agosto 2021

Un “tappeto” di barche in uno dei posti più belli del mondo. Il video sta facendo il giro del web. Siamo nel Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, in Sardegna, nel quadrato di mare di “Porto Madonna”, un’insenatura che si crea grazie alle tre isole circostanti: l’isola di Santa Maria, l’isola di Razzoli e la celebre isola di Budelli, quella della spiaggia rosa. Il parco è piuttosto antico. È nato nel 1994 e protegge, lungo 180 chilometri di costa, oltre 20mila ettari tra zone di terra e di mare.

Il video è partito da un account privato su twitter ed è rimbalzato su Instragam grazie alla condivisione della testata L’Unione Sarda. Non appena è arrivato sul web, ha riscosso centinaia di commenti: c’è chi gioisce per l’ottima ripresa dell’economia del turismo e c’è chi inorridisce per il delicato ambiente marino, messo così sotto pressione dalle decine e decine di imbarcazioni.

La veduta aerea è schiacciante. Non si vedono canoe, sup o piccole barche a vela. Ma come ci conferma un abitante del posto, “qui ci sono prevalentemente barche a motore, dai gommoni ai super yacht lunghi decine di metri” e, aggiunge, “la situazione è così ogni estate, non è un problema dell’agosto 2021”. In effetti, dai cittadini di La Maddalena, nel 2019 era partita una raccolta firme con tanto di lettera indirizzata a Mattarella e all’ex Ministro dell’Ambiente Sergio Costa per chiedere che si intervenisse. E nel 2015, come dimostra la foto in copertina (sulla sinistra del collage) a paragone con uno screen del video virale del 2021 (foto sulla destra), la situazione era pressoché la stessa. La lettera del 2019 non parlava di blindare l’area bensì di regolarne i flussi. Appello che si direbbe sia rimasto inascoltato.

A oggi a Porto Madonna non ci sono limiti né sul numero di accessi né sulle dimensioni delle imbarcazioni. Si paga un ticket commisurato al tipo di natante, come si evince dal sito, col quale si ha diritto a navigare, ormeggiare, ancorare e sostare entro i 300 mt dalla costa rispettando le regole del parco. Trovandoci a un passo dalla Costa Smeralda, è difficile pensare che il portafogli sia un deterrente per contenere l’affluenza. Qui si vedono gli yacht dei super vip, quelli di attori e calciatori. E anche il flusso di turisti giornalieri, trasportati dai battelli alle spiagge del parco, ha numeri da capogiro. Dal sito “Marine Traffic” si può vedere che l’area circostante il parco nazionale è una delle zone più trafficate di Italia.

Il presidente del Parco nazionale di La Maddalena, Fabrizio Fonnesu, condivide le preoccupazioni dei cittadini: “Non posso negare che quanto si veda nel video sia impattante per l’ambiente – dichiara a Ilfattoquotidiano.it – La situazione Covid di questi due anni ha generato un forte aumento del turismo e delle attività nautiche nell’Arcipelago. La governance del Parco è consapevole di queste criticità e si sta attivando per trovare una soluzione che concili turismo e ambiente”.

Il problema sembrerebbe tutto burocratico: “Non si può stabilire un numero chiuso dall’oggi al domani – spiega -servono dati scientifici per stabilirlo e non è una decisione che possiamo prendere da soli come parco nazionale, gli attori chiamati ad esprimersi sono tanti come la Regione Sardegna con diversi assessorati, la Capitaneria, la provincia di Sassari, il comune di La Maddalena”.

La situazione è difficile perché “l’assenza di un Piano del parco e di un Piano socio-economico non hanno permesso di prendere una decisione a riguardo”. Tuttavia, sembrerebbe che “assieme all’attuale amministrazione comunale il parco sta procedendo alla realizzazione di un Piano socio economico che permetterà di avere un quadro delle attività turistiche sostenibili che opereranno all’interno dell’area”.

Ad ogni modo sembrerebbe che tale affollamento di barche abbia i giorni contati: “Per la stagione estiva 2022 dovremo riuscire ad ottenere tutte le concessioni necessarie per creare le infrastrutture adeguate a contingentare il sito – dichiara Fonnesu – grazie ai ricercatori dell’Università di Cagliari, dell’Ispra e del Cnr abbiamo iniziato due anni fa una collaborazione per definire la reale capacità di natanti che la zona può sopportare affinché sia minimizzato l’impatto di ancoraggi indiscriminati sulle foreste di posidonia oceanica”.

È ancora tutto in corso, ma il presidente rivela qualche anticipazione: “Prevediamo di bandire gli ancoraggi in tale sito e delimitare l’area con un centinaio di boe intelligenti, stabilendo turni di sosta per la balneazione della durata di quattro o cinque ore ciascuno”. E riguardo ai numeri: “Probabilmente si parlerà per Porto Madonna di 120 boe che garantiranno, grazie alla turnazione, una rotazione di circa 400 imbarcazioni al giorno”.

Mentre sul fronte dei super yacht, Fonnesu commenta: “Il campo boe sarà strutturato per contenere differenti tipologie di imbarcazioni ma dalla lunghezza massima di 40 metri, i mega yacht potranno invece ancorare fuori dall’area interessata, su profondità di 45-50 metri che non costituiscono un pericolo per la posidonia oceanica”.

Il Parco nazionale di La Maddalena pur non essendo un’area marina protetta, oltre alla parte di terra, protegge più di 15mila ettari di mare, di cui circa 10 ettari sono identificati come zona MA ossia a protezione integrale. Nelle aree MA è vietata la navigazione, l’accesso, la sosta e l’ancoraggio. Per quanto riguarda l’area di Porto Madonna la governance del parco non ha intenzione di trasformarla in zona MA: “Siamo favorevoli alla fruizione controllata ma non alla completa chiusura dell’area”, afferma il presidente.

Sui turisti giornalieri Fonnesu continua: “Nel piano di gestione rientrerà anche una regolamentazione di tali flussi, ma occorrerà aspettare il completamento dell’iter approvativo del Piano, all’incirca un anno e mezzo, due anni”. Certo che quando saranno in vigore i divieti, resterà – come sempre – il problema di farli rispettare: “Sono soltanto due i parchi nazionali, quelli storici, che godono di guardie interne al parco, noi ci affideremo alla Capitaneria di porto per la zona mare e alla Guardia forestale per quella di terra, ma è chiaro che tra antincendio e soccorso a mare non potranno essere sempre presenti nel vigilare, in termini ambientali, un parco così vasto”.

Nel video virale del web si vedono le “chiazze scure” che corrispondono alle praterie di Posidonia oceanica, una specie vegetale protetta da accordi internazionali e di primaria importanza per gli ecosistemi marini, ma il presidente rassicura: “Con il divieto di ancoraggio e un adeguato campo boe intelligente potremmo finalmente garantire il benessere di questa straordinaria pianta”.

Che a Porto Madonna ci sia un cambio di marcia lo chiede urgentemente anche Matteo Vacchi, geomorfologo costiero di fama internazionale, oggi ricercatore all’ateneo di Pisa e con alle spalle uno studio dell’evoluzione a medio-lungo termine delle coste dell’arcipelago: “L’area è in grandissima sofferenza, è oggetto di forti erosioni – spiega – le piccole spiagge di Porto Madonna non sono alimentate da fiumi e sono molto dipendenti dai depositi biogenici che derivano soprattutto dal buon stato delle praterie di Posidonia”. E parlando a Ilfattoquotidiano.it aggiunge: “Le spiagge si sono conservate nei millenni perché al riparo dal moto ondoso”, quindi, “l’idrodinamismo anomalo creato dal forte flusso di natanti è un problema per il loro mantenimento”. Dai suoi studi Vacchi ha misurato che “la spiaggia di Cavaliere in 2500 anni è sempre avanzata, mentre in questi ultimi quarant’anni le foto storiche mostrano una preoccupante inversione di tendenza”.

Per il ricercatore il progetto di boe è un’ottima notizia ma avverte: “Serve un attento monitoraggio o sarà inutile”. Certo che non c’è solo la posidonia. Ci sono le tartarughe caretta, periodicamente trovate ferite nella zona, i cetacei e un possibile ritorno della foca monaca. E oltre agli ancoraggi, la nautica a motore crea disturbo acustico, inquinamento dell’aria, pericolo per gli scarichi. Se questo sembra un primo passo, è anche vero che non tutti i parchi e le aree marine stanno vincendo la scommessa di educare a uno sviluppo sostenibile, a un turismo lento, esperienziale, fatto di canoe, sup e vela, almeno nelle aree più fragili. E la partita, spesso, si gioca ancora basandosi sul male minore e sui compromessi.

L'articolo Maxi-affollamento di barche al parco de La Maddalena, il presidente: “Numero chiuso dal 2022”. E l’esperto avverte: “Area in sofferenza” proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3DAhjQh
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Una cancelliera forgiata dalle crisi, che come nessun’altro ha segnato la sua epoca: “Quando guarderemo indietro a questi primi venti anni del Terzo Millennio, parleremo a mio avviso dell’età di Merkel”. L’età di Merkel (320 pagine, Marsilio, 18 euro) è il libro firmato da Paolo Valentino, corrispondente a Berlino e dal 1984 firma del Corriere della Sera. Non una biografia, non un semplice racconto, ma un lavoro giornalistico che scava all’interno dei 16 anni al potere di Angela Merkel, per svelare il segreto, anzi i segreti, della sua durata: “Una leader che ha marchiato la storia tedesca, europea e internazionale. È stata, nel bene e nel male, la figura tracciante e dominante di questo periodo”. Un’era che terminerà il prossimo 26 settembre, con le elezioni federali da cui uscirà il nuovo cancelliere tedesco.

Attraverso retroscena inediti, ricostruzioni e interviste esclusive ai suoi più stretti collaboratori, interlocutori e avversari, Valentino fornisce ai lettori gli strumenti per capire come Merkel abbia saputo arrivare al potere e poi guidare la Germania attraverso una serie di crisi praticamente senza soluzione di continuità. Un’opera preziosa per capire il nostro tempo e la leader politica che lo ha influenzato, da cui emergono la forza e ma anche i limiti dell’approccio di Merkel, che a una visione politica ha sempre anteposto la ricerca di una soluzione a un problema. Il racconta mostra anche i lati inediti della cancelliera, come quando durante una a cena a Schloss Bellevue si rivolse a Emmanuel Macron dicendo: “Sono stanca di continuare a raccogliere i cocci delle tazze che rompi, per rimetterle insieme e potersi sedere a un bere un tè“. Una frase che svela quanto Merkel abbia sempre creduto nel negoziato, nella ricerca del compromesso. “Merkel rimane ancora oggi una scienziata prestata alla politica”, spiega Valentino.

Il suo libro parte dalla tante etichette che ha avuto Merkel, dalle maschere che ha indossato. Alla fine, chi è veramente Angela Merkel?
Il libro cerca di offrire al lettore gli elementi per darsi una risposta. Merkel è stata molte cose in rapporto alle crisi che ha dovuto affrontare. Io non credo che ci sia stato un altro leader negli ultimi 50 anni che abbia dovuto affrontare tante crisi una dopo l’altra. Sono stati 16 anni di potere squartati: gli effetti dell’11 settembre, la crisi dell’euro, la crisi finanziaria, la crisi dei rifugiati, la pandemia. Ma anche la guerra di Libia, oppure il disastro nucleare di Fukushima. Le molte facce di Merkel sono dovute anche alle diversi crisi che ha dovuto affrontare. Chi è veramente Merkel rimarrà sempre un mistero.

I critici della cancelliera l’hanno sempre accusata di non avere una visione. Qual è stata allora la sua forza?
Merkel è una leader pragmatica, che non ha una visione strutturata della Germania e dell’Europa. Di volta in volta ha cercato le soluzioni ai problemi. Non ha mai cercato la soluzione, non ha mai pensato in termini strategici. Può essere anche un limite. Ma ha sempre pensato a dare una risposta al problema che le si poneva davanti. Qui emergeva la sua capacità di tessere compromessi, emergeva la preoccupazione di non perdere mai il legame con il consenso popolare, una costante dell’azione di Merkel. Più della visione politica, per la cancelliera hanno sempre contato i valori. Sono i valori di chi ha vissuto fino a 35 anni sotto una dittatura: la libertà, la giustizia sociale, la solidarietà, la democrazia. Questa è sempre stata la sua barra fondamentale, però all’interno di una visione politica molto flessibile. Per questo, molti accusano Merkel di non avere una visione strategica.

Quale sarà quindi il grande lascito di Merkel?
Non credo che quando si parla di Merkel, si possa parlare di un grande lascito. Tutte le soluzioni che ha offerto hanno sempre avuto un lato oscuro, un elemento di incompiutezza. Questo è stato il suo limite. Un esempio: la cancelliera ha fatto un grande salto in Europa con la pandemia, ha detto sì alla mutualizzazione del debito. Un passaggio del Rubicone fino a poco prima impensabile per la Germania. C’è voluta la pandemia per convincerla a fare questo, però Merkel continua a definirla un’iniziativa una tantum. Perché lei si preoccupa sempre di non tagliarsi tutti i ponti. Ed è appunto il suo limite. Ma il più grande lascito di Merkel, se in questi termini vogliamo parlare, è quello di aver offerto un modello etico e di responsabilità ineguagliato: non è mai stata toccata, sfiorata da nessuno scandalo.

Cosa ci lasciano allora i suoi 16 anni al potere?
Ha tenuto insieme l’Unione europea in un periodo in cui non era affatto scontato: durante la crisi dell’euro in Germania c’era una pressione fortissima per l’uscita della Grecia. Le conseguenze sarebbero state impensabili. Merkel su questo ha tenuto il punto, in quella crisi è riuscita a tenere l’Ue insieme. Ha indicato la strada all’Europa? Solo in parte. Le decisioni prese durante la pandemia, ad esempio, si potevano prendere già 10 anni prima. Lei non ha mai anticipato gli eventi. Però Merkel lascia soprattutto un metodo, quello della consultazione permanente con tutti i protagonisti della scena internazionale. Lascia un attaccamento e un impegno incrollabile verso il multilateralismo: il mondo che vuole Merkel è senza potenze dominante che agiscono unilateralmente. Io credo che questi siano lasciti importanti, ma se dovessimo andare a cercare una cosa, la grande cosa a cui Merkel ha legato il suo nome, non la troveremmo. Perché ha sempre rifuggito i grandi disegni: per formazione e per studi. Merkel rimane ancora oggi una scienziata prestata alla politica.

Un’altra critica a Merkel che Lei analizza nel suo libro è la cosiddetta “smobilitazione asimmetrica”.
È una delle cose di cui viene accusata: il fatto di aver vinto le elezioni “rubando” le posizioni degli altri partiti, facendole proprie. Assumendo posizioni che appartengono ad altri partiti, Merkel ha spinto gli elettori a non smobilitarsi. L’idea è: “Perché devo andare a votare Spd se la Merkel fa già una politica socialdemocratica?”. Di fatto la partecipazione elettorale negli anni della Merkel è calata notevolmente. L’altro aspetto è il fatto che lei non ha mai sollevato un tema quando questo era controverso. Non si è mai infilata in un dibattito su un certo argomento, quando questo non aveva una base sufficiente di consenso. “Non sollevi un problema, se non hai anche la soluzione per risolverlo”: è uno dei suoi mantra.

Gli effetti di questo atteggiamento in che modo si riflettono sull’attuale campagna elettorale tedesca?
Merkel ha talmente riempito lo spazio, ha talmente coperto ogni posizione, che adesso si è lasciata dietro un vuoto. La Cdu non ha più un profilo. La Spd, che recupera nei sondaggi, paradossalmente sta facendo una campagna elettorale in cui si pone come erede del lascito di Angela Merkel. I Verdi, che avrebbero potuto essere i veri beneficiari di questa situazione, hanno in realtà sbagliato candidato: pur essendo Annalena Baerbock un’ottima politica, ha e hanno commesso parecchi errori. Quello che sta succedendo è la dimostrazione di come Angela Merkel abbia rivoluzionato il paesaggio politico. Mancando lei, la Cdu è in balia di nessuno. Merkel è la prima cancelliera del dopoguerra a uscire di scena volontariamente: tutti gli altri sono stati sconfitti alle urne, lei ha deciso quando lasciare. Il rischio però è con la sua uscita di scena, la Cdu subisca un tracollo.

Merkel lascerà lo stesso vuoto anche in Europa?
All’Unione europea sicuramente mancherà la leadership di Merkel. Ma l’Ue ha saputo sempre trovare dei leader anche in passato. La Germania rimane la prima economia d’Europa e chiunque sarà cancelliere, anche se inizialmente non avrà il prestigio e l’autorevolezza di Merkel, avrà un forte peso in Europa. Quanto alla leadership in Europa, sono paradossalmente un po’ meno preoccupato.

Il rapporto tra Merkel e l’Italia. Nel suo libro scrive: “Non ha mai considerato l’Italia un riferimento strategico”. Perché?
È stata soprattutto colpa di Roma. Tutte le volte che Merkel ha dato un’apertura di credito – vedi quella a Matteo Renzi o anche prima a Mario Monti – l’instabilità politica italiana ha sempre finito per far sì che l’Italia non fosse un partner affidabile agli occhi della Germania. Il che non ha impedito convergenze e azioni d’insieme, però l’assenza di continuità politica è storicamente un grave handicap, tanto più durante gli anni di Merkel. Detto questo, bisogna ricordarsi che il rapporto con la Francia rimarrà un totem per ogni cancelliere tedesco.

Dai suoi retroscena e ricostruzioni emerge spesso la rigidità e l’austerità di Merkel. La cancelliera però passerà alla storia soprattutto per la Wilkommenskultur e il Recovery Fund. È l’ennesimo paradosso di una figura così complessa?
Assolutamente. L’ansia della Merkel di “muoversi per millimetri”, come ha sempre detto lei stessa, non ha escluso il fatto che nei momenti di svolta fosse capace di capriole drammatica. Lo ha fatto dopo Fukushima decidendo l’uscita dal nucleare, lo ha fatto con la Wilkommenskultur (la cultura dell’accoglienza, ndr), aprendo le porte a un milione di rifugiati siriani. Poi ancora con il Next Generation Ue. Ma queste sono le eccezioni che confermano la regola: una leader politica che ha una formazione scientifica, di fronte a un’emergenza totale e una cambio drammatico delle condizioni di base, riesce anche a rovesciare tutte le sue priorità e ad abbracciarne di nuove. Proprio perché a guidarla sono sempre stati i fatti, la realtà, senza pregiudiziali ideologiche. Per questo è stata in grado di fare scelte così radicali, che sicuramente appartengono alla sua eredità.

L'articolo I 16 anni di Angela Merkel: “Una scienziata prestata alla politica. Il suo limite l’assenza di visione, il suo lascito un’etica ineguagliabile” proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3BvYpZ2
via IFTTT https://ift.tt/2WFQLMk

Si stanno scervellando per capire cosa stia succedendo nel mercato del lavoro. Perché per molti esperti ancora non è ben chiaro come sia possibile che, mentre ci sono milioni di persone in cerca di un impiego e i livelli di occupazione sono ancora sotto ai livelli pre-pandemia, in tutti i paesi economicamente avanzati le imprese denuncino gravi carenze di manodopera. Negli Stati Uniti, 10 milioni di persone cercano un impiego. E le aziende non riescono a chiudere 8 milioni di posizioni aperte. Una risposta l’ha data il premio Nobel Paul Krugman che sul New York Times ha scritto un editoriale dal titolo “I lavoratori non sono più disposti a fare il lavoro di prima alle stesse condizioni di prima”. È una parte di verità ma forse non tutta la verità.

In Australia mancano i minatori, in Tasmania i coltivatori di frutta. In Canada il tema è al centro della campagna elettorale, con slogan che suonano quasi surreali: “Non abbiamo bisogno di creare posti di lavoro, abbiamo bisogno di lavoratori”. In Europa la situazione non cambia molto. Ci sono risultati paradossali come quello ungherese con il paese costretto ad accantonare la sua linea dura contro l’immigrazione per tentare di colmare il gap. Nella sanità, nei servizi di pulizia e nella ristorazione più vuoti che altrove. “I direttori di albergo sono costretti a pulire le camere da soli!” è l’accorato grido di aiuto che viene da Tamás Flesch, capo dell’associazione ungherese di hotel e ristoranti. Il paese denuncia una carenza anche di lavoratori per l’industria e nell’agricoltura, con il rischio che parte dei raccolti rimanga nei campi. Un problema che interessa diversi paesi dell’Est Europa. Un discorso a sé lo merita la Gran Bretagna dove il problema non solo esiste ma è esacerbato dalla separazione dall’Ue che ha indotto molti lavoratori stranieri a lasciare il paese o accresciuto le difficoltà per rientrarvi.

Nell’intera Unione europea la disoccupazione supera il 7%, ancora un punto percentuale sopra i valori pre-pandemia. In Germania la forza lavoro complessiva si è contratta di 150mila unità, anche per ragioni demografiche. L’Agenzia federale del lavoro ritiene che al paese servano almeno 400mila ingressi l’anno per colmare la carenza di manodopera, circa il doppio rispetto agli arrivi dell’ultimo anno. Mancano soprattutto lavoratori con competenze nel settore della logistica e della sanità. Pochi giorni fa la stessa Agenzia ha siglato un accordo con l’Indonesia per assicurarsi un flusso di infermiere provenienti dal paese asiatico a cui viene garantito un impiego e un percorso di inserimento.

Situazione non troppo diversa in Francia, durante i mesi estivi oltre 2 imprese su 5 hanno denunciato problemi di organici sottodimensionati. Nelle costruzioni addirittura una ogni due. Eppure i disoccupati nel paese sono quasi due milioni e mezzo. Tra i comparti più in difficoltà ci sono la ristorazione e le terme e spa dove resta vuoto un posto ogni cinque. Quando bar e ristoranti hanno chiuso per il Covid molti lavoratori hanno deciso di cambiare strada e cercare nuove opportunità professionali. “Nei mesi di lockdown di bar, alberghi e ristoranti molti membri degli staff hanno riscoperto il valore di una vita in famiglia, di una vita normale. La pandemia ha ridefinito le priorità e ora cercano altri tipi di lavoro”, ha spiegato candidamente al settimanale Economist, Julia Rosseau, responsabile delle risorse umane della società di consulenza Étique. È successo in Francia, è successo altrove. Negli Stati Uniti un dipendente ogni tre sotto i 40 anni ha valutato la possibilità di cambiare lavoro e, contestualmente, sono esplose le denunce di avvio di nuove attività. Non sempre è la ricerca di una nuova vita con l’ottimismo che l’accompagna. Il 40% dei lavoratori in smart working ha sperimentato condizioni di “burnout”, una sorta di saturazione psicologica da lavoro, che non di rado è sfociata in depressione e in un progressivo allontanamento dalla vecchia occupazione.

Esperti ed osservatori scrivono che la pandemia ha ricordato alle persone che la vita è breve e che lavorare tanto e male e per salari bassi, non sempre è la scelta migliore. O che quantomeno si può provare a scoprire se esistano delle alternative. Non è un caso che le maggiori difficoltà di reperimento di manodopera si registrino in settori dove i contratti sono più poveri e più instabili: logistica, ristorazione, nettezza urbana. Dopo la “scossa” le persone chiedono condizioni migliori, più flessibilità negli orari e/o salari più adeguati. Se questo avviene in maniera inconsapevolmente coordinata su larga scala il manico del coltello passa, almeno temporaneamente, nelle mani dei lavoratori. È quasi come se la pandemia stesse agendo come un unico sindacato globale che coordina le richieste.

Già i salari: parola che gli imprenditori, pur a corto di dipendenti, faticano a pronunciare. Qualche economista prova a far timidamente notare che alzarli sarebbe il modo più rapido ed efficace per risolvere il problema. A ricordarlo sono anche i politici. Non c’è solo l’ormai celebre “Pay them more!” di Joe Biden: pure il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha suggerito che ritoccare gli stipendi potrebbe essere d’aiuto. Qualcosa si muove, in Ungheria le buste paga nell’industria sono salite in media del 9% rispetto ad un anno fa. Dal canto loro, non solo in Italia, gli imprenditori se la prendono con i sussidi di disoccupazione che sarebbero troppo alti inducendo le persone a restare a casa. Una teoria che però trova pochi riscontri nella pratica e sembra basata più su pregiudizi che su dati di fatto. La svolta è più decisa, il riassestamento del mercato del lavoro più profondo.

L’editorialista del Financial Times Martin Sandbu ha scritto di recente che la vecchia espressione “lotta di classe” sembra tornata al centro del confronto tra imprenditori e manodopera, almeno in alcuni settori. Un ritorno che potrebbe preludere ad un’inversione di tendenza rispetto a quanto accaduto negli ultimi quarant’anni, ossia una progressiva riduzione del peso dei salari rispetto al valore dell’economia. Nel 2000 la quota di profitti delle aziende statunitensi quotate in rapporto alle buste paga era in media del 20%, ora supera il 30%. L’incidenza del costo del lavoro si è ridotto, in tutti i paesi occidentali, dal 65% del Pil del 1970 all’attuale 59%.

Lo stesso Sandbu ha messo anche in luce come la carenza di manodopera stia stimolando livelli di produttività più elevati, poiché le imprese sono costrette a fare di più con meno, a ricorrere a tecnologie per il risparmio del lavoro e ad investire di più nei propri dipendenti. Non tutto il male viene per nuocere.

L'articolo Manca la manodopera? In tutto l’Occidente: dalla sanità in Germania all’edilizia in Francia. Così il virus cambia il mercato del lavoro proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3zyo6HN
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Blindate le stazioni in vista della protesta dei no-vax che annunciano di voler bloccare i binari. Il Viminale avverte: tolleranza zero. Certificazione anche per il personale scolastico e gli universitari. Bianchi assicura: "dal 13 piattaforma operativa". Risale la curva dei contagi. Otto regioni sotto osservazione, Calabria verso il giallo. Per Speranza molto probabile la terza dose



from Sky News
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Il ministero delle Infrastrutture ha pubblicato le nuove linee guide adeguandole alle direttive in vigore da oggi, 1 settembre. Obbligatoria la certificazione verde per salire su aerei, navi, traghetti, treni alta velocità e Intercity. Disposizioni specifiche anche per bus urbani, taxi, funivie, seggiovie e cabinovie



from Sky News
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Il dibattito si è riacceso dopo la morte di un 13enne a Sesto San Giovanni, il 30 agosto. I gestori assicurano che non ci sono pericoli e sottolineano che il casco è già obbligatorio per i minori. Ma diversi sindaci e governatori hanno optato per ordinanze ad hoc che limitino ulteriormente l'utilizzo dei mezzi. Ad oggi sono quattro le proposte di legge presentate in Parlamento in materia di sicurezza e di circolazione stradale, ma solo per una di queste è in corso l'esame in commissione a Montecitorio



from Sky News
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Dopo Germania e Spagna, che hanno diffuso i dati già ieri, anche Italia ed intera area euro accusano i contraccolpi del caro energia segnando un rialzo dell’inflazione In Italia i prezzi al consumo sono saliti in media ad agosto dello 0,5% rispetto a luglio. Su base annua, ossia in confronto all’agosto 2020, i prezzi sono aumentati del 2,1% (a luglio si era registrato un incremento dell’1,9%). I dati sono stati diffusi in mattinata dall’Istat che segnala come l’inflazione si collochi sul livello più alto dal 2013. La spinta viene dai beni energetici con i carburanti che costano il 12,8% in più di un anno fa e le bollette di gas elettricità rincarate di ben il 34,4%. L’indice relativo al “carello della spesa”, che raggruppa i beni acquistati con maggior frequenza come alimentari, prodotti per la cura della casa e della persona, torna a salire segnando un +0,8% su base annua.

A livello di zona euro, Eurostat registra un balzo dell’incremento dei prezzi dal 2,2% di luglio al 3% di agosto. Il dato è superiore alle attese degli analisti e bisogna risalire al novembre 2011 per trovare un valore analogo. Come per l’Italia è l’energia (+ 15%) a spingere tutto il paniere. Rispetto al luglio scorso l”incremento medio dei prezzi è stato dello 0,4%. Un anno fa, il tasso di inflazione registrato nell’area euro era di – 0,2%. I paesi che registrano i valori più alti sono il Belgio (+ 4,7%), la Lituania (+ 4,9%) e l’Estonia (+ 5%). In Germania il carovita è salito al 3,4%, valore più alto degli ultimi 13 anni. Spagna al 3,3% mentre la Francia si ferma al 2,4% ma con un salto significativo rispetto all’1,5% di luglio. I dati sull’inflazione saranno valutati con attenzione dalla Banca centrale europea che si riunisce la prossima settimana. La Bce ritiene che si tratti di rialzi temporanei che, almeno per ora, non giustificano una riduzione degli interventi di stimolo alla crescita economica.

L'articolo L’inflazione europea corre più delle attese. Balzo in Francia, Italia al 2,1%. La spinta più forte da carburanti e bollette proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/2WGANl2
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

“Io il ddl Zan, così com’è, non lo avrei votato, è chiaro? E poi si parla di una giornata di riflessione sull’omotransfobia alle elementari? Ma andate al diavolo, andate al diavolo, non sono d’accordo”. Sono le parole del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, intervenuto alla Festa dell’Unità di Bologna. “Va bene se la facciamo per le scuole superiori. Quando si parla di temi come questo, ci vuole grande misura”.

L'articolo Ddl Zan, De Luca si smarca dal Pd: “Non lo avrei votato”. Poi sbotta: “Giornata contro l’omotransfobia alla primaria? Andate al diavolo” proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3zyI98S
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Volano “pentole e bicchieri” tra Niccolò Centioni e Micol Olivieri. Per intenderci, Rudy e Alice de I Cesaroni, la fortunata serie televisiva andata in onda su Canale 5 da l 2006 al 2014. Pare infatti che tra i due non ci sia un rapporto idilliaco. Tutto sarebbe iniziato anni fa, dopo la loro partecipazione in coppia al reality Pechino Express e poi la rottura definitiva, sul finire delle riprese della serie tv. A spiegarlo, ieri 30 agosto, è stata la stessa Micol via Instagram stories. “Ci ho riflettuto un po’, ma ormai sono stanca di chiacchiere inutili che girano intorno a me da anni! Oggi parlo io e spero di concludere“, ha esordito la 28enne romana. Poi: “Signora sì ma cogl***a no. Le discussioni di cui parla questo ragazzo (Niccolò, ndr) che ha lavorato con me per anni sono discussioni che avevamo praticamente come fratello e sorella, noi siamo cresciuti con questo tipo di rapporto. Le discussioni che, a sua detta, non sono state montate a Pechino Express, non esistono. Mi spiego: non è stata montata una sua frase, molto grave, di cui ovviamente io non farò parola”. E ancora: “Avevo letto tra le sue dichiarazioni la frase ‘se fossi partito con un cane, sarebbe stato meglio’, ma io ho deciso di non replicare… siamo cresciuti insieme, ero come una sorella maggiore diciamo così. La nostra amicizia poi è continuata, quindi questa famosa discussione l’ha avuta da solo”.

Poi, durissima: “Quando sono finiti I Cesaroni, io ero incinta. In quel momento ho cominciato a leggere nuove dichiarazioni sempre su questo. Quando una persona si permette di minare la mia serenità e quella della mia famiglia, a quel punto è fuori. Lui ha sempre rilasciato dichiarazioni quando io o mi sposavo o ero incinta, sempre in questi momenti… mi è sembrato molto squallido. Quindi ho chiuso”. Micol poi ha chiarito che il marito (il calciatore Christian Massella) non ha avuto alcun ruolo nella chiusura definitiva dei rapporti suoi con Centioni. “Io ho due amici maschi, siamo una coppia aperta quindi queste cose da bambini non ci riguardano assolutamente – ha dichiarato – Io sono andata avanti nella mia vita, sono serena. Non ho bisogno di continuare a parlare de I Cesaroni, è stato un capitolo meraviglioso della mia vita ma ad oggi faccio tanto altro. Oggi sono davvero felice, non so se questo possano dirlo tutti… io auguro a questa persona di costruire una nuova vita. Rimanere ancorati ai ricordi e cercare di avere quel minimo di popolarità sulle spalle degli altri non è molto gratificante. Sono stata fin troppo paziente. Parlare di me va anche bene ma quando butti dentro parte della mia famiglia, non va più bene”. Micol è sposata con Christian dal 2014, dal cui amore sono nati due figli, Arya e Samuel.

Infine ha concluso: “Se mi fosse piaciuto cavalcare l’onda del gossip, andare ad urlare nei programmi televisivi… lo avrei fatto, mi è stato proposto. Ma io ho la faccia pulita e quindi preferisco usare questo canale”. Al momento, sembra che l’attore romano non abbia replicato alla ex collega, almeno non pubblicamente.

L'articolo Scontro tra Rudy e Alice de “I Cesaroni”. Lei: “È accaduto mentre ero incinta, adesso parlo io” proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/2V0sfFk
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Dammi tre parole: sole, cuore e amore. Dammi un bacio che non fa parlare”, era l’estate del 2001 e l’Italia intera veniva travolta dal tormentone realizzato da Valeria Rossi. Oltre centomila copie vendute, la vittoria al Festivalbar tra le nuove proposte e un successo tanto improvviso quanto clamoroso.

Sono trascorsi vent’anni e la vita di Valeria Rossi è totalmente cambiata, oggi lavora all’ufficio anagrafe: “Ho ripreso i libri della prima laurea, in diritto, ho fatto un concorso e sono stata assunta come ufficiale dello stato civile, redigo gli atti che afferiscono ai mutamenti di status delle persone. Ogni giorno ho a che fare con le vite delle persone, avevo voglia di andare nella pratica, nel concreto”, ha spiegato in un’intervista al quotidiano Repubblica.

“Tre parole” all’improvviso le cambiò la vita: “Non ne sapevo nulla di televisione, di radio, di promozione, non avevo idea di cosa fossero i ‘bagni di folla’. Ero un’autrice non una performer, non avevo alcuna esperienza dei meccanismi di show business, era tutto nuovo per me. Ero ovviamente contenta all’inizio, molto sorpresa ma anche molto divertita da quello che stava accadendo. Capii abbastanza presto che tutto stava prendendo dimensioni anomale e capii che se non stavo attenta avrei perso completamente il controllo su me stessa e sulla mia vita. Tutto durò due anni, piuttosto rocamboleschi dal punto di vista professionale. Perché alla fin fine era una professione inventata, anzi è difficile anche chiamarla professione, io ero un’autrice e sapevo ben poco di palcoscenici”, ha dichiarato la cantante.

Una canzone che piaceva a tutti: dai nonni ai bambini. “Una delle spiegazioni è che nella canzone c’è un mix di elementi, un elenco di immagini che è simile al linguaggio dell’anima, per cui ha bypassato la mente razionale ed è andata diretta nella sfera delle emozioni. In realtà è un testo taoista: io ho fatto la stessa scuola che ha fatto Battiato, che ha abbinato l’ascesi alla materia. Nel testo di Tre parole in realtà c’è tutto“, aggiunge Rossi che ora ha 52 anni e una nuova vita: “Sto facendo una formazione specifica, in counseling a mediazione corporea. Provare a portare le persone ad ascoltare il proprio corpo, stabilire una relazione d’aiuto che sia psicologica ma che non trascuri il corpo e lo inserisca nella terapia. Ho una grandissima passione per l’insegnamento del metodo chiamato ‘Stream yourself’ che tramite un mix di tecniche vocali, funzionali, meditazione e bioenergetica, permette il risvegliarsi e l’amplificarsi di creatività e di vitalità in senso ampio, con mille applicazioni in più ambiti, da quello artistico a quello relazionale, fino a quello di medicina integrata“.

L'articolo Valeria Rossi, da “dammi tre parole sole, cuore, amore” all’ufficio anagrafe: “Ho fatto un concorso e mi hanno assunta”. A 52 anni, la cantante si racconta proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3BrxJsl
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Un poliziotto è morto di Covid domenica 29 agosto, circa mese dopo aver scoperto di essere positivo. Cinquantotto anni, Candido Avezzù lavorava nel reparto mobile di Padova e aveva deciso di non vaccinarsi, convinto di essere “più forte del Covid”. Tra il 13 e il 23 luglio era in trasferta a Taranto per una missione in un hotspot che ospita migranti appena sbarcati in Italia. E proprio lì, secondo i racconti dei parenti, l’agente potrebbe essersi contagiato: nella struttura in quei giorni venivano ospitati 300 migranti, 33 dei quali risultati positivi al virus.

Avezzù, di origini veneziane e residente a Mestre secondo l’ex compagna, Monica Valotto, intervistata dal Corriere della Sera, era un no-vax convinto: “Mi diceva: ‘Io sono più forte del Covid’. Forse aveva sottovalutato il pericolo”. “Era contrario al vaccino – spiega ancora – temeva gli avrebbe causato una trombosi, non si fidava”.

La malattia dura circa un mese. È il 27 luglio quando Avezzù scopre di essere positivo il 27 luglio scorso. “Mio zio era convinto di essersi ammalato a Taranto” commenta la nipote Marika Avezzù al Corriere. Dopo la scoperta del contagio, si presenta all’ospedale di Jesolo, dove gli viene prescritta una cura antibiotica da fare a casa. “Dopo tre giorni, le sue condizioni sono peggiorate – spiega ancora l’ex compagna – si è presentato di nuovo davanti ai medici e a quel punto lo hanno trasferito a Dolo“. Sul suo profilo di Facebook scambia con i suoi amici messaggi scherzosi riguardo all’infezione: “Mi sono sposato con il Covid“, “Mi sono preso il Covid e me lo sono preso proprio bene”. È il 10 agosto e l’infezione non migliora. Avezzù viene così trasferito in terapia intensiva. Anche in questo caso affida ai social un commento: “Entro in intensiva. Sulla lapide lo scudetto del 2, grazie”, scrive per l’ultima volta sul social, riferendosi al numero del suo reparto mobile di polizia. Quindi il decesso, il 29 agosto scorso.

Intanto, mentre i parenti del poliziotto cercano di capire le ragioni per cui Avezzù non sia stato ricoverato immediatamente a Jesolo, il Sindacato autonomo di polizia (Sap) ha denunciato le condizioni di lavoro dei poliziotti in servizio agli hotspot: “ll Covid ha mietuto purtroppo l’ennesima vittima, poliziotto di 58 anni in servizio nello scorso mese di luglio proprio nel centro di accoglienza migranti di Taranto – scrive il Sap in una nota – Ma sono state le pessime condizioni di lavoro a determinare probabilmente l’accaduto”. Non è la prima volta che il sindacato punta il dito contro le condizioni sanitarie nei centri di accoglienza in Italia, chiamando in causa anche la ministra dell’Interno Lucia Lamorgese. “Lamorgese lo sa bene, la situazione è al collasso”, specifica il segretario generale del Sap Stefano Paoloni.

Ma c’è anche chi è più cauto. Luca Capalbo, segretario provinciale della Federazione sindacale di polizia a cui anche Avezzù aveva aderito, preferisce non attribuire responsabilità al luogo di contagio del poliziotto. “Impossibile dire se c’è una correlazione tra il lavoro a Taranto e la malattia – specifica Capalbo, come riporta dal Corriere – Per quanto ne sappiamo potrebbe essersi contagiato prima. Indagheremo per capire se c’è correlazione: fosse così, sarebbe molto grave”.

L'articolo Poliziotto non vaccinato muore a 58 anni di Covid. L’ex compagna: “Diceva di essere più forte del virus. Ha sottovalutato il pericolo” proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/2V3T37K
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

La stima completa dei conti trimestrali diffusa dall’Istat conferma la “crescita sostenuta del Pil” nel secondo trimestre 2021: +2,7% in termini congiunturali (cioè rispetto al trimestre precedente) e +17,3% in termini tendenziali (anno su anno), il dato più alto su base tendenziale mai registrato dall’inizio delle attuali serie storiche, nel 1995. L’Italia – che nell’anno del lockdown è stata il Paese europeo che ha perso più terreno – supera la Germania (+9,4%) e gli Stati Uniti (+12,2%) per crescita, anche se è la Francia il Paese dove il rimbalzo è più forte: +18,7%. Rispetto allo stesso trimestre del 2020 invece la crescita è stata dell’1,6% negli Stati Uniti, dello 0,9% in Francia e dell’1,6% in Germania rispetto al +2,7% dell’Italia. Nel complesso, il Pil dei paesi dell’area Euro è salito del 2% rispetto al trimestre precedente e del 13,6% nel confronto con il secondo trimestre del 2020.

“Il forte recupero dell’attività produttiva – spiega Istat – riflette un aumento marcato del valore aggiunto sia nell’industria, sia nel terziario. Dal lato della domanda, a sostenere la crescita del Pil sono state le componenti interne dei consumi e degli investimenti il cui contributo è stato di +2,6 e +0,5 punti percentuali, mentre la componente estera ha fornito un apporto di 0,3 punti. Negativo è il contributo delle scorte per 0,8 punti percentuali. Le ore lavorate sono cresciute del 3,9% in termini congiunturali, le posizioni lavorative dell’1,9%, mentre i redditi pro capite sono risultati sostanzialmente stazionari“. La crescita già acquisita del Pil per il 2021 è del 4,7%. Si tratta della crescita del prodotto nel caso in cui nei prossimi trimestri ci fosse una variazione pari a zero.

Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna registrano un’espansione, con un aumento del 3,4% dei consumi finali nazionali e del 2,4% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono aumentate, rispettivamente, del 2,3% e del 3,2%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha fornito un contribuito positivo di 3,1 punti percentuali alla crescita del Pil: +2,8 punti i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private, +0,5 punti gli investimenti fissi lordi e -0,2 punti della spesa delle amministrazioni pubbliche. Per contro, la variazione delle scorte ha contribuito negativamente per 0,8 punti percentuali, mentre l’apporto della domanda estera netta è risultato positivo nella misura di 0,3 punti percentuali. Si registrano andamenti congiunturali positivi per il valore aggiunto di industria e servizi, aumentati rispettivamente dell’1,6% e del 2,9% e stazionario per il valore aggiunto dell’agricoltura.

L'articolo Crescita, Istat conferma il forte recupero nel secondo trimestre: Pil a +17% anno su anno. Più di Germania e Usa, la Francia fa meglio proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/2Y3g7o6
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

di Gianluigi Perrone*

Il Governo cinese in lotta contro la Bestia: Pechino sta limitando l’intrattenimento online e il potere degli influencer, e i governi occidentali potrebbero prendere esempio

“La Bestia” è il nome che i media italiani hanno dato al software, o meglio al metodo basato su algoritmi, in grado di pilotare l’opinione pubblica sui social. Negli Stati Uniti è rappresentato dallo scandalo di Cambridge Analytica, che ha pilotato diverse elezioni tra cui quelle vittoriose di Obama e Trump, tramite fake news e fake account.

Naturalmente il target della Bestia è Facebook, e in Cina Facebook non c’è. Il social network di Mark Zuckerberg non è accessibile in Cina (se non tramite VPN), quindi il sistema che influenza subliminalmente l’interazione sociale di milioni di occidentali non attecchisce. Tuttavia un social ben diverso e a detta di qualcuno più incline a creare dipendenza sta preoccupando il Governo cinese: TikTok.

Il potenziale di guadagno di vecchie e nuove celebrities ha spinto il governo cinese ad attuare un piano di attacco contro lo star system. Recentemente numerose star del grande, piccolo e piccolissimo schermo sono state severamente multate e letteralmente cancellate dal CAC (Cyberspace Administration of China), l’organo di controllo di internet. É il caso di Vicky Zhao (Zhao Wei), star di Shaolin Soccer e molti altri blockbuster, nonché testimonial asiatico di Fendi, che è stata cancellata dai social media locali come Weibo e il suo nome e i suoi film sono stati eliminati dalle piattaforme online come iQiyi e Youku, senza un motivo dichiarato. Pare che le motivazioni siano da ricercare in false dichiarazioni fiscali e legami con il Ceo di Alibaba Jack Ma (si parla di cifre tra i 400mila e il miliardo di dollari) e l’amministrazione di Hangzhou caduta per corruzione. Inoltre aveva già sollevato critiche da parte della Communist Youth League, associazione di formazione per giovani membri del partito, la scelta di includere nel suo nuovo film Leon Dai, attore noto per il supporto al separatismo taiwanese.

Così sia Zheng Shuang (attrice dal cachet di 25 milioni di dollari) sia Fan Bingbing (fino a pochi anni fa la top star del mainland) sono state eliminate dai media e multate pesantemente per le congiunte accuse di scelte professionali antinazionaliste, e per grave evasione fiscale. L’attore Zhang Zhehan ha visto la sua carriera distrutta per aver fatto delle foto allo Yasukuni Shrine, monumento ai caduti di guerra, incluse le guerre sino-giapponesi. É parte di un piano di regolamentazione dell’intrattenimento online che include regole che limitano anche l’uso dei videogiochi online da parte dei minori, ai quali è permesso giocare solo 3 ore a settimana. La notizia ha causando un tracollo internazionale nel settore, visto che la Cina è il principale mercato di vendita.

Il termine con il quale è stata definita la dipendenza da videogiochi online, ovvero “oppio spirituale”, dimostra la seria preoccupazione per una dipendenza che si sta diffondendo notevolmente. Ha destato scalpore la storia di una coppia che ha venduto i tre figli per poter continuare a pagare i debiti contratti attraverso l’online gaming. Tuttavia sembra un po’ strano che in piena pandemia una cosa del genere possa essere una priorità.

La piattaforma iQiyi ha oltretutto annunciato che limiterà il più possibile, se non eliminerà, la presenza dei talent show su richiesta del Partito, in quanto è stata definita non salutare l’ascesa di giovani star prive di talento ma con una grande fanbase, ovvero gli influencers. Pechino sta cercando di limitare il crescente e incontrollabile potere delle piattaforme online e delle figure di spicco che facilmente possono essere generate. Il timore è probabilmente di manipolazioni irreversibili della popolazione attraverso tecnologie che non hanno un chiaro controllo, tanto che sia Tencent che Bytedance e Alibaba, giganti della comunicazione online, sono state limitate a livello finanziario.

Questo avviene dopo anni in cui il governo cinese ha spinto gli imprenditori del paese a investire sulle nuove tecnologie. Vedremo se Pechino sarà in grado di fermare il progresso che ha innescato.

*CEO di Polyhedron VR Studio a Pechino

L'articolo Cina, stretta su influencer e gaming: fa paura la dipendenza da intrattenimento online proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3Bq1Lwp
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

La pubblicità di TimVision con Lino Banfi è stata censurata. Colpa dell’esclamazione pronunciata nello spot in rotazione su tutte le reti nazionali: “Porca puttena”. Frase tormentone del comico pugliese con richiamo al film cult “L’allenatore nel pallone“, ritornata in auge nei mesi scorsi grazie a Euro2020 con le esultanze degli azzurri Immobile e Insigne, i due campioni avevano omaggiato l’attore citando la sua battuta dopo aver fatto gol. Da questo momento in poi andrà in onda la versione tagliata della pubblicità: Banfi inveirà in maniera contenuta per la sua antenna non funzionante, qui con palese sfottò a Sky che ha perso i diritti in esclusiva della Serie A.

La decisione è stata presa dopo la denuncia del Moige (Movimento Italiano Genitori) all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e al Comitato TV presentata dopo le segnalazioni genitori e famiglie: “È proprio questa espressione, ovvero ciò che rende sgradito lo spot alle famiglie e ai minori, ad aver richiamato l’attenzione del Moige: sembra infatti che, affinché lo spettatore a casa non si annoi, sia necessario ravvivare l’interesse con qualcosa che possa scandalizzare o almeno catturare il pubblico. Una soluzione antiquata e sulla lunga controproducente per le stesse aziende, associate a riferimenti trash nell’immaginario dei clienti, che consigliamo fortemente di non reiterare. In una tv già subissata da contenuti volgari e inadatti ai minori, non si sente davvero bisogno di un ulteriore dose di cattivo gusto e volgarità: e non è possibile derubricare un’esclamazione del genere trasformandola in un motto di spirito o in una forma ironica, giocando magari sul personaggio – amatissimo – di Oronzo Canà. ‘Le parole sono importanti’, diceva Nanni Moretti, e in questo caso le parole scelte per lo spot di TimVision appaiono chiarissime e assolutamente non fraintendibili”, aveva dichiarato il Moige in una nota.

Elisabetta Scala, vicepresidente e responsabile Osservatorio Media Moige, aveva aggiunto: ”Una nuova iniziativa contro la volgarità in tv che dimostra in modo chiaro come uno degli scopi del Moige sia battersi contro la violenza e la volgarità, soprattutto quando può recare danno ai minori, senza alcun pregiudizio. Le aziende come Tim devono trovare altre strade per coinvolgere il pubblico, evitando di scadere nella trivialità più assoluta, considerando anche che gli spot sono mandati in onda in fascia protetta e che una buona parte del pubblico è composta da famiglie e minori”.

L'articolo Addio “Porca puttena”: la pubblicità di Tim Vision con Lino Banfi censurata proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3BuqQpZ
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Matteo Salvini ha “spostato la Lega su una posizione completamente diversa” dopo l’arrivo di Mario Draghi. Parola del presidente della Puglia Michele Emiliano che, il giorno il sorprendente elogio all’ex ministro dell’Interno, conferma la sua posizione in un’intervista al Corriere della Sera. “Ha preso un partito xenofobo, antieuro, antieuropeista, omofobo, con l’utilizzo disinvolto persino di elementi religiosi”, è la versione del governatore dem. Poi l’appoggio all’ex presidente della Bce, spiega Emiliano, è stato uno snodo: “Si sono resi conto che una grande forza politica europea, che sostiene Draghi, non può essere né xenofoba né omofoba”.

Quella Lega, ad avviso di Emiliano, è almeno parzialmente superata: “Nella mia dichiarazione, gli ho detto che ci sono cose su cui ancora non siamo d’accordo. Anche sulla xenofobia e l’omofobia la Lega è in grandissimo ritardo. Ma sta cambiando, ha fatto un salto di elaborazione politica. Come, stando al governo con Draghi, è dovuta cambiare sull’euro e sull’Europa”. Una trasformazione, quella letta tra le righe dal governatore-magistrato, ottenuta anche grazie al Pd che “deve rivendicare questo ruolo”. Salvini, spiega, “va incoraggiato a lasciare le posizioni estremiste”. Qualcosa che sta già avvenendo, sostiene: “Quando Orbàn viene a Roma, non vede lui ma la Meloni. Il Pd è riuscito a costringere il suo principale avversario ad accogliere quasi tutte le proprie posizioni”.

L’apprezzamento – arrivato dopo le polemiche interne al centrosinistra pugliese per il sostegno a Pippi Mellone, sindaco di Nardò, nel Leccese, considerato vicino a CasaPound – viene raffreddato da Emiliano: “Sono un sostenitore di Draghi”. Ma rivendica, come avvenuto in passato con il M5s, la necessità di ‘muoversi’ tra gli schieramenti del momento: “In politica l’immobilità non esiste: anche quando aprii al M5S fui criticato”. E spiega: “L’errore storico delle sinistre è stato sempre pensare che l’umanità debba adattarsi ai nostri ideali e ai nostri sogni. Invece bisogna costruirlo, il cambiamento: è un lavoraccio, eh, ma qualcuno deve farlo”.

“Le critiche che mi facevano sui Cinque Stelle sono le stesse che adesso mi fanno su Salvini – ragiona Emiliano – Poi il M5S ha completato un percorso. Vede, in politica la parola chiave è evoluzione, la fissità di una posizione non è indice di intelligenza”. Un ‘percorso’ passato anche per la presidenza a Giuseppe Conte, definito “una figura politica rilevante” che, nonostante la sua apparizione quasi stupefacente”, ha “dimostrato di sostenere un compito difficilissimo, durante la pandemia e in alleanza col Pd”.

L'articolo Emiliano e gli apprezzamenti a Salvini: “Con Draghi è cambiato, lo sta facendo anche su xenofobia e omofobia” proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3mRibtN
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

River William Stone non ce l’ha fatta. Il nipotino di Sharon Stone è morto ieri 30 agosto dopo il peggioramento delle sue condizioni. Ad annunciarlo è stata la stessa attrice, che era a Venezia per girare uno spot per Dolce&Gabbana ed ha fatto ritorno negli Stati Uniti proprio perché la situazione stava rapidamente precipitando. Il piccolo River, che avrebbe compiuto 1 anno l’8 settembre, stava molto male già da giorni. Tanto che l’attrice aveva lanciato un drammatico appello: “Per favore, pregate per lui perché abbiamo bisogno di un miracolo“. Il bimbo è morto a causa di una insufficienza multiorgano.

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Sharon Stone (@sharonstone)

L'articolo Morto River, il nipotino di Sharon Stone. Avrebbe compiuto 1 anno l’8 settembre proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3BupFXB
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Il presidente Conte è stato insensatamente etichettato come “no-vax” perché di fronte a una domanda diretta sull’obbligo vaccinale generalizzato (che al momento non esiste in nessun paese del mondo) ha semplicemente detto che non lo vede come una soluzione al momento (e si è espresso per la forte raccomandazione a favore dei vaccini).

Occorre il coraggio di spiegare ai cittadini anche questioni complesse. Trattarli come bambini stupidi è proprio il modo migliore per radicalizzare una fetta di persone indecise trasformandone alcune in estremisti no-vax, come quelli che hanno aggredito in modo violento gli attivisti M5s sabato scorso a Milano.

Da persona che ha ricevuto in questi anni attacchi molto astiosi, per non parlare di vere e proprie minacce per delle posizioni pro-scienza (proprio per quanto scritto qui sul blog del Fatto) ritengo i vaccini anti Covid strumenti utilissimi e fondamentali nella lotta al virus. Alcuni però non li vedono come farmaco, la cui somministrazione dovrebbe seguire una valutazione del rapporto benefici/rischi, ma piuttosto come un dogma religioso che non può essere messo in discussione, (s)ragionando in un certo senso proprio come i “fottuti no vax” che vorrebbe combattere.

Qualcuno dirà: “Ma i vaccini sono stati approvati dalle agenzie regolatorie (in via emergenziale, ricordiamolo, tranne il vaccino Pfizer da pochi giorni) quindi questa valutazione è già stata fatta”. Attenzione: anche gli antibiotici sono farmaci utilissimi e approvati dalle agenzie regolatorie, ma tra questo e dire “somministriamo gli antibiotici a tutti” ci passa un oceano.

I vaccini anti Covid non sono uguali per tutti perché il Covid non è uguale per tutti: colpisce in modo molto diverso in base alle età. In Italia l’età media delle persone purtroppo decedute è di oltre 80 anni. Il 99% del totale aveva più di 50 anni. Sotto i 40 anni abbiamo circa 300 persone decedute, di cui almeno la metà con gravi patologie pregresse. Gli under 19 sono solo 26. La priorità dovrebbe essere rintracciare e convincere a vaccinarsi i milioni di over 50 che ancora non hanno ricevuto nemmeno una dose, perché per loro la bilancia pende sicuramente dalla parte dei benefici. Le persone che finiscono in terapia intensiva e muoiono di Covid pur avendo ricevuto il vaccino ci sono, ma sono pochissime: tra giugno e luglio su 150 persone ricoverate 123 non avevano avuto alcun vaccino, 11 solo una dose e 16 due dosi di vaccino, che riducono il rischio di morte del 95%.

Rinunciare al vaccino per fragili e anziani sarebbe altrettanto insensato che rifiutare l’antibiotico con un’infezione in atto. E per i giovani? Il Cdc di Atlanta ritiene che il rapporto benefici-rischi, anche se ovviamente meno vantaggioso rispetto agli anziani, rimanga comunque favorevole anche per chi ha più di 12 anni (sotto questa età non ci sono vaccini approvati), perché i rischi di effetti collaterali da vaccini ci sono ma sono comunque molto bassi.

Invece, il comitato britannico per l’immunizzazione e la vaccinazione (JCVI) non raccomanda la vaccinazione della popolazione tra 12 e 17 anni, a meno di una particolare fragilità. Inizialmente era simile a quella del comitato tedesco STIKO, che però la ha appena rivista, raccomandando la vaccinazione tra 12 e 17 anni ma dicendosi “espressamente contrario a renderla un prerequisito per la partecipazione sociale dei bambini e degli adolescenti”. Quindi non sarebbe ipotizzabile per loro vincolare al vaccino l’accesso per esempio alle scuole.

Si dovrebbe in ogni caso riflettere su quanto sia eticamente accettabile vaccinare i bambini dei paesi più ricchi (che rischiano poco in ogni caso) mentre c’è chi nei dei paesi in via di sviluppo è ad altro rischio (i medici ad esempio) e non li ha. Consideriamo che una nuova variante potrebbe emergere ovunque.

Il confronto che è girato anche su alcuni siti complottisti tra i numeri dei contagi di oggi e quelli di un anno fa quando non avevamo il vaccino ha poco senso: non è che il virus “sparisce” con la bella stagione, ma la sua circolazione è comunque ridotta. Per ben due volte abbiamo avuto un calo significativo da maggio, praticamente in tutta Europa. Dovremmo smettere di guardare ai “positivi”, anche considerando che la nuova variante delta è nettamente più contagiosa di quelle precedenti, e concentrarci invece su quanti sono i malati gravi. A novembre, quando il virus diventa più aggressivo, l’effetto protettivo dei vaccini lo vedremo eccome rispetto all’anno prima. Quello sarà il momento per un confronto sensato, non oggi su numeri piccoli e poco significativi.

Anche l’affermazione di Fauci “i vaccinati hanno lo stesso livello di carica virale dei non vaccinati” è stata riportata in modo impreciso. Fauci ha spiegato che con la variante delta è possibile persino il contagio tra vaccinati, ma rimane comunque un evento molto raro. Insomma, la protezione, non solo individuale ma anche per la comunità, c’è eccome.

Quindi, il green pass è uno strumento sensato ed efficace nonostante non abbatta totalmente il rischio. Le cinture di sicurezza sono utili perché riducono tantissimo il rischio in caso di incidente, anche se non lo portano a zero.

La strategia messa in atto dal governo è: visto che non si riesce a vaccinare tutti gli over 50 che dovrebbero invece fiondarsi a farsi il vaccino e che se quando si ammalano in modo serio intaserebbero gli ospedali costringendo a chiusure per tutti, si tenta con la “moral suasion” del green pass di convincere a vaccinarsi più giovani possibili, i quali hanno un vantaggio piccolo ma possibilmente significativo, sperando in questo modo di avere una barriera sufficiente alla circolazione del virus. Sicuramente appare un po’ complessa e dovrà essere rimodulata in corso d’opera, ma vediamo se funziona. I no o sì categorici al green pass sono posizioni similmente insensate.

Eviterei le guerre di religione: dalla pandemia usciamo solo se ciascuno fa un passo indietro dalle proprie posizioni dogmatiche per poi farne tre avanti tutti insieme.

L'articolo Vaccino Covid: eviterei le guerre di religione proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/2WAhZnF
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

Mentre i vigili del fuoco sono ancora al lavoro per mettere in sicurezza quanto rimane del grattacielo di via Antonini, che domenica a Milano è andato a fuoco in meno di 30 minuti, tutte le ipotesi su come sia stata possibile una propagazione delle fiamme così rapida sono ancora al vaglio degli inquirenti. L’attenzione si concentra sui pannelli di rivestimento dell’edificio “bruciati come cartone” e sul sistema antincendio, che secondo alcuni inquilini del palazzo alto 60 metri non era funzionante tra il quinto e il decimo piano. Intanto si cerca anche di capire da dove sia nato il rogo, come riporta La Repubblica, se dal terrazzo del quindicesimo piano o dall’interno dell’appartamento, vuoto da 15 giorni, e cosa abbia causato il cortocircuito, il motore del condizionatore, una batteria lasciata in carica e surriscaldata o una lampada, come scrive il Corriere. E per gli inquilini, che oggi si riuniranno in un’assemblea straordinaria per “formulare un piano d’azione che vada al di là della fase emergenziale”, secondo Repubblica aleggia anche l’ipotesi di non poter più ritornare nel palazzo: pompieri e dei volontari della protezione civile che lo hanno ispezionato pensano che sia quasi impossibile salvare qualcosa e quindi, con ogni probabilità, il grattacielo potrebbe presto non esserci più.

I pannelli e l’obbligo di materiale antincendio solo dal 2019 – Come già uscito con le prime indiscrezioni sulle indagini circolate nella giornata di lunedì, il primo “sospettato” per la “tragedia sfiorata” è il materiale interno ai pannelli di Alucobond, composti da due lamiere esterne di alluminio e un nucleo centrale di sostanze minerali difficilmente infiammabili, che potrebbe aver agito come “benzina”. Certo è infatti che le lamiere “bruciavano come se fossero di cartone”, a detta degli stessi pm. E quindi proprio le analisi sulle falle nella sicurezza del grattacielo sono uno dei punti centrali delle indagini per disastro colposo. Gli esperti del Nucleo investigativo antincendi dei vigili del fuoco hanno sequestrato i resti della copertura e saranno le perizie fatte in laboratorio, che secondo Repubblica saranno aiutate anche dalle immagini di una spherocam, in grado di fotografare a 360 gradi e ad altissima risoluzione, a dare certezza sul materiale usato per “riempire” i pannelli. Da capire, si legge ancora sul Corriere, anche se i pannelli siano stati montati correttamente, secondo le specifiche, o se siano stati utilizzati isolanti o schiume aggiuntivi e quindi non previsti dall’impresa realizzatrice dei rivestimenti.

Le indagini, come riporta il quotidiano di Via Solferino, si concentrano sulla proprietà e sull’impresa che ha realizzato il grattacielo, la “Moro costruzioni“, chiusa alcuni anni fa e trasformata in “real estate”, di proprietà di Alberto Moro, e sull’azienda che ha realizzato il rivestimento, la Isogen Saint Gobain di Pisa. E, secondo l’Ansa, a garanzia per gli accertamenti tecnici, potrebbero presto arrivare le iscrizioni nel registro degli indagati verosimilmente di costruttori, responsabili dei lavori e progettisti. Saranno inoltre presto acquisiti i documenti relativi alle modalità di costruzione della torre, oltre a una serie di testimonianze.

Altro punto oscuro resta quello della normativa che la stessa Procura ha definito “molto recente”. La torre di via Antonini, infatti, è stata consegnata nel 2011 quando i requisiti di sicurezza antincendio delle facciate, come riporta il Corriere della Sera, erano solo “raccomandazioni”. E così sono rimaste fino al 2019 quando un decreto del ministero dell’Interno ha reso legge una prima circolare di raccomandazione. Il decreto, specifica l’ingegnere Michele Mazzaro, vice direttore centrale per la prevenzione incendi dei vigili del fuoco, sentito dal Corriere, “riguarda edifici che sono stati costruiti successivamente all’entrata in vigore del decreto e quelli ai quali vengono apportate modifiche superiori al 50% della facciata”. E quindi il grattacielo andato a fuoco risulterebbe escluso. Tuttavia, precisano gli inquirenti, “un conto è usare pannelli non ignifughi, un altro prodotti che hanno favorito le fiamme e le hanno alimentate. I rivestimenti non devono bruciare così”.

Il sistema antincendio – Altro filone d’indagine riguarda invece l’impianto antincendio del palazzo. Certo è che il sistema presentava diverse “criticità” e in particolare le bocchette dell’impianto da attivare manualmente funzionavano solo fino al quinto piano e non erano attive tra il quinto e il decimo, mentre hanno funzionato in parte dal decimo al diciottesimo piano. Gli stessi inquilini, infatti, hanno dichiarato che l’acqua non usciva in quei cinque piani incriminati e gli stessi vigili del fuoco non hanno potuto usare l’impianto interno in parte fuori uso. Alcuni pompieri, poi, come riporta il Corriere, hanno parlato di scale d’emergenza “piene di fumo” così come alcuni piani. Certo è però che le scale hanno consentito alle persone che stavano fuggendo di evacuare in sicurezza. Non si sono registrate vittime infatti, se non “un cagnolino”, come ha dichiarato ieri il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano che coordina le indagini.

L’origine del rogo – Nessun dolo ma dubbi anche sull’origine del rogo. Secondo Repubblica sono due le ipotesi in campo: l’incendio potrebbe essere partito sia all’interno che all’esterno dell’appartamento al quindicesimo piano, disabitato da due settimane viste le ferie estive. Nel primo caso a bruciare potrebbe essere stato un caricatore per batterie al litio surriscaldato o un condizionatore difettoso o un elettrodomestico in cortocircuito. Oppure il pezzo difettoso potrebbe essere stato dimenticato all’esterno e surriscaldato dal sole. Per chiarire, oggi sono attesi i dati sui consumi dell’elettricità nell’appartamento, come riporta il Corriere.

L'articolo Palazzo in fiamme a Milano, l’obbligo di “pannelli ignifughi” dal 2019 e le “criticità” del sistema antincendio: tutti i dubbi sul rogo proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3kBe7va
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J

A volte basta una tastierina regalata per caso, ad un compleanno, per far scoppiare una passione di quelle che fanno fare alla vita curve inaspettate. Chissà cosa sarebbe successo al maestro Leonardo De Amicis se suo papà non gli avesse regalato quella tastierina: forse avrebbe realizzato il sogno di diventare ingegnere navale, o forse la musica sarebbe comunque arrivata a stravolgere i suoi piano. Mina, Papa Wojtyla, Mariangela Melato, Raffaella Carrà, poi ancora Fiorello, Cocciante, la direzione delle orchestre in una tv di fasti e grandi ascolti, i Sanremo trionfali: De Amicis, volto familiare di tanti programmi di successo, non si è fatto mancare nulla, ha alzato l’asticella ma non ha mai rincorso il successo a tutti i costi. «Mi sono ritrovato per caso a vivere una vita straordinaria», racconta a FQ Magazine all’indomani dell’ultima serata della Perdonanza Celestiniana de L’Aquila, di cui è direttore artistico.

Maestro, lunedì 30 agosto si è chiuso chiude la 727esima edizione della Perdonanza Celestiniana. Come la descriverebbe a chi non la conosce?
È un evento storico che ruota attorno all’apertura della Porta Santa nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, voluta da un Papa abruzzese, Celestino V: ogni anno da oltre 700 anni il 28 agosto si apre la porta santa e si realizza una settimana straordinaria per gli aquilani e per l’Abruzzo. La “bolla del perdono” è una festa religiosa ma anche laica. L’Aquila è stata a lungo un punto di transito della transumanza: un tempo qui s’incrociavano greggi e pastori, poi è diventato luogo di commercio e poi di cultura e grande musica. Qui sono passati i più grandi, da von Karajan a Bernstein.

Lei da quattro anni è direttore artistico della Perdonanza.
Ho presentato un progetto ed è stato accolto. Mi occupo dell’aspetto culturale, coinvolgendo 60 ragazzi del Conservatorio dell’Aquila in vere e proprie produzioni con i grandi artisti che vengono ad esibirsi. Non sono i classici concerti ma spettacoli ex novo in cui s’intrecciano musica e parole. È un’esperienza formativa per i ragazzi e si crea un’interazione forte tra chi viene ad esibirsi e la città.

Per il gran finale di ieri, sono in arrivo tra gli altri Fabrizio Moro, Ermal Meta, Monica Guerritore, Riccardo Cocciante e Renato Zero.
Grandi nomi per una serata speciale che sintetizza il messaggio lanciato quest’anno: un canto di rinascita, il viaggio come metafora di vita, il cuore al centro di tutto, come proiezione ideale verso lo star bene. Arte, musica e cultura puntano a quello: provocare emozioni che cambiano il nostro stato d’animo e ci fanno stare meglio.

Il titolo dello show era «L’Aquila ritorna». Che momento vive la città?
Un grande rinascimento culturale, si respira un’energia fortissima. Il terremoto ha provocato una frattura interiore enorme, ha spezzato fili e legami e c’è bisogno di ricostruire le case, i palazzi, le chiese ma anche puntare su un rinascimento culturale: è quello che riporta le persone nell’agorà. Gli aquilani e gli abruzzesi sono persone resilienti, abituati da secoli a rinascere: l’esperienza del passato non si scorda, ma guardiamo avanti.

Lei è abruzzese e ha studiato al Conservatorio dell’Aquila.
Sono cresciuto a Corvaro, un paesino di 600 abitanti della Valle del Salto, poi ci siamo trasferiti a L’Aquila e sono rimasto legato alla città. Ricordo gli anni al Conservatorio come un sogno: si respirava un’energia pazzesca, i grandi musicisti passavano da Santa Cecilia, a Roma, e poi venivano qui.

Se lo ricorda il momento esatto in cui è scattato il colpo di fulmine per la musica?
Ero un bambino, papà mi regalò una tastierina e io impazzii: ho iniziato giocando e non ho più smesso. Poi sono passato all’organo, al pianoforte e ho iniziato a prendere lezione.

S’immaginava musicista da ragazzino?
No, ambivo a diventare ingegnere navale. Feci lo scientifico, ma al quarto anno lasciai ed entrai al liceo musicale. In famiglia sognavano che diventassi medico, così m’iscrissi a medicina ma dopo tre anni mollai e proseguii con il Conservatorio. Giocando, mi sono ritrovato a fare il musicista e la musica è diventata la colonna portante della mia vita.

Lei, con il suo insospettabile passato metal e rock, si è ritrovato nel 1999 ad essere selezionato come compositore, direttore e produttore del disco-evento di Giovanni Paolo II, Abbà Pater.
Oggi ci ripenso e mi dico: «Non posso crederci». Sono stato fortunato a vivere un momento così intenso con un uomo così straordinario come Papa Wojtyla. Non ero solo un disco testamento con la sua voce, ma quella musica era scritta e prodotta da me: il disco del Papa che canta con un’orchestra fu qualcosa di memorabile, tanto che vendette 2 milioni di copie.

Il suo cammino si è intrecciato con Wojtyla, perché poi ha diretto l’orchestra in diversi Giubilei, compreso quello dei Giovani nel 2000, davanti a quattro milioni di persone. Il primo incontro con lui?
In Piazza San Pietro, durante l’udienza in cui presentammo il disco: non sono riuscito a dire una sola parola per l’emozione, sembravo un cretino. Mi mise mano sulla testa, mi abbracciò e bastò quello. La seconda volta che lo vidi mi ero preparato delle cose da dirgli, ma ancora una volta ero pietrificato: forse non serviva sporcare con le parole un momento così intenso. Bastava il silenzio.

Cosa la colpiva di lui?
Il carisma pazzesco, il suo essere accomodante e cento anni avanti a tutti noi. Ogni tanto tocco il Rosario profumato che mi regalò durante uno dei nostri incontri.

Lei è credente?
Sono credente, educato al cristianesimo ma il mio percorso è fatto di carambole, di andate e ritorni. Credo che esista un’energia divina e credo in alcuni principi della religione – come la condivisione e la fratellanza, perché non tutto è trascendentale – e sono legato emotivamente ad alcuni papi.

Dal sacro al profano: la messa laica di Sanremo. Sarà il direttore musicale anche nel 2022?
Sì, Amadeus mi ha chiamato e mi ha confermato. Sono a sua disposizione per idee e progetti.

Nel dettaglio, di cosa si occupa il direttore musicale di Sanremo?
La cosa più importante è la composizione musicale dell’orchestra: in questi due anni ho fatto grandi cambiamenti perché è cambiato il modo di suonare, tutto si evolve e dunque deve cambiare anche il taglio dell’orchestra. In generale seguo tutta la parte musicale, dagli stacchi alle esibizioni di conduttori e degli ospiti. I cantanti invece hanno il loro direttore.

Dall’exploit di Diodato al successo dei Måneskin: in pochi all’inizio credevano nelle scelte di Amadeus, poi si sono dovuti ricredere.
Chi lo critica non conosce il suo fiuto, la conoscenza che ha della musica e dei gusti del pubblico. Ne parlavo pochi giorni fa con Orietta Berti: la capacità che ha Amadeus di fare crossover musicali come quelli degli ultimi due anni, è una dote rara.

Lei ha mai dubitato di qualche scelta?
No, perché conosco la genesi del suo pensiero: quando disegna il Festival è coerente con il suo percorso e mi stupisce sempre. Tutti i brani li sceglie direttamente lui, se ha dei dubbi li condivide e chiede consigli.

Intoppi, bizze da star, delirio pre diretta. Cosa non abbiamo visto.
(ride) I capricci dell’artista che pensa di viaggiare sul tetto del mondo capitano qualche volta ma non farò nomi. Le posso assicurare che di solito riguardano personaggi secondari. Con i grandi professionisti riesci a gestire tutto, anche il gobbo troppo lontano a tre minuti dalla diretta, come accadde lo scorso anno con Ornella Vanoni: provammo all’ultimo minuto, pensavo «adesso succede un macello» e invece in onda andò tutto bene.

La Vanoni era nel cast di Ora o mai più, programma cult che incredibilmente Rai1 non ripropone.
Me lo chiedo anch’io perché non si rifaccia: era un racconto divertente e geniale e Amadeus un perfetto padrone di casa.

Lei fu al centro di una serie di battibecchi con Marcella Bella.
Se la prendeva per la divisione dei brani. «Preferisci Silvia Salemi a me», mi diceva. Si arrabbiò tantissimo ma non capiva che i grandi artisti dovevano fare un passo indietro per far risaltare i concorrenti.

Ma gli scontri più epici furono tra Rettore e Donatella Milani.
La Milani è una persona di cuore ma riusciva a mettere sempre una parola di troppo che faceva scoppiare casini assurdi. La gente ancora oggi mi chiede: «Era tutto orchestrato dagli autori?». Era tutto verissimo. Io mi sono divertito un mondo.

C’era sempre lei anche a Music Farm, con Simona Ventura.
Fu un’edizione epica e io ero l’unico che entrava nella Farm e parlava con gli artisti. Il cast era una bomba con un’Iva Zanicchi senza freni, poi si innescò tutta la soap tra Dolcenera e Francesco Baccini. Io nel frattempo dovevo tenere a bada Franco Simone che era incazzato nero con tutti: ce l’aveva con me perché all’epoca lavoravo con Carlo Conti e voleva che lui lo ospitasse nelle sue trasmissioni.

Chi la fece debuttare in tv come direttore d’orchestra?
La colpa, o il merito, è di Gianni Morandi. Mi chiamò per C’era una ragazzo, dopo che ero stato produttore di un suo disco. Fu la prima volta che misi su un’orchestra e non ero convinto di farcela perché non avevo visione chiara del lavoro. Invece ho aperto la testa e oggi conosco a memoria la canzone italiana dagli ’50 ad oggi. Gianni mi ripeteva: «Devi venire avanti, stare al centro della scena con me». Io mi vergognano, un po’ perché ero un ragazzino e un po’ perché non amo la visibilità a tutti i costi. Mi piace stare al mio posto.

Tra le chiamate inaspettate, ci fu quella di Raffaella Carrà.
È doloroso parlare di Raffaella perché la sua morte mi ha lasciato senza fiato. Io ero amico di Sergio Iapino e di conseguenza ho frequentato Raffaella con gli amici dell’Argentario di Pietrelcina. Gli piaceva il mio modo di vedere l’orchestra, fatta di più archi e meno fiati, e mi ripeteva sempre «io e te dobbiamo fare cosa assieme».

L’occasione si presentò con Amore, nel 2006, su Rai1
«Pronto Leonardo, ciao sono Raffaella: voglio la tua grande orchestra nel mio show sulle adozioni». Raramente ho visto un conduttore mettersi così a disposizione di un programma. «Non sono stanca fino a quando non mi dici che va bene», mi disse. Finì che registrammo la sigla in una sola giornata. Incredibile. Come quando mi chiamò per avere dei consigli per il suo ultimo disco: doveva cantare Hallelujah di Cohen e volle che le suggerissi un soprano.

Il suo lato privato?
I ricordi più privati li tengo per me. Era generosa, umana, diretta, senza sovrastrutture. Nell’immaginario collettivo era una diva invece era spiazzante la sua normalità. Provò a farmi giocare a tre sette, ma io non ci capivo un tubo. Ricordo grandi cene tra amici, venti trenta persone, le risate, l’energia di Raffaella.

Sapeva della sua malattia?
No, lo sapevano in pochissimi. Le ho mandato un messaggio il giorno del suo compleanno e lei mi ha risposto. È pazzesco come è andata via ma posso dire di essere stato fortunato a intrecciare il mio cammino con il suo.

Tra i grandi incontri che la vita le ha riservato, c’è anche quello con Mariangela Melato
Ho composto le musiche per il suo spettacolo teatrale Sola me ne vo. Era preparata, colta, carismatica. Sa da cosa ho capito che stava cento metri sopra tutti? Dalla ricerca del confronto continuo con gli altri. È una caratteristica che appartiene ai più grandi.

Sfogliamo l’album dei suoi ricordi. Mina.
Riccardo Cocciante aveva scritto per lei Se avessi tempo e dovevamo registrare il brano. Arrivai in studio con l’incoscienza del ragazzino, mi misi accanto a Massimiliano Pani e ad un certo punto entra Mina, va in sala e parte il rec: mi ricordo lei con un foglietto in mano, io pietrificato dalla sua voce.

Cosa accadde?
Cantò una sola volta ed era così perfetta che non ci fu bisogno di rifarla. Si tolse le cuffie e mi disse: «Va bene?». Cioè, Mina che chiedeva a me se andava bene? Ascoltò due o tre volte la registrazione e quella finì sul disco. Lei è di una simpatia gigantesca. La rividi per Amore Amore, che incise con Cocciante.

A Cocciante lei è legato da un’amicizia lunghissima.
Per me Riccardo è scuola di vita. Fui un suo musicista, poi arrangiatore e produttore. Una gavetta straordinaria e un’infinità di ricordi. Ho prodotto molti suoi album e abbiamo lavorato assieme fino alla pre-produzione di Notre dame de Paris poi iniziai un altro percorso. Lui è il padrino di mio figlio, ancora oggi siamo grandi amici.

Se le dico Fiorello?
Subito dopo Morandi, fui chiamato per Stasera pago io. Due edizioni clamorose. Conoscevo Fiorello ma non bene e li capii i segreti del suo successo: è un mattatore vero e anche se ha un gruppo di lavoro strutturato, è il miglior autore di sé stesso.

In quello show passarono tutti, da Celine Dione a Dionne Warwick, da Santana a Lionel Richie. Altra tv, altri budget.
Ma non ci fu mai divismo inutile. Né quando da Morandi venne Withney Houston c’era un alone preparatorio misterioso, tra bonifiche e body guard ovunque: poi arrivò a provare e filò tutto in maniera naturale. Ma ad impressionarmi davvero fu la semplicità di Dustin Hoffman, da Fiorello: entrò in studio e si mise visino al tastierista, poi mi guardò e mi disse. «Sa, io volevo fare questo da grande». Più sono grandi, più sono con i piedi piantati a terra.

Lei diresse anche l’orchestra di Ti lascio una canzone, con la Clerici, e fu anche direttore artistico dello show quando Roberto Cenci andò via.
Era un programma pulitissimo nelle intenzioni e tale è rimasto. E il meccanismo era talmente semplice che si sono create sovrastrutture e polemiche inutili. «Sono bambini, certe canzoni non le possono cantare», dicevano i critici. Chissà cosa pensano ora che i bambini di dieci anni hanno in mano lo smartphone e su YouTube ascoltano quello che gli pare.

Ma non c’era il rischio che scimmiottassero troppo gli adulti?
Guardi che per loro era un gioco, niente di più: loro erano mossi solo dalla passione per il canto.

La potenzialità di alcuni di loro vi è scoppiata tra le mani. Basta citare Il volo.
Ma nessuno di noi può dire: «io lo sapevo». Con Cenci ci inventammo di metterli assieme perché da soli erano forti e vincevano sempre loro. L’idea di fare i tre tenorini era un gioco, poi le cose sono cambiate con l’intuito di Tony Renis e con il lavoro di Michele Torpedine.

Ne ricorda altri diventati poi famosi?
Alberto Urso. Era una voce bianca quando fece provino, poi è maturata dopo. Molti dei ragazzi di Ti lascio una canzone hanno percorso la strada dei talent ed è una piccola soddisfazione vedere che ce la fanno.

E lei, tracciando un bilancio, quando ha capito di avercela fatta?
Penserò di avercela fatta quando smetterò di lavorare. Non è retorica, è il mio carattere: non ho obiettivi chiari, sono in continuo cammino e mi faccio guidare dall’istinto. Mi sono trovato a fare cose bellissime per caso, non c’è mai strategia o una mia telefonata. Certo, alcune occasioni te le crei, ma non mi piacciono le pr: preferisco essere introdotto in un ambiente perché qualcuno pensa che sono adatto a quella situazione.

Il suo grande sogno professionale?
Continuare a fare musica, a vibrare e ad emozionarmi, continuare ad essere al centro di questa straordinaria vita. Non ho grosse pretese, sono una persona semplice.

L'articolo Il maestro Leonardo De Amicis si racconta a FQMagazine: “Ho fatto un disco con Papa Wojtyla e torno a Sanremo con Amadeus. Gli artisti più capricciosi? Quante ne ho visti. Poi, Mina…” proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano https://ift.tt/3gM8dGl
via IFTTT https://ift.tt/eA8V8J