Il Capo dello Stato riapra le strutture che ospitano anziani non autosufficienti. L’appello-provocazione al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è del Comitato Open Rsa Now: “Vada in una Rsa, con le dovute precauzione, e faccia in modo che le strutture siano aperte”, ha detto il presidente di Orsan, Dario Francolino. “Abbiamo bisogno di un simbolo, lui può farlo. Se Mattarella dà l’esempio, siamo sicuri che, a effetto domino, si apriranno le Rsa e noi potremo finalmente riabbracciare i nostri cari”, dice nelle stesse ore in cui Amnesty International mette il dito nella piaga della violazione del diritto alla salute minato dai prolungati isolamenti.

Francolino nella giornata di venerdì si era rivolto a “Pontefice, alla presidente della Commissione europea, al Parlamento italiano, al Presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, al presidente della Conferenza Stato-Regioni, al capo della Protezione civile, al Commissario straordinario per l’emergenza Covid e al Coordinatore del Cts“. La richiesta è da giorni la medesima: un’ordinanza urgente del ministero della Salute “che imponga, in tutta Italia, la riapertura alle visite in presenza dei familiari degli oltre 350mila ospiti ricoverati nelle Rsa e Rsd, senza più pareti divisorie, stanze degli abbracci e videochiamate“.

Dal canto suo il dicastero di Roberto Speranza ha fatto sapere per tramite dell’ex sottosegretaria Sandra Zampa che, se necessario, sarà fatta una “norma di rango superiore” perché al momento ciò che regola le Rsa con aperture e chiusure sono solo due circolari. “Gli anziani hanno pieno titolo di vedere, in sicurezza, i propri cari. Quindi se quanto già fatto non è stato sufficiente, faremo un norma di rango superiore e stiamo lavorando a individuare lo strumento più cogente e che non lasci alibi a nessuno”, ha dichiarato Zampa. Il riferimento è alle strutture che secondo fonti del ministero si nasconderebbero dietro al Covid per coprire le proprie mancanze in termini di servizi e igiene e la presenza di personale non vaccinato. Ma anche alle Regioni che non hanno fatto rispettare le circolari ministeriali di fine 2020. La norma di cui ha parlato la consulente di Speranza dovrebbe essere inserita nel primo provvedimento legislativo in via di emanazione, garantiscono ancora dal ministero.

Nelle stesse ore Francolino chiedeva “un provvedimento uniforme su tutto il territorio nazionale che ponga fine alla discrezionalità delle singole Regioni e delle direzioni sanitarie sul tema”, un’ordinanza entro la serata di venerdì, “altrimenti vorrà dire che il tema degli ospiti delle Rsa – al 98% vaccinati – non interessa a nessuno”. Le alternative agli incontri di persona “non reggono più”. Manca la privacy, la “possibilità di parlare liberamente, senza paura di ritorsioni”. Sono in tanti, fa sapere Francolino, “a non volersi esporre proprio per questi timori”.

“Io ho piena fiducia nella struttura e in tutti gli operatori della Rsa dove si trova mia madre – sottolinea – ma tanti altri no, e non ci mettono la faccia”. Nemmeno funziona la “stanza degli abbracci“, perché non è una “reale possibilità di abbracciare il proprio genitore”. Da quanto il comitato è nato, il 16 aprile scorso, le adesioni sono arrivate a 700. “Oltre il 90% delle strutture – sottolinea il presidente Orsan – sono ormai Covid free e oggi non è così difficile minimizzare al massimo il rischio. Temo manchi la volontà politica di occuparsi delle storie delle persone fragili e dei loro familiari”.

I tempi della politica non certo sono quelli degli anziani, alcuni dei quali hanno letteralmente i giorni contati. Vero è, tuttavia, che qualcosa negli ultimi giorni ha iniziato a muoversi. Come anticipato da questo giornale martedì 27 aprile, il vicepresidente della Lombardia, Letizia Moratti, questa settimana ha portato una proposta di apertura delle Rsa alla Conferenza Stato-Regioni che è stata accolta. “Abbiamo una riunione come assessori della Salute martedì, all’ordine del giorno noi come Regione Lombardia abbiamo una piattaforma che potrebbe essere una piattaforma da prendere in considerazione, sicuramente abbiamo bisogno di indicazioni nazionali“.

In particolare quello che si chiede al livello centrale è l’abrogazione della norma recepita anche dall’ultimo decreto sulle riaperture, che attribuisce alla discrezionalità dei direttori sanitari delle strutture il permesso di ingresso di parenti e visitatori. Per il quale è invece giunto il momento di definire in sintonia con le Regioni e il Cts dei parametri oggettivi, così come viene fatto con ristoranti, palestre e cinema, indicando per esempio livelli di libertà maggiore o minore in termini di distanza, tempo e dispositivi, a fronte di tamponatura e/o completamento del ciclo vaccinale del visitatore che incontra un anziano vaccinato in una comunità di anziani vaccinati accuditi da personale che per legge deve essere vaccinato al 100 per cento. Sicuramente qualcosa si sta muovendo, ma la strada da fare è ancora molta, anche se per una volta tutti i policy maker sembrano d’accordo, almeno a parole, sulla necessità di prendere una decisione comune e sulle sue finalità.

Del resto è ormai chiaro a tutti quello che anche il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale va sottolineando da oltre un mese, esprimendo preoccupazione sull’eventualità che il divieto all’accesso così come quello all’uscita, generalizzati e preordinati, possano avere effetti pregiudizievoli sulla tutela dei diritti delle persone anziane residenti, come ricordava venerdì sera Amnesty International. Non a caso a marzo il Garante ha inviato una lettera ai Presidenti delle Regioni, per sollecitare un controllo o una revisione sulla corretta applicazione delle nuove regole che definiscono le modalità di contatto tra gli ospiti delle strutture delle residenze per persone anziane o con disabilità e i loro cari, sottolineando che “il protrarsi del confinamento dei residenti nelle case di riposo – pur in presenza di spazi attrezzabili per la prevenzione del contagio, o di una possibile organizzazione dei tempi e delle modalità delle visite, doverosa in tutte le fasi della pandemia – può determinare la configurazione di una situazione di privazione de facto della libertà delle persone stesse”.

Non solo. Secondo Amnesty, che cita esempi positivi in tutta Europa, laddove le limitazioni imposte “hanno causato un deterioramento delle capacità cognitive e della salute mentale dei residenti, queste costituiscono anche una violazione del diritto alla salute. L’incapacità del governo di garantire che i residenti delle strutture siano protetti dall’ingerenza arbitraria su questi diritti viola i propri obblighi ai sensi della Cedu e di altri trattati internazionali per i diritti umani ratificati dall’Italia”.

Per l’organizzazione internazionale per i diritti umani è quindi “imperativo e urgente che il Ministero della Salute garantisca che vengano messi tempestivamente in atto i meccanismi che permettano l’effettiva implementazione della circolare del 30 novembre 2020, prevedendo linee guida per le visite nelle strutture che mettano al centro l’interesse degli ospiti anziani, tenendo conto delle diverse fonti di esposizione al rischio e delle possibili misure di mitigazione del rischio – quali ad esempio tamponi più frequenti per gli operatori sanitari, residenti e visitatori, protocolli di accesso a Dpi adeguati a ridurre i rischi di infezione e prioritizzazione delle vaccinazioni per i caregivers degli anziani residenti”.

L'articolo Rsa chiuse, Amnesty: “Se le limitazioni prolungate sono fonte di deterioramento cognitivo, c’è violazione del diritto alla salute” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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