Per avere un’idea di chi sia stato Eugenio Scalfari si potrebbe partire da una lettera. Più di preciso, da una circolare datata 21 gennaio 1978, due anni dopo la nascita del quotidiano. Scalfari è già “il Fondatore”: ha alle spalle l’epopea dell’“Espresso”, con alcune inchieste che resteranno nella storia, ed è ormai considerato da una parte d'Italia una specie di oracolo vivente. In quel giorno d’inverno di più di quarant’anni fa, si chiude nel suo ufficio e scrive una dettagliata paginetta.

Il tema? I bagni dell’edificio che ospita il neonato quotidiano. Sono, scrive, “in condizioni tali da rendere un obiettivo invidiabile il gabinetto della più turpe caserma di provincia”. Segue dettagliata descrizione: “Asciugamani ridotti a stracci per pavimenti, scarichi intasati, tracce di ogni genere specialmente negli impianti igienici” eccetera, eccetera, eccetera. Prima dell’accorato appello affinché “a Repubblica anche i gabinetti abbiano un volto umano”. Ecco: l’episodio, raccontato anni dopo da Giampaolo Pansa nella “Repubblica di Barbapapà”, rende forse meglio di molti altri chi sia stato Eugenio Scalfari, uno che – ricorda sempre Pansa – conosceva come pochi l’arte di gestire le persone.



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