Una persona non eterosessuale su cinque pensa che il proprio orientamento sessuale sia stato d’intralcio per la sua crescita professionale. La stessa percentuale dichiara di aver vissuto un’aggressione o un clima ostile sul posto di lavoro. Sono i dati che emergono da una rilevazione Istat-Unar sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBTQI+ nel biennio 2020-2021. Se sono soprattutto gli uomini non eterosessuali a dire di essere state vittime di offese o di aggressioni fisiche sul lavoro, fuori dal mondo professionale sono invece le donne a esserlo di più. Molti hanno dovuto lasciare la propria casa per vivere la propria sessualità in libertà. Oltre il 20% degli intervistati racconta poi delle difficoltà incontrate in famiglia dopo aver fatto coming out. La rilevazione è stata condotta su oltre 21mila persone residenti in Italia che al primo gennaio 2020 risultavano in unione civile o già unite civilmente (per scioglimento dell'unione o decesso del partner), considerando sia le unioni civili costituite in Italia sia le trascrizioni di unioni all'estero. I risultati del report, precisa l'Istituto di statistica, non possono quindi essere considerati rappresentativi di tutta la popolazione omosessuale e bisessuale.
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