giugno 2021

Si chiama Safety Bubble Device ed è un piccolo congegno, progettato all'interno di IotaLab da cinque ingegneri marchigiani e usato, in via sperimentale, in una discoteca di Lecco per distanziare adeguatamente le persone nella sala da ballo. Su circa 200 presenti nel giardino del locale, quindi all'aperto, in uno spazio di 600 metri quadrati, in quasi 5 ore sono state registrate 582 'collisioni' in assenza di rischio, cioè con una durata che secondo le prescrizioni non comporta l'esposizione al rischio di contagio da Covid-19  (AGGIORNAMENTI LIVE - LA SITUAZIONE IN ITALIA CON MAPPE E INFOGRAFICHE - DATI E GRAFICI SUI VACCINI). In pratica ogni volta che due dispositivi si avvicinano entro il metro previsto per legge, iniziano a vibrare e la collisione viene registrata in forma anonima.

 



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Quando nel 2016 Paolo è tornato dagli Stati Uniti è partito da un concetto semplice. “Ci siamo chiesti perché non creare una rete per ridare vita ai borghi abbandonati sul territorio italiano, facendo conoscere a tutti la ricchezza e la bellezza del patrimonio in cui viviamo?”. Nasce così Coltivatori di Emozioni, la prima piattaforma in Italia di social farming, con l’obiettivo di creare una rete di agricoltori e sostenitori delle tradizioni contadine per salvaguardare i territori rurali a rischio abbandono. A guidare la startup due imprenditori: Paolo Galloso, 41 anni, da Lecce e Biagio Amantia, 31 anni, da Catania.

“Abbiamo cercato aziende agricole che lavorano la terra in modo tradizionale e che desiderano tramandare questo antico mestiere”, ricorda Paolo al fattoquotidiano.it. La rete oggi è presente in 17 regioni e ha messo insieme oltre 40 agricoltori in 3 anni, grazie anche alle adozioni arrivate da tutta Italia. Tramite specifici “pacchetti di adozione”, infatti, i sostenitori possono donare ore-lavoro alle aziende sul territorio destinate alla semina, alla potatura, all’aratura, alla trebbiatura, alla raccolta. E ricevono come ricompensa i prodotti che l’agricoltore lavora e un albero piantato col proprio nome. Un sistema per “sostenere le aziende agricole italiane, far assumere giovani lavoratori e migliorare la filiera produttiva”, spiegano i due titolari. Concentrandosi sui piccoli borghi e sui produttori che hanno deciso di restarci, grazie alla collaborazione con l’Associazione Borghi d’Italia. “Per salvare i borghi è necessario creare nuove opportunità lavorative – continuano –. Grazie alle donazioni ci riusciamo, tramandando le conoscenze agricole antiche e le coltivazioni che meritano di essere riscoperte”.

“Investire in Italia significa farlo nel Paese più bello al mondo – continua Paolo –, ma vuol dire anche giocare un po’ di fantasia”, sorride. “Qui in startup ogni giorno è diverso, accade sempre qualcosa di non pianificato” spiega Biagio, co-fondatore. Le costanti della giornata sono computer, e-mail e il database di utenti “del quale conosciamo il numero a memoria in ogni momento”.

Oggi Bea coltiva il farro ad Abbateggio, in Abruzzo; Ezio produce nocciole a Carentino, in Piemonte; Mattia porta avanti le specialità della tradizione contadina nelle Marche lavorando grani antichi a Gradara. Il primo a entrare nella rete dei coltivatori è stato Stefano Benoni, 42 anni, agrotecnico nel comune di Petacciato, 3.700 abitanti in provincia di Campobasso. “Con mio fratello, rientrato da Padova, avevamo riattivato un piccolo uliveto familiare, ma volevamo crescere, aumentare gli ettari coltivati – ricorda Stefano –. In questi anni, grazie a Biagio e Paolo, siamo riusciti a farlo. Abbiamo capito che non basta impegnarsi per avere un ottimo prodotto, bisogna avere la consapevolezza che è fondamentale rafforzare le relazioni, la comunicazione, la visibilità”.

Trascorsi tre anni dalla sua adesione, ad esempio, l’azienda di Stefano, grazie alle adozioni, è riuscita a rendere produttivi tutti gli 800 alberi di ulivo di famiglia. “Ogni mattina, insieme a mio padre, controlliamo l’oliveto e ci occupiamo delle diverse lavorazioni da fare. Riservo anche parte del tempo a cercare di trasmettere questo amore e questa cultura dell’olio ai lavoratori migranti che sono con me – racconta –, tramandando la conoscenza e la passione per il nostro mestiere”.

Il momento più bello e significativo è stata “la visita nell’oliveto di Stefano – ricorda Biagio –. L’accoglienza, il giro tra i campi, i racconti e le emozioni del produttore”. Paolo e Biagio stanno lavorando per estendere il progetto a tutte le regioni italiane. “Il nostro obiettivo è riuscire a riattivare dei borghi e ridare vita alle piccole economie locali”. Il momento esatto in cui i due imprenditori hanno capito che il progetto poteva davvero crescere è stato nel novembre 2016, quando un’azienda che si occupa di efficientamento energetico ha investito con una quota di minoranza nella startup. “Spesso è difficile individuare aziende o sponsor disposti a credere in una nuova idea: noi ce l’abbiamo fatta”. Con il 2021 e la ripresa delle attività bloccate dalla pandemia l’obiettivo è quello di allargare il progetto anche ai turisti stranieri che vorranno scoprire le antiche tradizioni e magari decidere di trasferirsi in Italia per viverle. “Vorremmo riuscire a riattivare i borghi per dar vita – concludono – a un grande albergo, diffuso e sostenibile. Il più grande d’Italia”.

L'articolo “Vogliamo salvare i borghi d’Italia dall’abbandono, facendo ‘adottare’ coltivatori e antiche tradizioni” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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I comandanti di diverse milizie filo iraniane in Iraq hanno raggiunto un’intesa di massima per sospendere gli attacchi contro le truppe americane stanziate nel Paese arabo, a condizione che Washington contribuisca alla “calma”. Lo riferisce una fonte irachena riservata all’emittente online Middle East Eye, specificando che l’incontro tra i comandanti è avvenuto all’indomani dell’ultimo lancio di razzi nei pressi del giacimento petrolifero di Omar, nell’area di Deir Ezzor, in Siria, probabilmente diretto contro i soldati a stelle e strisce e dopo il quale Washington ha bombardato alcune postazioni in Iraq e Siria.

Sempre secondo la fonte dell’emittente, il meeting è avvenuto a Baghdad, nell’ufficio del capo dell’Autorità per la mobilitazione popolare (Pma), Faleh Al Fayyadh, e ha visto la partecipazione di Hadi Al Amiri, a capo dell’Organizzazione Badr, del comandante della Pma Abu Fadak al Mohammadawi e di rappresentanti di Asaib Ahl Al Haq (La lega dei giusti, guidata da Qais Al Khazali), di Kata’ib Sayyid al Shuhada e di Kata’ib Hezbollah. Proprio questi ultimi, secondo la fonte, sarebbero responsabili dell’ultimo attacco a Deir Ezzor.

Lo scorso lunedì Washington aveva difeso la decisione di condurre alcuni bombardamenti mirati contro depositi di armi, secondo quanto riferiscono gli Stati Uniti, e in risposta ad altri lanci di missili contro alcuni contractor in Iraq e Siria, sebbene fosse arrivata la duplice condanna per la violazione della propria sovranità da parte dei governi a Damasco e Baghdad, con il primo ministro iracheno Al Khadimi descritto come “imbarazzato” dalla decisione di raid americani, visto il suo impegno nel mantenersi al di fuori delle tensioni tra Stati Uniti e Iran, nonché nel tentare di contenere le iniziative delle milizie. Il capo ufficio stampa del Pentagono, John Kirby, aveva ribadito martedì scorso la natura “difensiva” dei raid americani, funzionali a “mantenere la deterrenza”. Uno di questi, secondo un comandante iracheno sotto anonimato, aveva preso di mira un appartamento usato dai combattenti della 14esima brigata all’interno del confine iracheno, uccidendone quattro. Nel corso di un altro raid ad esso contemporaneo, sono state invece prese di mira postazioni di Kata’ib Hezbollah in Siria, anche se per ragioni sconosciute i luoghi bombardati erano stati evacuati dalle stesse brigate che si sarebbero raggruppate meno di un chilometro più a est. Quelli di domenica scorsa non sono i primi raid condotti nella regione dalla nuova amministrazione di Joe Biden. Lo scorso febbraio Washington aveva già condotto bombardamenti contro alcune infrastrutture militari in Siria, vicino al confine iracheno, utilizzate da milizie filo iraniane.

L’imbarazzo per il governo iracheno, secondo un comandante delle Pma, potrebbe in realtà nascondere sviluppi più complessi e per certi versi preoccupanti, nonostante la notizia di questa momentanea tregua. I bombardamenti decisi da Washington sarebbero stati condotti infatti nel proposito indiretto di “punire” lo stesso Al Khadhimi, reo di aver partecipato, di fatto sponsorizzandola, lo scorso sabato a una parata militare nella provincia di Diyala che segnava il settimo anniversario dalla fondazione delle stesse Forze di mobilitazione popolare, formate nel 2014 per combattere l’avanzata del sedicente Stato Islamico ma oggi impegnate nel tentativo di stimolare il ritiro delle truppe americane dall’Iraq, con e anche senza il sostegno di Teheran. Un gesto, quello di Al Khadhimi, che se per certi versi risultava “dovuto” (le Pmu sono ufficialmente inquadrate nelle Forze armate irachene, di cui di fatto costituiscono un tipo di forze speciali) non sarebbe piaciuto né a Moqtada Al Sadr, ex leader dell’Esercito del Mahdi e recentemente allontanatosi da Teheran (nonché rappresentante di una maggioranza in Parlamento che spinge per la fine dell’influenza iraniana, oltre che per il ritiro Usa), né soprattutto a Washington che conta sulla sua “neutralità”.

L'articolo Iraq, le milizie filo-iraniane si accordano per la tregua con gli Usa. Ma bombe di Washington sono anche un avvertimento per Baghdad proviene da Il Fatto Quotidiano.



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L’orso che voglia vivere sulle montagne del Trentino dovrebbe, innanzitutto, saper leggere, per districarsi nel dedalo di descrizioni e prescrizioni che regolamentano i rapporti tra il plantigrado e l’uomo. Imparerebbe subito che 6 comportamenti su 18 potrebbero decretarne l’abbattimento. È tutto contenuto nelle linee guida per l’attuazione della legge provinciale numero 9 del 2018 e la direttiva Habitat in materia di controllo della presenza degli orsi approvata dalla giunta della Provincia di Trento.

Sono 18 i gradi di problematicità che identificano i comportamenti degli animali. Per ognuno è prevista una serie di azioni suddivise in “leggere” ed “energiche” (nei sei gradi di problematicità più gravi). Queste ultime sono la cattura con rilascio allo scopo di spostamento, la cattura permanente e l’abbattimento. Cominciamo dalla parte alta della tabella. Se l’orso scappa immediatamente dopo un incontro ravvicinato o si solleva sulle zampe posteriori, non rischia nulla. Ma basta che si allontani dalla sua area abituale perché scatti l’intensificazione del monitoraggio. Idem se viene avvistato ripetutamente. Si interviene con la prevenzione (recinzioni elettriche, squadre di emergenza, forme di condizionamento dell’animale per ripristinarne la diffidenza nei confronti dell’uomo) per i comportamenti meno pericolosi. Ad esempio se l’orso staziona vicino ad alveari o allevamenti, si avvicina a case di montagna e baite isolate o viene ripetutamente avvistato a brevi distanze. In questa tipologia ci sono anche gli orsi che stazionano in zone attraversate da strade e sentieri frequentati o causano nelle immediate vicinanze delle case. Le ultime due fasce delle misure “leggere” sono quelle dell’orso che si lancia in un falso attacco (per difendere i propri piccoli) o è segnalato ripetutamente vicino a fonti di cibo di origine umana.

Si entra poi nell’ambito comportamentale che consente di mettere un collare all’orso, di tenerlo in custodia o ucciderlo. Qui le categorie sono sei. Se un plantigrado viene segnalato ripetutamente in un centro residenziale o nelle immediate vicinanze. Se provoca danni ripetuti ai patrimoni. Se attacca (con contatto fisico) a difesa dei propri piccoli, della preda o perché provocato. Ma anche se segue intenzionalmente le persone o cerca di penetrare nelle abitazioni frequentate anche solo stagionalmente. Il livello massimo è costituito dall’orso che attacca con contatto fisico senza essere provocato.

Fin qui siamo nell’ambito del Pacobace, ovvero il Piano d’Azione Interregionale per la Conservazione dell’Orso Bruno sulle Alpi Centro-orientali. La Giunta spiega però come intende prendere le decisioni, dopo aver acquisito anche il parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Perché “il Pacobace, rispetto agli orsi problematici, suggerisce un ventaglio di azioni possibili e alternative, senza specificare i criteri in base ai quali l’Amministrazione sceglie di volta in volta l’azione più opportuna”. In una parola: chi (e quando) può decidere un abbattimento? Forme di prevenzione, monitoraggio e recinti elettrici sono, infatti, un patrimonio ormai acquisito per una popolazione stimata in circa cento orsi (in un’area stabilmente occupata da femmine e maschi maturi pari a 1.516 chilometri quadrati), quasi triplicata dai 21-30 orsi del 2010, diventati 66-72 del 2019, e poi 82-93 con i nuovi nati dell’anno.

Le linee guida non prevedono il ricorso “al potere di ordinanza per la rimozione degli individui di orso in tutti i casi nei quali si registra un’aggressione con contatto fisico”, ma precisano che “è una possibilità di cui avvalersi quando le decisioni sulle azioni da attivare devono essere assunte con la massima urgenza, costituendo l’orso un pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica”. Insomma, c’è un margine di discrezionalità, non un automatismo. Tuttavia, la Provincia ribadisce il diritto, in “una situazione che rivesta i caratteri di contingibilità ed urgenza”, di adottare “un’ordinanza di pubblica sicurezza”. E ribadisce: “Ciò che è senz’altro escluso, in tal caso, è la richiesta del parere di Ispra, poiché il quadro giuridico in cui le ordinanze di pubblica sicurezza si collocano è diverso da quello delineato dalla legge provinciale n. 9/2018” che riguarda la gestione del territorio.

Ed è nei gradi di maggiore rischio che il presidente Fugatti vuole avere mano libera: “Nei casi in cui si siano verificate una o più aggressioni con contatto fisico che determinano ferimento/uccisione di persone, integrandosi il rischio concreto, anche se latente, che esse possano essere reiterate imprevedibilmente in qualsiasi momento, è fondamentale che le decisioni circa le azioni da attivare siano assunte con la massima urgenza, costituendo l’orso un pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica”. Ciò impone l’immediatezza di un’ordinanza “contingibile ed urgente adottata dal Presidente della Provincia autonoma di Trento o dal Sindaco territorialmente competente, nel rispetto delle procedure previste in materia di pubblica sicurezza”. Potrà, quindi, “essere lo strumento consono a disporre l’abbattimento dell’esemplare protagonista dell’aggressione con contatto fisico”, in un percorso giuridico diverso dal piano Pacobace. Inoltre, “l’Amministrazione provinciale intende ridurre il più possibile il rischio che anche attacchi effettuati per difendere i cuccioli, le prede o perché provocati in altro modo possano ripetersi. Non ritiene dunque in nessun caso di subordinare la rimozione ad un eventuale secondo attacco da parte del medesimo esemplare o ad ulteriori verifiche diverse da quelle necessarie per l’identificazione dello stesso”. L’autorizzazione del presidente della Provincia è invece necessaria quando la pericolosità dell’orso non si manifesta con contatto fisico.

Fino al 2020 sono state accertate quattro uccisioni illegali di orsi nel territorio trentino da parte di bracconieri. Negli ultimi sette anni ci sono stati cinque attacchi all’uomo (uno deliberato). La stima è del 3,7% di orsi “fortemente dannosi” e dell’11% di soggetti “pericolosi”, anche se alcuni “solo potenzialmente”.

L'articolo Trento, il presidente Fugatti vuole più libertà (rispetto alla legge) sui provvedimenti contro gli orsi: “Ordinanza urgente in caso di attacco” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Il calvario del Canada continua ed è una rappresentazione inequivocabile della crisi climatica globale. Nella zona di Lyttan, cittadina vicino a Vancouver le temperature hanno toccato un nuovo record raggiungendo i 49,5 gradi. Le morti improvvise, ritenute riconducibili all’ondata di calore che sta investendo il paese, sono più di 230. Un po’ di sollievo potrebbe arrivare, secondo le previsioni, a fine settimana. Casi di temperature anomale non sono stati rari in questi anni, in diverse aree del pianeta. Questa volta però siamo di fronte a qualcosa mai visto prima, ci spiega Federico Grazzini, meteoreologo presso Arpae-Simc

Seguo le evoluzioni del clima da 25 anni, giorno per giorno e non ho mai visto niente di simile. La differenza, enorme, rispetto ad altri eventi estremi riguarda lo scostamento rispetto ai record precedenti registrati nella stessa zona. Solitamente si tratta di ritocchi di pochi decimali di grado, qui ci troviamo con un aumento di 10 gradi rispetto al picco precedente. La deviazione rispetto ai modelli climatologici è completamente fuori scala. Quando si fanno previsioni vengono effettuate molteplici simulazioni che partono però da presupposti leggermente differenti. Quando una buona percentuale di queste simulazioni “concorda” sull’esito finale abbiamo una previsione relativamente certa. Nel caso specifico del Canada, tutte le 50 simulazioni condotte preannunciavano il fenomeno che si è poi verificato, anche questa una cosa mai vista. I modelli incorporano tutti una certa percentuale di errore. Così, per maggior coerenza, il confronto viene quindi fatto con lo scenario prodotto in passato allo stesso modello. In questo caso il risultato della comparazione è diverso da qualsiasi precedente.

Il Canada occupa comprensibilmente le prime pagine ma situazioni anomale si stanno verificando in questi giorni anche altrove….

Assolutamente sì. In una certa misura anche in Italia, soprattutto nel Sud del paese registriamo temperature da giorni sopra la media. Ma le zone colpite sono soprattutto quelle del Nord Africa e del Medio Oriente. In alcune città del Kuwait e dell’Iraq da giorni si superano i 51 gradi. Come note sono zone di per sé calde ma ora stiamo parlando di temperature che, se perduranti, che sono intollerabili per la vita degli esseri umani. A maggior ragione in località, che non mancano in queste aree, che, per varie ragioni, sono prive di elettricità.

Quali sono le considerazioni da fare alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni?

Questi eventi ci fanno capire come la modificazione del clima sta prendendo una piega allarmante. La mia riflessione personale è che il riscaldamento globale si stia muovendo ad una velocità superiore a quella di previsioni già di per sé preoccupanti. Non possiamo dire esattamente quanto il riscaldamento globale abbia influito nell’episodio del Canada ma possiamo essere certi che un’influenza l’ha avuta. La temperatura sta aumentando ovunque e cresce la frequenza con cui si verificano queste situazioni estreme. Sappiamo che il riscaldamento non è distribuito in maniera uniforme nello spazio e nel tempo. E questo può, in alcuni casi, falsare la percezione di quel che sta accadendo a livello globale. L’innalzamento delle temperature colpisce ad esempio in maniera più intensa zone come quelle dei poli e oscilla anche in base alle stagioni. Nelle nostre zone mediterranee il fenomeno sembra tradursi al momento soprattutto in forma di estati più calde rispetto al passato.

Qual è lo stato d’animo tra gli addetti ai lavori di fronte a questa situazione?

Senza dubbio nella comunità scientifica c’è una preoccupazione crescente e questo è un atteggiamento che si è evoluto nel corso degli anni. All’inizio il fenomeno veniva guardato soprattutto con grande interesse scientifico, ora si fa sempre più spazio il senso di allarme per quello che potrebbe accadere in futuro. Quando parlo di futuro intendo qualche decennio, non 50, tanto meno, 100 anni. In tempi relativamente brevi potrebbero verificarsi impatti profondi sulla società umana, da svariati punti di vista, economici e sociali.

Esiste un punto di non ritorno e se sì quanto ci siamo vicini?

Da anni la “soglia limite” identificata è quella dei 2 gradi centigradi di aumento della temperatura media a livello globale rispetto ai valori pre-industriali. E’ il numero su cui sono stati costruiti gli accordi di Parigi per la riduzione delle emissioni e ritengo sia un valore corretto. Oltre questa soglia si innescano accadimenti, ad esempio la morte delle barriere coralline che possono innescare un effetto domino in grado di autoalimentarsi e finire fuori dalle umane capacità di controllo. Ad oggi l’aumento registrato è di 1,2 gradi e non è affatto poco.

L’Unione europea ha vincolato l’utilizzo dei fondi per la ripresa all’implementazione di strategie di sostenibilità ambientale. Più in generale ritiene che gli sforzi della comunità internazionale siano sufficienti?

Gli obiettivi di riduzione delle emissioni previste dagli accordi di Parigi quasi certamente non verranno rispettati. Questo non significa che non sia necessario fare tutto quanto è nelle nostre possibilità per cercare di riuscirci. Vedo alcuni segnali incoraggianti, c’è senza dubbio una diffusa presa di consapevolezza da parte della politica della gravità del problema e della necessità di intervenire prima che sia troppo tardi. Sempre più paesi tendono ad anticipare le scadenze fissate per raggiungere gli obiettivi di natura ambientale che si erano posti in precedenza. Passi nella giusta direzione si stanno facendo, bisogna procedere con più decisione, anche nei paesi più recalcitranti ad adottare politiche ambientali stringenti.

Pensa che di fronte a questi scenari abbia ancora una qualche legittimità scientifica la posizione di chi continua a negare che la Terra si stia surriscaldando?

Il dibattito nella comunità scientifica sul riscaldamento globale è iniziato a metà del secolo scorso. Quello di porre dubbi e ipotizzare spiegazioni alternative è un atteggiamento scientificamente corretto e utile. Tuttavia. da allora ad oggi, è emerso in modo incontrovertibile che un riscaldamento globale sia in atto, non è più qualcosa di contestabile. Non sappiamo tutto ma sappiamo molto. Possiamo discutere sul grado di incidenza dei vari fattori coinvolti ma di sicuro non sul fatto che il fenomeno si stia verificando e sia legato alle emissioni antropogeniche di gas serra e che servano rapidamente azioni decise per fronteggiare il problema.

L'articolo Canada e crisi climatica, il meteorologo Grazzini: “Mai visto nulla di simile. Riscaldamento globale accelera e prende una piega allarmante in diverse aree del mondo” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Nessuno ha il coraggio di dirlo ufficialmente ma tutti lo confidano: a settembre si tornerà a scuola come a giugno, con il distanziamento tra i banchi, la mascherina obbligatoria, il maestro lontano dai bambini, le mani da disinfettare e la mensa in classe. a conferma arriva dai piani alti del ministero della Salute; da viale Trastevere; da fonti governative ma anche dall’onorevole Luigi Gallo (5Stelle) e dai sindacati che finora non hanno avuto notizia di possibili cambiamenti del protocollo di sicurezza in atto. Gli unici a non parlare sono i membri del Comitato tecnico scientifico con il loro portavoce, Silvio Brusaferro (presidente dell’Istituto superiore di sanità) irrintracciabile “per almeno una settimana”, spiega la segretaria di presidenza.

Oltre alle voci, inoltre, c’è un dato importante che è emerso in queste ore: il Governo è pronto a confermare per settembre il cosiddetto organico Covid, quel contingente voluto dall’ex ministra Lucia Azzolina per consentire alle scuole di sdoppiare le classi. Nel decreto Sostegni bis all’esame del Parlamento, si ipotizza di autorizzare 40mila docenti aggiuntivi a tempo determinato, 30mila in meno rispetto allo scorso anno. Al ministero stanno pensando a questo numero usando i 795 milioni di euro che lo scorso anno le scuole non hanno speso su questo capitolo. Ora cambierà però il meccanismo. Gli istituti non avranno più a disposizione le risorse per il personale Covid ma i 40mila dovrebbero essere inquadrati subito nell’organico di fatto: verranno definiti i posti aggiuntivi necessari conteggiati sulla base delle indicazioni delle scuole che trasmetteranno le loro esigenze agli uffici scolatici territoriali che a loro volta le inoltreranno a quelli regionali fino ad arrivare a Roma.

Ad auspicare la conferma del contingente Covid sono i segretari nazionali della Cisl Scuola, Lena Gissi e della Flc Cgil, Francesco Sinopoli che attendono una convocazione ad ore proprio su questa partita. Chi resta guardingo è, invece, l’onorevole Luigi Gallo : “Il personale Covid non mi risulta rinnovato e la prossima settimana depositerò un’ interrogazione. Avevamo fatto un grande sforzo per cancellare gradualmente le classi pollaio con risorse per l’edilizia e per il personale in più e ora non si può tornare indietro”. Il fatto che ci sarà bisogno di questi docenti in più conferma comunque le voci del ritorno in classe ancora “blindato”.

Ai vertici del ministero della Salute, seppur a denti stretti, si fa un semplice ragionamento: ad oggi sotto i 13 anni non c’è alcun vaccinato. Tra i 12 e i 19 anni al 25 giugno hanno avuto le due dosi di Pfizer solo 555.578 mila ragazzi ovvero quelli della maturità. “Non possiamo rischiare alla luce anche delle variabili in atto. Finché non saranno tutti vaccinati – spiega al FattoQuotidiano.it un nostro confidente – bisognerà mantenere distanziamento e mascherina”. Dello stesso parere Gallo: “I luoghi chiusi con l’abbassamento della temperature e la fine dell’estate continueranno ad essere posti nei quali non si possono abbandonare i presidi di protezione personale. Senza personale Covid e senza risorse aggiuntive sarà difficile garantire il distanziamento necessario in classe”. I presidi devono iniziare a lavorare in quest’ottica anche perché “nessuno – ci dicono dalla Cgil e dalla Cisl – ci ha convocato per cambiare le regole”. L’ultima parola spetta al Cts ma i giochi sembrano ormai fatti.

L'articolo Scuola, nessun cambiamento in vista. A settembre ripresa con mascherine e distanziamento come a giugno proviene da Il Fatto Quotidiano.



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No, l’estate 2021 per il turismo italiano non è tutta da buttare. D’altronde neppure quella del Covid era andata così male, con una percentuale di presenze italiane pari a oltre l’86% di quelle registrate nel 2019. E nell’anno del vaccino non può di certo andare peggio. Nonostante aumenti dichiarati dei prezzi, per alberghi e stabilimenti balneari si prevedono un luglio pieno e un agosto pienissimo. Ilfattoquotidiano.it ha contattato cinquanta, tra hotel a tre stelle, lidi e B&B in dieci località turistiche della Penisola (Marina di Massa, Noto-Marzamemi, Ischia, Isola d’Elba, Tropea, Cinque Terre, Salento, Senigallia, Jesolo e Costa Smeralda) per verificare se davvero il settore stia attraversando un “contesto post-emergenziale complicato, come sostengono gli addetti ai lavori. E in quale contesto si inseriscano le condizioni di sfruttamento dei lavoratori documentate dalla videoinchiesta de ilfattoquotidiano.it sugli stagionali (PRIMA PUNTATA/SECONDA PUNTATA). Risultato: se per luglio è ancora possibile trovare qualche disponibilità lungo le coste italiane, agosto registra il quasi tutto esaurito ovunque. I prezzi? Molti non hanno difficoltà ad ammettere di averli aumentati, come risulta da una recente analisi dell‘Istituto ricerche consumo ambiente e formazione (Ircaf) che ha registrato rincari medi del 13,9% per il noleggio di un ombrellone con lettini.

Poca disponibilità – “Ultime camere”. “Ancora abbastanza libero per luglio, ma più difficile per agosto”. “E’ quasi tutto pieno”. Cercando una sistemazione per l’estate ci si sente rispondere così. Le stanze triple e quadruple sono le più gettonate e qualcuno registra il tutto esaurito anche a luglio. L’ipotesi di una “stagione positiva” avanzata da Federalberghi trova dunque conferma nella maggior parte delle strutture ricettive contattate. Non è difficile imbattersi in qualche lido a Senigallia che è già al completo per tutta l’estate. Mentre in Salento alcuni gestori non accettano più prenotazioni, né per luglio né per agosto, perché preferiscono vendere giornalmente i pochi posti spiaggia rimasti. Come spiega il titolare di un bagno a Marina di Massa sul litorale toscano, la poca disponibilità di agosto è data dal fatto che tutti finiscono per prenotare la stagione intera, anche se magari non usufruiscono della postazione al mare tutti i giorni, pagando comunque un ombrellone e due lettini tra i 280 e i 300 euro per 15 giorni. Il tutto nelle ultime file, a più di 20 metri dalla riva.

Prezzi più alti “Abbiamo aumentato i costi – dice un albergatore di Noto – per rimediare alle perdite della scorsa stagione e a quelle previste per quest’anno”. Gli fa eco il titolare di una struttura alle Cinque Terre che ammette di aver maggiorato i prezzi, anche se di appena 5 euro, a causa “dell’aumento delle spese”. Ma sono anche tanti gli albergatori che hanno scelto di lasciare invariate le tariffe o di applicare sconti mirati in base alle singole esigenze. Qualcun altro, invece, racconta di aver abbassato i prezzi nel 2020 per incentivare il turismo, ma di averli riportati alla normalità per l’estate 2021. Tra chi rincara e chi no, c’è anche chi può permettersi di raddoppiare l’offerta: è il caso del gestore di un residence nel Salento che è passato dai 20 bungalow del 2020 ai 40 di quest’anno. “Ed è quasi tutto pieno”, sottolinea.

“Noi non abbiamo aumentato il prezzo degli ombrelloni – sostiene invece il titolare di uno stabilimento a Marina di Massa – anche se, a causa delle norme anti-Covid, abbiamo dovuto diminuire del 50% le postazioni, finendo per avere le cabine piene di materiale non utilizzato“. Sulla stessa linea un collega del Salento che afferma: “Nessun aumento dei prezzi, ma solo un anticipo dell’inizio dell’alta stagione“. Qui, un ombrellone e due lettini costano in media 430 euro per le prime due settimane di luglio, ma si arriva ai 470 tra luglio e agosto. Sempre sulla costa toscana, una notte in albergo a tre stelle per due adulti e un bambino di 9 anni dal 1 al 15 luglio costa in media 180 euro. Sul mare di Noto, in provincia di Siracusa, per la stessa richiesta si va dai 90 ai 120. Qui un ombrellone e due sdraio, ad agosto, possono arrivare a costare anche 55 euro al giorno. D’altronde, si tratta di una delle spiagge più belle del Mediterraneo. Sul lungomare di Jesolo, invece, c’è chi propone il pacchetto completo di camera, colazione, posto auto e postazione in spiaggia per 15 giorni per un totale che supera di poco i 2mila euro.

Sardegna, Ischia e Salento – Non sorprende che tra le mete più care ci siano il Sud Italia e le isole. In Sardegna, a Santa Teresa di Gallura in particolare, si fa fatica ad incastrare le disponibilità. Qui, una camera con colazione per due persone e un bambino ha un costo di circa 2.300 euro per 14 notti. In Salento, ad agosto, una famiglia con due bambini può arrivare a spendere fino 3.980 euro per una suite familiare con colazione. Ischia, poi, rimane fra le mete più elitarie: una mezza pensione per due adulti e un bambino, con accesso alla pedana riservata per il mare costa non meno di 3.670 euro, ma anche qui è il caso di scordarsi di agosto. Con meno della stessa cifra a Senigallia si può soggiornare in un’ampia camera, mezza pensione con bevande incluse e posto spiaggia.

Hotel – Insieme alla località marchigiana, Jesolo figura tra le meno care. Qui, una coppia può usufruire di una camera con colazione e postazione in spiaggia inclusa per un totale che si aggira intorno ai 1.500 euro. Lo stesso costo di una semplice camera per due persone alle Cinque Terre. In media, invece, trascorrere quindici giorni a Marina di Massa costa circa 1.800 euro per due persone. Quasi la metà di quanti ne spenderebbe una coppia con un bambino negli stessi giorni all’Isola d’Elba, ma poco meno di quanti ne costa la Costa degli dei di Tropea, in Calabria.

Lidi – Sulla costa calabrese, affittare per 15 giorni un ombrellone e due sdraio costa dai 30 euro di luglio ai 40 di agosto. Lo stesso servizio sulla riviera toscana costa dai 25 ai 30 euro, anche se in entrambi i casi è praticamente impossibile trovare un spazio ad agosto. Un po’ meno di 20 euro se si prenota, invece, per un lungo periodo a Senigallia. In Sicilia, nella gettonata spiaggia di San Lorenzo, la cifra raddoppia per una qualsiasi giornata di luglio e quasi triplica ad agosto, facendo segnare punte di 55 euro nella settimana di Ferragosto.

B&B – Si spende un po’ meno se si preferisce soggiornare presso affittacamere o Bed & Breakfast. Utilizzando queste strutture, una famiglia con un bambino può prenotare un alloggio in Sardegna al prezzo di una camera per due persone in un hotel a tre stelle della stessa zona. Se gli hotel spesso applicano un piccolo sconto se si prenota senza intermediari, non ci può aspettare però lo stesso trattamento da B&B e affittacamere. Sull’Isola d’Elba si può addirittura prenotare un’intera casa vacanze al prezzo di 2.149 euro per tre persone a luglio, contro i più di 3mila euro per un soggiorno in hotel.

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“Il legislatore non ha fornito le norme necessarie” a far funzionare la riscossione. E “se la riscossione non funziona, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza non potranno mai sconfiggere l’evasione fiscale“. L’11 giugno il numero uno delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha riassunto così la condizione di impotenza del fisco nel farsi pagare il dovuto. Ed è proprio evocando la necessità di una riforma che il premier Mario Draghi a marzo aveva spiegato la scelta di inserire nel primo provvedimento del suo governo un condono delle vecchie cartelle fino a 5mila euro datate 2000-2010. “Lo Stato non ha funzionato, bisogna cambiare qualcosa”, aveva detto. Dunque il favore ai contribuenti infedeli – con un costo stimato di 666 milioni per le casse pubbliche – è stato accompagnato dalla promessa che entro 60 giorni dall’entrata in vigora del decreto Sostegni (il 23 marzo) il Tesoro avrebbe trasmesso alle Camere una relazione con i criteri “per procedere alla revisione del meccanismo di controllo e di discarico dei crediti non riscossi”. Ma di giorni ne sono passati più di 90 e quel documento ancora non c’è. In compenso, la Corte dei Conti ha alzato un cartellino rosso rispetto alla tentazione che traspariva dal decreto: limitarsi a prevedere, dopo un certo numero di anni, la cancellazione automatica dei ruoli non riscossi. L’ennesimo liberi tutti.

L'”assoluta inadeguatezza” del sistema che recupera solo il 13% del dovuto – Il ritardo accumulato da via XX Settembre mal si concilia con l’obiettivo, inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, di aggredire con decisione l’evasione fiscale assumendo altri 2mila specialisti per rimediare al blocco del turnover e utilizzando l’intelligenza artificiale e il machine learning per l’analisi dei dati. Perché scovare chi ha pendenze con l’erario – come si punta a fare con il nuovo redditometro sottoposto in questi giorni a consultazione pubblica – serve a poco se poi l’Agenzia della riscossione, braccio delle Entrate, non riesce a incassare i crediti accertati. Il punto, dunque, è cambiare le norme che oggi impediscono all’ente di fare il suo lavoro, con il risultato che negli ultimi vent’anni è stato recuperato solo il 13% del dovuto e il carico residuo al 31 dicembre 2020 ha raggiunto i 227 milioni di singoli crediti per un valore monstre di 999,1 miliardi. Di cui 152 in capo a soggetti falliti, 133 a defunti o ditte cessate, 115 a nullatenenti e 445 riferiti a contribuenti nei cui confronti qualche azione è stata tentata ma senza successo. Una “assoluta inadeguatezza“, secondo la Corte dei Conti, che si manifesta soprattutto per i ruoli di importo elevato, quelli potenzialmente più ghiotti per le casse pubbliche.

L’ipotesi del Tesoro: cancellazione automatica dopo cinque anni – Il ministero guidato da Daniele Franco, a dire il vero, una strada per uscirne l’aveva individuata. Nelle prime bozze del decreto Sostegni era previsto che, una volta portato a termine lo stralcio delle vecchie cartelle, sarebbe scattata la cancellazione automatica di ogni ruolo fermo da più di cinque anni. Senza nemmeno una valutazione della loro residua esigibilità. “Un condono permanente”, aveva commentato Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze che a fine anni Novanta creò le agenzie fiscali. Di lì i maldipancia di Leu e di una frangia del Movimento 5 Stelle e la decisione di ritoccare i termini del condono, riducendo l’orizzonte temporale dello stralcio e prevedendo un tetto di 30mila euro di reddito Irpef, e in più rinviare ogni decisione sulla riforma alla relazione del ministero dell’Economia. Che avrebbe dovuto arrivare entro fine maggio.

Il cartellino rosso della Corte dei Conti – Che cosa è successo nel frattempo? Dalla Corte dei Conti, che da subito aveva censurato il nuovo condono facendo notare come produca “disorientamento e amarezza per coloro che tempestivamente adempiono e ulteriore spinta a sottrarsi al pagamento spontaneo per molti altri”, è arrivato un altolà. Nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica datato 28 maggio la magistratura contabile ha ribadito che “quale che sia la effettiva motivazione della cancellazione” di quelle cartelle, “la sua adozione dovrebbe necessariamente comportare una profonda revisione del modello organizzativo e procedimentale finora adottato per la riscossione coattiva dei crediti pubblici”. Ma al contrario il riferimento a “criteri per procedere alla revisione del meccanismo di controllo e di discarico dei crediti non riscossi” secondo la Corte “lascia trasparire l’obiettivo di realizzare, sia per i carichi ancora in essere, sia per quelli futuri, un sistema di discarico automatico delle quote non riscosse dopo il decorso di un determinato periodo dalla loro presa in carico, nonché una metodologia di gestione dei carichi affidati basata su criteri selettivi”. Una eventualità “da scongiurare“, secondo l’organo di controllo, perché “altererebbe radicalmente il sistema di gestione dei tributi nel quale la riscossione coattiva delle somme ancora dovute costituisce complemento imprescindibile“. Perché “non appare compatibile con il corretto funzionamento del sistema che gli esiti dei controlli automatici e dei controlli sostanziali delle posizioni fiscali non comportino poi concrete ed efficaci azioni per la loro riscossione, quale che sia l’importo degli stessi”.

I suggerimenti per la riforma: un’agenzia autonoma e meno limiti a pignoramenti ed espropri – No alla cancellazione automatica dopo un certo numero di anni, dunque. Quel che serve, per la Corte, è “un’ampia e organica revisione dell’intero sistema” per “potenziare l’efficienza della struttura amministrativa e tutelare adeguatamente l’interesse dello Stato“. Seguono diversi suggerimenti sia sul fronte organizzativo sia su quello delle procedure: istituzione di un’agenzia autonoma per la riscossione a cui far partecipare anche l’Inps, superamento delle carenze di personale, aggiornamento del sistema informatico “obsoleto”, superamento dell’aggio a favore di un fondo di dotazione ad hoc, regolamentazione più razionale degli adempimenti, revisione della “interminabile serie di notificazioni che dilatano i tempi della riscossione” come l’obbligo del preavviso prima di 120 giorni dall’inizio del pignoramento per crediti sotto i 1000 euro. E altri interventi normativi – certo politicamente delicatissimi – che rafforzino la posizione del creditore pubblico, il cui raggio di azione oggi è ristretto per esempio dai limiti alla pignorabilità di stipendi, pensioni e abitazione principale e dalla franchigia di 120mila euro per l’espropriazione degli altri immobili.

L’incrocio dei dati? – Un altro tasto dolente riguarda l’uso, per aumentare l’efficacia della riscossione, dei dati contenuti nell’anagrafe dei rapporti finanziari. La legge di Bilancio per il 2020 ha consentito di utilizzare le informazioni sui rapporti bancari e finanziari ai fini dell’analisi del rischio evasione. Ma, trascorso più di un anno da quella manovra, la richiesta di parere sottoposta dal ministero dell’Economia al Garante della privacy è ancora in fase di istruttoria. Quei dati potrebbero essere usati anche per “aumentare l’efficacia dell’attività di riscossione e la tempestività dell’azione di recupero”, sottolinea la magistratura contabile. Ciliegina sulla torta, la gestione delle rateazioni: anche su questo fronte il quadro è sconfortante. A chi non paga le rate, annota la Corte, dovrebbe essere precluso l’accesso a successive misure di quel tipo che puntano ad aiutare chi vuol mettersi in regola. E invece oggi è sempre possibile rimettersi in pista, “dilatando i tempi di riscossione”. Non solo: ha senso che il debitore possa – come avviene oggi – accedere alle rate fuori tempo massimo, solo dopo che lo Stato ha avviato un’azione esecutiva? E ha senso concedere un piano di rateazione “senza alcuna indagine sulla sostanziale solvibilità dei richiedenti”? Le risposte spettano al governo.

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A margine del Cdm del 30 giugno la questione è stata affrontata, ma non c’è ancora una data certa per l’unico settore che non ha ripreso le attività. E sembra a rischio non solo la ripartenza il 3 luglio - proposta del centrodestra e ormai vicinissima -, ma anche quella il 10 luglio indicata dal Cts. Sileri sull’ipotesi di una rimodulazione del green pass: "Al momento credo che la singola dose possa essere sufficiente. Aspetterei il prossimo monitoraggio"



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Gli Stati dell'Unione non hanno ancora uniformato le loro regole per consentire gli spostamenti dei cittadini. Da oggi i liguri e i piemontesi che sono in vacanza per almeno due settimane nei reciproci territori potranno ricevere la seconda dose del vaccino nel luogo di villeggiatura. Sui timori della variante Delta, l'Italia si blinda per l'arrivo dei tifosi inglesi per la sfida dell'Olimpico



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“La variante Delta? La vaccinazione funziona per evitare che le persone finiscano in ospedale, in rianimazione o peggio”. Così il direttore del Reparto Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, ospite dell’ultima puntata di stagione di ‘Accordi&Disaccordi’, il talk politico condotto da Luca Sommi e Andrea Scanzi, con la partecipazione di Marco Travaglio, in onda su Nove ha commentato i dati della Gran Bretagna che vede un innalzamento dei contagi, ma non di ricoveri e decessi a causa della variante Delta. “Purtroppo non tutte le vaccinazioni, perché chi non fosse vaccinato o chi non avesse risposto può trovarsi nella condizione di avere anche una malattia grave – ha detto il professore – E questo da una parte spiega il fatto che le infezioni siano ormai di nuovo molte, perché questa variante ha una capacità di diffusione molto marcata, quindi è più abile delle altre ad andare in giro per la gente e, d’altro canto però, pur infettando molto uccide meno nel senso che gran parte di quelli che risultano infettati praticamente sono già vaccinati e hanno già delle difese. E poi altri sono giovani che non sono ancora vaccinati e nei quali la malattia ha un’evoluzione di regola più benigna che negli anziani”, ha concluso l’infettivologo.

‘Accordi&Disaccordi’ è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile in live streaming e successivamente on demand sul nuovo servizio streaming discovery+ nonché su sito, app e smart tv di TvLoft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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Restano incoraggianti i dati nel nostro Paese nonostante la presenza ormai in quasi tutte le regioni dell’ex variante indiana. Il nuovo ceppo è riscontrato principalmente in soggetti giovani e sono per la maggior parte casi poco gravi. La curva resta in discesa, sia nei contagi che nelle ospedalizzazioni



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Tifa Aston Villa, la squadra del cuore del papà, il principe William. E ieri era sugli spalti a tifare la sua Nazionale: è il piccolo principe George, terzo erede al trono del Regno Unito. Un principino tifoso, sì, ma molto composto. Tanto che anche quando l’Inghilterra ha fatto i due gol ha esultato con un applauso e nulla più. Lo stesso per il saluto ‘regale’ a David Beckham e Ed Sheeran, imprevedibile duo di amici seduti dietro di lui, mamma Kate e papà William. A proposito della duchessa di Cambridge, i tabloid fanno notare come riesca a essere sempre bella e impeccabile senza spendere una fortuna: in questo caso, blazer Zara al costo di 60 euro.

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La polizia e la guardia di finanza di Foggia hanno arrestato un medico legale di 60 anni, componente della commissione di riconoscimento delle invalidità presso la sede locale dell’Inps, un funzionario 44enne della stessa sede e un dipendente di un Caf della zona di 40 anni, per aver certificato delle false invalidità in cambio di soldi e regali. La procura di Foggia ha emesso l’ordinanza per i reati a vario titolo di corruzione per l’esercizio della funzione, oltre che per atto contrario ai doveri d’ufficio, falso ideologico e materiale e truffa ai danni dell’Inps.

e indagini partite nel 2019 a seguito dell’incendio di un’autovettura di una professionista che collaborava con l’Ente previdenziale, hanno consentito di accertare che il medico , insieme con il funzionario amministrativo e il dipendente del patronato Caf – questi ultimi due con il ruolo di intermediari – ha ricevuto denaro e altro da persone, indagate nell’ambito del blitz di oggi, (ma non arrestati), che così ottenevano senza visita medica il riconoscimento di invalidità totali per percepire la pensione Inps, oppure il passaggio di categoria da invalidità sottoposta a valutazione periodica ad invalidità permanente

Dalle indagini, iniziate nel 2019, è emerso che il medico legale, il funzionario amministrativo dell’Inps e il dipendente del Caf, ricevevano denaro o altri regali da parte di persone indagate ma non arrestate nell’ambito della stessa inchiesta, in cambio del riconoscimento d’invalidità o del passaggio di categoria, da invalidità sottoposta a valutazione periodica ad invalidità permanente. Spesso, per far ottenere ai “clienti” l’indennità dello Stato, la visita medica non veniva neanche effettuata.

Gli episodi contestati al medico, al funzionario dell’Inps e al dipendente del Caf – questi ultimi con ruolo di intermediari – sono diversi: una donna ha corrisposto la somma di 1.000 euro al medico legale e ha acquistato uno smartphone al funzionario in cambio del riconoscimento di invalidità del suocero. In un altro caso, un avvocato ha pagato al medico 1.700 euro, a fronte dei 3mila promessi in totale, per il passaggio di status da portatore di handicap a invalido permanente del padre.

Inoltre, gli inquirenti hanno accertato che il medico, oltre a dichiarare il falso sulla sua presenza in ufficio, percependo di fatto dei compensi per attività che non aveva svolto, favoriva un imprenditore del settore balneare della zona di Manfredonia (Foggia), attestando con certificati predatati, l’idoneità al lavoro di sette dipendenti, sempre in assenza di visita medica. Tutti e tre i coinvolti si trovano adesso agli arresti domiciliari nelle rispettive abitazioni.

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“Cercasi per una femminista supponente con capelli corti e piercing un uomo femminista che non scoreggia, non rutta, e possiede una fattoria di almeno 20 acri per invertire abilmente gli stereotipi di genere nel mercato matrimoniale indiano. Deve essere bello, ben fatto, figlio unico di 25-28 anni con un’attività stimata e che sappia cucinare”. Questo annuncio pubblicato nei giorni scorsi contemporaneamente sui 12 principali giornali indiani sta facendo il giro del mondo, rilanciato dalla Bbc che ha voluto approfondire la cosa. Il messaggio è infatti diventato virale dapprima sui social, dove moltissime donne l’hanno ricondiviso, solidarizzando con la richiesta.

La Bbc ha quindi scoperto che in realtà si è trattato di uno scherzo tra un fratello, una sorella e la sua migliore amica. Utilizzando l’indirizzo e-mail pubblicato nell’annuncio, il quotidiano inglese è riuscito a rintracciare la “femminista d’opinione” – Sakshi – e suo fratello Srijan e la sua migliore amica Damyanti, che hanno avuto l’idea in occasione del 30esimo compleanno di una di loro. Interpellata dalla Bbc, la donna ha spiegato che parecchie persone, una sessantina per la precisione, le hanno risposto: “Compiere 30 anni è una pietra miliare, soprattutto a causa di tutte le conversazioni nella nostra società sul matrimonio. Quando compi 30 anni, la tua famiglia e la società iniziano a fare pressioni su di te per sposarti e sistemarti. Molti pensavano che fosse uno scherzo e lo hanno trovato divertente”, ha spiegato.

Ma c’è stato anche un uomo ha scritto dicendo che il candidato perfetto poiché era “docile e per niente supponente” e una donna che le ha scritto ringraziandola per l’annuncio e le ha detto: “Anche io sono questa persona“. Ovvio, non sono mancate le critiche: c’è chi l’ha bollata come una “cercatrice d’oro” e chi l’ha insultata. “Tutte le femministe sono delle idiote”, la ha apostrofata qualcun altro.

Ma la giovane non si è pentita di quell’annuncio: “Gli uomini chiedono sempre spose alte, belle e magre, si vantano della loro ricchezza, ma quando le cose sono cambiano, non possono sopportarlo. Come potrebbe una donna stabilire tali criteri? Presumo che le persone che si attivano siano le stesse che pubblicano questo tipo di annunci del tipo cerca una sposa magra, bionda e bella in primo luogo”, ha concluso alla Bbc.

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Andiamo avanti? “Mai indietro“. Così l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte a LaPresse il giorno dopo la rottura sancita da Beppe Grillo. Ci sono rimasto male “ma non tanto per me. Questa svolta autarchica credo sia una mortificazione per una intera comunità che io ho conosciuto bene e apprezzato di ragazze e ragazzi, persone adulte che hanno creduto in certi ideali. E’ una grande mortificazione per tutti loro”, ha spiegato. Conte, in tenuta sportiva, era accompagnato dalla compagna Olivia Paladino. vln

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Silenzio, qualche imbarazzo e pochi commenti. All’uscita da Montecitorio, i deputati del Movimento 5 stelle sembrano accusare il colpo dopo il post con il quale Beppe Grillo ha liquidato Giuseppe Conte. In serata, il ministro Stefano Patuanelli, dopo una cena con una decina di parlamentari M5s, tra cui il capogruppo a Palazzo Madama Ettore Licheri e i vicecaprogruppo di Camera e Senato, Francesco Silvestri ed Andrea Cioffi, si ferma qualche minuto con ilfattoquotidiano.it. “Io penso che Conte sia una risorsa per il M5S e continuo a pensarlo”, afferma. Abbandonare Grillo per fare un partito diverso dal M5s? “Questo oggi non lo so, è ancora tutto troppo fresco, ci ragioneremo. Dobbiamo mantenere il sangue freddo. Abbiamo vissuto tante fasi, questa è una di quelle fasi. Abbiamo la forza per uscire anche da questo momento”, risponde. Avanti con Grillo sempre e comunque? “Grillo è il garante del M5s, non smetterà di essere il garante”. C’è amarezza per Conte? “È stato il presidente del Consiglio del M5s per due governi”. Il sostegno al governo è in discussione? “Non vedo cosa cambi ” conclude Patuanelli. “Il Movimento è nato con Beppe Grillo, Conte è stato presidente del Consiglio due volte – trattiene a stento la delusione Andrea Cioffi – ora è il momento di riflettere”. “Il frasario usato nei confronti di Conte è stato inadeguato nel post”, dichiara il vicecapogruppo a Montecitorio, Francesco Silvestri. Avanti con Grillo? “Avanti con i valori del M5S, ora dobbiamo vedere quale sarà il cammino da qui in futuro” è la sua risposta, e sul rischio scissione sia lui siaEttore Licheri, capogruppo in Senato, auspicano che questo non avvenga. Ma, certo, non lo escludono. Nella serata oggi ci sarà la riunione dei deputati M5s e Silvestri afferma che quello sarà il luogo “dove gestire anche l’emotività”. “L’idea di perdere Conte non piace, allo stesso tempo abbiamo un futuro davanti come M5s e speriamo che le cose si possano sistemare” è l’auspicio di Francesco D’Uva

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In America Latina c’è una costante: l’instabilità. È un elemento che sembra purtroppo far parte delle giovani democrazie regionali che vengono continuamente scosse da turbolenze sociali, economiche e politiche, sia per fattori endogeni che esogeni, è bene ricordarlo. Non si tratta però di semplici scosse di assestamento, ma di veri e propri terremoti le cui conseguenze molto spesso sono radicali e profonde. La settimana appena trascorsa è stata un chiaro esempio di ciò.

Da un lato è stato confermato in Brasile che contro Lula Ignacio da Silva ci fu un vero e proprio complotto e lo stesso ex-presidente, ora scagionato, vola nei sondaggi per le elezioni nel 2022. In Colombia, ancora nella morsa delle proteste e dopo mesi di dura (e letale) repressione delle forze dell’ordine, tornano ad affacciarsi i fantasmi degli attentanti della guerriglia. Il primo a Cúcuta a metà giugno, dove un’autobomba attribuita all’Eln è stato fatto esplodere nella caserma della Brigata 30 dell’esercito, causando 36 feriti. Il secondo nel pomeriggio del 25 di giugno, contro il Presidente della Repubblica Iván Duque: anche questo attribuito all’Eln.

Di ritorno da una visita a Sardinata, zona Catatumbo (frontiera con il Venezuela), l’elicottero Black Hawk nel quale viaggiavano, oltre a Duque, il Ministro di Difesa Diego Molano, il ministro dell’interno Daniel Palacios e il Governatore del dipartimento del Nord di Santander Silvano Serrano è stato raggiunto da 3 colpi di fucile. Gli spari hanno danneggiato la fusoliera ma l’elicottero è riuscito ad atterrare all’aeroporto di Cúcuta traendo in salvo tutti i passeggeri.

In Argentina stiamo assistendo all’ennesimo default economico di un paese che non riesce a uscire dalla spirale del debito esterno e dai danni delle politiche neoliberiste del consenso di Washington, tanto amato dal recentemente scomparso ex presidente Carlos Menem.

In Nicaragua l’accoppiata Ortega-Murillo ha gettato la maschera e ormai anche i più scettici e i più fanatici dovrebbero aver capito che quello che sta succedendo nel paese centroamericano non ha niente a che vedere con la rivoluzione di Sandino. Decine gli arresti arbitrari eseguiti nei giorni passati contri gli avversari politici di Daniel Oretga (75 anni) che insieme alla consorte, Rosario Murillo (70) ha creato un vero e proprio regno del terrore, causando una diaspora di centinaia a di migliaia di persone. L’Onu, per bocca di Michelle Bachelet, ha condannato questi arresti arbitrari e anche l’Oas finalmente si sta muovendo per sanzionare il regime nicaraguense.

L’Onu in questi giorni ha anche ratificato (per la 29 esima volta dal 1992) l’illegalità e l’arbitrarietà dell’embargo Usa a Cuba (bloqueo). Infatti con una votazione realizzata il 23 giungo, 184 paesi hanno chiesto la fine del blocco economico contro quella che è conosciuta come “la perla del Caribe”. Sono stati 3 gli astenuti (alleati Usa), dei quali uno è proprio la Colombia di Duque: gli altri sono Ucraina e Emirati Arabi Uniti. Contro la risoluzione, come c’era da aspettarsi, Israele e Stati Uniti D’America. Mi piacerebbe pensare il contrario, ma purtroppo la storia (e le 28 dichiarazioni precedenti) ci insegnano che questo non servirà a far cessare “el bloqueo”.

Dopo questa breve carrellata eccoci forse al punto più intricato e potenzialmente pericoloso della regione. Sì, perché se da un lato il Venezuela di Maduro sembra aver ritrovato la “voglia” di negoziare con l’opposizione politica (contribuendo ad abbassare la tensione), quello che sta succedendo in Perù davvero non trova spiegazione e lo trasforma nel punto più “caldo” del continente. Pedro Castillo, il maestro rurale evocatore di una sinistra ortodossa, ha vinto le elezioni: su questo non ci piove. Eppure, a tre settimane dalle votazioni non è ancora stato dichiarato presidente. Sapevamo che avremo dovuto aspettare qualche giorno per i conteggi finali ma adesso stiamo assistendo ad un temporaggiamento imbarazzante che non fa certo bene all’istituzionalismo del paese, rappresentato ora dal presidente interino Sagasti.

L’élite conservatrice e neoliberista peruviana non vuole mollare la presa e a colpi di appelli (tutti bocciati) sta cercando di ritardare l’inevitabile. Anche i decine di militari in congedo hanno denunciato, con una lettera pubblica, una possibile frode elettorale (già smentita da osservatori internazionali e dallo stesso consiglio nazionale elettorale) mettendo in discussione la possibile fedeltà dell’esercito al nuovo presidente. Lo spettro di una nuova Venezuela sventolato da Keiko Fujimori e dal suo “ambasciatore” Mario Vargas Llosa durante la campagna elettorale ha creato terreno fertile per una situazione di stallo senza precedenti.

Ha vinto Castillo, ha vinto l’antifujimorismo, ma il risultato non è ancora stato riconosciuto: nel frattempo decide di migliaia di persone sono arrivate dalle zone rurali a Lima, per difendere il risultato delle urne. Keiko Fujimori, che rischia nel frattempo più di 30 anni di carcere per un processo che la vedeva coinvolta già prima di candidarsi, non si rassegna e cavalca l’onda cospirazionista.

In Ecuador il correismo, accusato di aver fagocitato lo Stato in una spirale di corruzione senza precedenti, ha perso recentemente le elezioni e il suo esponente, Andrés Arauz, ha riconosciuto la sconfitta congratulandosi in tempo reale con Guillermo Lasso. Un’attuazione applaudita dalla comunità internazionale (occidentale) che però si è chiusa in un imbarazzante silenzio sul caso del Perù.

Dobbiamo dunque pensare che ci siano due pesi e due misure e che la richiesta di presenza di Stato e di rispetto della democrazia avvenga solo quando vincono esponenti politici visti di buon occhio dai vertici dell’Fmi e dalla Banca Mondiale? Sono sicuro che ognuno saprà trovare la sua risposta a questa domanda.

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Sono diverse le zone d’Italia in cui si rischia un rallentamento della campagna vaccinale, soprattutto a luglio. La Puglia ha bloccato le nuove prenotazioni. Difficoltà si registrano anche in Toscana, Lazio ed Emilia Romagna. E i timori avanzano anche per la Lombardia



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“Oggi nella medicina manca la dimensione spirituale”. Il dottor Franco Berrino, autore assieme ad Enrica Bortolazzi di Il Mandala della vita (Mondadori) ha spiegato come nonostante i grandi progressi della medicina nel campo della cura manchi ancora il rispetto per il paziente. “Con tutto questo investimento importantissimo per controllare la pandemia Covid 19 abbiamo assistito a quello che è la medicina oggi: fondamentalmente tecnologia. Mentre nelle grandi tradizioni che abbiamo esaminato la medicina è anche qualcos’altro. Maimonides, il grande medico ebreo di Cordoba del 1200 diceva: “Per curare, un medico deve prima guarire se stesso e comunque deve diventare un maestro spirituale”. In qualche modo quello che manca oggi nella medicina è la dimensione spirituale. Una dimensione di grande rispetto per l’uomo”.

Berrino ha poi ricordato che per prevenire molte malattie abbiamo dimenticato “che l’uomo può fare molto per migliorare il suo sistema immunitario con il suo stile di vita e con l’alimentazione”. Infine, la chiosa: “Diventiamo sempre più bravi come medici, progressi clamorosi, diventiamo sempre più specialisti in campi ristretti e dimentichiamo la visione globale che invece ci insegnano le antiche tradizioni”. Rivedi la diretta di #SpinOff con Ilaria Mauri e Davide Turrini qui: Il Mandala della vita con Franco Berrino ed Enrica Bortolazzo – YouTube

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di Stella Saccà

Se a marzo 2020 il travel ban imposto da Donald Trump aveva poco senso, ora è completamente assurdo.

L’Europa ha aperto i suoi confini agli Usa, permettendo così ai turisti americani di godere dell’estate del bel paese: tramonti interrotti dal Colosseo, passeggiate sulle spiagge del sud, gite in barca in Sardegna, baite in Trentino, musei, gelati e Spritz. Niente di tutto questo verrà negato a quegli americani che da oltreoceano agognano una vacanza in Italia e negli altri paese dell’Area Schengen.

Di contro, moltissimi cittadini europei con regolare visto di lavoro, che hanno bambini iscritti a scuole americane, affitti, proprietà, attività commerciali e pagano le tasse negli Usa, dovranno passare per il secondo anno consecutivo un’estate americana.

Il problema per queste persone non è la ‘vacanza americana’ che lascia oggettivamente affamati di stupore occhi italiani ed europei, ma la separazione forzata dalle proprie famiglie.

Secondo questo travel ban, infatti, non si può fare ingresso negli Stati Uniti D’America se nei 15 giorni precedenti si è soggiornato in alcuni determinati paesi. Tra questi c’è tutta l’area Schengen. Da marzo 2020 la lista non è stata praticamente mai aggiornata. Questo vuol dire che turisti e residenti in America possessori di visti non immigranti, prima di poter entrare in territorio americano, devono passare almeno 15 giorni in un paese ‘accettato’.

Naturalmente non tutti hanno le risorse economiche per farlo né se la sentono, visto che molti di questi paesi ‘aperti’ (quali Messico, Aruba, Croazia, Turchia ecc) al momento hanno molti più casi di Covid-19 dei paesi europei che ormai di poco distano dagli Stati Uniti in quanto a vaccinazioni.

Perché dunque l’amministrazione Biden non elimina questa insensata restrizione? Chi può fare qualcosa a riguardo?

Molti cittadini italiani bloccati sia negli Usa che in Italia (persone che erano partite durante la prima ondata e ancora non possono rientrare nelle varie città statunitensi in cui vivono) si sono mobilitati scrivendo a testate giornalistiche internazionali, hanno creato petizioni su piattaforme digitali, scritto al ministro Di Maio, alla Casa Bianca, ai consolati, alle ambasciate. Nulla si è smosso né si hanno notizie certe su probabili date per una riapertura.

Se da una parte si può giustificare, nonostante la grandissima risposta della popolazione americana alla campagna vaccinale, la prudenza del governo americano nei confronti di una riapertura al turismo, dall’altra resta inconcepibile il trattamento riservato ai residenti non immigranti (quindi possessori di visti ma non di Green Card o cittadinanza, che hanno invece sempre consentito libertà di andata e ritorno).

Per aggiungere precarietà a questa situazione ormai insostenibile, a molti di questi cittadini sono nel frattempo scaduti i visti. Le varie ambasciate non rilasciano nuovi appuntamenti quindi anche volendo ricorrere a tutte le proprie forze, economiche e morali, e passare 15 giorni altrove prima di poter tornare a casa in America, non sarebbe abbastanza. Perché per poter rientrare si ha bisogno di un visto valido sul passaporto che al momento è quasi impossibile ottenere.

Ci sono delle eccezioni che riguardano pochissimi visti (ad esempio quello studentesco e quello diplomatico) e poi c’è il NIE, National Interest Exception, che può essere richiesto in ambasciata del proprio paese di origine e viene rilasciato solo nel caso quest’ultima ritenga che la presenza su territorio Usa del cittadino richiedente sia fondamentale. Questo lascia fuori la maggior parte dei residenti e non aiuta nemmeno chi è considerato eligible. Per richiederlo, infatti, bisogna essere su territorio italiano e i tempi di accettazione eventuale e rilascio arrivano fino a due mesi. Non tutti hanno così tante ferie e non tutti possono permettersi di rimanere bloccati in Europa qualora il Nie venisse negato.

Famiglie separate da marzo 2020, nipoti che non hanno mai incontrato i loro nonni, persone che hanno perso famigliari e che non hanno potuto partecipare ai loro funerali, future mamme le cui bumps non verranno mai viste da amici e parenti, neo genitori alle prese con problemi di salute dei loro neonati che non possono farsi raggiungere dai famigliari.

Chi si ricorderà di queste persone, che sono considerate cittadini di serie B sia dal proprio paese di origine che da quello di adozione? No, per questa gente la normalità non è nemmeno ancora all’orizzonte, nonostante i vaccini.

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Immobilizzato, bloccato a terra e crudelmente strangolato fino alla morte.

Quattordici drammatici minuti di una violenta agonia che portano alla morte di Luca Ventre, cittadino italiano che cercava protezione all’interno della nostra Ambasciata a Montevideo e che da quel luogo che considerava sicuro n’è uscito esanime. Con tutta probabilità già privo di vita.

L’aggressione e la morte crudele di Ventre è una vicenda quasi dimenticata che sembra non riguardare nessuno. E che invece ci riguarda tutti.

35 anni, lucano, con una bimba di 8 mesi, Luca Ventre dal 2012 viveva in Uruguay dove con il padre gestiva attività di ristorazione e import di prodotti alimentari italiani.

La mattina dello scorso primo gennaio, poco dopo le 7, Ventre entrava nel cortile dell’Ambasciata italiana della capitale uruguaiana scavalcando la cancellata. Era in cerca di aiuto, nei giorni precedenti aveva confessato ai genitori di sentirsi in pericolo.

Le immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza sono dolorose e sconvolgenti. Riprendono Luca che cerca di lasciare il cortile della sede diplomatica arrampicandosi sul cancello ma nel mentre viene afferrato da un poliziotto uruguaiano che lo fa inginocchiare con la mani dietro la schiena, lo scaraventa a terra e, aiutato da una guardia, lo immobilizza con un braccio stretto intorno al collo. Luca non oppone alcuna resistenza, e non la opporrà lungo tutta la durata di questa aggressione dicendo ripetutamente ‘Non me muevo. Non me muevo’.

Il poliziotto uruguaiano continua a stringere il braccio intorno al suo collo per 14 minuti. Non molla nemmeno quando il corpo è visibilmente immobile. Non molla fino a soffocarlo e fino a quando il corpo di Luca resta a terra privo di sensi. Esanime, Luca Ventre viene portato a peso fuori dal cortile dell’Ambasciata. Caricato su un’auto e trasportato all’ospedale dove ne constateranno il decesso. Dopo circa otto ore dalla morte, il padre riceve una telefonata anonima “Luca è ferito in ospedale”. La prima di tante bugie perché il figlio è già morto.

La tecnica di immobilizzazione e soffocamento che ha portato alla morte di Luca Ventre per asfissia è la stessa che ha ucciso George Floyd. Una tecnica di brutale sopraffazione a cui sono addestrate anche le forze dell’ordine italiane e fino ad oggi sostanzialmente consentita nonostante se ne conosca l’insidiosa pericolosità.

E’ di venerdì la notizia della condanna a 22 anni e mezzo di carcere dell’ex agente Derek Chauvin che causò la morte di George Floyd, costretto sull’asfalto e soffocato dal ginocchio del poliziotto premuto sul suo collo per 8 minuti. Sulla violenza utilizzata dalle forze dell’ordine, dobbiamo ripartire da qui: impedendo l’utilizzo di questa tecnica. Va condannata, messa al bando in Italia e ovunque nel mondo.

La drammatica aggressione che ha portato alla morte di Luca Ventre merita verità e giustizia. Lo dobbiamo alla sua famiglia. Il Governo italiano deve sostenere il lavoro importante svolto dalla Procura di Roma e dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, le cui indagini hanno smentito quello che sembra un vero e proprio tentativo di depistaggio uruguaiano.

L’autopsia svolta in Uruguay, che mirava ad assolvere il poliziotto da ogni responsabilità, attribuiva il decesso di Luca Ventre a una “sindrome da delirio eccitato, avvenuta per un’aritmia prodotta da uno stato adrenergico scatenato dall’eccitazione e per alterazione dei livelli di potassio”, situazione che sarebbe stata aggravata “dall’assunzione di droghe stimolanti come la cocaina”.

Ebbene, la Procura di Roma ha incaricato il Prof. Giulio Sacchetti dalla cui autopsia sono invece emersi elementi “compatibili con un’azione costrittiva del collo esercitata con notevole forza che deve aver impedito per un certo tempo la normale penetrazione dell’aria”. Un’asfissia “riconducibile – afferma ancora la perizia – alle prolungate manovre costrittive esercitate con notevole forza sul collo del soggetto”. E’ proprio sulla base di questa perizia che il sostituto procuratore Colaiocco ha iscritto il poliziotto uruguaiano nel registro degli indagati per il reato di omicidio preterintenzionale, mentre la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto alla procura di perseguire penalmente il poliziotto.

Non possiamo lasciare sola la famiglia Ventre.

Il compito di ottenere giustizia per la morte di Luca, come di qualsiasi altro cittadino italiano che avvenga all’estero, spetta allo Stato e non può essere caricato, come accaduto troppe volte, sulla sola forza e determinazione dei familiari. Sono troppi e troppo dolorosi i casi di cittadini italiani che perdono la vita in contesti esteri. Storie drammatiche che sono per noi ferite ancora aperte. Come la morte di Giulio Regeni e la morte di Mario Paciolla.

La vicenda di Luca Ventre richiama una responsabilità grande della funzione del Governo italiano. La magistratura ha bisogno di tutto il supporto necessario per fare luce su quanto successo, con l’aiuto di una robusta iniziativa diplomatica che convinca i Paesi in cui accadono questi crimini – come l’Egitto, la Colombia e l’Uruguay – che quando si tratta di cittadini italiani noi applichiamo le stesse regole del diritto e della giustizia che valgono nel nostro Paese.

Dobbiamo pretendere che quelle regole valgano ovunque e per chiunque. Sempre.

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di Nadia Muscialini*

Come stanno i sanitari dopo più di un anno dall’inizio dell’emergenza dovuta alla pandemia? Ciò che si nota è il silenzio per la categoria degli ospedalieri, i “guaritori”, per mesi alla ribalta per l’impegno, la dedizione e il sacrificio che li aveva contraddistinti. Che fine hanno fatto gli “eroi” che hanno salvato migliaia di vite umane, che grazie al loro sacrificio hanno impedito che le strade delle nostre città si riempissero di morti e che hanno permesso a molte famiglie di tenere, seppur sfilacciati, i contatti con i propri cari ricoverati negli ospedali? Perché non se ne parla più dopo essere stati al centro dell’attenzione mediatica?

Dapprima osannati, poi accusati di fare allarmismo e di diffondere il virus (capri espiatori/untori), infine dimenticati; dove sono, cosa fanno? A dirla tutta, ed è bene che si sappia, i sanitari già dopo la prima emergenza sono stati cooptati per recuperare le prestazioni (non Covid) lasciate in sospeso a causa delle chiusure e conversioni delle strutture per la gestione degli ammalati; di nuovo ad ottobre 2020 sono stati reclutati per la gestione della seconda e della terza emergenza: nuove chiusure, accorpamenti di reparti, spostamenti di personale, lockdown. Sempre in prima linea, sempre accanto a malati e famiglie, con la differenza che dopo la prima drammatica emergenza si è cercato, per quanto possibile, di non chiudere ambulatori e servizi dedicati al resto dell’utenza.

Con l’arrivo dei vaccini i medesimi sanitari, impegnati su più fronti, sono stati reclutati per una nuova impresa: la campagna vaccinale. Se facciamo due conti su quello che è stato il tanto declamato potenziamento della sanità e che è constato in qualche nuova risorsa (spesso giovanissima) impegnata nelle strutture Covid, i sanitari sono sempre gli stessi. Anzi molti di meno poiché chi era in pensione è rientrato, chi proveniva dall’estero o da regioni meno coinvolte nell’emergenza anche; un numero non indifferente ha deciso di cambiare lavoro o modalità dello stesso lasciando le strutture pubbliche dove lavorava, altri hanno deciso di cambiare professione e dedicarsi ad altro.

Fatte queste premesse, per sapere come stanno i sanitari, i “guaritori”, dobbiamo capire chi sono. Intanto possiamo dire cosa non sono: i sanitari non sono degli avatar, non sono esseri astratti, ideali e nemmeno qualcosa di scontato; non sono eroi, non sono capri espiatori, non sono untori, non sono icone presenti in programmi televisivi. I guaritori sono persone come tutte le altre. Come tutti hanno avuto paura, si sono ammalati, sono morti, hanno perso amici e familiari; sono mogli, mariti, padri e madri, sorelle, fratelli.

A partire da marzo del 2020, oltre che “operatori della cura”, si sono dovuti occupare anche dei legami affettivi e i contatti dei pazienti ricoverati con chi era rimasto a casa. Sono stati coloro che si sono dedicati primariamente a offrire, con creatività e innovazione, cure e assistenza, ma anche umanità. A partire dalle strategie per farsi riconoscere dietro le bardature con i loro nomi e le foto sui camici, ma anche usando i propri dispositivi personali per aiutare chi non riusciva a rimanere in contatto con i propri cari; recuperando indumenti, protesi acustiche o occhiali, ridando dignità ad ammalati soli e spaventati perché infetti, ma ancora più fragili degli altri perché privi di ogni riferimento umano.

Un pettine, un rasoio, una notizia sul tempo o su quello che accadeva fuori, qualche passo in una stanza di isolamento, un colloquio psicologico, un incontro spirituale, l’estremo saluto, hanno fatto la differenza. I sanitari da curanti sono diventati guaritori, hanno offerto cure e conforto, hanno sostituito in tutto e per tutto gli affetti e la rete di chi era ricoverato. Non si sono risparmiati su nulla, non si sono mai fermati, hanno, come tutti, gioito, pianto, pregato, lottato, ma più che altro lavorato ininterrottamente. Non si sono tirati indietro nemmeno quando si è trattato di accogliere il dolore di chi aveva perso un congiunto, una persona cara.

I sanitari sono stanchi, sono in riserva di energie fisiche e mentali, sono, come sempre e non solo ora che vi è un emergenza in corso, a rischio di stress e burn out. Non tutti hanno avuto modo di elaborare i traumi che hanno vissuto, di raccontare, esprimere il concentrato di esperienze dell’ultimo anno. Ma anche coloro che hanno avuto la fortuna di avere presidi per l’ascolto degli aspetti emotivi, psicologici, etici, hanno necessità di tornare ad “essere umani”. Bisogna che si smetta di darli per scontati; considerandoli eroi o automi li devitalizziamo, come se fossero semplici ingranaggi della catena di montaggio che produce salute.

Chi si occupa di programmazione e politica sanitaria dovrebbe seriamente occuparsi del personale della cura, in primo luogo aumentando le risorse umane del Sistema Sanitario Nazionale, ma poi verificando che siano istituiti e funzionanti i presidi di tutela nei luoghi di lavoro (già previsti per legge), non solo per il controllo e la tutela delle condizioni di idoneità fisica ad una mansione ma anche come spazi di verifica, prevenzione e cura dello stress occupazionale e del burn out.

Chi svolge un lavoro di cura deve avere del tempo istituzionalmente predisposto per condividere vissuti emotivi oltre che consegne, per trovare strategie di resilienza nel gruppo. Finche tali presidi, previsti dalla legge, non saranno ovunque funzionanti tutte le iniziative spontanee, partite dal basso, sono state e saranno utili.

*Psicoanalista, psicologa ospedaliera

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