Mentre i vigili del fuoco sono ancora al lavoro per mettere in sicurezza quanto rimane del grattacielo di via Antonini, che domenica a Milano è andato a fuoco in meno di 30 minuti, tutte le ipotesi su come sia stata possibile una propagazione delle fiamme così rapida sono ancora al vaglio degli inquirenti. L’attenzione si concentra sui pannelli di rivestimento dell’edificio “bruciati come cartone” e sul sistema antincendio, che secondo alcuni inquilini del palazzo alto 60 metri non era funzionante tra il quinto e il decimo piano. Intanto si cerca anche di capire da dove sia nato il rogo, come riporta La Repubblica, se dal terrazzo del quindicesimo piano o dall’interno dell’appartamento, vuoto da 15 giorni, e cosa abbia causato il cortocircuito, il motore del condizionatore, una batteria lasciata in carica e surriscaldata o una lampada, come scrive il Corriere. E per gli inquilini, che oggi si riuniranno in un’assemblea straordinaria per “formulare un piano d’azione che vada al di là della fase emergenziale”, secondo Repubblica aleggia anche l’ipotesi di non poter più ritornare nel palazzo: pompieri e dei volontari della protezione civile che lo hanno ispezionato pensano che sia quasi impossibile salvare qualcosa e quindi, con ogni probabilità, il grattacielo potrebbe presto non esserci più.
I pannelli e l’obbligo di materiale antincendio solo dal 2019 – Come già uscito con le prime indiscrezioni sulle indagini circolate nella giornata di lunedì, il primo “sospettato” per la “tragedia sfiorata” è il materiale interno ai pannelli di Alucobond, composti da due lamiere esterne di alluminio e un nucleo centrale di sostanze minerali difficilmente infiammabili, che potrebbe aver agito come “benzina”. Certo è infatti che le lamiere “bruciavano come se fossero di cartone”, a detta degli stessi pm. E quindi proprio le analisi sulle falle nella sicurezza del grattacielo sono uno dei punti centrali delle indagini per disastro colposo. Gli esperti del Nucleo investigativo antincendi dei vigili del fuoco hanno sequestrato i resti della copertura e saranno le perizie fatte in laboratorio, che secondo Repubblica saranno aiutate anche dalle immagini di una spherocam, in grado di fotografare a 360 gradi e ad altissima risoluzione, a dare certezza sul materiale usato per “riempire” i pannelli. Da capire, si legge ancora sul Corriere, anche se i pannelli siano stati montati correttamente, secondo le specifiche, o se siano stati utilizzati isolanti o schiume aggiuntivi e quindi non previsti dall’impresa realizzatrice dei rivestimenti.
Le indagini, come riporta il quotidiano di Via Solferino, si concentrano sulla proprietà e sull’impresa che ha realizzato il grattacielo, la “Moro costruzioni“, chiusa alcuni anni fa e trasformata in “real estate”, di proprietà di Alberto Moro, e sull’azienda che ha realizzato il rivestimento, la Isogen Saint Gobain di Pisa. E, secondo l’Ansa, a garanzia per gli accertamenti tecnici, potrebbero presto arrivare le iscrizioni nel registro degli indagati verosimilmente di costruttori, responsabili dei lavori e progettisti. Saranno inoltre presto acquisiti i documenti relativi alle modalità di costruzione della torre, oltre a una serie di testimonianze.
Altro punto oscuro resta quello della normativa che la stessa Procura ha definito “molto recente”. La torre di via Antonini, infatti, è stata consegnata nel 2011 quando i requisiti di sicurezza antincendio delle facciate, come riporta il Corriere della Sera, erano solo “raccomandazioni”. E così sono rimaste fino al 2019 quando un decreto del ministero dell’Interno ha reso legge una prima circolare di raccomandazione. Il decreto, specifica l’ingegnere Michele Mazzaro, vice direttore centrale per la prevenzione incendi dei vigili del fuoco, sentito dal Corriere, “riguarda edifici che sono stati costruiti successivamente all’entrata in vigore del decreto e quelli ai quali vengono apportate modifiche superiori al 50% della facciata”. E quindi il grattacielo andato a fuoco risulterebbe escluso. Tuttavia, precisano gli inquirenti, “un conto è usare pannelli non ignifughi, un altro prodotti che hanno favorito le fiamme e le hanno alimentate. I rivestimenti non devono bruciare così”.
Il sistema antincendio – Altro filone d’indagine riguarda invece l’impianto antincendio del palazzo. Certo è che il sistema presentava diverse “criticità” e in particolare le bocchette dell’impianto da attivare manualmente funzionavano solo fino al quinto piano e non erano attive tra il quinto e il decimo, mentre hanno funzionato in parte dal decimo al diciottesimo piano. Gli stessi inquilini, infatti, hanno dichiarato che l’acqua non usciva in quei cinque piani incriminati e gli stessi vigili del fuoco non hanno potuto usare l’impianto interno in parte fuori uso. Alcuni pompieri, poi, come riporta il Corriere, hanno parlato di scale d’emergenza “piene di fumo” così come alcuni piani. Certo è però che le scale hanno consentito alle persone che stavano fuggendo di evacuare in sicurezza. Non si sono registrate vittime infatti, se non “un cagnolino”, come ha dichiarato ieri il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano che coordina le indagini.
L’origine del rogo – Nessun dolo ma dubbi anche sull’origine del rogo. Secondo Repubblica sono due le ipotesi in campo: l’incendio potrebbe essere partito sia all’interno che all’esterno dell’appartamento al quindicesimo piano, disabitato da due settimane viste le ferie estive. Nel primo caso a bruciare potrebbe essere stato un caricatore per batterie al litio surriscaldato o un condizionatore difettoso o un elettrodomestico in cortocircuito. Oppure il pezzo difettoso potrebbe essere stato dimenticato all’esterno e surriscaldato dal sole. Per chiarire, oggi sono attesi i dati sui consumi dell’elettricità nell’appartamento, come riporta il Corriere.
L'articolo Palazzo in fiamme a Milano, l’obbligo di “pannelli ignifughi” dal 2019 e le “criticità” del sistema antincendio: tutti i dubbi sul rogo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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