamente come l’incidente parla solo del conducente e dei suoi primi compagni di viaggio, i familiari.

Lo stesso discorso possiamo replicare per l’uccisore di Giulia Tramontano, testimone di sé medesimo, per fortuna. Anche lui collassato all’interno della propria persona, troppo angusta perché ci potessero stare altri individui.

 

 

Proprio questo è il punto in comune tra i protagonisti di tali vicende, una formidabile carenza di sentimento sociale e della sua conseguenza più alta, quella compassione che evita, ogni giorno, che la nostra specie punti diritta verso l’estinzione. Vero, qualcosa è cambiato negli ultimi 20 anni, la realtà perde consistenza virtualizzandosi, con tutte le conseguenze del caso, che magari valuteremo in un’altra circostanza, ma le linee di indirizzo nella psiche del bambino si strutturano, come sempre, piuttosto presto, prima dell’ingresso a scuola elementare, dove egli arriva con precisi finalismi di sicurezza e di autovalorizzazione, di cui dovrà verificare correttezza e compatibilità con gli interessi altrui. Tutto questo sarà messo sotto verifica proprio nel suo rapporto con quella primitiva realtà sociale allargata, ma il tempo che precede l’ingresso a scuola primaria, il piccolo lo trascorre quasi per intero in famiglia, dove si impregna di stimoli importanti e, spesso, ingombranti, considerata la sua ancora scarsa capacità critica, che si porterà dietro come un’impronta. In questi giorni abbiamo potuto farci qualche idea in proposito, confermandoci che quanto accade

nella vita interiore del bambino riguarda i genitori, prima di tutto, il resto viene dopo, molto dopo, sebbene dopo il perimetro di padri e madri vi sia davvero poco, soprattutto nei vertici, incapaci di affiancare chi sta al fronte, scuola compresa. Questo vale per tutta la classe dirigente, con rarissime eccezioni, comunque non determinanti. Il Paese si è scollegato dalla missione educativa, per incompetenza e strafottenza, eppure pretenderebbe che i suoi cittadini figliassero di più.

Uno dei grandi meriti di Alfred Adler è quello di avere trasformato le presunte certezze della psicologia in un semplice sistema di finzioni, privandola di quella carica di potere e di suggestione che si era attribuita con la nascita della psicoanalisi. La finzione è qualcosa che sta a cavallo tra la realtà e il niente. La similitudine di cui si serviva lo studioso viennese era quella dei meridiani e dei paralleli, che non esistono ma possono aiutare a orientarsi nello spazio. Una trovata geniale, perché la psiche della persona funziona proprio attraverso delle finzioni, quindi per raccapezzarsi bisogna ragionare allo stesso modo.



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