Pochi, distanziati e magari in silenzio. Per il calcio che prova a far tornare il pubblico negli stadi queste sono le regole di partenza. Nelle settimane in cui tutti i principali campionati europei sono ricominciati, il tema “pubblico sì pubblico no” è tornato a essere d’attualità. Se nello strano finale di stagione scorso ci si era messi il cuore in pace sull’impossibilità di far tornare i tifosi, con l’inizio dei vari campionati il dibattito si è riaperto. Alla base il pressing delle società, coscienti che se le entrate dal botteghino dovessero continuare a essere zero, i bilanci diverrebbero sempre più pesanti. Ecco che quindi, in tutta Europa, si pensa a come correre ai ripari.

Come spesso accade, a guidare tutti è stata la Germania, che ha deciso di riaprire gli stadi con una capienza del 20%. Prima ha testato il protocollo con le partite di Coppa che hanno dato il via alla stagione, per poi confermare le misure con l’inizio del campionato. Lì, come ovunque, valgono sempre queste regole: l’obbligo di mascherina, la misurazione della temperatura prima di entrare, turni di ingresso ed uscita e l’indicazione di mantenere un comportamento controllato una volta che si è nell’impianto. Questo vuol dire evitare di abbracciarsi per esultare o muoversi dal proprio posto. Le stesse misure adottate dalla Uefa per la Supercoppa europea di Budapest, dove i cancelli della Ferenc Puskas Arena si sono aperti per 20mila spettatori (circa il 30% del totale). Molti tifosi del Bayern Monaco però, esattamente come gli omologhi del Siviglia, hanno deciso di lasciar perdere la trasferta, preoccupati sia dalla quarantena imposta al ritorno sia dallo stato del contagio di coronavirus in Ungheria, che colpisce ancora migliaia di persone.

I tifosi spagnoli d’altro canto sanno che per loro il ritorno allo stadio è ancora lontano: inizialmente si era parlato della possibilità che tornassero a ottobre, poi Javier Tebas, presidente della Liga, ha spostato la data a gennaio-febbraio. Oggi tutto è bloccato perché il Covid dalle parti di Madrid è tornato a farsi sentire con prepotenza, con lockdown anche estesi, cosa che inevitabilmente allontana il pubblico dagli stadi. Stessa situazione in Inghilterra: ottobre sembrava il mese decisivo, ma ora bisognerà vedere come Londra deciderà di rispondere al continuo aumento dei contagi. Da questo aspetto, con ogni logico, cadranno a pioggia anche tutte le decisioni che riguardano lo sport.

Cinquemila spettatori invece è la soglia scelta dalla Francia. A prescindere dalla capienza, questo è il numero delle persone ammesse nei vari stadi della Ligue 1. Manovra che inevitabilmente ha sollevato delle polemiche sia tra i tifosi che tra i presidenti dei club. Tutto fa pensare che questa sia un primo passo verso una maggiore riapertura, ma anche qui a decidere non saranno tanto i politici quanto l’andamento del contagio, unico fattore realmente in grado di determinare le future scelte.

Allargando lo sguardo fuori dai confini europei, una soluzione singolare arriva dal Giappone ed è attiva già da luglio. Anche lì sono ammessi al massimo 5mila tifosi. Che devono rispettare regole ferree: è stata imposta non solo la mascherina, il distanziamento e la misurazione della temperatura, ma anche il divieto totale di fare cori. Questo per evitare che urlando qualcuno possa spargere della goccioline di saliva e quindi contagiare chi ha attorno. L’effetto che ne è uscito è molto più simile al teatro che allo stadio: pubblico seduto, in religioso silenzio, con qualche applauso timido nel momento dei gol. “Urlate dentro il vostro cuore”, hanno chiesto le autorità ai tifosi. Insomma, un compromesso che in Giappone hanno deciso di accettare pur di poter tornare a vedere dal vivo i propri beniamini.

L'articolo Riapertura stadi, dal 20% di capienza della Germania al no della Spagna: come funziona in Europa. E in Giappone è vietato fare il tifo proviene da Il Fatto Quotidiano.



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