di Giuliano Checchi

Chiariamo subito, che questo post non vuole schierarsi per il “Sì” o per il “No”, né tanto meno convincere qualcuno (fatta salva la libertà di interpretazione). Questo post si propone di sgombrare il campo da un’idea completamente sbagliata che sta circolando da giorni. Non solo sui social, ma anche sulla stampa.

Spesso per bocca di persone, la cui provata competenza in materia, è un’aggravante del messaggio sbagliato che finiscono per trasmettere. Quale messaggio? Il fare della rappresentanza degli elettori, un fatto di aridi numeri. Il ridurre la democrazia rappresentativa, ad una specie di teorema matematico, secondo cui un rappresentante ogni 2000 elettori, rappresenta maggiormente di uno su 4000. E che quindi, togliendo 345 parlamentari, si toglie rappresentanza. E’ un errore madornale.

E’ un ridurre tutto al primo strato della superficie. Molto spesso in malafede. Malafede che porta, talvolta, a mettere sullo stesso piano gli organi elettivi con quelli che elettivi non sono; e che quindi, con la rappresentatività, nulla hanno a che fare. Come mischiare le ciliegie con i carciofi. Passi per chi non è esperto, ma chi lo è si dovrebbe solo vergognare. Che cosa significa “rappresentare”?

Significa avere un mandato da una comunità di persone, per agire a tutela e gestione di una serie di diritti ed interessi. E allora, i rappresentanti eletti, quali parametri dovrebbero rispettare, perché la loro rappresentanza sia efficace? Semplicemente quello di essere in numero più elevato possibile? Più rappresentanti ci sono, meglio è? Si riduce tutto a questo? Certamente no.

Perché, a parte il derivarne che nemmeno 2.000 parlamentari sarebbero sufficienti per la rappresentanza, passerebbero in secondo piano (se non in terzo o in quarto), i parametri veramente importanti per la democrazia rappresentativa; quelli sanciti nei principi costituzionali, e che vanno ben al di là di una mera cifra.

Parametri come essere scelti direttamente da un numero congruo di elettori (invece che dalle segreterie dei partiti); parametri come risiedere e conoscere bene il territorio in cui vengono eletti (invece che eleggere dei lombardi candidati in Calabria, o dei toscani candidati a Bolzano); parametri come garantire alle minoranze un’adeguata rappresentanza, fatti salvi naturalmente gli opportuni limiti per evitare un’eccessiva frammentazione.

Detto in termini brutali: sono più rappresentativi 945 parlamentari eletti con il sistema dei listini bloccati, o 600 parlamentari scelti con il vecchio sistema delle preferenze? Sono più rappresentativi 945 parlamentari eletti in Collegi non di residenza, o 600 parlamentari eletti nei territori di appartenenza? E’ il numero nudo e crudo che conta, o conta il parametro di rappresentanza alla base? A me la risposta pare scontata.

I parametri di rappresentanza, vengono stabiliti e fissati con le leggi elettorali. La cui approvazione, prevede un iter percorribile in tempi relativamente brevi. Se gli organi politici e di governo, davvero tengono alla democrazia rappresentativa, e non alla spartizione di poltrone, non hanno che da intervenire con una legge elettorale adeguata.

Cosa per la quale sono sempre in tempo; sia prima, che dopo il voto del referendum. Perché, tanti politici e costituzionalisti, non premono per questo? Perché preferiscono invece, far passare l’idea assurda che la democrazia rappresentativa non sia altro che un indicatore numerico?

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L'articolo Taglio dei parlamentari, chi riduce la democrazia a un fatto di numeri è in malafede proviene da Il Fatto Quotidiano.



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