Per chi si oppone al dominio del gruppo armato huthi nelle zone dello Yemen sotto il suo controllo, non c’è scampo: attivisti politici, giornalisti, credenti di religioni minoritarie vengono arrestati, condannati e, una volta rilasciati, espulsi o esiliati in altre zone del paese.
Un rapporto di Amnesty International racconta le vicende di 12 yemeniti – sette giornalisti, un funzionario civile e quattro fedeli baha’i – rilasciati nell’ottobre 2020 dopo anni di carcere a seguito di un accordo politico con gli huthi negoziato dalle Nazioni Unite e dal Comitato internazionale della Croce Rossa che aveva riguardato 1056 detenuti, quasi tutti ex combattenti.
I resoconti forniti ad Amnesty International dai 12 ex detenuti sono agghiaccianti: pestaggi, scariche elettriche, obbligo di rimanere a lungo in posizioni dolorose, minacce di morte, estenuanti periodi di isolamento, diniego di cure mediche.
I baha’i sono stati espulsi dallo Yemen, gli altri sono stati obbligati all’esilio in altre parti del paese controllate dal governo riconosciuto a livello internazionale. Tutti separati dalle loro famiglie.
Era già successo mesi prima. Il 30 luglio 2020, sei baha’i erano stati rilasciati dopo sette anni di carcere, portati direttamente all’aeroporto della capitale San’a e fatti salire a bordo di un aereo delle Nazioni Unite diretto in Etiopia.
Non è ancora terminato l’incubo di un gruppo di giornalisti condannati a morte per avere, secondo un tribunale huthi, passato informazioni al nemico (la coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti che nel marzo 2015 ha avviato una campagna militare contro gli huthi). Potrebbero rientrare anche loro in qualche negoziato per lo scambio di prigionieri.
L'articolo Yemen, scarcerati ma espulsi: questo è il destino di chi si oppone agli huthi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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